mercoledì 26 gennaio 2022

Yemen, un conflitto sempre più cruento, irregolare, irrazionale e un solo obiettivo: l’eliminazione fisica totale dell’altro - Laura Silvia Battaglia

 

Bombardare una prigione e fare 70 morti. Sapere che, tra questi prigionieri, la maggioranza ha combattuto al tuo fianco, ed era detenuta proprio per questo dal nemico. Nonostante questo, decidere di bombardare lo stesso, costi quel che costi. Il risultato delle ultime 48 ore di guerra in Yemen – una guerra che è ormai entrata nel suo settimo anno di vita – rende bene l’idea dell’extrema ratio in cui il conflitto è entrato: un tutti contro tutti, un Armageddon finale senza logica, senza buon senso (ammesso che in guerra ce ne possa essere), senza una strategia che non sia l’eliminazione fisica totale dell’altro. 

I fatti più recenti ci dicono che nelle ultime 48 ore la Coalizione a guida saudita che combatte a fianco del governo centrale del presidente Mansour Hadi  contro le milizie del Nord Yemen, gli Houthi, sostenute economicamente e logisticamente dall’Iran, ha scatenato il bombardamento più intenso su città, zone abitate e obiettivi civili del nuovo anno: sono state colpite la capitale Sana’a, la città portuale e strategica Hodeida e la città di Sa’ada, a Nord, roccaforte degli Houthi. Secondo lo Yemen Data Project, una eccellente raccolta di dati sui bombardamenti della Coalizione dal 2015, curata dalla giornalista Iona Craig, i dati sugli ultimi tre mesi del 2021, con 648 raid, avevano già mostrato una crescita numerica del 43%, se comparati con tutti i dati disponibili dal 2018 a oggi. Quel che è successo, è stato, da un lato, l’inizio dell’ultima fase – probabilmente la più sanguinosa della guerra – che vede gli Houthi avanzare alla conquista dei governatorati centrali di al-Jawf e Marib, ricchi di idrocarburi (petrolio soprattutto e gas) ancora non pienamente utilizzati, e, contemporaneamente, il fallimento della risoluzione delle Nazioni Unite sui risultati delle investigazioni del gruppo di eminenti esperti (GEE), che per anni ha lavorato sulle violazioni del diritto umanitario nel Paese, su tutte le parti in conflitto. È la prima volta nella storia del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite che una risoluzione venga cassata; di sicuro cade l’unica speranza degli yemeniti di trovare ascolto internazionale sull’identificazione delle responsabilità degli attori in guerra.

Da questo momento, il conflitto si è fatto più cruento, irregolare, irrazionale. Nei bombardamenti degli ultimi due giorni i target non sono stati solo militari o infrastrutturali (porti, aeroporti): nel conteggio ci sono centri abitati, strutture ospedaliere e la prigione di Sa’ada. Non è la prima volta che la Coalizione colpisce una prigione, ma in passato, come nei bombardamenti del settembre del 2019 nel governatorato del Dhamar, la giustificazione era data dal fatto che la prigione era attaccata a un quartier generale militare degli Houthi, nei capannoni abbandonati della ex tv di Stato. Stavolta, si parla del cuore di una città e di una prigione che conteneva sia mercenari stranieri, soprattutto sudanesi, che rappresentanti delle tribù locali al confine tra Yemen e Arabia Saudita – area della cosiddetta battaglia della valle Jabara – catturate dagli Houthi in più di un raid su quelle colline, nell’agosto del 2019, perché alleatisi con i sauditi.  In questo tutto per tutto, dunque, anche i propri prigionieri di guerra vengono sacrificati come agnelli pur di infliggere una perdita strutturale al nemico.

