mercoledì 26 gennaio 2022

Le guerre dei ricchi - Salvatore Palidda

 

In un articolo pubblicato su Le Monde del 2022/01/01 l’economista Jeffrey Sachs sostiene che gli Stati Uniti sono diventati un paese di ricchi, per ricchi e da quarant’anni in guerra contro i poveri. In realtà questo vale un po’ sia per i paesi cosiddetti ricchi in Europa, in Nord America, più il Giappone, l’Australia, gli Emirati, l’Arabia Saudita, Israele e Corea del Sud.

Le conseguenze della gestione della crisi del 2007-2008 hanno costantemente fatto aumentare la ricchezza dei più ricchi del mondo e la povertà di almeno 150 milioni le persone che, inoltre, nel 2021 vivono in condizioni di estrema indigenza (secondo le stime della Banca Mondiale).

Come scrivono alcuni media sulla base delle statistiche apposite, la pandemia ha ulteriormente accentuato questo processo. La ricchezza delle prime 500 persone più ricche della Terra è aumentata di mille miliardi, superando 8.400 miliardi di dollari, più del PIL di tutti i paesi del mondo, tranne Stati Uniti e Cina. Elon Musk (Tesla) e Jeffe Bezos (Amazon) si piazzano in testa a questa lista, seguiti dal francese Bernard Arnault, poi Bill Gates, Larry Page (Alphabet-Google) e Mark Zuckerberg (Meta-Facebook). A livello mondiale già nel 2020 la popolazione globale deglihigh-net-worth individual (individui con un patrimonio investibile di un milione di dollari) è cresciuta del 6,3 per cento, superando la soglia dei 20 milioni. In Italia se ne contavano oltre 300 mila, 9,2 per cento in più rispetto al 2019. A livello mondiale il patrimonio di questi HNWI è cresciuto del 7,6 per cento nel 2020, quasi 80mila miliardi di dollari e in Italia 593 miliardi (+2,3 per cento; il Pil italiano ammonta a 1.886 miliardi di dollari Usa). Ma la tassazione di questi ultraricchi è sempre risibile e nessuno Stato sembra avere l’intenzione o la forza di imporla. Questo non toglie che questi signori pretendono di essere dei grandi mecenati di opere caritatevoli e/o umanitarie attraverso le loro apposite fondazioni che contribuiscono non poco a far pubblicità ai loro prodotti magari con immagini e frasi apparentemente antirazziste e umanitarie (si pensi alla faccia tosta dei signori Benetton che dalla Patagonia alle autostrade e ai loro diversi luoghi delle loro delocalizzazioni hanno provocato sempre danno).

Umanità a perdere

Secondo Jeffrey Sachs da ben quattro decenni negli Stati Uniti s’è imposta la guerra contro i poveri. E come ben sappiamo questa guerra s’è di fatto generalizzata a tutti i paesi ricchi come guerra sicuritaria in nome della difesa della morale, del decoro e dei cittadini abbienti (vedi qui Polizie, sicurezza e insicurezze). In altre parole, l’aumento delle pratiche brutali delle polizie (nazionali e locali) è di fatto stata al cuore dell’economia politica per imporre supersfruttamento, aumento dei profitti e sempre più riduzione se non smantellamento delle politiche sociali e quindi anche della cosiddetta carità per i poveri oggi ridotta a ben poca cosa e subappaltata alle associazioni private (in Italia Sant’Egidio, Caritas, Pane Quotidiano ecc.).

Come scrive anche Sachs le incessanti «guerre culturali» (sicuritarie) hanno istigato razzismo, sessismo e ogni sorta di discriminazione e persecuzione della popolazione classificata come «umanità a perdere», indesiderabile. E secondo Sachs le guerre, cioè l’opzione voluta dalla lobby militare-poliziesca ha peggiorato il benessere generale anche nei paesi dominanti come gli Stati Uniti. In realtà Sachs trascura il fatto che il liberismo globalizzato non ha più le ambizioni del capitalismo industriale del XIX e XX secolo (di tipo keynesiano) che miravano all’alta produttività, alti profitti e pace sociale connessi al benessere generale. Il liberismo di oggi punta alla massimizzazione del profitto a tutti i costi e in particolare attraverso lo smantellamento dei costi sociali e del costo del lavoro, avvalendosi dell’asimmetria di forza e di potere a suo favore. I poveri di oggi sono non solo i miserabili dei secoli scorsi ma anche una parte ingente di lavoratori che hanno perso o non hanno mai avuto potere contrattuale. Si tratta dei milioni di supersfruttati che finiscono per scivolare nella totale povertà, indigenza e marginalità. E come segnala Sachs, è emblematico che uno dei primi ultra miliardari statunitensi, Warren Buffett, affermi già nel 2006 (sul The New York Times): “È la guerra di classe, ma è la mia classe, la classe dei ricchi, che fa la guerre e noi siamo i vincitori”.

E per smantellare le politiche sociali e fare la guerra ai poveri, l’altro obiettivo fondamentale del dominio liberista è la sottomissione dello Stato e quindi delle amministrazioni internazionali, nazionali e locali ai padroni privati. Per far ciò i grandi gruppi economici si sono dotati di una molteplicità sempre più aggressiva e potente di lobbisti (si veda fra altri libro di Sylvan Laurens). È ormai riconosciuto che i lobbisti dei grandi gruppi economici siano in grado di condizionare se non fortemente assoggettare governi e Stati nazionali. Basta vedere anche la scelta della Commissione europea di classificare il nucleare come energia verde e salvare anche il carbone quantomeno sino al 2050. E basta constatare che dopo la COP 2015 di Parigi nessuna promessa di effettiva ed efficace transizione ecologica è stata rispettata e anzi il degrado dell’ecosistema s’è aggravato. Questo non già a causa dell’aumento della popolazione mondiale che secondo i ricchi sarebbe incontrollabile e costituirebbe la minaccia (lo spettro) del XXI secolo sovrapponendosi al cambiamento climatico e quindi scatenando migrazioni devastanti. Da qui la giustificazione della guerra alle migrazioni come scelta di tanatopolitica/far morire o lasciar morire e il mito di Musk di scappare nello spazio o su Marte, mentre tanti ricchi si costruiscono le loro sempre più sofisticate fortificazioni sulla Terra (per una critica di queste varie derive vedi Negazionismo, scetticismo o resistenze: dove va l’ecologia politica).

