Tempi sospesi per l’umanità: problemi planetari, tragedie globali, guerre,
cambiamento climatico e pandemia… e il nucleare?
Problemi planetari
A fine novembre 2015, a Stoccolma, Gino Strada riceveva il Right Livelihood
Award, il “premio Nobel alternativo”. Nel discorso di accettazione egli affermò
che: “lavorare insieme per un mondo senza guerra è la miglior cosa che
possiamo fare per le generazioni future”. In ogni guerra, “la
tragedia delle vittime è la sola verità”. […] “Dobbiamo
convincere milioni di persone del fatto che abolire la guerra è una necessità
urgente e un obiettivo realizzabile. Questo concetto deve penetrare in
profondità nelle nostre coscienze, fino a che l’idea della guerra divenga un
tabù e sia eliminata dalla storia dell’umanità”.
Sono passati sette anni da quella premiazione e da quelle parole. Le guerre
si sono moltiplicate, le vittime (dirette e indirette) sono aumentate a dismisura.
Intanto nuovi incubi sono sopraggiunti, alimentando paure e sofferenze della
gente comune, impegnando gli sforzi degli scienziati, stimolando le strategie
dei potenti. Le pagine dei giornali e le informazioni su web sono zeppe di
dati, commenti, misure, dichiarazioni, riflessioni sui due nuovi problemi – due
nuove ‘guerre’ – che negli ultimi anni hanno colpito l’umanità: il cambiamento
climatico e la pandemia da COVID 19.
Tragedie globali
Delle trasformazioni in atto che si stanno realizzando sul nostro pianeta
si parla da decenni. Ci sono state tante avvisaglie, tanti indizi inquietanti a
livello locale (da una insolita, intensa alluvione alla comparsa di una nuova
malattia delle piante, dall’avvelenamento di un corso d’acqua a una anomala
calura estiva); e ora stanno manifestandosi cambiamenti su scale sempre più
ampie, ormai ingovernabili. Enormi distese di ghiaccio che fondono, correnti
oceaniche che cambiano direzione, invasioni incontenibili di locuste
migratorie. Poi – appena due anni fa – si diffonde un’epidemia che colpisce gli
esseri umani: è un virus molto contagioso, che rapidamente dilaga in tutto il
mondo. Intanto le guerre continuano: anzi, nuove aree geografiche diventano
sedi di scontri armati. Popolazioni di cui non si sentiva parlare si scoprono
‘nemiche’ da combattere, oppure ‘amiche’ da aiutare. La produzione, il
commercio, l’uso di armi si moltiplica.
Aumentano i conflitti violenti, nei quali le vittime civili superano sempre
più quelle militari. In parallelo si moltiplica il numero di persone costrette
a lasciare le loro case per la fame, la sete, i bombardamenti. Milioni di
‘migranti’ si spostano, cercando di fuggire a situazioni diventate
invivibili. Migranti economici che cercano lavoro; e migranti ambientali
che hanno perso la terra su cui vivevano; migranti perseguitati come nemici da
stranieri che neppure conoscono. Una percentuale crescente dell’umanità è in
situazione di sofferenza e di pericolo.
La metafora del nemico
Molte persone, parlando del cambiamento climatico e della pandemia,
utilizzano la parola ‘guerra’. Ma qual è il nemico? La CO2, forse,
che prodotta dalle attività umane si accumula nell’atmosfera e negli oceani?
Difficile sostenere che questa piccola molecola (tra l’altro essenziale per la
vita) ci sia nemica. O le varie forme con cui si esprime questo nuovo
virus – di volta in volta più o meno contagioso, più o meno pericoloso – che
‘spunta’ da luoghi sempre diversi? Ugualmente arduo sarebbe credere che una
struttura architettonica piccolissima, una pallina invisibile con la superficie
decorata, ce l’abbia proprio con noi!
Dall’inizio
della pandemia, nel dicembre del 2019, il numero ufficiale delle persone
contagiate dal virus supera i 300 milioni, e si sono registrati più di 5,5
milioni di morti. Sono dati sicuramente inferiori al reale, perché moltissimi
casi non sono stati registrati. |
Eppure… a proposito dell’infezione da SARS-CoV-2, leggete queste righe:
“Come nell’arte della guerra, per poter sconfiggere il nemico è
fondamentale conoscere: com’è fatto il virus, qual è la sua forma? Come infetta
le cellule umane? Come cresce, replica e si sviluppa nelle cellule ospite? Di
che cosa ha bisogno per sopravvivere? Rispondere a tali domande fornisce le
armi, le informazioni chiave a cui i laboratori di ricerca ambiscono per
sviluppare vaccini e farmaci antivirali sicuri ed efficaci.”
