In un articolo pubblicato su Le Monde del 2022/01/01 l’economista Jeffrey Sachs sostiene che gli Stati Uniti sono diventati un paese di ricchi, per ricchi e da quarant’anni in guerra contro i poveri. In realtà questo vale un po’ sia per i paesi cosiddetti ricchi in Europa, in Nord America, più il Giappone, l’Australia, gli Emirati, l’Arabia Saudita, Israele e Corea del Sud.
Le conseguenze della gestione della crisi del 2007-2008 hanno costantemente
fatto aumentare la ricchezza dei più ricchi del mondo e la povertà di almeno
150 milioni le persone che, inoltre, nel 2021 vivono in condizioni di estrema
indigenza (secondo le stime della Banca Mondiale).
Come scrivono alcuni media sulla base delle statistiche apposite, la
pandemia ha ulteriormente accentuato questo processo. La ricchezza delle
prime 500 persone più ricche della Terra è aumentata di mille miliardi,
superando 8.400 miliardi di dollari, più del PIL di tutti i paesi del mondo,
tranne Stati Uniti e Cina. Elon Musk (Tesla) e Jeffe Bezos (Amazon) si piazzano
in testa a questa lista, seguiti dal francese Bernard Arnault, poi Bill Gates,
Larry Page (Alphabet-Google) e Mark Zuckerberg (Meta-Facebook). A
livello mondiale già nel 2020 la popolazione globale deglihigh-net-worth
individual (individui con un patrimonio investibile di un milione di
dollari) è cresciuta del 6,3 per cento, superando la soglia dei 20 milioni. In
Italia se ne contavano oltre 300 mila, 9,2 per cento in più rispetto al 2019. A
livello mondiale il patrimonio di questi HNWI è cresciuto del 7,6 per cento nel
2020, quasi 80mila miliardi di dollari e in Italia 593 miliardi (+2,3 per
cento; il Pil italiano ammonta a 1.886 miliardi di dollari Usa). Ma la
tassazione di questi ultraricchi è sempre risibile e nessuno Stato sembra avere
l’intenzione o la forza di imporla. Questo non toglie che questi signori
pretendono di essere dei grandi mecenati di opere caritatevoli e/o umanitarie
attraverso le loro apposite fondazioni che contribuiscono non poco a far
pubblicità ai loro prodotti magari con immagini e frasi apparentemente
antirazziste e umanitarie (si pensi alla faccia tosta dei signori Benetton che
dalla Patagonia alle autostrade e ai loro diversi luoghi delle loro
delocalizzazioni hanno provocato sempre danno).
Umanità a perdere
Secondo Jeffrey Sachs da ben quattro decenni negli Stati Uniti s’è imposta
la guerra contro i poveri. E come ben sappiamo questa guerra s’è di fatto
generalizzata a tutti i paesi ricchi come guerra sicuritaria in nome della
difesa della morale, del decoro e dei cittadini abbienti (vedi qui Polizie, sicurezza e insicurezze). In altre parole, l’aumento
delle pratiche brutali delle polizie (nazionali e locali) è di fatto
stata al cuore dell’economia politica per imporre supersfruttamento, aumento
dei profitti e sempre più riduzione se non smantellamento delle
politiche sociali e quindi anche della cosiddetta carità per i poveri
oggi ridotta a ben poca cosa e subappaltata alle associazioni private (in
Italia Sant’Egidio, Caritas, Pane Quotidiano ecc.).
Come scrive anche Sachs le incessanti «guerre culturali» (sicuritarie) hanno
istigato razzismo, sessismo e ogni sorta di discriminazione e
persecuzione della popolazione classificata come «umanità a perdere», indesiderabile. E secondo Sachs le
guerre, cioè l’opzione voluta dalla lobby militare-poliziesca ha peggiorato il
benessere generale anche nei paesi dominanti come gli Stati Uniti. In realtà
Sachs trascura il fatto che il liberismo globalizzato non ha più le ambizioni
del capitalismo industriale del XIX e XX secolo (di tipo keynesiano) che
miravano all’alta produttività, alti profitti e pace sociale connessi al
benessere generale. Il liberismo di oggi punta alla massimizzazione del
profitto a tutti i costi e in particolare attraverso lo smantellamento
dei costi sociali e del costo del lavoro, avvalendosi dell’asimmetria di forza
e di potere a suo favore. I poveri di oggi sono non solo i miserabili
dei secoli scorsi ma anche una parte ingente di lavoratori che hanno perso o
non hanno mai avuto potere contrattuale. Si tratta dei milioni di
supersfruttati che finiscono per scivolare nella totale povertà, indigenza e
marginalità. E come segnala Sachs, è emblematico che uno dei primi ultra
miliardari statunitensi, Warren Buffett, affermi già nel 2006 (sul The New York Times): “È la guerra di classe, ma è la mia
classe, la classe dei ricchi, che fa la guerre e noi siamo i vincitori”.
E per smantellare le politiche sociali e fare la guerra ai poveri, l’altro
obiettivo fondamentale del dominio liberista è la sottomissione dello Stato e
quindi delle amministrazioni internazionali, nazionali e locali ai padroni
privati. Per far ciò i grandi gruppi economici si sono dotati di una
molteplicità sempre più aggressiva e potente di lobbisti (si veda fra altri
libro di Sylvan Laurens). È ormai riconosciuto che
i lobbisti dei grandi gruppi economici siano in grado di condizionare se non
fortemente assoggettare governi e Stati nazionali. Basta vedere anche la scelta
della Commissione europea di classificare il nucleare come energia verde e
salvare anche il carbone quantomeno sino al 2050. E basta constatare che dopo
la COP 2015 di Parigi nessuna promessa di effettiva ed efficace transizione
ecologica è stata rispettata e anzi il degrado dell’ecosistema s’è
aggravato. Questo non già a causa dell’aumento della popolazione mondiale che
secondo i ricchi sarebbe incontrollabile e costituirebbe la minaccia (lo spettro)
del XXI secolo sovrapponendosi al cambiamento climatico e quindi scatenando
migrazioni devastanti. Da qui la giustificazione della guerra alle
migrazioni come scelta di tanatopolitica/far morire o lasciar morire e
il mito di Musk di scappare nello spazio o su Marte, mentre tanti ricchi si
costruiscono le loro sempre più sofisticate fortificazioni sulla Terra (per una
critica di queste varie derive vedi Negazionismo, scetticismo o resistenze: dove va l’ecologia politica).
