martedì 4 gennaio 2022

Un anno da Draghi - Tomaso Montanari

 

 

«Un’ampia privatizzazione è una grande, direi straordinaria, decisione politica che scuote le fondamenta dell’ordine socio-economico, riscrive confini tra pubblico e privato che non sono stati messi in discussione per quasi 50 anni, induce un ampio processo di deregolamentazione, indebolisce un sistema economico in cui sussidi alle famiglie e alle imprese hanno ancora un ruolo importante. […] Consideriamo questo processo di privatizzazione accompagnata da deregolamentazione inevitabile, perché innescata dall’aumento dell’integrazione europea: l’Italia può promuoverla da sé, oppure essere obbligata dalla legislazione europea. Noi preferiamo la prima strada». Era il 2 giugno 1992, e l’allora Direttore generale del Tesoro Mario Draghi celebrava la festa della Repubblica parlando così a bordo del panfilo Britannia, di proprietà della regina Elisabetta (https://volerelaluna.it/controcanto/2020/03/29/draghi-lupi-faine-e-sciacalli/).

Ebbene, il Draghi che ­­– quasi trent’anni dopo, secondo il costume della gerontocrazia italica ­– diviene presidente del Consiglio dei ministri è ancora perfettamente coerente con quella visione, e con quello stile retorico: nel quale la manifestazione della consapevolezza dei costi sociali della totale soggiacenza della politica al mercato serve solo da premessa per una dichiarazione di sedicente pragmatismo. Lo schema è sempre quello: «c’è un costo […] ma non ci sono alternative». A dispetto degli infiniti laudatores che lo vogliono keynesiano (la leggenda dell’«allievo di Caffè», tante volte smentita dai veri eredi morali e culturali del grande economista), Draghi è un sincero e trasparente sostenitore del TINA thatcheriano, cioè della convinzione che la politica non abbia alcuna possibilità di scartare di lato rispetto al binario unico disegnato dal mercato: per questo il suo approdo a Palazzo Chigi (e, iddiononvoglia, al Quirinale: https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/12/31/perche-draghi-non-puo-andare-al-quirinale/) segna simbolicamente il tardivo culmine di questa interminabile stagione liberista. È, di fatto, l’esaurimento della democrazia: come ben comprende quella metà abbondante degli italiani che ha smesso di andare a votare, prendendo atto della totale inutilità di quello che appare ormai come un rito di una religione che non c’è più.

E se mettiamo in fila anche solo alcuni dei provvedimenti di un anno (ancora incompiuto) di Governo Draghi, è facile capire cosa comporti, nei fatti, questa svolta simbolica.