E sulla CO2? Basta una sbirciatina a Google per fare una
raccolta di titoli da bollettino di guerra:
Non è difficile, documentandoci, confrontandoci, riflettendoci insieme,
arrivare a concordare che stiamo usando la solita, abusata metafora.
L’aveva osservato fin dai primi mesi di pandemia un giornalista, Daniele
Cassandro, in un articolo dal titolo Siamo in guerra! Il coronavirus e
le sue metafore:
“Da giorni basta aprire un giornale, scorrere le notizie sul telefono,
guardare un notiziario in tv per sentirci dire che siamo in guerra. L’emergenza
Covid-19 è quasi ovunque trattata con un linguaggio bellico: si parla di
trincea negli ospedali, di fronte del virus, di economia di guerra; ogni sera la
Protezione civile dirama un bollettino con il numero dei morti e dei contagiati
che aspettiamo col fiato sospeso”.
Contro il pianeta, una guerra perdente…
La letteratura, ormai sterminata, sulle possibili cause della diffusione
del virus COVID-19 (e di altre pandemie prima) suggerisce che il nemico non sia
il virus, ma un insieme di condizioni dietro le quali si nascondono gravi
responsabilità umane: dalla continua ‘invasione’ antropica di ambienti
naturali, che ha favorito l’incontro e lo ‘spillover’[1] (il salto di
specie) tra i viventi, all’allestimento di allevamenti intensivi (dalle galline
ai maiali ai visoni), dove milioni di creature sono stipate in spazi piccolissimi,
costrette – dalla nascita alla morte – a una vita di sofferenza e malattia (e
di scambi virali). Inoltre l’esperienza di due anni di ‘convivenza’ con il
virus COVID-19 ci ha fatto capire che fargli la guerra non è una strategia
vincente. Anzi. Le sue capacità di adattamento e trasformazione sono ormai
evidenti.
Occorre invece modificare profondamente, radicalmente tanti atteggiamenti e
comportamenti aggressivi e violenti che – soprattutto nell’ultimo secolo –
hanno caratterizzato la presenza umana sul pianeta.
Anche nel caso dell’altro ‘nemico’, la CO2 , da tempo sono
state individuate gravissime responsabilità umane dietro all’aumento di
temperatura dell’atmosfera, e alle profonde trasformazioni che ne sono derivate
nell’ecosistema Terra. Si tratta di comportamenti umani violenti e
irresponsabili, azioni distruttive nei confronti della nostra ‘casa comune’: i
gas-serra che si stanno accumulando nell’aria e negli oceani provengono dalle
attività cosiddette produttive delle moderne società industriali. Dallo scavo
di enormi miniere all’accumulo di montagne di rifiuti, dall’imbrigliamento dei
grandi fiumi all’avvelenamento dei suoli agricoli, fino alla preparazione delle
guerre: sono questi i ‘nemici’ contro i quali bisogna combattere.
Come scriveva la studiosa
indiana Vandana Shiva pochi mesi prima della diffusione della pandemia, occorre
chiarire chi sia davvero il ‘nemico’: “Quando pensiamo alle guerre ai
nostri tempi, volgiamo la mente all’Iraq e all’Afghanistan. Ma la guerra più
grossa è quella contro il pianeta. È una guerra intrapresa contro le radici
della vita da parte di un’economia che manca di rispettare i limiti ecologici
ed etici – limiti all’ineguaglianza, all’ingiustizia, all’avidità e alla
concentrazione economica”.
E le guerre tra umani?
