lunedì 30 novembre 2015

io sto con Marco Parma


scrive Marco Parma:

Potrei anche ringraziare quegli incauti che hanno sollecitato l’attenzione dei media sulla mia modesta persona, se me lo fossi meritato. Purtroppo, invece, la bufera mediatica che si è sollevata si basa su notizie in parte distorte e in parte infondate. In primo luogo, non ho mai fatto rimuovere crocefissi né dalle aule del Comprensivo Garofanin é da quelle delle altre scuole che ho gestito e diretto nel corso di più di vent’anni di modesta carriera, per un motivo molto semplice: non c’erano. In secondo luogo, non ho rimandato né cancellato nessun concerto natalizio né altre iniziative programmate dal collegio docenti e dal consiglio di istituto; mi sono, viceversa, adoperato per sostenerle: tanto il concerto del 17 dicembre dei ragazzi della secondaria quanto quello dei bimbi della primaria, in programma per il 21 gennaio, oltre ai momenti di festa prenatalizia che si svolgeranno, come di consueto, in tutte le classi. Non esistono iniziative “cancellate” o “rinviate”.
L’unico diniego che ho opposto riguarda la richiesta di due mamme che avrebbero voluto entrare a scuola nell’intervallo mensa per insegnare canti religiosi ai bambini cristiani: cosa che continuo a considerare inopportuna. Poiché da più parti si è sostenuta la mia inadeguatezza al ruolo, mi rivolgo nel frattempo alla Direzione dell’Ufficio Scolastico Regionale affinché valuti l’opportunità di attribuire ad altro collega la reggenza dell’istituto. In tale prospettiva, colgo l’occasione per ringraziare i bambini, i genitori, gli insegnanti, la segreteria e i collaboratori per l’affetto e la stima con cui mi hanno accolto fra loro dal settembre 2014 fino a questo difficile passaggio: sentimenti che contraccambio di cuore, con sincera ammirazione per la passione e la tenacia che il personale scolastico dimostra ogni giorno.

Approfondendo le notizie, date come al solito in modo imperdonabilmente superficiale, salta fuori che questo Marco Parma è un ottimo Preside, onesto e intelligente, che non ha vietato nessuna festa e si è limitato a dire “no” all’idea balzana di un paio di mamme di penetrare nella scuola in orario mensa per “insegnare canti religiosi”. 
Ora si scopre che Parma è difeso a spada tratta persino da madri cattoliche praticanti, abbastanza illuminate da sostenere che il luogo per intonare i canti religiosi è la chiesa e non la scuola. (E che magari nell’orario mensa i bambini vorrebbero mangiare, e non farsi insegnare Tu scendi dalle stelle da due solerti sconosciute, anche perché “mensa” e “messa”, pur essendo parole molto somiglianti, vogliono dire due cose abbastanza diverse).
E allora perché tutta questa orrenda strumentalizzazione bigotto-politicoide, che vede la scuola presa sciacallescamente d’assalto, i bambini inutilmente stressati e traumatizzati, il Preside linciato e fatto a pezzi da CHIUNQUE, compresi i 5 Stelle di cui faceva parte e che hanno perso l’occasione della bella figura che gli avrebbe fatto fare un prudente Silenzio, invece di mettersi pure loro a latrare su “valori” e “tradizioni”? [Tradizioni fra l’altro importate dal Medio Oriente una manciatina di secoli fa, cosa di cui nessun fanatico presepista è in grado di cogliere l’ironia… per tacer del fatto che codeste “tradizioni” vengono fatte risalire a uno che disprezzava le tradizioni, e voleva mettere i figli contro i padri.]
Probabilmente perché già si sapeva che la sua è una scuola laica senza crocifissi sui muri (fra l’altro nemmeno “tolti” da lui: non c’erano già prima!), e quindi prima o poi bisognava fargliela pagare…

L’imbarbarimento italiano sembra veramente senza ritorno.
L’ultima riguarda il preside Marco Parma di Rozzano, costretto alle dimissioni con l’accusa di non avere fatto celebrare il Natale nella sua scuola, rilanciata da TUTTA la stampa nazionale (compreso il blog di Beppe Grillo; e neppure Renzi, naturalmente si e` fatto scappare l’occasione di intervenire a sproposito).
Gia`, perche` l’accusa si e` rivelata assolutamente falsa, inventata sin dall’inizio di sana pianta: come ben sa chiunque si occupa di queste cose una qualunque festa scolastica non puo` essere una decisione del dirigente scolastico, ma passa attraverso gli organi rappresentativi della scuola: Collegio dei Docenti e Consiglio di Istituto.
La festa di Natale, del resto si svolgera` regolarmente nella scuola, e senza sussulti.
L’unica colpa del preside e` stata quella di avere dato fastidio ai poteri locali con la sua indipendenza: Partito Democratico e Lega si sono accordati fra loro (come accadde con me alla fine degli anni Novanta a Brescia) per farlo cacciare; e il Movimento Cinque Stelle locale si e` accodato.
La vicenda e` il bis esatto, su un piano locale modesto, della defenestrazione del sindaco Marino a Roma, e purtroppo dimostra come in quel caso l’inadeguatezza del Movimento Cinque Stelle e la sua logica da setta chiusa, di carattere quasi religioso, capace di mobilitarsi soltanto a difesa dei propri adepti.
Il paradosso e` che quel preside si era presentato alle ultime elezioni comunali con una lista che aveva avuto l’appoggio del Movimento Cinque Stelle, ma neppure questo gli e` bastato per essere difeso dal gruppo locale del movimento dalle accuse inventate; e il blog di Grillo è abdato acriticamenter a ruota, in cerca di facile consenso da gogna.
. . .
Ma occorre aggiungere ancora qualcosa nel merito della vicenda, drammatica per il livello di ignoranza istituzionale che rivela: l’ondata di fanatismo razzista sta travolgendo ogni difesa critica e cambiando di fatto il profilo del nostro stato.
L’Italia uscita dalla Resistenza e` (o meglio era) un paese laico: ci vollero quasi trent’anni perche` col nuovo Concordato craxiano del 1984 si specificasse che era da ritenersi superato il concetto del cattolicesimo come religione di stato, introdotto dal Concordato Fascista del 1929 ed entrato a far parte quasi della Costituzione per il voto determinante favorevole del Partito Comunista Italiano di Togliatti nel 1947.
Altri venti anni ci vollero perche` al nuovo concordato seguisse nel 2006 la modifica del Codice Penale, come ricordavo proprio pochi giorni fa ripubblicando un mio post di 10 anni fa.
E ricordiamo comunque che il Testo Unico del 1994 delle leggi sulla scuola VIETA, all’art. 311, se non ricordo male il numero, lo svolgimento di atti di culto durante l’orario di lezione dentro la scuola.
Tutto questo e` ottusamente dimenticato, se torniamo al caso del preside unanimemente attaccato dai nostri media divulgatori di ignoranza; eppure occorre ricordare, semplicemente, una lunga e consolidata legislazione italiana, di rango anche costituzionale, che nella nuova Italia bigotta e renziana sembra appartenere perfino ad altre epoche.
Non si possono svolgere a scuola atti di culto rivolti all’insieme degli studenti, perche` hanno un valore discriminatorio e ledono la liberta` religiosa di chi segue altre confessioni oppure e` semplicemente ateo.
Ma proprio questo e` lo scopo di chi si agita tanto: discriminare gli islamici, in questo momento (in passato erano gli ebrei; e in ogni tempo i liberi pensatori che non hanno fedi precostituite)…