La concentrazione dei media

uno degli strumenti della guerra di classe dei dominanti sono ovviamente i media concentrati nelle mani di pochissimi fra i quali il multimiliardario Rupert Murdoch e in Italia la GEDI degli Agnelli.

La guerra di classe contro i poveri non è una novità negli Stati Uniti come in Europa (si pensi fra l’altro a diversi libri di Jack London). Ma quella scatenata sin dagli anni Settanta non ha paragoni nei due secoli precedenti. Sachs ricorda che nel 1971, un avvocato specialista di diritto delle imprese, Lewis Powell, elaborò una strategia (Confidential Memorandum – Attack on American Free Enterprise System, 23 agosto 1971) per rovesciare il progresso della democrazia sociale (su questi temi Joe Soss, Richard C. Fording e Sanford F. Schram hanno scritto Disciplinare i poveri. Paternalismo neoliberale e dimensione razziale nel governo della povertà, prossimamente edito da Mimesis, a cura di S. Busso e E. Graziano nella collana Cartografie sociali). Si ricordi anche che la letteratura sul governo della povertà è assai vasta ma quella che riguarda la sua transizione liberista è relativamente recente (fra altri vedi Wacquant, 2010; Rapport 2022 sur les inégalités mondiales, a cura di L. Chancel, T. Piketty, E. Saez, G. Zucman) e ha ignorato il passaggio alla tanatopolitica come opzione che oggi sembra tendere a primeggiare (vedi Umanità a perdere. Sindemia e resistenze).

Fu Richard Nixon a nominare Powell alla Corte suprema degli Stati Uniti nel 1971. Così tale Corte aprì al privato la possibilità di invadere l’amministrazione pubblica e in particolare le libertà di ingerenza e la privatizzazione della sanità e della previdenza sociale (si pensi alla potenza finanziaria delle assicurazioni delle pensioni). Successivamente Reagan diminuì le tasse dei ricchi, attaccò i sindacati e smantellò la protezione dell’ambiente. Un processo che da allora è diventato inarrestabile.

E come ben sappiamo il trionfo del liberismo nel nord America ha finito poi per penetrare anche in Europa. Tuttavia secondo le statistiche ancora oggi gli Stati dell’Unione Europea raccolgono come tasse circa 45 per cento del loro PIL, mentre il governo degli Stati-Uniti arriva a circa il 31 per cento del loro PIL. Ma questo non ha impedito anche in Europa i continui tagli alle spese sociali e in particolare alla sanità, alla pubblica istruzione, all’università e alla ricerca, tagli alle risorse per la prevenzione dei rischi sanitari, ambientali ed economici, mentre è aumentata a dismisura la privatizzazione dei servizi pubblici (sanità, trasporti, poste e telecomunicazioni ecc.).

Guerra permanente

La differenza fra la speranza di vita nell’Unione Europea e quella negli Usa è solo di due, tre anni (negli anni Ottanta in Europa era più bassa). Nel 2019, le fortune dei più ricchi rispetto al PIL era di circa 11 per cento in Europa occidentale contro 18,8 per cento negli Usa, che emettevano 16,1 tonnellate di diossido di carbone per abitante, contro 8,3 tonnellate nell’UE.

Ben prima della pandemia da Covid-19 negli Stati Uniti s’è innescata una «epidemia» di “morti per disperazione” (sovradosi di medicinali e suicidi), un aumento dei casi di depressione, in particolare fra i giovani. E a livello politico è emerso il fenomeno Donald Trump, col suo pseudo-populismo e una potente capacità di distrazione di massa che è riuscita a istigare alla guerra contro i poveri col razzismo e il sessismo.

Biden si sta rivelando una alternativa fallimentare; l’aumento delle tasse federali non riesce a passare e i ricchi sono più che mai arroccati ai loro privilegi. Due terzi degli american citizens sono favorevoli a un aumento delle tasse sui ricchi e sulle imprese e banche. Ma è possibile che Biden perda le elezioni di metà mandato nel 2022 e ciò potrebbe far presagire il ritorno di Trump al potere nel 2024, fra disordini sociali, violenze, nuova distrazione di massa e restrizioni del diritto di voto negli Stati dominati dai Repubblicani.

E intanto gli american citizens sono sempre più aizzati contro la Cina sia da parte dei democratici che da parte dei repubblicani. La retorica anticinese come in una nuova guerra fredda si alimenta delle angosce o incertezze generate dallo stesso assetto economico e sociale statunitense. C’è proprio il rischio che siano proprio gli Stati Uniti a fomentare un’escalation verso una nuova fase di guerre permanenti e persino di guerra mondiale.

In altre parole la guerra contro i poveri fa parte di un’economia politica che di fatto è più che mai criminale perché produce effetti devastanti in tutti i campi e rischia di condurre alla guerra planetaria (si veda anche: Joseph Stiglitz, “Mes pronostics pour l’économie mondiale en 2022”).

da qui

Nessun commento:

Posta un commento