Mai come oggi soffiano venti di guerra tra comunità umane. Mentre il nostro
pianeta vivente, Gaia, la nostra casa comune, moltiplica segni di insofferenza;
mentre aree sempre più vaste e numerose del pianeta diventano inospitali;
mentre studiosi di varie discipline delineano un futuro di inondazioni e
siccità, di estinzioni e nuovi patogeni, noi che cosa facciamo? Ci facciamo
guerra tra noi! Quella vera, non metaforica. Moltiplichiamo la produzione e il
commercio di armi, potenziamo gli eserciti, organizziamo esercitazioni armate,
e il risultato è che si contano attualmente 27 conflitti armati in corso nel
mondo, alimentati materialmente e politicamente da vaste reti di sostenitori e
avversari. E come nelle grandi guerre del passato, molti scontri avvengono
lungo le trincee: linee di combattimento, ma anche difese di fortezze e
privilegi.
Migliaia di km di muri di cemento e di filo spinato sono ormai eretti ai
confini di tanti Paesi, per impedire il passaggio a migranti in fuga da
condizioni insostenibili: nella sola Europa, da sei che erano nel
1989, oggi le barriere fisiche sono
diventate 63. Assistiamo – spesso inerti – a un’escalation di aggressività contro
comunità umane e spazi di vita.
In una situazione globale come quella che stiamo vivendo, in cui tra le
nostre priorità dovrebbero esserci la riduzione dei gas con effetto serra (tra
cui il ‘nemico’ CO2) e la protezione dei sistemi naturali, per
fornire adeguato spazio e opportunità di vita anche agli altri viventi (tra cui
i ‘nemici’ virus), noi invece moltiplichiamo le attività militari. Il
carico ambientale prodotto nella fase di produzione e assemblaggio delle armi
(e conseguente consumo di risorse, emissione di gas serra, accumulo di rifiuti,
consumo di suolo ecc.) e i conflitti sociali che ne conseguono, innescano
ulteriori danni e insicurezze (come documentato dall’Osservatorio su Conflitto
e Ambiente, CEOBS).
Più conflitti, più armi, più danni ambientali, maggiore instabilità degli
ecosistemi, più migrazioni, più conflitti… un circolo vizioso che si espande a
spirale…
Il nucleare, l’arma che non si può usare
Soprattutto continuiamo a rinforzare gli arsenali nucleari per fare la
guerra tra noi. Anche se numericamente gli arsenali nucleari si sono ridotti,
in realtà la minaccia di una guerra atomica sta aumentando. Le potenze
nucleari stanno realizzando estesi progetti di rinnovamento delle
loro armi nucleari, per sostituire e modernizzare le testate
nucleari, i sistemi di lancio di missili e aerei e gli impianti di produzione
di armi nucleari. Da anni alcuni Stati fanno scorta di armi di spaventosa
potenza, che però dichiarano di non voler utilizzare. La strategia della
‘deterrenza’ – cioè quella basata sull’idea che far paura ai nemici sia il modo
migliore per assicurare la pace nel mondo – non è solo molto rischiosa, ma è
talmente stupida!
Sottrae risorse naturali e finanziarie che si dovrebbero impiegare per
rimediare (per quel che si può) ai danni finora inferti alla nostra casa
comune, e contribuisce materialmente all’ulteriore degrado ambientale.
L’apparato militare (dalla produzione di armi alle esercitazioni dei soldati) è
distruttivo per l’ambiente anche quando non si spara un colpo! Come
sottolinea il Bulletin of
Atomic Scientists, “l’accelerazione dei programmi nucleari in più
paesi ha spostato il mondo in un territorio meno stabile e gestibile. Lo
sviluppo di veicoli ipersonici, difese missilistiche balistiche e sistemi di
spostamento e consegna di armi che possono utilizzare in modo flessibile
testate convenzionali o nucleari può aumentare la probabilità di errori di
calcolo in tempi di tensione“.
Ancora pochi giorni fa, il 3 gennaio 2022, in un comunicato congiunto
firmato da cinque potenze nucleari (Cina, Francia, Russia, UK, USA), è stato
pubblicato il Joint Statement of the Leaders of
the Five Nuclear-Weapon States on Preventing Nuclear War and Avoiding
Arms Races, in cui si legge:
“Noi affermiamo che una guerra nucleare non può essere vinta e non deve
mai essere combattuta. Poiché l’uso nucleare avrebbe conseguenze di vasta
portata, affermiamo anche che le armi nucleari, finché continuano ad esistere,
dovrebbero servire a scopi difensivi, scoraggiare l’aggressione e prevenire la
guerra. Crediamo fermamente che l’ulteriore diffusione di tali armi debba
essere impedita”. Persiste – di fatto – un’imposizione che pesa su
tutto il mondo: le potenze nucleari si tengono le armi atomiche che già
possiedono, e le perfezionano a scopo difensivo. E impediscono a tutti gli
altri Stati non solo di sviluppare programmi nucleari, ma anche di fare
il contrario, cioè di promuoverne l’abolizione.
