venerdì 29 novembre 2013

30 novembre 1835, ricordo di Mark Twain

Samuel Langhorne Clemens,  si chiamava, e qui si spiega il nome di Mark Twain:
Dati i trascorsi da pilota dei battelli a vapore sul Mississippi, fatto di cui era orgoglioso, è ritenuto che lo pseudonimo che si attribuì di “Mark Twain” derivi dal grido in uso nello slang della marineria fluviale degli Stati Uniti per segnalare la profondità delle acque: by the mark, twain, ovvero: dal segno, due (sottinteso tese). Tale grido indica una profondità di sicurezza (appunto due tese, circa 3,7 metri)…(da qui)

«Tutta la letteratura americana moderna», ha scritto Ernest Hemingway, «discende da un libro di Mark Twain che si intitola Huckleberry Finn».
Ecco come inizia quel libro:
“Voi non sapete nulla di me, a meno che non abbiate letto un libro chiamato Le avventure di Tom Sawyer; ma non importa. Quel libro fu scritto dal signor Mark Twain, che per lo più disse la verità. C’erano delle esagerazioni, ma per lo più egli disse la verità. Questo non dimostra nulla. Non ho mai conosciuto nessuno che una volta o l’altra non dicesse bugie, eccetto zia Polly, o la vedova, o forse Mary. Zia Polly – la zia di Tom, cioè – e Mary, e la vedova Douglas: in quel libro ci sono tutte, ed è un libro per lo più sincero; con qualche esagerazione, come ho già detto…”
(traduzione di Gabriele Musumarra)
Sembra di leggere l’inizio de“ Il giovane Holden” un secolo prima!
…Alle sue “sfortune” contribuì non poco l’ostracismo subito per le sue critiche all’imperialismo americano. Era infatti stato membro attivo della Anti-Imperialist League, costituitasi nel 1898, di cui fecero parte personalità del calibro di Henry James, Ambrose Bierce, il filosofo John Dewey ed il poeta Edgar Lee Masters. Per le sue posizioni antimperialiste, Mark Twain subì una vera e propria emarginazione negli ultimi anni di vita, tanto che molti suoi scritti antimperialisti rimasero del tutto ignorati e non furono ripubblicati dopo la sua morte…(da qui)
Ancora oggi pochi sanno di re Leopoldo II del Belgio, Mark Twain scrisse “Soliloquio di Re Leopoldo”, descrivendo cosa avveniva in Congo, un olocausto, per opera di un serial killer al livello di Hitler.

Mark Twain passa anche in Italia, sembra scritto oggi:
Sbarcato a Genova s’inoltra a notte fonda nei carrugi: «le case strette ai nostri fianchi sembravano più protese che mai verso il cielo» e la voce del silenzio lo affascina. Quando scrive di paesaggi i suoi sensi vibrano e le pagine sono sempre seducenti: sul lago di Como «ville sontuose imbiancate dal chiaro di luna risaltavano dal nutrito fogliame che giaceva nero e informe»; quando sale sul Vesuvio la città, illuminata dalle lampade a gas, gli appare come «un collier di diamanti che scintillano nell'oscurità lontana» ai margini dello «splendido golfo». Ma quando s’ inoltra nel ventre della città la sua analisi è spietata, ma con autoironia aggiunge: «Qualcuno potrebbe pensare che io abbia dei pregiudizi. Forse è vero. Mi vergognerei di me stesso se non li avessi». S’ indigna per “l’ impostura” del miracolo di San Gennaro. Venezia è «finita preda della povertà, della trascuratezza e di una triste decadenza». Ma al chiaro di luna appare «ancora un volta la più sontuosa tra tutte le nazioni della terra». È infastidito dai chilometri di dipinti che attraversa a Firenze, dove tutto, gli vien detto, è opera di Michelangelo. Si vergogna di non avere un’ educazione artistica, ma si giustifica dicendo che in America non è contemplata. Twain guarda all'Italia e alla sua civiltà con sentimenti contraddittori: l’ attrae il contesto paesistico naturale e urbano che incontra di città in città, ma sente che queste sprofondano di giorno in giorno in un immobile passato; è infatti sgomento per lo spettacolo di decadenza, la diffusa miseria, l’ alterigia delle classi dirigenti divise dal popolo e chiuse nel loro privilegio. Un senso sincero d’ angoscia lo pervade per quanto cade sotto i suoi occhi: il marciume che invade i Fori a Roma, a Venezia l’ olfatto è offeso dai fetori che salgono dai canali, lo spettacolo di Pompei lo affascina, ma anche l’ avvilisce. Un paese l’ Italia per il quale non c’ è redenzione possibile, né riesce a vedere un futuro. Viaggio contropelo quello dell’ americano, in taluni casi persino urticante, in pagine letterariamente raffinate che oscillano tra sarcasmo, ironia e comico.
(Cesare De Seta, storico dell’arte)
fu anche uno dei più grandi scrittori di aforismi di tutti i tempi, eccone qualcuno:
L’umorismo è una gran cosa, è quello che ci salva. Non appena spunta, tutte le nostre irritazioni, tutti i nostri risentimenti scivolano via, e al posto loro sorge uno spirito solare
Il banchiere è un uomo che ti presta l’ombrello quando c’è il sole e se lo riprende quando inizia a piovere.
 Si dovrebbe credere che questo stesso Dio senza scrupoli, questo minorato morale, fu nominato insegnante di bontà, dei costumi, della clemenza, della legalità, della purezza? Sembra impossibile e folle.
Quando ci ricordiamo di essere tutti folli, i misteri della vita scompaiono e la vita trova una spiegazione.
Ricordate quel venerabile proverbio: i bambini e gli sciocchi dicono sempre la verità. La conseguenza logica è ovvia: gli adulti e i saggi non la dicono mai.
Il letto è il posto più pericoloso del mondo. L’ottanta per cento della gente vi muore.
Tutte le scoperte della medicina si possono ricondurre alla breve formula : “l’acqua, bevuta moderatamente, non è nociva”.
Fai sempre la cosa giusta; gratificherai alcune persone e stupirai le altre.
Se raccogliete un cane affamato e gli date da mangiare, potete star sicuri che non vi morderà. Questa è la principale differenza tra l’uomo e il cane.