domenica 29 novembre 2015

Contro la guerra non si può restare in silenzio

Un appello di intellettuali francesi: «Quando furono scatenate le guerre in Afghanistan e Iraq sapevamo che quei conflitti avrebbero seminato, alla cieca, caos e morte. Avevamo torto? La guerra di Hollande avrà le stesse conseguenze. Per questo non si può non reagire».

Nessuna interpretazione monolitica, nessuna spiegazione meccanicistica può far luce sugli attentati. Ma possiamo forse rimanere in silenzio? Molte persone — e le comprendiamo — ritengono che davanti all’orrore di questi fatti, l’unico atto decente sia il raccoglimento. Eppure non possiamo tacere, quando altri parlano e agiscono in nostro nome: quando altri ci trascinano nella loro guerra. Dovremmo forse lasciarli fare, in nome dell’unità nazionale e dell’intimazione a pensare in sintonia con il governo?
Si dice che adesso siamo in guerra. E prima no? E in guerra perché? In nome dei diritti umani e della civiltà? La spirale in cui ci trascina lo Stato pompiere piromane è infernale. La Francia è continuamente in guerra. Esce da una guerra in Afghanistan, lorda di civili assassinati. I diritti delle donne continuano a essere negati, e i talebani guadagnano terreno ogni giorno di più. Esce da una guerra alla Libia che lascia il Paese in rovine e saccheggiato, con migliaia di morti, e montagne di armi sul mercato, per rifornire ogni sorta di jihadisti. Esce da una guerra in Mali, e là i gruppi jihadisti di al Qaeda continuano ad avanzare e perpetrare massacri. A Bamako, la Francia protegge un regime corrotto fino al midollo, così come in Niger e in Gabon. E qualcuno pensa che gli oleodotti del Medioriente, l’uranio sfruttato in condizioni mostruose da Areva, gli interessi di Total e Bolloré non abbiano nulla a che vedere con questi interventi molto selettivi, che si lasciano dietro Paesi distrutti? In Libia, in Centrafrica, in Mali, la Francia non ha varato alcun piano per aiutare le popolazioni a uscire dal caos. Eppure non basta somministrare lezioni di pretesa morale (occidentale). Quale speranza di futuro possono avere intere popolazioni condannate a vegetare in campi profughi o a sopravvivere nelle rovine?
La Francia vuole distruggere Daesh? Bombardando, moltiplica i jihadisti. I «Rafale» uccidono civili altrettanto innocenti di quelli del Bataclan. E, come avvenne in Iraq, alcuni civili finiranno per solidarizzare con i jihadisti: questi bombardamenti sono bombe a scoppio ritardato.
Daesh è uno dei nostri peggiori nemici: massacra, decapita, stupra, opprime le donne e indottrina i bambini, distrugge patrimoni dell’umanità. Al tempo stesso, la Francia vende al regime saudita, notoriamente sostenitore delle reti jihadiste, elicotteri da combattimento, navi da pattugliamento, centrali nucleari; l’Arabia saudita ha appena ordinato alla Francia tre miliardi di dollari di armamenti; ha pagato la fattura di due navi Mistral, vendute all’Egitto del maresciallo al Sisi che reprime i democratici della primavera araba. In Arabia saudita, non si decapita forse? Non si tagliano le mani? Le donne non vivono in semi-schiavitù? L’aviazione saudita, impegnata in Yemen a fianco del regime, bombarda le popolazioni civili, distruggendo anche tesori dell’architettura. Bombarderemo l’Arabia saudita? Oppure l’indignazione varia a seconda delle alleanze economiche?
La guerra alla jihad, si dice con tono marziale, si combatte anche in Francia. Ma come evitare che vi cadano dei giovani, soprattutto quelli provenienti da ceti non abbienti, se non cessano le discriminazioni nei loro confronti, a scuola, rispetto al lavoro, all’accesso all’abitazione, alla loro religione? Se finiscono continuamente in prigione, ancor più stigmatizzati? E se non si aprono per loro altre condizioni di vita? Se si continua a negare la dignità che rivendicano?
Ecco: l’unico modo per combattere concretamente, qui, i nostri nemici, in questo Paese che è diventato il secondo venditore di armi a livello mondiale, è rifiutare un sistema che in nome di un miope profitto produce ovunque ingiustizia. Perché la violenza di un mondo che Bush junior ci prometteva, 14 anni fa, riconciliato, riappacificato, ordinato, non è nata dal cervello di bin Laden o di Daesh. Nasce e prospera sulla miseria e sulle diseguaglianze che crescono di anno in anno, fra i Paesi del Nord e quelli del Sud, e all’interno degli stessi Paesi ricchi, come indicano i rapporti dell’Onu. L’opulenza degli uni ha come contropartita lo sfruttamento e l’oppressione degli altri. Non si farà indietreggiare la violenza senza affrontarne le radici. Non ci sono scorciatoie magiche: le bombe non lo sono.
Quando furono scatenate le guerre dell’Afghanistan e dell’Iraq, le manifestazioni di protesta furono imponenti. Sostenevamo che questi interventi militari avrebbero seminato, alla cieca, caos e morte. Avevamo torto? La guerra di Hollande avrà le stesse conseguenze. Dobbiamo unirci con urgenza contro i bombardamenti francesi che accrescono le minacce, e contro le derive liberticide che non risolvono nulla, anzi evitano e negano le cause del disastro. Questa guerra non sarà in nostro nome.
Primi firmatari:
Etienne Balibar, Ludivine Bantigny (storica), Emmanuel Barot (filosofo), Jacques Bidet (filosofo), Déborah Cohen (storica), François Cusset (storico delle idee), Laurence De Cock (storica), Christine Delphy (sociologa), Cédric Durand (economista), Fanny Gallot (storica), Eric Hazan (editore), Sabina Issehnane (economista), Razmig Keucheyan (sociologo), Marius Loris (storico e poeta), Marwan Mohammed (sociologo), Olivier Neveux (storico dell’arte), Willy Pelletier (sociologo), Irene Pereira (sociologa), Julien Théry-Astruc (storico), Rémy Toulouse (editore), Enzo Traverso (storico)
(Traduzione di Marinella Correggia)