Il nucleare, l’arma che non deve
esistere
Infatti gli Stati nucleari non hanno finora aderito a un Trattato che dopo
dieci anni di impegno diplomatico, politico e morale da parte della
Campagna ICAN e di varie
associazioni ha portato alla stesura di un Trattato sulla proibizione delle
armi nucleari (Treaty on the
Prohibition of Nuclear Weapons, TPNW), che è stato approvato il
7 luglio 2017 da una speciale conferenza indetta dall’Assemblea generale
dell’ONU con 122 voti a favore, uno contrario (l’Olanda) e un’astensione
(Singapore).
Questo Trattato, sottoscritto attualmente da 86 firmatari e 59 Stati parti,
è entrato in vigore il 22 gennaio 2021. Da questa data le armi nucleari sono
riconosciute come illegali. Il Trattato proibisce
esplicitamente e inequivocabilmente l’uso, la minaccia dell’utilizzo, lo
sviluppo, la produzione, la sperimentazione e lo stoccaggio di armi nucleari e
obbliga tutti gli Stati aderenti a non assistere, incoraggiare o indurre
nessuno in alcun modo a impegnarsi in qualsiasi attività vietata dal Trattato.
L’obiettivo principale del TPNW è di delegittimare non solo l’impiego di armi
nucleari ma lo stesso possesso di armi nucleari, che invece le potenze nucleari
giustificano (a proprio favore) come necessario per una sicurezza mondiale
basata sulla deterrenza, ossia sulla reciproca capacità di ritorsione a un
possibile attacco nucleare.
Tra cambiamento climatico e pandemia… e
il nucleare?
Le difficoltà logistiche e organizzative causate dalla pandemia in corso
hanno indotto gli organizzatori di importanti riunioni internazionali a
rimandare gli incontri già in agenda. La decima Conferenza di revisione
del Trattato di Non-proliferazione nucleare (NPT: Nuclear Non-Proliferation
Treaty) già spostata due volte negli anni scorsi e prevista per gennaio 2022, è
stata rimandata al mese di Agosto 2022. Secondo questo Trattato i maggiori
possessori di armi nucleari avrebbero dovuto – negli anni – impegnarsi
per un progressivo disarmo, pur conservando il diritto a conservare i loro
arsenali.
Si tratta dell’obbligo, sancito dall’Articolo VI dell’NPT, a
impegnarsi in negoziati in buona fede per la completa eliminazione degli
arsenali nucleari. Tuttavia le potenze nucleari hanno finora
completamente disatteso questo impegno, come è stato sottolineato in un recente
messaggio pubblicato il 4 gennaio dall’International
Physicians for the Prevention of Nuclear War. L’ulteriore
ritardo nella convocazione della Conferenza di revisione non fa ben sperare su
iniziative serie e tempestive…
Anche la Prima Conferenza degli Stati Parti del Trattato di proibizione
delle armi nucleari, che avrebbe dovuto svolgersi a Vienna all’inizio di
gennaio 2022, è stata rimandata a marzo a causa dell’emergenza pandemia.
Gli Stati ‘nuclearisti’ o filo-nuclearisti (come l’Italia), che sono
contrari all’abolizione completa e definitiva delle armi nucleari, continuano a
considerare irrealistica la proposta di TPNW. Non solo. Come già accennato, è
in atto un’escalation nella produzione e distribuzione geopolitica di nuovi
modelli di bombe, tecnologicamente avanzate e con nuove capacità offensive.
L’Italia, che ufficialmente non fa parte degli stati nucleari ma ospita
armi atomiche di proprietà USA, si trova in una posizione di rischiosa sottomissione.
I nostri decisori continuano ad autorizzare la presenza di armi nucleari altrui
sul suolo italiano e non hanno firmato il Trattato che ne dichiara
l’illegalità; però non hanno alcun controllo sulle decisioni relative all’uso
di queste bombe. Offrono agli USA e alla NATO gli aeroporti da cui sferrare
eventuali attacchi, ma non hanno alcuna protezione da eventuali reazioni.