Qui alcune sue immagini in movimento, nel 1909, l’anno prima di morire, sembra il fratello grande di Kurt Vonnegut.
Leggete Mark Twain, non c’è che l’imbarazzo della scelta, non sarà mai tempo perso, promesso.
(anche qui)

30 novembre 1667, in ricordo di Jonathan Swift

Jonathan Swift è un nostro contemporaneo, ha inventato Yahoo, ci dice in una frase dei rapporti fra industria e malattia (“Si credeva che Apollo, dio della medicina, fosse anche quello che mandava le malattie: in origine i due mestieri ne formavano uno solo; è ancora così.“), disprezza la ricerca della giovinezza a costo del ridicolo (“Nessun uomo saggio ha mai desiderato essere più giovane“ e “Ogni uomo vorrebbe vivere a lungo, ma nessuno desidera invecchiare“)
e ci ha lasciato un’immortale proposta politica, economica, satirica (che apre l’ “Antologia dello humour nero”, di Andrè Breton):
Una modesta proposta
È cosa ben triste, per quanti passano per questa grande città o viaggiano per il nostro Paese, vedere le strade, sia in città, sia fuori, e le porte delle capanne, affollate di donne che domandano l’elemosina seguite da tre, quattro o sei bambini tutti vestiti di stracci, e che importunano così i passanti. Queste madri, invece di avere la possibilità di lavorare e di guadagnarsi onestamente da vivere, sono costrette a passare tutto il loro tempo andando in giro ad elemosinare il pane per i loro infelici bambini, i quali, una volta cresciuti, diventano ladri per mancanza di lavoro, o lasciano il loro amato Paese natio per andarsene a combattere per il pretendente al trono di Spagna, o per offrirsi in vendita ai Barbados...

mercoledì 27 novembre 2013

Lettere ai figli (e per il figlio)

