Le parole sono importanti.
Ecco
la definizione di repressione secondo il vocabolario: “attività e azione
violenta o intimidatoria attuata dal governo e dai centri di potere contro
forze e movimenti rivoluzionari e progressisti, o comunque di opposizione, di
protesta e di contestazione” (qui)
Nel
1977 Marco Bechis, al rientro in Italia, scampato alle torture (e alla morte)
degli assassini argentini, fu accolto da due carabinieri, e al racconto delle
scosse elettriche un carabiniere disse: “Laggiù sì che fanno sul serio, mica
come da noi…” (p.187, Marco Bechis, La
solitudine del sovversivo, (qui la recensione
del libro)
Nel
2001 a Genova è successo quello che tutti sanno, ma nessun torturatore e
picchiatore, e sopratutto nessuno dei loro capi, ha pagato (lo ricorda Enrico Zucca), anzi
sono stati promossi, con merito, e quindi tutti i componenti delle forze
dell’ordine sanno che comportarsi in quel modo è buono e giusto.
Non
è fuori luogo pensare che in tutte le scuole delle forze dell’ordine degli
ultimi 20 anni avranno insegnato che tutto ciò che non è vietato è lecito.
Intanto
i capi d’accusa per cui si deve sprecare la vita in tribunale sono simili in
tutto il mondo, in Egitto è molto usato il reato di diffusione di notizie false (leggi qui),
a migliaia lo provano sulla propria pelle, per esempio Patrick Zaki e Alaa Abdel Fattah.
Da noi si usa
molto l’associazione
a delinquere e l’eversione (leggi qui), ma anche eversione e associazione a delinquere (qui, per esempio).
Per Paolo Persichetti la repressione è
per rivelazione
di notizie di cui sia vietata la divulgazione (leggi qui), ed è inquietante il modus operandi scandaloso delle forze dell’ordine:
Le chiedo anche come sia possibile entrare in una abitazione
per una intera giornata stravolgendo la vita di una persona anziana, di due
minori, di cui uno con una grave disabilità, del personale infermieristico e di
sostegno che se ne occupa, con il pretesto di prelevare della documentazione
molto specifica e limitata, riferita alle attività della Commissione Moro 2,
per altro da me fornita subito senza problemi (e direi con estremo stupore
visto che me la sono procurata scaricando il materiale dal sito di un ex membro
della commissione stessa, https://gerograssi.it/b131-b175/#B131), ed
invece portare via tutto ciò che era possibile. Arraffare ogni supporto
informatico, persino telefoni cellulari obsoleti e rotti, vecchie pendrive che
usavo per il mio lavoro di giornalista, le cartelle sanitarie e scolastiche dei
miei figli, l’intero archivio fotografico della mia famiglia e di mia moglie,
che è fotografa e da mesi si ritrova privata di parte del suo archivio,
sottrarmi i miei strumenti di lavoro, computer, tablet, telefonino, portare via
tutto l’archivio dei miei studi universitari, il mio intero archivio storico
personale raccolto presso l’archivio centrale dello Stato, l’archivio storico
del senato, le biblioteche parlamentari e pubbliche, l’archivio della corte
d’appello di Roma, i materiali della direttiva Prodi e Renzi, quelli della
prima commissione Moro e della commissione Stragi, una infinità di files
scaricati da fonti aperte. Quale può essere la finalità investigativa di
un’azione del genere? Una pesca a strascico indiscriminata che mi ha sottratto
del mio passato, della mia intimità (cosa può esserci di sospetto nelle foto
dei miei figli in sala parto?) e che – a quanto pare – ha il solo fine di
menomare la mia attività, di imbavagliare la mia ricerca, di prendere in
ostaggio la storia, di sequestrare il passato.
Della repressione dei militanti no Tav sappiamo molto (qui l’ultimo caso, quello di Emilio Scalzo, qui e qui Angelo Tartaglia spiega l’assurdità di quel mostro della Tav in Val di Susa, ma solo chi è intellettualmente onesto può capire); sappiamo anche che se il potere militare, politico, giudiziario avesse dedicato solo la metà di quello sforzo repressivo verso le mafie e l’evasione fiscale dei milionari (in euro) e avesse scatenato l’unica guerra giusta, quella contro i paradisi fiscali, l’Italia sarebbe un paese migliore.
qui un interessante intervento di Livio Pepino, su democrazia e repressione
Interessante
ascoltare qui Federico Petroni e Alfonso Desiderio, di Limes, il
ruolo passivo del nostro paese nella straordinaria repressione a stelle e
strisce, per ricordarci il compito dell’Italia, quello del servo (ecco perché
si chiamano servitù militari).
Nella nostra Costituzione nata dalla Resistenza, ma anche
in tante altre, si parla di libertà, di parola, di stampa, di opinione, di
ricerca, di associazione, quando è stata scritta, dopo la seconda guerra
mondiale, erano libertà da tutelare, negli anni, in maniera sempre più veloce,
sono diventate libertà da reprimere.
Le libertà che si espandono sono quelle di produrre e vendere armi, sistemi di repressione e sorveglianza.
Gli stati uniti del mondo delle libertà, gli stati uniti del mondo della repressione, gli stati uniti del mondo dell’oppressione e gli stati uniti del mondo del colonialismo e del neo-colonialismo sono facce della stessa medaglia, sporca di sangue (qui si ricordano gli Stati Uniti d'America come il paese più terrorista del mondo).
Ogni paese ha mille strumenti per la repressione, le bombe,
l’esercito, il carcere, la polizia, i tribunali, dipende dalla resistenza
incontrata o dalle convenienze, dal sistema giudiziario o dalle leggi dei paesi
interessati, o anche solo infischiandosene della volontà popolare.
Tanti, troppi, sono oggetto di repressione, dai curdi a Julian Assange, dalle donne afghane ai neri degli Usa (e non solo), dagli indigeni dal Canada fino alla Terra del Fuoco ai palestinesi, dai migranti agli stranieri, da Mimmo Lucano (qui un lucido commento di Marco Revelli) e tutti quei milioni che hanno votato, inascoltati, nel 2011 perché dell’acqua non si facesse profitto.
Molte centinaia di milioni (o qualche miliardo?) di persone in tutto il mondo sono umiliate e offese, unitevi, direbbe Karl Marx.
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