Febbraio
Nel suo discorso di investitura al Senato, il neo presidente del Consiglio Draghi annuncia una riforma fiscale: quella che ‒ dice ‒ «segna in ogni Paese un passaggio decisivo. Indica priorità, dà certezze, offre opportunità, è l’architrave della politica di bilancio». Non dice cosa conterrà, ma cita due esempi tra loro in contraddizione. La riforma di Bruno Visentini del 1973 (che disegnava un fisco a ben 32 scaglioni, aderente alla «volontà di calibrare con la massima attenzione l’intervento dello Stato sulle risorse dei cittadini, distinguendo le singole posizioni concrete di ciascuno sin quasi nelle sfumature. L’ideale di riferimento era senz’altro quello dell’uguaglianza in senso sostanziale», nelle parole di Francesco Pallante), ma anche quella recente della Danimarca, in cui «l’aliquota marginale massima dell’imposta sul reddito veniva ridotta» (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/02/22/le-tasse-la-progressivita-e-gli-infortuni-del-presidente-del-consiglio/). Come dire: saremo bravi come Visentini, ma non alzeremo le tasse dei ricchi. Un’esegesi confermata dal passaggio in cui Draghi annunciava che la riforma sarebbe stata fatta «preservando la progressività»: visto che oggi la progressività di fatto non c’è più. Poche ore dopo, il blog di Carlo Clericetti svelava che pressoché tutta la parte del discorso di Draghi sulla riforma fiscale era stata presa di peso (col taglia e incolla) da un articolo dell’economista ultraliberista Francesco Giavazzi uscito il 30 giugno precedente sul Corriere della sera (https://clericetti.blogautore.repubblica.it/2021/02/18/si-scrive-draghi-si-pronuncia-giavazzi/). Una notizia clamorosa, perché metteva a nudo la cialtroneria di quello che viene subito ribattezzato il Governo dei Migliori, e contemporaneamente ne denunciava la matrice ideologica.
La riforma fiscale, che arriverà nella legge di stabilità approvata il 30 dicembre, starà assai più dalla parte della Danimarca che non da quella di Visentini. Le aliquote scendono da 5 a 4:  con un altro passo verso la flat tax voluta dalla Lega, e dunque allontanandosi ancora dalla progressività fiscale prescritta dalla Costituzione. Un regalo ai benestanti: secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio, per esempio, le famiglie dei dirigenti risparmieranno 368 euro in media all’anno mentre agli operai ne andranno solo 162. Il risparmio medio annuo per i redditi tra 42 e i 54 mila euro sarà di 765 euro. Al 3,3% dei contribuenti più ricchi andrà ben il 14,1 per cento dei 7 miliardi del taglio fiscale, dal quale non avrà invece alcun beneficio il 20% rappresentato dalle famiglie più povere (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/11/29/il-taglio-delle-imposte-sul-reddito-ovvero-il-trionfo-della-disuguaglianza/) . Proprio contro questa riforma, oltre che contro la precarizzazione del lavoro, si schierano la Uil e la Cgil, che spiega come questa riforma «premia le fasce di reddito superiori ai 40.000 euro, dedicando alle altre benefici irrisori in termini assoluti e relativi. […] In uno scenario di gravissima crisi economica, con una pandemia che non accenna ad allentare la sua morsa sul tessuto sociale del Paese, ci saremmo aspettati una riforma del fisco coraggiosa, attenta alle fasce più vulnerabili della popolazione e progressiva, dove chi ha di più contribuisce in misura maggiore e chi ha di meno riceve in misura maggiore. Oggi, invece, il Governo spreca l’opportunità di investire su una seria riforma del Fisco dando tanto a chi ha già tanto e poche briciole a chi stenta ad arrivare a fine mese».

Marzo
Draghi affida il «governo della peste» al medagliatissimo generale degli alpini Francesco Paolo Figliuolo, a suggellare simbolicamente l’uso della metafora della guerra applicata alla pandemia. «Stringiamci a coorte», ripete un Figliuolo costantemente in mimetica, citando l’inno di Mameli: nessun conflitto è consentito, e nemmeno una seria critica, sempre sospetta di intelligenza col nemico (il virus). La vaccinazione procede (come in tutti gli altri paesi paragonabili al nostro), ma nulla viene fatto per i trasporti o l’edilizia scolastica, mentre il Governo non si decide a imporre l’obbligo vaccinale (sul quale la Lega fa muro) e ricorre invece a un Green Pass sempre più contraddittorio e iniquo (https://volerelaluna.it/societa/2021/09/20/tutti-pazzi-per-il-green-pass-e-lobbligo-vaccinale/) . Qualche mese dopo, nel largamente previsto picco invernale dei contagi, il caos dei tamponi, il definitivo abbandono del tracciamento e la scelta di rinunciare a regole stringenti sanciranno platealmente il fallimento del generale. Tra Natale e Capodanno il bomba libera tutti: il Governo dei Migliori rinuncia a governare la pandemia. Tra le varie tappe di questa resa si può rammentare l’abbandono del distanziamento nelle scuole. A settembre le “Domande frequenti del Ministero dell’Istruzione in tema di organizzazione dell’attività scolastica” suonano così: «È necessario mantenere sempre la distanza interpersonale di almeno un metro? A scuola è sempre raccomandato il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro, salvo ove le condizioni strutturali-logistiche degli edifici non lo consentano» (https://volerelaluna.it/controcanto/2021/09/27/la-scuola-e-gli-obblighi-flessibili-del-ministro-bianchi/). Le «condizioni strutturali-logistiche degli edifici» sono esattamente ciò di cui il Governo Draghi e il suo ministro Bianchi avrebbe dovuto occuparsi (insieme a quelle dei trasporti pubblici, della numerosità delle classi, dei tempi e dei modi di assegnazione delle cattedre…). Non avendo cambiato quelle condizioni, i Migliori decidono di cambiare le regole: è, per i ragazzi, il segno di un rompete le righe che avrà nei mesi successivi pesanti conseguenze dirette e indirette).