Murlyga! Perdonami ma andare oltre sarebbe stato peggio. Sono gravemente ammalata, non sono piu’ io. Ti amo follemente. Devi capire che non potevo più vivere. Di’ al papà e ad Alja . se li vedrai, che li ho amati fino all’ ultimo istante e spiega che sono finita in una via senza uscita.
Marina Cvetaeva (da un gulag in Mordovia, dove adesso è imprigionata Nadezhda Tolokonnikova)
Carissimo Giuliano,
ti faccio tanti auguri per l’andamento del tuo anno scolastico.
Sarei molto contento se tu mi spiegassi in che consistono le difficoltà che trovi nello studiare. Mi pare che se tu stesso riconosci di avere delle difficoltà, queste non devono essere molto grandi e potrai superarle con lo studio: questo non è sufficiente per te? Forse sei un po’ disordinato, ti distrai, la memoria non funziona e tu non sai farla funzionare? Dormi bene? Quando giochi pensi a ciò che hai studiato o quando studi pensi al gioco? Ormai sei un ragazzo già formato e puoi rispondere alle mie domande con esattezza.
Alla tua età io ero molto disordinato, andavo molte ore a scorrazzare nei campi, però studiavo anche molto bene perché avevo una memoria molto forte e pronta e non mi sfuggiva nulla di ciò che era necessario per la scuola : per dirti tutta la verità debbo aggiungere che ero furbo e sapevo cavarmela anche nelle difficoltà pur avendo studiato poco. Ma il sistema di scuola che io ho seguito era molto arretrato; inoltre la quasi totalità dei condiscepoli non sapeva parlare l’italiano che molto male e stentatamente e ciò mi metteva in condizioni di superiorità perché il maestro doveva tener conto della media degli allievi e il saper parlare l’italiano era già una circostanza che facilitava molte cose (la scuola era in un paese rurale e la grande maggioranza degli allievi era di origine contadina).
Carissimo, sono certo che mi scriverai senza interruzione e mi terrai al corrente della tua vita. Ti abbraccio.
Antonio
Cari Hildita, Aleidita, Camilo, Celia ed Ernesto,
se un giorno dovrete leggere questa lettera, è perché non sarò più tra voi.
Quasi non vi ricorderete di me e i più piccolini non mi ricorderanno affatto.
Vostro padre è stato un uomo che agisce come pensa
ed è certamente stato fedele alle sue convinzioni.
Crescete come buoni rivoluzionari. Studiate molto per poter
dominare la tecnica che permette di dominare la natura.
Ricordatevi che l’importante è la rivoluzione e che ognuno di noi, da solo, non vale niente.
Soprattutto siate sempre capaci di sentire nel più profondo di voi stessi ogni ingiustizia
commessa contro chiunque in qualsiasi parte del mondo: è la qualità più bella di un rivoluzionario.
Arrivederci, bambini miei, spero di rivedervi ancora.
Un grande bacio e abbraccio da papà
Mio carissimo figlio e compagno, sin dal giorno che ti vidi per l’ultima volta ho sempre avuto idea di scriverti questa lettera: ma la durata del mio digiuno e il pensiero di non potermi esprimere come era mio desiderio, mi hanno fatto attendere fino ad oggi. Non avrei mai pensato che il nostro inseparabile amore potesse così tragicamente finire!
Ma questi sette anni di dolore mi dicono che ciò è stato reso possibile. Però questa nostra separazione forzata non ha cambiato di un atomo il nostro affetto che rimane più saldo e più vivo che mai. Anzi, se ciò è possibile, si è ingigantito ancor più. Molto abbiamo sofferto durante il nostro lungo calvario.
Noi protestiamo oggi, come protestammo ieri e protesteremo sempre per la nostra libertà. Se cessai il mio sciopero della fame, lo feci perchè in me non era rimasta ormai alcuna ombra di vita ed io scelsi quella forma di protesta per reclamare la vita e non la morte, il mio sacrificio era animato dal desiderio vivissimo che vi era in me, per ritornare a stringere tra le mie braccia la tua piccola cara sorellina Ines, tua madre, te e tutti i miei cari amici e compagni di vita, non di morte. Perciò, figlio, la vita di oggi torna calma e tranquilla a rianimare il mio povero corpo, se pure lo spirito rimane senza orizzonte e sempre sperduto tra tetre, nere visioni di morte. Ricordati anche di ciò figlio mio. Non dimenticarti giammai, Dante, ogni qualvolta nella vita sarai felice, di non essere egoista: dividi sempre le tue gioie con quelli più infelici, più poveri e più deboli di te e non essere mai sordo verso coloro che domandano soccorso. Aiuta i perseguitati e le vittime perché essi saranno i tuoi migliori amici, essi sono i compagni che lottano e cadono, come tuo padre e Bartolomeo lottarono e oggi cadono per aver reclamati felicità e libertà per tutte le povere cenciose folle del lavoro. In questa lotta per la vita tu troverai gioia e soddisfazione e sarai amato dai tuoi simili. Continuamente pensavo a te, Dante mio, nei tristi giorni trascorsi nella cella di morte, il canto, le tenere voci dei bimbi che giungevano fino a me dal vicino giardino di giuoco ove vi era la vita e la gioia spensierata – a soli pochi passi di distanza dalle mura che serrano in una atroce agonia tre anime in pena! Tutto ciò mi faceva pensare a te e ad Ines insistentemente, e vi desideravo tanto, oh, tanto, figli miei! Ma poi pensai che fu meglio che tu non fossi venuto a vedermi in quei giorni, perché nella cella di morte ti saresti trovato al cospetto del quadro spaventoso di tre uomini in agonia, in attesa di essere uccisi, e tale tragica visione non so quale effetto avrebbe potuto produrre nella tua mente, e quale influenza avrebbe potuto avere nel futuro. D’altra parte, se tu non fossi un ragazzo troppo sensibile una tale visione avrebbe potuto esserti utile in un futuro domani, quando tu avresti potuto ricordarla per dire al mondo tutta la vergogna di questo secolo che è racchiusa in questa crudele forma di persecuzione e di morte infame. Si, Dante mio, essi potranno ben crocifiggere i nostri corpi come già fanno da sette anni: ma essi non potranno mai distruggere le nostre Idee che rimarranno ancora più belle per le future generazioni a venire. Dante, per una volta ancora ti esorto ad essere buono ed amare con tutto il tuo affetto tua madre in questi tristi giorni: ed io sono sicuro che con tutte le tue cure e tutto il tuo affetto ella si sentirà meno infelice. E non dimenticare di conservare un poco del tuo amore per me, figlio, perché io ti amo tanto, tanto… I migliori miei fraterni saluti per tutti i buoni amici e compagni, baci affettuosi per la piccola Ines e per la mamma, e a te un abbraccio di cuore dal tuo padre e compagno.
Nicola Sacco
Rispettabile Josif Vissarionovic! Conoscendo il suo interessato affetto per le culture del paese e in particolare per gli scrittori, mi permetto di rivolgermi a Voi con questa lettera. Il 23 ottobre a Leningrado sono stati arrestati dalla polizia segreta mio marito Nicolaij Nicolaevic (professore all’accademia dell’arte) e mio figlio Lev Nicolaevic Gumilev (studente all’università statale di Leningrado).Josif Vissiarionovic, io non so di cosa li accusano, ma do a voi la mia parola onesta che loro non sono fascisti, né spie, né partecipanti alle fondazioni controrivoluzionarie. Io abito nella URSS dall’inizio della Rivoluzione e non ho mai voluto lasciare il paese con il quale sono legata con la mente e con il cuore. Sebbene i miei versi non vengano pubblicati e i commenti dei critici mi diano tante amarezze, io non sono mai stata pessimista; in pesanti condizioni morali e materiali ho continuato a lavorare e ho già pubblicato un lavoro su Puskin, e il secondo sta per essere pubblicato. A Leningrado abito in modo molto riservato e spesso ho qualche problema fisico. L’arresto delle due uniche persone a me care mi ha recato una dura ferita che non riesco a sopportare.Io vi prego, Josif Vissarionovic, di tornarmi il marito e il figlio, sono sicura che di questo nessuno si pentirà.
Anna Achmatova