La concentrazione dei media
E uno degli strumenti della guerra di classe dei dominanti sono
ovviamente i media concentrati nelle mani di pochissimi fra i quali il
multimiliardario Rupert Murdoch e in Italia la GEDI degli Agnelli.
La guerra di classe contro i poveri non è una novità negli Stati Uniti come
in Europa (si pensi fra l’altro a diversi libri di Jack London). Ma quella
scatenata sin dagli anni Settanta non ha paragoni nei due secoli precedenti.
Sachs ricorda che nel 1971, un avvocato specialista di diritto delle imprese,
Lewis Powell, elaborò una strategia (Confidential Memorandum – Attack on American Free
Enterprise System, 23 agosto 1971) per rovesciare il
progresso della democrazia sociale (su questi temi Joe Soss, Richard C. Fording
e Sanford F. Schram hanno scritto Disciplinare i poveri. Paternalismo
neoliberale e dimensione razziale nel governo della povertà, prossimamente
edito da Mimesis, a cura di S. Busso e E. Graziano nella collana Cartografie
sociali). Si ricordi anche che la letteratura sul governo della povertà è assai
vasta ma quella che riguarda la sua transizione liberista è relativamente
recente (fra altri vedi Wacquant, 2010; Rapport 2022 sur
les inégalités mondiales, a cura di L. Chancel, T. Piketty,
E. Saez, G. Zucman) e ha ignorato il passaggio alla tanatopolitica come opzione
che oggi sembra tendere a primeggiare (vedi Umanità a perdere. Sindemia e resistenze).
Fu Richard Nixon a nominare Powell alla Corte suprema degli Stati Uniti nel
1971. Così tale Corte aprì al privato la possibilità di invadere
l’amministrazione pubblica e in particolare le libertà di ingerenza e la
privatizzazione della sanità e della previdenza sociale (si pensi alla potenza
finanziaria delle assicurazioni delle pensioni). Successivamente Reagan diminuì
le tasse dei ricchi, attaccò i sindacati e smantellò la protezione
dell’ambiente. Un processo che da allora è diventato inarrestabile.
E come ben sappiamo il trionfo del liberismo nel nord America ha
finito poi per penetrare anche in Europa. Tuttavia secondo le statistiche
ancora oggi gli Stati dell’Unione Europea raccolgono come tasse circa 45 per cento del loro PIL, mentre il governo degli Stati-Uniti
arriva a circa il 31 per cento del loro PIL. Ma questo non ha impedito anche in
Europa i continui tagli alle spese sociali e in particolare alla sanità, alla
pubblica istruzione, all’università e alla ricerca, tagli alle risorse per la
prevenzione dei rischi sanitari, ambientali ed economici, mentre è aumentata a
dismisura la privatizzazione dei servizi pubblici (sanità, trasporti, poste e
telecomunicazioni ecc.).
Guerra permanente
La differenza fra la speranza di vita nell’Unione Europea e quella negli
Usa è solo di due, tre anni (negli anni Ottanta in Europa era più bassa). Nel
2019, le fortune dei più ricchi rispetto al PIL era di circa 11 per cento in
Europa occidentale contro 18,8 per cento negli Usa, che emettevano 16,1
tonnellate di diossido di carbone per abitante, contro 8,3 tonnellate nell’UE.
Ben prima della pandemia da Covid-19 negli Stati Uniti s’è innescata una
«epidemia» di “morti per disperazione” (sovradosi di medicinali e
suicidi), un aumento dei casi di depressione, in particolare fra i giovani. E a
livello politico è emerso il fenomeno Donald Trump, col suo
pseudo-populismo e una potente capacità di distrazione di massa che è riuscita
a istigare alla guerra contro i poveri col razzismo e il sessismo.
Biden si sta rivelando una alternativa fallimentare; l’aumento delle tasse
federali non riesce a passare e i ricchi sono più che mai arroccati ai loro
privilegi. Due terzi degli american citizens sono favorevoli a un aumento
delle tasse sui ricchi e sulle imprese e banche. Ma è possibile che Biden perda
le elezioni di metà mandato nel 2022 e ciò potrebbe far presagire il ritorno di
Trump al potere nel 2024, fra disordini sociali, violenze, nuova distrazione di
massa e restrizioni del diritto di voto negli Stati dominati dai Repubblicani.
E intanto gli american citizens sono sempre più aizzati contro la
Cina sia da parte dei democratici che da parte dei repubblicani. La
retorica anticinese come in una nuova guerra fredda si alimenta delle angosce o
incertezze generate dallo stesso assetto economico e sociale statunitense. C’è
proprio il rischio che siano proprio gli Stati Uniti a fomentare un’escalation verso
una nuova fase di guerre permanenti e persino di guerra mondiale.
In altre parole la guerra contro i poveri fa parte di un’economia politica
che di fatto è più che mai criminale perché produce effetti devastanti in tutti
i campi e rischia di condurre alla guerra planetaria (si veda anche: Joseph
Stiglitz, “Mes pronostics pour l’économie mondiale en 2022”).
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