Del resto, anche da parte opposta, non prevale la saggezza. Gli Houthi non hanno una visione politica sul lungo periodo, se non limitata da una parte al saldo possesso del Nord del Paese, in funzione di rivendicazione tribale e identitaria (sono originari del luogo, si sentono protettori e possessori di esso, vennero messi all’angolo negli anni della dittatura di Ali Abdullah Saleh, osteggiati, combattuti con ogni mezzo) e in funzione strategica ed anti-saudita. Nella loro comunicazione propagandistica, per spingere i giovani yemeniti a combattere al loro fianco contro l’invasore esterno, prevale sempre questa narrativa apocalittica dove – usando animazioni in 3D – si immagina l’ingresso delle truppe Houthi a La Mecca e la presa di possesso della piazza della kaaba, la pietra nera sacra a tutti i musulmani del mondo e meta di pellegrinaggio. Il loro canale di informazione ufficiale, al Masirah, ne contiene parecchi. In questa visione, anche l’appoggio dell’Iran non guida scientemente tutte le loro scelte strategiche, esterne al Paese, la cui principale funzione è quella di dimostrare la debolezza dell’Arabia Saudita e degli Emirati e trovare falle e brecce nel loro sistema di sicurezza. Così, l’evoluzione ingegneristica di tutto il sistema dei droni armati che gli Houthi in parte organizzano home made con l’assemblaggio di prodotti disponibili – come fanno molte altre milizie, si pensi a Isis – in parte grazie a componentistica e tecnologia iraniana, la cui applicazione è stata appresa in anni di scambi e viaggi culturali e diplomatici, ha un chiaro obiettivo: dare noia a UAE e KSA, farli sentire deboli ed accerchiati. Peccato che questa scelta strategica equivalga a delle fastidiose punture di calabroni sul corpo di una coppia di grossi felini. 

Le due monarchie del Golfo, non potendo permettere un’offesa simile, anche se essa possa avere causato, come l’ultimo attacco con drone armato all’aeroporto di Abu Dhabi negli Emirati, la morte di tre operai pakistani (dunque esistenze che contano davvero poco nell’economia del Paese), reagiscono come leoni feriti: pretendono dagli Stati Uniti la difesa del loro territorio, rinsaldano questa alleanza più che decennale, chiedono sostegno e approvazione alla loro reazione militare, organizzano una campagna di bombardamenti sul Nord dello Yemen in grande stile. Hanno piena mano libera e non hanno nessuna responsabilità, perché trattasi tecnicamente di legittima difesa. A questo punto, con centinaia di attacchi bomba sferrati contemporaneamente su tre città, gli Houthi possono rigiocare – sul piano internazionale – il ruolo delle vittime e, su quello locale, continuare a rinsaldare il loro legame con i cittadini del Nord, dimostrando che il nemico esterno è sempre più assetato del sangue yemenita. 

Ma nella fase finale di questa guerra, del tutto per tutto, questo gioco sta funzionando meno: l’ultima settimana le chat dei cittadini yemeniti del Nord e del Sud, e degli espatriati, sono state assai più ricche di ragionamenti che di accuse faziose tra il Nord e il Sud, tra i sostenitori degli Houthi e gli yemeniti vicini a un governo debole che si fa spalleggiare dalle due monarchie del Golfo: sempre più persone ritengono questo gioco di provocazioni tra le parti sia un suicidio su tutta la linea e che l’invio di un drone armato sull’aeroporto di Abu Dhabi sia stata la peggiore idea strategica possibile.

Questa guerra, combattuta con armi sempre più sofisticate e con una tecnologia raffinata nella precisione, sia che si tratti di bombe che di droni armati, si combatte anche con le armi della comunicazione online. Per evitare la diffusione sui social e sui siti delle emittenti degli Houthi immagini di bombardamenti, distruzioni, vittime, la Coalizione si è affrettata a bombardare le infrastrutture di comunicazione nella città di Hodeida per azzerare i collegamenti online, e impedire ai giornalisti locali presenti di inviare testimonianze dirette dell’accaduto. La maggior parte della popolazione dello Yemen, infatti, accede a Internet tramite un cavo sottomarino che parte dal Mar Rosso e collega il Paese tramite la struttura di telecomunicazioni di Hodeida, gestita dal monopolio delle telecomunicazioni TeleYemen. Sia la città di Hodeida che TeleYemen sono sotto il controllo degli Houthi. Oltre che da 48 di tentativi degli yemeniti all’estero che tentano disperatamente di raggiungere i loro parenti, per verificarne lo stato, la certezza che ciò sia accaduto è confermato da Netblocks, il gruppo di monitoraggio dell’internet globale, di proprietà del tecnologo e attivista Alp Tocker.

Netblocks ha dimostrato una caduta verticale di tutti i servizi di collegamento del Paese, da più di 48 ore, ormai, ed è stato anche in grado di catturare, servendosi di fonti aperte Osint, confermate dal profilo Twitter Aleph, che il palazzo di TeleYemen a Hodeida è stato completamente distrutto.

La Coalizione ha negato di avere colpito questi obiettivi, come anche l’intensità di questi bombardamenti. In questa guerra che diventa sempre più tecnologica si continua a non tenere conto della potenza della Rete e soprattutto di chi sa utilizzarla ai fini della ricostruzione di ogni responsabilità.

da qui      

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