martedì 26 novembre 2013

Sette modi di ammazzare un gatto - Matías Néspolo

un ottimo esordio, una storia di periferia, lontano dal centro.
ambientato in un periodo di crisi, ma in quei bassifondi la crisi e la miseria sono condizioni permanenti, l'unica legge è quella del più forte e non se ne vede la fine.
il Gringo vive da una vecchietta, Mamita, che lo accudisce come un figlio, ma la sua vita è la strada e un amico, il Chueco, che è più di una cattiva compagnia.
il Gringo diventa "amico" di Ismaele, quando gli capita per le mani "Moby Dick", che legge un po' come un romanzo, un po' come se fosse "I Ching", cercando una qualche ispirazione; ha anche una cotta per una ragazza, che purtroppo non sarà la sua amante.
un libro abbastanza crudo e crudele, ma merita certamente di essere letto - franz


Nel barrio prevale la legge del più forte, non esistono legge, cultura o etica. La violenza è quotidiana e colpisce soprattutto le donne e i più giovani. Per sopravvivere non rimane che darsi alla delinquenza a costo di infrangere una delle regole non scritte del barrio, che consiste nel non creare guai nel proprio quartiere.
Il Chueco riesce a impossessarsi di una pistola e cercherà un’impossibile carriera nella malavita, il Gringo invece, di indole un po’meno violenta, tenterà di salvarsi e di uscire da quell’ambiente degradato e degradante. La sorte gli farà avere e leggere un grande romanzo, “Moby Dick”, nel quale troverà a volte conforto e consigli.
“Io leggo. Sconfiggo il sonno e combatto la paura. Col libro della balena schivo l’angoscia come posso, ma più di tanto Ismaele non mi aiuta” (p.116).
Talvolta non capirà i contenuti o le digressioni, ma comunque il libro gli sarà compagno nelle sue disavventure e nelle esperienze dolorose, che non mancheranno. Incontrerà anche una ragazza cui voler bene, pure lei vittima di eventi che la sovrastano e contro cui nulla potrà.
Romanzo duro e rapido – tutti  i fatti sono concentrati nell’arco di una settimana, che sembra dilatata per la densità degli eventi – “Sette modi di ammazzare un gatto” scoperchia uno scenario terribile e violento, disumano, tipico di ogni periferia degradata in qualsiasi parte del mondo. La galleria dei personaggi è varia, vi sono vittime e carnefici, individui animaleschi e privi di qualsiasi compassione e poveri privi del necessario e derubati anche dei diritti elementari. Per molti di loro non vi sono vie d’uscita, subiscono atroci violenze oppure soccombono.
Sembra che tutto il dolore e il male del mondo si siano concentrati nel barrio e lo punteggino di sinistri fuochi e spari assordanti. La speranza, per il Gringo, s’intravede, ma non è una certezza, è solo una possibilità, un barlume in un mondo di violenza e solitudine…