sabato 28 novembre 2015

con Erdem Gul e Can Dundar, due giornalisti come si deve



La volontà di risolvere la crisi dei migranti non pregiudichi il vostro impegno per i diritti umani, per la libertà di stampa e di espressione, che sono valori fondamentali del mondo occidentale": questo l'appello lanciato ai leader dell'Unione europea, alla vigilia del vertice Ue-Turchia, dai due giornalisti del quotidiano turco Cumhuriyet detenuti nel carcere di Silivri con l'accusa di "spionaggio" e "divulgazione di segreti di Stato", per aver pubblicato lo scorso maggio un articolo sulla possibile consegna di armi da parte dei servizi segreti turchi (MIT) ai ribelli islamisti siriani.
In quanto giornalisti noi crediamo che la Turchia faccia parte della famiglia europea e che dovrebbe essere un membro dell'Unione - hanno scritto il direttore Can Dundar e il caporedattore Erdem Gul - la libertà di pensiero e di espressione sono valori imprescindibili della nostra civiltà. Noi siamo stati arrestati e detenuti in attesa di giudizio per aver esercitato queste libertà e per aver difeso il diritto dei cittadini a essere informati".
Il premier turco, che voi incontrerete questo fine settimana, e il regime che rappresenta sono noti per le loro politiche e pratiche che ignorano completamente la libertà di stampa e i diritti umani - hanno ricordato - i vostri governi stanno negoziando con Ankara sulla crisi dei migranti, una crisi che preoccupa e spezza il cuore a tutti. Ci auguriamo veramente che questo vertice porti a una soluzione duratura per questo problema. Ma auspichiamo anche che la vostra volontà di mettere fine alla crisi non pregiudichi il vostro impegno per i diritti umani, per la libertà di stampa e di espressione, che sono valori fondamentali del mondo occidentale".
Ricordiamo che i nostri valori condivisi possono essere protetti solo facendo fronte comune e con la solidarietà, e questa solidarietà è oggi più importante e urgente che mai.

«Il prossimo sono io, siamo pronti a vedere succedere qualcosa in qualsiasi momento». Lo aveva detto poco prima delle elezioni del primo novembre scorso, quando le redazioni di due televisioni e due quotidiani erano state commissariate dalla magistratura e la loro linea editoriale era cambiata, diventando più filo governativa. E infatti ieri il direttore di Cuhmuriyet, Can Dundar, è stato arrestato dalla polizia, poche ore dopo la sua incriminazione. Con lui, in manette anche il capo della redazione di Ankara, Erdem Gul.  

L’accusa: spionaggio  
Dundar, da anni una delle firme più autorevoli del giornalismo turco, e Gul sono accusati di spionaggio. Il presidente della Repubblica, Recep Tayyip Erdogan, ha addirittura parlato di tradimento. Il direttore è nell’occhio del ciclone dallo scorso giugno, quando in pochi giorni prima delle elezioni, Cumhuriyet aveva pubblicato foto e video compromettenti che provenivano dall’esercito turco e che mostravano membri dell’intelligence e dello Stato Islamico mentre aprivano camion nei quali erano contenute armi. I due reporter sono stati anche accusati di fare parte della Feto, una sedicente organizzazione segreta che sarebbe stata fondata da Fetullah Gulen, filosofo islamico avverso a Erdogan e che vive in auto esilio negli Usa. Nonostante non vi siano prove dell’esistenza di questa organizzazione, chiamata anche Stato Parallelo, in molti giornalisti, intellettuali e dirigenti di polizia sono stati accusati di farne parte, tanto che la stampa di opposizione la considera un mezzo per togliere di torno chi si mette troppo di traverso rispetto al governo e al Capo dello Stato. 