Aprile
Esce il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/12/07/dove-ci-porta-il-piano/). Un piano nato per contenere i danni di un disastro sanitario stanzia 25,13 miliardi per le Grandi Opere, e solo 15,63 per la salute! E tra le Grandi Opere non c’è traccia dell’unica utile: la messa in sicurezza del territorio. Il Piano destina alle “Misure per la gestione del rischio di alluvione e per la riduzione del rischio idrogeologico” 2,49 miliardi, meno di un decimo di quanto regalato al cemento delle nuove infrastrutture. Il decreto “semplificazioni” che costruisce la governance del PNRR è un manifesto di ideologia del “maniliberismo”. Il nucleo ideologico è tutt’altro che nuovo: dalla Legge Obiettivo di Berlusconi allo Sblocca Italia di Renzi sappiamo bene come si costruiscono procedure speciali, commissariamenti, silenzi-assensi per aggirare istituzioni e regole in nome di urgenze eccezionali e interessi strategici. Nella “variante Draghi” generata dal virus delle semplificazioni, la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico viene fatta a pezzi: si crea per la prima volta l’aberrazione di una Soprintendenza speciale incardinata a Roma cui demandare tutti i progetti del PNRR che riguardano più di una soprintendenza (ma volendo anche gli altri), anche avvalendosi di “esperti” esterni (lautamente pagati e dunque forse non così severi verso i progetti dei datori di lavoro). In ogni caso, l’eventuale “dissenso” delle soprintendenze superstiti sarà “risolto” direttamente in Consiglio dei Ministri.

Maggio
Il segretario del Pd Enrico Letta formula una timidissima proposta di redistribuzione della ricchezza, seppur non condivisibile nell’idea di sfociare nel solito bonus: egli propone di costituire una “dote” per i diciottenni aumentando la tassa di successione sui patrimoni sopra il milione di euro, chiedendo così «alla parte più ricca della popolazione, l’1%, di dare un contributo ai giovani» Troppo poco, troppo tardi: eppure anche questa inezia è sentita da Draghi come una minaccia (https://volerelaluna.it/controcanto/2021/05/24/letta-alla-destra-di-einaudi-draghi-alla-destra-di-letta/). Con inconsueta durezza, il presidente del Consiglio replica a Letta che «non ne abbiamo mai parlato, non è il momento di prendere i soldi ai cittadini, ma di darli. L’economia è ancora in recessione». Già, ma darli a chi, a quali cittadini? Lo si capirà fin troppo bene nei mesi successivi. All’inizio di dicembre, per esempio, Draghi propone «di congelare per un anno lo sgravio Irpef sui redditi sopra i 75 mila euro, così da spostare risorse contro il caro bollette e venire incontro alle richieste dei sindacati per un maggiore equilibrio tra redditi alti e bassi» (così la Repubblica, il più draghiano dei giornali). Ma la Lega non ci sta e Draghi, che tratta il Parlamento come uno scendiletto (35 voti di fiducia in 11 mesi…) e non si cura della collegialità dello stesso Consiglio dei Ministri, qua invece accetta di esser messo in minoranza. E così i soldi non si danno ai più poveri, ma ai più ricchi: come conferma la proroga del bonus facciate deciso dal Governo, che regala 5 miliardi ai proprietari di casa in un Paese senza diritto alla casa.

Giugno
Secondo i dati INPS, un terzo dei nuovi contratti di lavoro del primo semestre 2021 sono precari (e la grande maggioranza di essi è comunque al nord, e destinato a maschi). La sospensione del Decreto Dignità decisa da Draghi apre la porta a un allungamento della precarietà. A settembre, i nuovi dati confermeranno: il lavoro dell’èra Draghi è un lavoro di precari, gli occupati a termine crescono, sforando quota 3 milioni.