«I lavoretti si fanno fuori». Dunque il barrio è (e forse sarà sempre) un altro mondo, con le sue regole?
«La povertà estrema, l’emarginazione, il delitto sono un altro mondo, il lato oscuro della Luna. Una diversità così temuta che conviene non vederla e non darle voce. Soprattutto l’America latina di favelas e baracche. Ma anche questo mondo ha le sue regole. E’ interessante vedere come i grandi cambiamenti sociali possono rompere o modificare questi codici»…
Il suo libro può ricordare «Capitani della spiaggia» di Jorge Amado. Lei lo ha letto? Per noi italiani furono romanzi e film di Pier Paolo Pasolini a raccontarci le periferie: lei lo conosce?
«Molti critici hanno segnalato l’influenza di Pasolini, soprattutto “Ragazzi di vita” che però non ho letto e neppure conosco il romanzo di Amado. Sinceramente io di Pasolini ricordo “Teorema” che mi impressionò. Mi ha influenzato “Il giocattolo rabbioso” di Roberto Arlt ma devo molto anche a Rodolfo Walsh, Antonio Di Benedetto e Haroldo Conti».

Il tuo libro ha un ritmo serrato e cinematografico, e sembra già pronto per saltare dalla carta alla pellicola. Hai avuto qualche proposta in tal senso?
Credo che mi abbia influenzato il cosiddetto "nuovo cinema argentino" degli anni '90, che ha osato raccontare storie difficili in maniera aspra e senza fronzoli. Confesso che mentre scrivevo il libro lo vedevo in immagini, come se descrivessi scene di un film che si proiettava dentro la mia testa. No, per il momento non ho avuto offerte per l’adattamento cinematografico, ma mi piacerebbe molto e sono pronto e disponibile a questo tipo di esperienza.
Se ne avessi la possibilità, a quale regista affideresti la tua creatura? E quali attori vedresti nelle parti dei due protagonisti? E chi per Janina, il Gordo, El Jetitia?
Potendo scegliere, mi piacerebbe che dirigesse il film Pablo Trapero, un giovane regista che ammiro. E per quanto riguarda gli attori, non mi azzardo a fare il casting; vedrei bene comunque attori non professionisti, più vicini nella vita reale ai personaggi del romanzo. Un'esperienza del genere è stata fatta nel cinema argentino degli anni '90, con risultati molto buoni…