No alla paura  
Dundar è stato arrestato subito dopo la sua deposizione davanti al giudice. «Ci hanno accusati di spionaggio, addirittura per il presidente saremmo dei traditori – ha detto Dundar ai giornalisti al momento dell’arresto – Non siamo traditori, né eroi. Abbiamo fatto solo il nostro lavoro di giornalisti». «Questo processo e queste inchieste – ha detto Dundar – avranno la funzione di far parlare dell’accaduto, anziché far dimenticare quello che è successo». A novembre, Dundar ci aveva detto che la pressione sui media in Turchia era diventata sempre più insistente. «Sentiamo il fiato sul collo – aveva spiegato Dundar – ormai le testate che possono lavorare in autonomia sono sempre meno. Sappiamo che i prossimi a poter essere colpiti siamo proprio noi, ma non per questo bisogna cedere alla paura». Il direttore aveva poi escluso che Erdogan potesse riconquistare la maggioranza assoluta, persa proprio a giugno, spiegando «Tutti i sondaggi danno ancora il partito di Erdogan in difficoltà. La Turchia ha bisogno di un governo di coalizione e di un periodo di pace. Se dovesse vincere ancora lui ci sarebbe spazio solo per l’autoritarismo assoluto».  

L’ira di Erdogan  
Intanto il presidente della Repubblica sembra piuttosto soddisfatto su come si sta evolvendo la situazione giudiziaria. Era stato proprio lui in giugno a denunciare Dundar, arrivando a chiedere alla magistratura di condannarlo a due ergastoli. Nella denuncia si leggeva che “con la pubblicazione di materiale manipolato e le informazioni che gli sono arrivate dallo Stato Parallelo, Dundar si è reso complice delle azioni dell’organizzazione di Gulen, il più acerrimo nemico di Erdogan, i cui seguaci hanno accusati di aver infiltrato la polizia, la magistratura e la burocrazia”.  
Intanto il presidente della Repubblica ha fatto sapere che i camion stavano trasportando aiuti umanitari alle popolazioni turkmene oltre confine e che i video erano stati diffusi appositamente per cercare di infangare il suo nome e quello dell’Akp, il Partito islamico-moderato per la Giustizia e lo Sviluppo, alla guida nel Paese dal 2002.  

(qui e qui la premessa e l'amore del governo turco per i giornalisti)

giovedì 26 novembre 2015

mercoledì 25 novembre 2015

Marwa Balkar parla per noi


"Caro Donald Trump,
mi chiamo Marwa e sono musulmana. Ho sentito che lei vorrebbe farci indossare un badge, e così ho pensato di sceglierne uno mio. Non sono facilmente identificabile come musulmana per il mio aspetto, così questo nuovo distintivo mi permetterebbe di mostrare con orgoglio quello che sono. Ho scelto il simbolo della pace perché rappresenta il mio Islam. Quello che mi ha insegnato a opporsi alle ingiustizie e aspira all'unità. Quello che mi ha insegnato che uccidere una vita innocente equivale a uccidere l'umanità. Ho sentito anche che lei vorrebbe che i nostri movimenti venissero tracciati. Perfetto! Potrebbe seguirmi negli eventi benefici per la lotta al cancro contro il cancro che si tengono a scuola. O seguirmi mentre lavoro, dove il mio obbiettivo è creare felicità. Potrebbe anche venire con me e vedere come la mia moschea prepara sandwiches per i senzatetto e organizza cene interreligiose dove tutti sono benvenuti. Forse allora vedrebbe che il mio essere musulmana non mi rende meno americana di lei. Forse, se seguisse i miei passi, potrebbe accorgersi che non sono meno umana di lei".

Una verità mostruosa - Giulietto Chiesa



Parigi, Giulietto Chiesa: “Le incongruenze di quella notte a Parigi. Per me tedeschi a rischio" (intervista di Lucia Bigozzi)


“Incongruenze” nella notte del massacro di Parigi e in quella di Saint-Denis. Giulietto Chiesa, giornalista e scrittore, esperto di scenari internazionali e politica estera, rileva nella conversazione con Intelligonews nel giorno in cui a Roma scatta il piano sicurezza per il Giubileo. Con una “previsione-sensazione” ad hoc per l’Italia…

A otto giorni dalla strage di Parigi, secondo lei ci sono incongruenze nella dinamica dei fatti? Lei quali ne individua?

«Ce n’è una clamorosa: tutti gli attentatori si sono suicidati con la cintura esplosiva; praticamente non hanno ucciso ma si sono uccisi inutilmente. Leggendo le cose che sono emerse, vedo che uno si mette la cintura esplosiva e si fa esplodere in un bar dove ferisce gravemente una cameriera; un altro si fa esplodere in un vicolo, un altro si fa saltare all’ingresso dello stadio e uccide un passante. Che senso ha tutto questo? Nessuno. Non tutti tra gli attentatori però sono morti e non tutti sono kamikaze suicidi, tanto è vero che li stanno ancora cercando. L’ultima incongruenza clamorosa a mio avviso riguarda la notte di Saint-Denis e l’assalto al covo: è stato fatto un assalto notturno sparando cinquemila proiettili per uccidere persone ritenute o complici o autori del massacro di Parigi, che erano state circondate nel luogo dove stavano e potevano essere catturate vive; invece sono stati tutti uccisi. A quale scopo? Siamo di fronte a strutture di ultra-specialisti, le cosiddette teste di cuoio, che vanno davanti a un appartamento di notte per uccidere tutti quando avrebbero potuto prenderli vivi e farli parlare? Io più guardo, più leggo e più mi sorgono interrogativi». 

Perché Salah Abdeslam non è stato ancora catturato? Ha lasciato tracce del suo passaggio anche in Italia. 

«E’ possibile che sia un uomo abilissimo, ma non mi pare che nessuno degli attentatori abbia un curriculum da grande intellettuale stratega; mi sembrano dei poveracci votati alla morte o come si suol dire, dei capri espiatori. Ho l’impressione che non fossero gli unici ma che ci fosse qualcun altro in giro - e infatti lo stanno cercando - che o non verrà catturato oppure se verrà catturato, verrà ucciso. Io non ho prove, ho indizi e punti interrogativi che mi limito ad elencare»

Italia a rischio? Anche oggi una giornata di falsi allarmi bomba a Roma, proprio nel giorno del varo del piano di sicurezza per il Giubileo. Che impressione ha?

«Le dico la mia personale opinione: ho l’impressione che l’Italia sia il paese che rischia di meno e penso che ci sia qualcosa di altro in giro». 