E neppure contribuiscono positivamente al problema, perché non hanno firmato il
trattato che sancisce l’illegalità di questo orribile strumento di morte.
La B61-12 è una nuova arma nucleare polivalente che sostituisce tre delle
varianti dell’attuale B61 (3, 4 e 7). Ha una testata nucleare con quattro
opzioni di potenza, selezionabili a seconda dell’obiettivo da distruggere. […]
Le basi di Aviano e Ghedi sono state ristrutturate per accogliere i caccia
F-35A armati delle nuove bombe nucleari. A Ghedi possono essere schierati 30
caccia italiani F-35A, pronti all’attacco sotto comando Usa con 60 bombe
nucleari B61-12. (M. Dinucci. Green pass nucleare:
esce a maggio la Bomba per l’Italia).
Viviamo in uno scenario globale completamente diverso da quello dei decenni
passati. Le ‘faccende’ umane ora devono fare i conti con un pianeta in rapida e
imprevedibile trasformazione, con prospettive sempre meno accoglienti per
l’umanità. I prossimi mesi saranno cruciali per far conoscere la
situazione e coinvolgere la società civile – in tutti i paesi – a impegnarsi
per raggiungere l’obiettivo indicato da Gino Strada
L’orologio dell’Apocalisse
Dal 1947, ogni anno un gruppo di studiosi e di esperti si pronuncia sul
rischio di guerra nucleare, ponendo le lancette del “Doomsday Clock” (l ’orologio
dell’Apocalisse) più o meno vicino alla mezzanotte. Il 20 gennaio
prossimo, sul sito del Bulletin of
Atomic Scientists, sarà comunicata la previsione per l’anno 2022, e
ci diranno quanto tempo ci resta per evitare che la più terribile e potente
invenzione dell’uomo sfugga al controllo, e renda la Terra inabitabile
all’umanità.
Abbiamo vissuto un anno difficile, con le lancette piazzate ad appena 100
secondi dalla mezzanotte: quale sarà la prognosi per il prossimo? Ma
soprattutto, quale delle minacce che incombono sull’umanità sarà considerata
più rilevante? Con la pandemia possiamo imparare a convivere; il cambiamento
climatico forse ci concede qualche anno per rivedere le nostre priorità, cambiare
stili di vita, avviarci verso una giustizia ecologica. Ma l’evolvere di questi
processi globali, che si manifesta su scale temporali diverse dalla nostra,
dipende sempre meno da noi, piccoli abitanti impotenti (earthlings, terrestri)
di un mondo che ci contiene, ci sovrasta e forse ci sta eliminando.
Invece il rischio di una catastrofe nucleare è incombente, può verificarsi
in qualunque momento, e dipende da noi fermarla. E’ una decisione
sulla quale possiamo – finora – esercitare il controllo. Per eliminare tutte le
armi nucleari e tutto quanto le riguarda bisogna imparare a mettersi d’accordo,
a riconoscere il nostro comune destino sulla Terra, a rivedere il modo più
consapevole e critico l’idea dell’altro, del diverso, del nemico…
Rivedere il concetto di ‘nemico’?
Umberto Eco (nel suo libro ‘Costruire il nemico’) sosteneva che “Avere
un nemico è importante non solo per definire la nostra identità ma anche per
procurarci un ostacolo rispetto al quale misurare il nostro sistema di valori e
mostrare, nell’affrontarlo, il valore nostro. Pertanto, quando il nemico non ci
sia, occorre costruirlo”.
Ma quando si arriva a pensare di poter uccidere milioni dei propri simili,
e si costruiscono ordigni come quelli che sono strategicamente disseminati per
sterminare chiunque in qualunque luogo, conviene mettere in discussione
l’affermazione di Eco, e rivedere il nostro sistema di valori. L’ostacolo
rispetto al quale misurarci può diventare una sfida. Eliminare le bombe dalla
‘faccia’ della Terra (dalla superficie di Gaia?) e dedicare le nostre energie
positive a curare le ferite fisiche e psichiche inferte ai viventi e alla vita.
[1] Spillover.
L’evoluzione delle pandemie, di David Quammen (Adelphi 2020)
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