27 novembre 1983, in ricordo di Jorge Ibargüengoitia e Manuel Scorza

Nel volo 11 Avianca, in arrivo da Parigi, a pochi minuti dall’atterraggio all’aeroporto di Madrid, sono morti in un incidente aereo Jorge Ibargüengoitia e Manuel Scorza (entrambi avevano solo 55 anni), fra gli altri.
Per ricordare Manuel Scorza riporto la prima pagina di “Rulli di tamburo per Rancas”, che inizia così:
“1. Nel quale il sagace lettore sentirà parlare di una celeberrima moneta.
Dalla stessa cantonata della piazza di Yanahuanca da dove, con l’andare del tempo, sarebbe emersa la Guardia d’Assalto per fondare il secondo cimitero di Chinche, in un umido settembre il tramonto esalò un vestito nero. Il vestito, a sei bottoni, ostentava un panciotto solcato dalla catenella d’oro di un Longines autentico. Come tutti i tramonti degli ultimi trent’anni, il vestito scese in piazza per dare inizio ai sessanta minuti della sua imperturbabile passeggiata.
Verso le sette di quel freddoloso crepuscolo, il vestito nero si fermò, consultò il Longines e s’infilò in un casone a tre piani. Mentre il piede sinistro esitava a mezz’aria e quello destro pigiava il secondo dei tre scalini che uniscono la piazza al limitare, una moneta di bronzo scivolò fuori dalla tasca sinistra dei calzoni, rotolò tintinnando e si fermò sul primo scalino. Don Heròn de los Rìos, l’Alcalde, che stava aspettando da un po’ di sprofondarsi rispettosamente in una scappellata, gridò:‘Don Paco, le è caduto un sol!’.
Il vestito nero non si volse…”
E una poesia:
EPISTOLA AI POETI CHE VERRANNO
Traduzione (G.P.)
Forse domani i poeti chiederanno
Perché non celebriamo la grazia delle ragazze;
chissà domani i poeti chiedano
perché le nostre poesie
erano lunghi viali da dove giungeva l’ardente collera.
Io rispondo: da ogni parte si udiva pianto,
da ogni parte ci circondava un muro di onde nere.
Doveva essere poesia
una solitaria colonna di rugiada?
Doveva essere un lampo perpetuo.
Io vi dico:
finché qualcuno patisca,
la rosa non potrà essere bella;
finché qualcuno guardi il pane con invidia,
il frumento non potrà dormire;
finché i mendicanti piangano di freddo la notte,
il mio cuore non sorriderà.
Uccidete la tristezza, poeti.
Uccidiamo la tristezza con un palo.
Vi sono cose più grandi
che piangere l’amore di pomeriggi perduti:
il rumore di un popolo che si sveglia,
quello è più bello del rugiada.
Il metallo risplendente della sua collera,
quello è più bello della luna.
Un uomo veramente libero,
quello è più bello del diamante.
Perché l’uomo si è svegliato,
e il fuoco è fuggito dal suo carcere di cenere
per bruciare il mondo dove stava la tristezza.
Di Jorge Ibargüengoitia  riporto l’incipit de “Le morte”:
“È possibile immaginarli: tutti e quattro portano occhiali scuri, l’Escalera guida curvo sul volante, accanto a lui c’è il Prode Nicolás che legge un giornaletto, sul sedile posteriore, la donna guarda dal finestrino e il capitano Bedoya dormicchia ciondolando il capo.
L’auto blu cobalto sale stracca su per il dosso del Perro. E’ una soleggiata mattina di gennaio. Non si vede una nuvola. Il fumo delle case galleggia sulla pianura. La strada è lunga, all’inizio dritta, ma passato il dosso serpeggia per la sierra di Güemes, tra i fichi d’India…”;
di “Due delitti”:
“La storia che sto per raccontare inizia una notte in cui la polizia violò la Costituzione. Fu anche la notte in cui la Chamuca e io organizzammo una festa per celebrare il nostro quinto anniversario, non di nozze, perché non siamo sposati, ma della sera in cui lei “mi si concesse” su uno dei tavoli da disegno del laboratorio del Dipartimento di Progettazione. C’era un’aria carica di smog che non lasciava vedere neppure il monumento alla Rivoluzione che dista due isolati, io facevo il disegnatore, la Chamuca aveva studiato sociologia, ma aveva un posto da dattilografa, entrambi facevamo gli straordinari, non c’era nessuno nel laboratorio. Alla festa per l’anniversario avevamo invitato sei fra i nostri migliori amici, cinque dei quali arrivarono alle otto carichi di regali; il Manotas col libro di Lukács, i Pereira col jorongo di Santa Marta, Lidia Reynoso con certi piatti di Tzinzunzan e Manuel Rodríguez con due bottiglie di ottima vodka che si era procurato tramite un amico suo che lavorava all’ambasciata sovietica…”;
e de “I lampi d’agosto”:
“Da dove cominciare? A nessuno importa dove sono nato, né il motivo della mia nomina a Segretario Privato della Presidenza; tuttavia, voglio mettere bene in chiaro che non sono nato in una stalla, come dice Artajo, che mia madre non era una prostituta, come taluni hanno insinuato, e che non è vero che non ho mai messo piede in una scuola, visto che ho terminato le elementari perfino con gli elogi dei maestri; quanto al posto di Segretario Privato della Presidenza della Repubblica, me l’offrirono in considerazione dei miei meriti personali, tra i quali è bene annoverare la mia raffinata educazione che suscita sempre ammirazione e invidia, la mia onestà a tutta prova, che in certe occasioni mi ha addirittura causato fastidi con la polizia, la mia intelligenza perspicace, e soprattutto, la mia simpatia personale, che a molte persone invidiose riesce insopportabile…”
Senza dimenticare che “Jorge Ibargüengoitia scrive un libro ogni qual volta desidera leggere un libro di Jorge Ibargüengoitia, che è il suo scrittore preferito”... (da qui)
Jorge Ibargüengoitia e Manuel Scorza hanno scritto capolavori, o, nelle opere minori, solo cose bellissime, da leggere o rileggere, senza scuse.
(anche qui)