Perché?

«Perché l’Italia è rimasta ai margini di tutta questa vicenda e per fare operazioni di questo genere ci vogliono complicità nei gangli dello Stato, come peraltro avvenuto nei casi di terrorismo italiano. Se uno non ha alleati nel paese in cui pensa di fare l’operazione, se ne va altrove dove la possibilità di avere alleati è maggiore»

Il ministro Alfano propone di presidiare i confini esterni alle frontiere. E’ sufficiente? 

«Queste sono chiacchiere. Da Patriot Act in poi, sappiano come vanno le cose: non appena si delinea un pericolo di questo genere, subito si fa ricorso a un’operazione di restrizione della libertà delle persone. Fa molto comodo invocare pericolo terroristico in nome del quale di restringono le libertà delle persone: naturalmente occorre prendere delle misure e questo è legittimo, ma cominciare a strillare di ridurre la quota delle nostre libertà non mi pare il caso. Va fatto un lavoro mirato, ci sono organismi preposti e specializzati che devono agire. Quanto alla valutazione politica, mi pare che l’Italia sia la meno esposta rispetto ad altri paesi quali la Gran Bretagna e la Francia. La Germania un po’ meno anche se per altre ragioni ha creato un certo fastidio agli Usa. Portogallo, Spagna, Grecia e Italia sono esposti in maniera molto inferiore rispetto a Francia, Gran Bretagna, Belgio e, forse, alla stessa Germania dove io personalmente concentrerei l’attenzione sui possibili rischi».

consiglio di classe disciplinare - Dieudonné

ricordo di Henning Mankell


grazie per aver scritto i tuoi libri - franz


  • Il concetto di giustizia non significa solo che le persone che commettono reati vengano condannate. Significa anche non arrendersi mai. 
  • ...la povertà ha volti diversi. Da noi non c'è abbondanza. Da noi non c'è la libertà di scelta. In Svezia ho avuto la sensazione di intuire quella povertà che ha le sue origini nella mancanza della necessità di lottare per la propria sopravvivenza. Per me quella lotta ha una dimensione religiosa. Non vorrei essere al vostro posto. 
  • Come molti altri autori, anch'io scrivo per cercare, in un modo o nell'altro, di rendere il mondo più comprensibile. 
  • ...era come una persona impaziente. Come quelle che vivono nelle città, che sembrano sempre avere così tanto da fare da non riuscire a fare altro che preoccuparsi della propria fretta. 
  • Ciò che accade prima non è necessariamente l'inizio.

martedì 24 novembre 2015

Scrivo il tuo nome, sicurezza - Serge Quadruppani

Sui killer narcisisti della modernità
sui machos insoddisfatti del gangsta rap convertiti in bigotti
sulle troie passate da Closer [1] al niqab
sulle loro necessità di esistere che si esprimono in massacri
sull'immenso buco spalancato puzzolente purulento del vuoto metafisico dell'Occidente
sul milione e trecentomila morti della “guerra al terrorismo”
sui torturatori facebook
sui segnalati vivi facebook
sui tricolori per endovenosa facebook
sull'indicibile immensità dei dolori rapita dai mercanti di paura e di tricolore
sulla forza di coloro che sono tanto sicuri che alle vittime assassinate sarebbe tanto piaciuto che per loro si cantasse la marsigliese
su quei morti che si vuol far marciare al suono della tromba patriottarda
sui neocon stronzi, sui falchi finti tonti, sui veri editocrati leopardati [2]
pronti a denunciare i collaborazionisti che non marciano al passo della loro musica militare
sul sangue impuro che irrorerà i nostri solchi [3]
sui corpi triturati di Beirut, Bagdad, Yola, Parigi, Kano, Bamako, Mogadiscio
sui quartieri sottoposti a coprifuoco come punizione collettiva
sugli Schedati S [4] di cui sicuramente faccio parte grazie al maggiore Didier D. [5]
sui campi di internamento che non si esclude di riservare loro
sulla milizia, pardon, sulla guardia nazionale che non si esclude di creare
sull'armamento delle polizie municipali
sui braccialetti elettronici
sulla sorveglianza generalizzata
sulla passione per la polizia
sul rimprovero di non reagire in quanto comunità che si rivolge ad una popolazione alla quale si rimprovera il suo comunitarismo
sull'86% dei francesi che approverebbero
sul 14% che ringrazio di disapprovare l'eventualità del mio internamento
sugli “un po' meno libertà” per un “un po' più di sicurezza”
sulla “sicurezza prima libertà”, uguale alla “libertà prima sicurezza”, falso rilasciato dalle autorità competenti
su chi è d'accordo di morire per tutto ciò che è fabbricato da una civiltà mortifera a colpi di motori a scoppio, degrado della natura (compresa quella umana), avvelenamento medicinale dei fiumi, ogmnanotecnologiepesticidifattoriproduttiviamiantonucleare, d'accordo di morire di ogni cosa tranne di terrorismo, che è peraltro del tutto organico a questa stessa civiltà
su chi è pronto a morire per difendere questa civiltà, e ci s'impegna, e ci si impegna ancora tre volte più di prima
sull'atto di resistenza inaudito consistente nel bersi una birra a un tavolino fuori da un bar
sulle manifestazioni vietate, sulla COP21 [6] sbarazzata dall'unica sua parte che sarebbe stata interessante, la contestazione senza quartiere verso di essa
sul curioso destino del termine “radicalizzazione”, che ci impedisce di affrontare le cose alla radice
sull'angoscia paralizzante, sulla diffidenza che cresce, sul sorriso che s'increspa
scrivo il tuo nome,
Sicurezza.