Luglio
Dal 1° luglio il Governo rimuove il blocco dei licenziamenti nell’industria e costruzioni (per tutti gli altri lo farà poi dal 1° novembre), aprendo le porte a chiusure traumatiche come quella della GKN a Firenze. Lo fa senza varare la promessa riforma degli ammortizzatori sociali, che arriverà solo dal 1° gennaio 2022, e che sarà così giudicata dalla CGIL: «L’intervento che vediamo nella Legge di Bilancio non è la riforma strutturale che noi, spesso in solitudine, auspicavano. Rimangono più gestioni (Cigo, Fis, fondi bilaterali e fondi bilaterali alternativi), permangono differenziazioni nella durata delle prestazioni e, cosa che per la Cgil è la principale preoccupazione, non è sufficiente a proteggere il lavoro nella gestione dei grandi processi di riconversione ambientale, energetica, digitale». Insomma: i licenziamenti sono concreti, gli ammortizzatori non lo sono.
Nello stesso mese di luglio, Draghi rinnova gli accordi con la Libia: aumentando di mezzo milione di euro il nostro finanziamento ai torturatori delle carceri e ai cacciatori di migranti nelle acque del Mediterraneo. Il terzo comma dell’articolo 10 della Costituzione («Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge») è clamorosamente calpestato anche dai Migliori, che su quella Costituzione hanno giurato. In aprile, durante il suo viaggio “d’affari” a Tripoli, Draghi aveva detto testualmente: «Sul piano dell’immigrazione noi esprimiamo soddisfazione per quello che la Libia fa nei salvataggi e nello stesso tempo aiutiamo e assistiamo la Libia…» (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/04/09/draghi-in-libia-nulla-e-cambiato-rispetto-alla-linea-minniti-salvini/). Soddisfazione per le torture: il Governo dei Mostri.

Agosto
Il ministro per le Infrastrutture sostenibili (quale ironia!) Enrico Giovannini annuncia alla Camera che il Ponte sullo Stretto di Messina (cavallo di battaglia di Berlusconi e poi di Renzi) è nell’agenda del Governo Draghi: «“Per dar seguito all’impegno del Governo, si dovrebbe procedere con la redazione di un progetto di fattibilità tecnica ed economica per le due opzioni evidenziate”. Lo ha detto il ministro delle infrastrutture e mobilità sostenibili, Enrico Giovannini, in audizione alle commissioni riunite Ambiente e Trasporti della Camera sull’attraversamento stabile dello Stretto di Messina. “La prima fase potrebbe concludersi entro la primavera del 2022 per avviare un dibattito pubblico e pervenire una scelta condivisa e evidenziare nella legge di bilancio 2023 le risorse”» (La Stampa, 5 agosto 2021). Un’opera ciclopica in un punto a elevatissimo rischio sismico: un imbuto colossale che immetterebbe in una Sicilia dalla viabilità medioevale, e che in ogni autunno si sgretola in frane e alluvioni. Il simbolo più potente di una classe dirigente irresponsabile (https://volerelaluna.it/materiali/2021/06/17/il-ponte-sullo-stretto-di-messina-un-progetto-insostenibile-e-devastante/).

Settembre
Il Governo vara la riforma della Giustizia. Invece di fornire i mezzi necessari a rendere giustizia, la ministra Cartabia immagina una mannaia che cade indiscriminatamente e arbitrariamente sui processi “troppo lunghi” (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/07/26/la-riforma-della-giustizia-penale-e-il-nodo-della-prescrizione/). Non solo: il Parlamento dovrà fissare le linee guida in base alle quali le procure dovranno decidere la scala di priorità dei reati da perseguire, mettendo così fine alla obbligatorietà dell’azione penale e anche alla indipendenza della magistratura. Si realizza così un antico sogno di demolizione della Costituzione.

Ottobre
9 ottobre: manifestazione no vax a Roma. La sicurezza – coordinata dal prefetto Piantedosi, già capo di gabinetto di Salvini agli Interni – non impedisce ai neofascisti di Forza Nuova di dare l’assalto alla sede centrale della CGIL. Non basta neanche questo a strappare al Governo e a Draghi una qualunque professione di antifascismo. E nonostante che l’articolo 3 della Legge Scelba consenta al Governo di sciogliere Forza Nuova, e nonostante l’enormità dei fatti, la pressione della Lega è sufficiente a salvare questa ennesima reincarnazione del Partito Fascista, nel silenzio indecente dei vertici della Repubblica. In compenso, all’inizio di novembre la ministra dell’Interno vara una circolare che contrae in modo inaudito il diritto a manifestare, applicando nel modo peggiore i pessimi decreti sicurezza Salvini-Conte. Risultato finale: criminalizzazione del dissenso, e meno libertà per tutti (https://volerelaluna.it/commenti/2021/12/21/informazione-e-diritto-di-manifestare-al-tempo-della-pandemia/). Comparativamente, i fascisti sono quelli trattati meglio.