sabato 23 novembre 2013

discorso di Doris Lessing per l'accettazione del Nobel 2007

Mi trovo su una soglia a guardare attraverso nuvole di polvere che soffia, verso dove mi dicono che c’è ancora foresta non disboscata. Ieri sono passata in macchina fra migliaia di ceppi e resti bruciacchiati di incendi dove, nel 1956, c’era la più meravigliosa foresta che io abbia mai visto, ora tutta distrutta. La gente deve mangiare. Ha bisogno di carburante per accendere il fuoco.
E’ il nordovest dello Zimbabwe all’inizio degli anni Ottanta, e sono venuta a trovare un amico che insegnava in una scuola di Londra. E’ qui per “aiutare l’Africa”, come diciamo noi. E’ un’anima dolce e idealista, e quello che ha trovato in questa scuola lo ha talmente scioccato che è entrato in una depressione dalla quale ha fatto fatica a riprendersi. Questa scuola è come ogni altra costruita dopo l’indipendenza. Consiste in quattro grandi stanze di mattoni una accanto all’altra, messe direttamente nella polvere, un due tre quattro, con mezza stanza a un’estremità, che è la biblioteca. In queste aule ci sono delle lavagne, ma il mio amico si tiene i gessi in tasca, perché altrimenti verrebbero rubati. Nella scuola non c’è un atlante o un mappamondo, non ci sono libri di testo né quaderni né biro... Nella biblioteca non ci sono libri del tipo che gli alunni vorrebbero leggere, ma solo tomi di università americane, difficili perfino da sollevare, rifiuti delle biblioteche bianche, gialli o titoli come Weekend a Parigi o Felicity trova l’amore.
 C’è una capra che cerca di trovare sostentamento in un po’ di erba vecchia. Il preside della scuola si è intascato i fondi ed è stato sospeso. Il mio amico non ha denaro perché tutti, alunni e insegnanti, glielo chiedono in prestito quando viene pagato e probabilmente non glielo restituiranno mai. Gli allievi hanno dai sei ai ventisei anni, perché alcuni che non hanno ricevuto un’istruzione da bambini sono qui per recuperare. Alcuni allievi percorrono molte miglia a piedi ogni mattina, che piova o faccia bello, attraversando anche i fiumi. Non possono fare i compiti perché nei villaggi non c’è la luce, e non si riesce a studiare facilmente alla luce di un ciocco di legna che brucia. Le ragazze devono andare a prendere l’acqua e cucinare prima di avviarsi a scuola, e poi quando tornano.
Mi siedo col mio amico nella sua stanza, la gente passa timidamente, e tutti supplicano per avere dei libri. “Per favore, ci mandi dei libri quando torna a Londra”, dice un uomo, “ci hanno insegnato a leggere ma non abbiamo libri”. Tutti quelli che ho incontrato, tutti, hanno supplicato di avere dei libri.
Rimasi lì per qualche giorno. La polvere soffiava. Le pompe si erano guastate e le donne dovevano andare a prendere l’acqua al fiume. Un altro insegnante idealista arrivato dall’Inghilterra si era ammalato nel vedere com’era questa cosiddetta scuola.
L’ultimo giorno hanno ucciso la capra. L'hanno tagliata a pezzetti e l'hanno cucinata in una grande pentola di latta. Era il tanto atteso banchetto di fine trimestre: capra bollita e porridge. Sono ripartita in macchina che il banchetto era ancora in corso, passando di nuovo fra le cicatrici e i monconi della foresta.
Non credo che molti degli allievi di questa scuola riceveranno dei premi.
Il giorno dopo devo tenere un discorso in una scuola a nord di Londra, un’ottima scuola. E’ una scuola maschile, con edifici e giardini stupendi. I ragazzi lì ricevono ogni settimana la visita di qualcuno che conoscono bene: può essere il padre di qualcuno o un parente, e non è insolito per loro ricevere la visita di una celebrità.
Mentre tengo loro il discorso, ho in mente la scuola fra le nubi di polvere nel nordovest dello Zimbabwe, e guardo le tiepide aspettative delle facce inglesi che ho davanti e cerco di dir loro che cosa ho visto nell’ultima settimana. Aule senza libri, senza libri di testo, o un atlante, o nemmeno una carta geografica appesa al muro. Una scuola in cui gli insegnanti supplicano di spedire loro dei libri perché possano imparare a insegnare, visto che loro stessi hanno diciotto o diciannove anni. “Per favore, ci mandi dei libri”. Ma nella loro mente non ci sono immagini da associare a quello che sto raccontando: quelle di una scuola che sorge fra nubi di polvere, dove c’è scarsità d’acqua, e dove il lusso di fine trimestre è una capra appena uccisa cucinata in un pentolone.
E’ veramente così impossibile per questi studenti privilegiati immaginare una povertà così estrema?
Faccio del mio meglio. Loro sono educati.
Sono sicura che un giorno qualcuno di loro vincerà dei premi.
Poi il discorso si conclude. Dopo chiedo agli insegnanti com’è la biblioteca, e se gli allievi leggono. In questa scuola privilegiata, mi sento dire quello che sento sempre quando vado in questo tipo di scuole e perfino nelle università. “sa com’è,” dice uno degli insegnanti, “molti ragazzi non hanno mai letto un libro, e la biblioteca è usata solo parzialmente”.

Sì, è vero, sappiamo tutti com’è. Tutti noi...

venerdì 22 novembre 2013

Siamo quello che leggiamo. Crescere tra lettura e letteratura – Aidan Chambers

leggendo il libro ho scoperto perché Aidan Chambers mi è sempre piaciuto così tanto, è che abbiamo avuto in comune due cose, da ragazzini, la prima è che per anni, alle elementari leggevamo più è più volte un libro solo, c'era solo quello a casa, la seconda è la scoperta dei libri e della letteratura grazie a un insegnante, e questo ha fatto tutta la differenza.
sembra che Aidan Chambers arrivi dalle ultime pagine di "Fahrenheit 451", difendere e diffondere la lettura (nel suo caso anche la scrittura) è la sua missione, perché credo ci ci potrebbe dire, come dice Flaubert, "non leggete, come fanno i bambini, per divertirvi, o, come gli ambiziosi, per istruirvi. No, leggete per vivere".
a me questo libro è proprio piaciuto, non è un romanzo, ma lo si legge (o lo si legga) come se lo fosse - franz 



