Con una
dichiarazione congiunta i cinque Paesi membri permanenti del Consiglio di
Sicurezza dell’Onu, Cina, Stati Uniti, Francia e Russia si sono espressi a
inizio anno, e in vista della conferenza sul Trattato di non proliferazione
(Tnp), per un futuro senza armi nucleari, sempre ambiguamente, visto che le
detengono e le ammodernano per la cosiddetta «deterrenza». Peccato che alcune
potenze atomiche come Israele, India, Pakistan e Corea del Nord non aderiscano
al trattato. Cose che in fondo riguardano pure l’Italia (80 testate), la
Turchia (50), Germania e Olanda (20), tutte nazioni che aderiscono al programma
Nato di nuclear sharing.
Israele poi
non ammette neppure – a differenza di India, Pakistan e Corea Nord – di
condurre test nucleari ma possiede circa 400 testate che può lanciare con
missili, aerei e sottomarini e si oppone attraverso gli Usa a trattare
seriamente un accordo nucleare con l’Iran. Dell’atomica presunta di Teheran si
parla tutti i giorni, di Israele come unica potenza nucleare del Medio Oriente
si tende a tacere. Soprattutto in questo momento dove gli stati arabi entrano
nel Patto di Abramo con Tel Aviv firmando accordi economici, tecnologici
(Emirati) e militari (Marocco) che stanno cambiando gli equilibri regionali.
Israele è il
dottor Stranamore del Medio Oriente. E non a caso i tentativi iracheni (Osirak,
1981) e siriani (Deir ez Zhor, 2007) di entrare nel nucleare civile sono stati
regolarmente bombardati da Israele che oggi con attacchi hacker e altri mezzi
colpisce costantemente l’Iran, dal sabotaggio degli impianti all’assassinio
degli scienziati iraniani. L’Iran, oltre alla Siria, è il vero poligono di tiro
israeliano, quello che con cui invia alle potenze mediorientali il messaggio
più diretto: siamo in grado di colpire ovunque e chiunque. Il bello è che
nessuno dice una parola, neppure la Russia.
La potenza
nucleare iraniana, insieme all’occupazione dei territori palestinesi, è
l’emblema del doppio standard di cui gode lo Stato ebraico. Quella del nucleare
israeliano è tra le questioni più ambigue che attraversano la storia recente
della regione. L’introduzione dell’arma nucleare in Medio Oriente già alla fine
degli anni Sessanta ha rappresentato un enorme “game-changer” strategico
per i decenni a venire. Nel 1967, alla vigilia della guerra dei Sei Giorni,
Israele aveva già la «sua» bomba grezza. Durante la Guerra dello Yom Kippur nel
‘73 vennero assemblate 13 atomiche, ognuna da 20 chilotoni.
Nonostante
questo, e i numerosi conflitti in cui Israele è stato coinvolto negli ultimi
decenni, la capacità nucleare israeliana non è quasi mai menzionata, né dai
nemici né tanto meno dagli alleati. Ufficialmente non esiste alcun
riconoscimento da parte del governo israeliano dell’esistenza di tale programma
e ogni articolo della stampa israeliana che ne parla viene revisionato dalla
censura della sicurezza nazionale.
Del resto
Israele, pur di avere l’atomica, si è fatto beffe persino del suo più stretto
alleato, gli Stati Uniti. All’inizio fu la Francia ad aiutare Israele a
costruire il centro nucleare di Dimona (Beersheba), i legami erano così stretti
che quando Parigi sperimenta negli anni Sessanta la sua atomica nel deserto
algerino, gli israeliani sono gli unici stranieri presenti. Allora le
divergenze tra Washington e Tel Aviv erano tali che gli israeliani dovettero
accettare ispezioni americane ogni sei mesi. Le ispezioni durarono sette anni,
dal ’62 al ‘69. Agli ispettori fu permesso di visitare soltanto il livello
superiore del sito, mentre gli altri sei livelli sotterranei, ovvero quelli
contenenti gli impianti di lavorazione e stoccaggio del plutonio per le armi,
vennero occultati.
Il tabù
nucleare venne messo a rischio dalle rivelazioni di Mordecai Vanunu, impiegato
nel centro di Dimona che nel 1986 raccontò i segreti nucleari al Sunday
Times. È interessante ricordare che gli israeliani, per non compromettere i
rapporti con il Governo Thatcher, sequestrarono Vanunu a Roma dove si ritiene
che l’operazione del Mossad sia stata insabbiata dalla procura, come ha scritto
recentemente Michele Giorgio sul manifesto.
Vanunu è
stata l’unica fonte interna sul programma atomico di Israele consentendo allora
di valutare l’arsenale israeliano attorno alla cifra di 100-200 testate, di cui
alcune anche termonucleari, indicando una potenza di 120-150 megawatt per
ordigno, fra cui “boosted bombs” (ordigni a fissione potenziati), bombe
al neutrone, testate trasportabili da F-16 e dai missili Jericho-II. Le boosted
bombs evidenziarono un livello di sofisticazione il cui sviluppo
avrebbe richiesto una serie di test nucleari che però non risultarono mai
avvenuti.
Tutti sanno
ma tutti tacciono. La Germania ha fornito a Israele i sottomarini di classe
Dolphin con lanciatori per missili con testate nucleari. Questi sottomarini
viaggiano ovunque, dal Mediterraneo, all’Oceano Indiano, al Golfo, tenendo
sotto tiro i nemici ma adesso anche gli alleati arabi dello stato ebraico. Ecco
un altro incentivo per entrare nel Patto di Abramo. Non è dato sapere a quanto
ammontino oggi le testate possedute da Israele, tuttavia la comunità militare
internazionale sostiene che il numero vada dalle 200 alle 400.
L’ex
presidente americano Jimmy Carter in un’intervista al Time nel
2014 rispondendo alla domanda «Cosa pensa del nucleare dell’Iran?», disse: «I
leader religiosi dell’Iran hanno giurato che non fabbricheranno armi nucleari.
Se mentono, allora non lo vedo come una grande catastrofe perché avranno solo
una o due armi atomiche. Israele probabilmente ne ha circa 300». Il Dottor
Stranamore è servito.
(L’articolo
è stato pubblicato sul Manifesto del 6 gennaio 2022 col titolo Israele è “il dottor
Stranamore”)
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