Novembre
Chiara Saraceno, presidente del comitato scientifico per la valutazione del reddito di cittadinanza, dichiara: «Trovo deprimente che il Governo continui ad avallare la narrazione che i percettori del reddito rifiutano il lavoro e preferiscono restare a casa, oppure che vengano inaspriti i controlli per limitare i cosiddetti “furbetti”. Se agisce solo su questi due fronti, vuol dire che non tiene conto del dato empirico più importante: l’offerta di lavoro è scarsa, praticamente assente per i beneficiari del reddito di cittadinanza». Il Governo stabilisce che chi rifiuta lavori offertigli in qualunque parte del territorio nazionale, non importa quanto lontano dalla residenza, perde il reddito di cittadinanza: svuotando così quest’ultimo della sua principale funzione, che è quella di contrastare lo schiavismo, il baratto tra dignità di vita e un lavoro purchessia.
Nello stesso mese, il disegno di legge sulla concorrenza e il mercato prevede che il Comune che non intenda privatizzare i servizi pubblici essenziali dovrà fornire «una motivazione anticipata e qualificata che dia conto delle ragioni che giustificano il mancato ricorso al mercato». Il trionfo dell’ideologia, ormai una religione: l’eretico che ancora crede nel pubblico dovrà giustificarsi, difendersi, e quasi sempre vedersi costretto all’abiura (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/11/12/il-disegno-di-legge-concorrenza-ovvero-la-festa-delle-privatizzazioni/).
Ancora in novembre, l’ineffabile ministro alla transizione ecologica Roberto Cingolani torna a scagliarsi contro Greta Thunberg: «È troppo semplicistico dire che tutti non stanno facendo nulla, ci sono sicuramente dei ritardi. Questa è la più grande sfida che l’umanità si trova ad affrontare. Non ci sono libri o regole già scritte. Il problema è un po’ più complicato del blablabla». E così, in nome della complessità e della sostenibilità, poche settimane dopo, Cingolani spiega agli studenti: «Il nucleare è il futuro. Le nuove centrali saranno la soluzione a tutti i problemi». Amen (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/09/13/riecco-il-nucleare/).

Dicembre
All’indomani di uno sciopero generale a cui una stampa sempre più incredibilmente servile mette il silenziatore (https://volerelaluna.it/controcanto/2021/12/11/sullo-sciopero-generale-lo-sciopero-generale-annucbenedetto-sia-il-conflitto/), il Governo – senza alcuna non dico concertazione, ma nemmeno consultazione, dei sindacati – vara il “decreto antidelocalizzazione”, che è di fatto una proceduralizzazione dei licenziamenti, attraverso la quale una qualunque multinazionale può trasferire le attività produttive fuori dal nostro Paese solo pagando, e pagando cifre irrisorie. Precludendo così il ricorso al tribunale – quello che, per esempio, è stato invece risolutivo nel noto caso della GKN. Del resto, è solo “capitale umano” – espressione che Mario Draghi non cessa di ripetere: nel “mercato del lavoro” la merce sono i lavoratori, e per disporne liberamente basta fissare il giusto prezzo. Se questi sono i lavoratori italiani, figuriamoci i migranti: mentre scrivo la Sea Watch 3, con 440 migranti a bordo, è ancora in attesa di sbarcare in un porto sicuro, secondo una trafila di umiliazioni e ostilità che rispetto ai tempi di Salvini ministro è solo meno celebrata.

Quel che, alla fine del 2021, appare dunque drammaticamente chiaro è che tra la destra economica, sociale e politica del Governo Draghi e l’estrema destra del Governo che verrà non ci sarà soluzione di continuità. Ma solo un infinito scivolamento verso l’antitesi stessa della Costituzione della Repubblica.

da qui

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