NOTE (le trovi qui)

da qui

Il popolo è un bambino - Ascanio Celestini





adesso farò - Pabuda

ho pianto abbastanza,
a sufficienza d’orrore
e furore
mi son nutrito
e, per farmi un’idea mia,
ho pure litigato.
adesso, beh… adesso farò
come dicono
Anna, Edda e la Gio:
primo: sorriderò,
secondo:
come son capace
(à la pierrot-punk-griot),
per qualcuno di diverso da me
almeno un pochino combatterò.
terzo: le loro guerre –
e tutte quante
le immaginabili guerre –
diserterò.
allo stesso tempo, per coerenza,
farò anche come dico io:
studierò dei vecchi e nuovi libri,
scriverò alcuni raccontini
(andando spesso a capo)
e paciugherò molti collage:
tutta roba…
senza stato e senza dio
ma con languidi amanti
felici d’amare e scopare –
a seconda dei gusti e dell’estro –
in formazione di sesso uguale
o differente o in transizione,
in coppia o in trio.
soprattutto: girare in giro
‘sta varia roba divertente
farò:
che vada di traverso a chi so io:
ai sozzoni col collarino bianco,
a vari ministri e ministre (fifty-fifty),
agli imbecilli incravattati di verde,
e anche a certi giovanotti barbuti
che, tolti i peli superflui,
son solo delle fetentissime merde.

la preparazione per l'11 settembre (con sottotitoli in inglese) - Dieudonné

lunedì 23 novembre 2015

Scuola di (ri)educazione per giornalisti, ovvero le parole sono importanti

Il 16 di novembre su repubblica.it c’era questo titolo:
Zouheir e Safer, quei musulmani eroi di Francia La guardia che ha sventato la strage nello stadio e il cameriere che ha salvato due donne (qui)

Non mi tornava, poi ho capito che è un titolo razzista, mi sono ricordato quando negli anni ’80 mi è capitato di vivere per motivi di studio in una città delle Marche, e qualcuno mi diceva qualcosa sul mio essere sardo, che non ero come si immaginavano.
Parlare di musulmani eroi è come dire che quelli citati nell’articolo sono eccezioni, che lombrosianamente parlando, i musulmani sono assassini potenziali, esattamente come, negli anni ’70 e ’80, i sardi (di una certa zona, e io sono di quella certa zona) erano, lombrosianamente parlando, potenziali delinquenti e potenziali sequestratori.
Quanto può la stampa e la televisione modellare l’immaginario, quanta responsabilità hanno i giornalisti quando hanno ripetuto, e continuano a ripetere le parole, e solo quelle, di chi fa scoppiare le guerre?
Qualcuno spiega ai futuri giornalisti il peso delle parole? E a quelli presenti non faranno un corso di rieducazione?
O, come dice qualcuno, scrivono quello che dicono loro di scrivere, poi diranno, ma non capivo, oppure, e come potevo fare altrimenti?

Che Zouheir e Safer fossero cristiani, animisti o musulmani non era importante, scrivere la religione è utile, per qualcuno, ma dipende, i soldati di Abu Grahib nessuno li ha chiamati pessimi cristiani, erano solo esseri umani e soldati di merda, e basta. È che a volte si dice una cosa per far intendere altro.

Quando arrivò negli Stati Uniti gli impiegati dell'ufficio immigrazione chiesero ad Albert Einstein di indicare su un modulo a quale razza appartenesse. Einstein scrisse: «umana».

domenica 22 novembre 2015

parla Angela Davis, nel 1972

Cari musulmani e care musulmane

Quest’oggi alla preghiera del venerdì, in tutte le 2500 moschee di Francia viene distribuito un “testo solenne” concordato dal Consiglio dei imam di Francia, dopo gli attentati di Parigi. È la prima volta che succede un fatto simile. Gli imam francesi condannano la riduzione “settaria e odiosa” dell’islam compiuto da imam provenienti dall’estero, che manipolano i loro giovani. Essi chiedono ai musulmani e alle musulmane di apprezzare la libertà di cui godono in Europa e di vigilare perché i loro figli non cadano preda di imam radicali che li trasformano in “bombe terroriste”. Per gli imam di Francia, occorre che tutti i musulmani lavorino per espellere le idee di odio presenti nella religione musulmana e non praticare la politica dello “struzzo”. Ciò è urgente per salvare l’islam in Europa e l’avvenire dei giovani. 

Ecco il testo scritto dagli imam di Francia:

Cari musulmani e care musulmane,
L’islam, la religione della pace è divenuto ostaggio nelle mani di estremisti e di ignoranti. L’islam esiste in Europa da un secolo. Esso ha vissuto sempre in armonia e in coesistenza con le società europee fino all’arrivo di qualche musulmano che conoscete perché pregano con noi all’interno delle nostre moschee. Essi sono dei giovani che sono nati in Europa, che non parlano la lingua araba e che non hanno alcun titolo in teologia musulmana. Noi abbiamo utilizzato degli imam venuti dall’estero che non parlano nemmeno la lingua francese e che non conoscono i veri problemi che questi giovani francesi ed europei affrontano in seno delle società occidentali.
Cari musulmani e care musulmane,
da anni si dice che l’islam all’occidentale non somiglia all’islam che si è conosciuto. Secondo l’ideologia di questi islamisti ignoranti, l’islam della tolleranza, dell’umanesimo e dell’apertura e del dialogo interreligioso è divenuto un tradimento e una collaborazione con l’occidente, tanto che gli imam tolleranti sono stati minacciati all’interno delle loro stesse moschee da questi estremisti che hanno scelto la durezza e l’odio contro chiunque è differente, anche se i differenti sono musulmani.
I responsabili dell’islam in Francia non sono all’altezza dei veri valori dell’islam, né all’altezza dei veri valori della repubblica. Essi hanno reso il nostro islam universale una religione settaria e odiosa che non accetta l’apertura e l’adattamento ai valori europei. Questi imam incompetenti come questi responsabili falliti devono lasciare i loro posti agli altri che sono più competenti e più aperti perché essi non sono stati capaci di rassicurare né i musulmani, né i francesi.
Cari musulmani, care musulmane,
questa onda di radicalismo non indietreggerà che con la cooperazione degli imam, dei predicatori religiosi, dei musulmani ordinari con lo Stato, i legislatori, la società civile nell’interesse della società, ma soprattutto nell’interesse dell’avvenire dei figli dei musulmani d’Europa. Questo avvenire è in pericolo più che mai.
Cari musulmani e care musulmane, fate attenzione alla gente che cerca di giustificare l’ingiustificabile in nome del razzismo, della marginalizzazione e della storia della colonizzazione. Sono dei pretesti per dissimulare il loro odio e i loro fanatismi religiosi in nome di un Dio che ci ha creato per l’amore e la fraternità e non per la guerra e la barbarie.
I terroristi avevano dei genitori, essi avevano delle famiglie. Cosa hanno loro insegnato? Sono stati superati da internet e dai social network?
Cari musulmani, care musulmane,
la condanna degli attentati non è più sufficiente perché non possiamo più continuare a fare come lo struzzo. Non possiamo nascondere le nostre teste sotto la sabbia ripetendo questa frase cattiva: “Non siamo noi, sono loro!”.
Ogni imam, ogni responsabile religioso e ogni musulmano deve prendere la sua parte di responsabilità perché questi attentati criminali sono stati commessi in nome della nostra religione.
I cristiani, gli ebrei e gli atei vivono con difficoltà nel mondo musulmano. Costruire una chiesa o una sinagoga è un sogno impossibile da realizzare in quei Paesi, fino a [domandare] l’intervento del presidente della repubblica!
Invece i musulmani in Francia e in Europa vivono in tutta libertà e dignità. Essi costruiscono moschee, centri islamici e scuole religiose senza alcun sabotaggio o esclusione.
Noi siamo dei francesi musulmani prima di essere dei musulmani francesi perché è la Francia che ci mette insieme. Di conseguenza la religione deve restare nel suo spazio privato perché la religione deve essere un fattore di pace e di fraternità, a condizione che si interpreti i testi religiosi in modo positivo e costruttivo.
Cari musulmani e care musulmane,
Molti nostri giovani soffrono di un trauma religioso, culturale e identitario. Occorre mettere in atto i metodi migliori per combattere le idee di odio dentro la nostra religione, come pure la fragilità e i nostri giovani musulmani di fronte a uno pseudo islam siro-hollywoodiano. Esso utilizza immagini e propaganda per manipolare e radicalizzare al massimo i giovani, che possono divenire delle bombe terroriste che vogliono distruggere i valori dei paesi occidentali, ma in verità essi distruggono l’immagine dell’islam e l’avvenire dell’islam in Francia e in Europa. Questi Paesi ci offrono ancora dei benefici e dei vantaggi che non abbiamo trovato nei nostri Paesi di origine, malgrado tutte le difficoltà che certo esistono nei quartieri e nelle periferie.
Cari musulmani, care musulmane,
è in gioco l’avvenire della vostra religione e il destino dei vostri figli e tocca a noi musulmani decidere di agire o di non agire.
Viva i veri valori dell’islam e viva i veri valori della repubblica!

sabato 21 novembre 2015

Jean Jaurès









Ils étaient usés à quinze ans
Ils finissaient en débutant
Les douze mois s'appelaient décembre 
Quelle vie ont eu nos grand-parents
Entre l'absinthe et les grand-messes
Ils étaient vieux avant que d'être
Quinze heures par jour le corps en laisse
Laissent au visage un teint de cendres
Oui notre Monsieur, oui notre bon Maître

Pourquoi ont-ils tué Jaurès ?
Pourquoi ont-ils tué Jaurès ?

On ne peut pas dire qu'ils furent esclaves
De là à dire qu'ils ont vécu
Lorsque l'on part aussi vaincu
C'est dur de sortir de l'enclave
Et pourtant l'espoir fleurissait
Dans les rêves qui montaient aux cieux
Des quelques ceux qui refusaient
De ramper jusqu'à la vieillesse
Oui notre bon Maître, oui notre Monsieur

Pourquoi ont-ils tué Jaurès ?
Pourquoi ont-ils tué Jaurès ?

Si par malheur ils survivaient
C'était pour partir à la guerre
C'était pour finir à la guerre
Aux ordres de quelque sabreur
Qui exigeait du bout des lèvres
Qu'ils aillent ouvrir au champ d'horreur
Leurs vingt ans qui n'avaient pu naître
Et ils mouraient à pleine peur
Tout miséreux oui notre bon Maître
Couverts de prèles oui notre Monsieur
Demandez-vous belle jeunesse
Le temps de l'ombre d'un souvenir
Le temps de souffle d'un soupir

Pourquoi ont-ils tué Jaurès ?
Pourquoi ont-ils tué Jaurès ?


Erano usati a quindici anni,
Dei debuttanti già finiti,
Per loro un anno era un dicembre.
Che vita han fatto i nostri nonni,
Chiusi fra assenzio e grandi messe,
Dei semprevecchi innanzitempo. 
Quando lavori quindici ore
Hai voglia avere un bel colore.
Sì, buon maestro, sì, buon signore.
Perché hanno ucciso Jean Jaurès?
Perché hanno ucciso Jean Jaurès?

Non sono stati proprio schiavi
Ma da qui a dire che han vissuto,
Quando si parte così vinti...
E' dura uscire dall'imbuto.
Eppure c'era in fondo agli occhi
Un po' di sogno per sperare
Che essere qui non sia soltanto
Una condanna ad invecchiare.
Sì, buon maestro, sì, buon signore.
Perché hanno ucciso Jean Jaurès?
Perché hanno ucciso Jean Jaurès?

Se per disgrazia erano in troppi
Te li mandavano alla guerra,
Così finivano alla guerra,
Ceduti a qualche sacripante
Che puzza la naso concimava
Il proprio campo di caduti,
Coi loro vent'anni abortiti,
E ci morivano atterriti.
Pieni d'orrore, buon maestro
Pieni di preti, buon signore. 

Capisci, bella giovinezza?
Neanche il tempo di un ricordo,
Neanche il tempo di un sospiro.
Perché hanno ucciso Jean Jaurès?
Perché hanno ucciso Jean Jaurès?

da qui


IL SOCIALISMO PACIFISTA DI JEAN JAURÈS

"Signori, c'è solo un modo per abolire la guerra tra i popoli, è quello di abolire la guerra economica, il disordine di questa società; è quello di sostituire la lotta universale per la vita - che conduce alla lotta universale sul campo di battaglia - con un regime di concordia sociale e di unità. Ed ecco perché, se non si guarda alle intenzioni che sono sempre vane, ma all'efficacia dei princìpi e alla realtà delle conseguenze, razionalmente, profondamente, il partito socialista è, nel mondo di oggi, l'unico partito della pace."
(7 marzo 1895, alla Camera dei Comuni)
"Il capitalismo porta la guerra come la nuvola porta la tempesta."
"Il coraggio sta nel cercare la verità e nel dirla; sta nel non subire la legge della menzogna trionfante che scorre, e sta nel non fare l'eco, con la nostra anima, con la nostra bocca e con le nostre mani agli applausi degli imbecilli e ai fischi dei fanatici."
"Quando gli uomini non possono più cambiare le cose allora cambiano i nomi."
"Combattiamo la Chiesa e il cristianesimo perché sono la negazione dei diritti umani e racchiudono in sé il principio dell'asservimento dell'uomo."
"Il comunismo deve essere l'idea guida e visibile di tutto il movimento."
"Un po' di internazionalismo allontana dalla patria, molto internazionalismo vi ci riconduce. Un po' di patriottismo allontana dall'internazionalismo, molto patriottismo vi ci riconduce."
“Le più grandi persone sono quelle che possono dare speranza agli altri.”
“La pena di morte è contraria a ciò che l'umanità da più di duemila anni ha pensato di più alto e sogna di più nobile.”
“Può esserci rivoluzione soltanto là dove c'è coscienza.”
Filosofo, socialista francese esponente della sinistra revisionista; riformista per le concezioni relative al movimento operaio e ai suoi compiti, Jaurès lottò però con impegno per la pace, contro l'oppressione imperialistica e le guerre di conquista. I suoi discorsi eloquenti lo resero una forza importante in politica e un intellettuale campione del socialismo. Nato a Castres il 3 settembre 1859 si laurea all'École normale supérieure in filosofia, risultando il migliore studente nel 1878 e ottiene il titolo di professore “agrégé” nel 1881. Professore associato all'Università di Tolosa, diventa deputato del centro-sinistra del Tarn nel 1885. Sconfitto nel 1889, si dedica al suo dottorato su "Le origini del socialismo tedesco". Nel frattempo, è anche giornalista presso La Dépêche du midi a partire dal 1887, la sua esperienza di consigliere municipale e, successivamente, di assessore all'istruzione pubblica a Tolosa lo orienta verso il socialismo. Eletto, in seguito allo sciopero dei minatori, deputato di Carmaux (1893), aderisce al Partito Operaio Francese. Difensore di Dreyfus nel 1897 (Les Preuves), Jaurès approva l'entrata del socialista Millerrand all'interno del governo Waldeck-Rousseau. Nel 1902, partecipa alla fondazione del Partito Socialista e sostiene il Blocco delle sinistre. In seguito fonda L'Humanité (1904), "quotidiano socialista" che utilizza per accelerare la creazione della Sezione Francese dell'Internazionale Operaia (SFIO, 1905), condannando allora, in nome dell'unità socialista, ogni sostegno al governo.
Pacifista impegnato, che desiderava prevenire con mezzi diplomatici quella che sarebbe diventata la prima guerra mondiale, Jaurès cercò di creare un movimento pacifista comune tra Francia e Germania, che facesse pressione sui rispettivi governi tramite lo strumento dello sciopero generale. Jean Jaurès fu assassinato in un caffè di Parigi da Raoul Villain (un giovane nazionalista francese che voleva la guerra con la Germania) il 31 luglio 1914, un giorno prima della mobilitazione che diede il via alla guerra. Dieci anni dopo il suo assassinio, i resti di Jean Jaurès furono traslati al Panthéon di Parigi.
Questo il ricordo di Trockij di Jaurès, lasciato scritto in "La mia vita": 
"Politicamente ero assai distante da lui, ma è impossibile non essere attratti dalla sua forte personalità. La mentalità di Jaurés, che era un composito di tradizioni nazionali, principi morali metafisici, amore per gli oppressi ed immaginazione poetica, mostrava il segno dell'aristocrazia tanto chiaramente quanto quella di Bebel rivelava la grande semplicità della plebe. [...] Avevo ascoltato Jaurés in assemblee pubbliche a Parigi, in congressi internazionali e all'interno di comitati, ed in ogni occasione era come se io lo ascoltassi per la prima volta. Non cadeva mai nella routine; fondamentalmente non usava ripetersi, ma trovava sempre parole nuove, mobilitando le latenti risorse del suo spirito. Alla potenza di una cascata, egli sapeva coniugare una grande gentilezza, la quale splendeva sul suo volto come un riflesso della più grande cultura spirituale. Avrebbe fatto crollare massi, avrebbe tuonato e portato terremoti, ma non mancava mai d'ascoltare. Stava sempre in guardia, sempre attento a qualsiasi obiezione, pronto a coglierla e schivarla. A volte spazzava via ogni resistenza innanzi a lui con la stessa spietatezza di un uragano, altre così generosamente e gentilmente come un tutore o un fratello maggiore. Jaurés e Bebel erano ai poli opposti, e ciò nonostante erano le torri gemelle della Seconda Internazionale. Entrambi erano intensamente nazionali, Jaurés con la sua fiera retorica latina, e Bebel col suo tocco di asciuttezza Protestante. Io li amavo entrambi, ma in modo differente. Bebel si è spento fisicamente, mentre Jaurés è stato fuori quand'era all'apice della sua forza. Tutti e due sono morti in tempo. La loro morte ha segnato la linea dove la missione storica progressiva della Seconda Internazionale s'è interrotta".