…Giovane dislessico, proveniente da una famiglia modesta con pochi libri, un “non lettore” a tutti gli effetti, Aidan comincia a leggere verso i 9 anni e poco dopo, grazie al suo amico Alan con cui sperimenta il piacere della condivisione di un testo, impara a frequentare la biblioteca pubblica. “A 13 anni ho letto il primo libro da solo, non obbligato dalla scuola. Era la storia di un ragazzo che stava diventando adulto e aveva il mio stesso problema di non riconoscersi in ciò che era per gli altri. Si intitolava Figli e amanti, capolavoro di D. H. Lawrence. È stato allora che ho pensato che avrei voluto scrivere e ho iniziato a provarci, anche se il primo libro che conti l’ho pubblicato che avevo già quarant’anni”.
All’istituto secondario per ragazzi problematici fa la conoscenza di un insegnante di inglese che gli aprirà la via al Ginnasio. Lì incontrerà il professor Jim Osborne che darà un impulso alla sua crescita come lettore: per Osborne infatti “la lettura di letteratura era la chiave dell’educazione”. Aidan quindicenne scopre così la lingua “come un fiume sacro”, scopre il piacere di scegliersi un libro da solo, in concomitanza con lo sviluppo e diffusione in Inghilterra dei popolari “Penguin books”. Nell’ultimo biennio delle superiori fa l’esperienza di bibliotecario alla “Grammar school”, occupandosi anche della scelta degli acquisti…

"Le storie sono la forma attraverso la quale usiamo la lingua per creare e ricreare noi stessi - le nostre idee su chi siamo, da dove veniamo, che cosa possiamo diventare. La lingua è il dio che ci crea. Non sono le esperienze che viviamo a cambiarci e a formarci, come comunemente si crede, ma le storie che noi raccontiamo di quelle esperienze. Finché non abbiamo ridato forma alle nostre vite in un racconto strutturato in narrazione, non possiamo trovare e contemplare il significato delle esperienze che abbiamo vissuto. Sono le storie a cambiarci, non gli eventi che viviamo"

Nel convegno “Tantestorie” del novembre 2011 a Torino, pensando alla triste situazione di molti paesi, tra cui l’Inghilterra, che spendono in modo insensato il denaro pubblico e dove si chiudono i luoghi di cultura, come le biblioteche pubbliche, Chambers osservò:
“Non so come usciremo da questo vicolo cieco, ma so che bisogna mantenere viva la propria speranza, ma come si fa? Si mantiene la propria speranza nel momento in cui la si dona agli altri. Ogni volta che siete con un bambino/ragazzo a cui permettete di leggere più di quanto non farebbe da solo, gli state dando una speranza. Gli state offrendo una scala per uscire dal buco in cui si trova. Primo Levi ripeteva l’antico detto ebraico: “salva una sola persona e salverai il mondo”. Ogni volta che qualcuno permette a un bambino/ragazzo di diventare un lettore consapevole e qualificato non sta dando una speranza solo a lui ma, attraverso questo atto, sta salvando il mondo.”


martedì 19 novembre 2013

Il secolo del lavoro stupido - David Graeber

Nel 1930,John Maynard Keynes prevedeva che entro la fine del secolo la tecnologia sarebbe progredita abbastanza da permettere a paesi come il Regno Unito o gli Stati Uniti di approdare alla settimana lavorativa di quindici ore. Aveva ragione: in termini di tecnologia, saremmo perfettamente in grado di riuscirci. Eppure non è ancora successo. Anzi, semmai la tecnologia è stata arruolata per inventare nuovi modi di farci lavorare tutti di più.
A tale scopo sono stati creati lavori che sono di fatto inutili.
Enormi schiere di persone, soprattutto in Europa e Nordamerica, trascorrono tutta la loro vita professionale eseguendo compiti che segretamente ritengono inutili. I danni morali e spirituali che derivano da questa situazione sono profondi. È una cicatrice sulla nostra coscienza collettiva. Eppure non ne parla praticamente nessuno. Perché l’utopia promessa da Keynes non si è mai materializzata? La spiegazione standard è che Keynes non aveva preventivato la mole dell’incremento del consumismo. Messi davanti alla scelta tra meno ore di lavoro e più giocattoli e piaceri, abbiamo collettivamente scelto i secondi. Il che porterebbe con sé anche una morale simpatica, non fosse che basta riflettere un attimo per capire che non può essere così. È vero, dagli anni venti in poi abbiamo assistito alla creazione di un’infinità di nuovi lavori e industrie, ma sono pochissimi quelli che hanno a che vedere con la produzione e la distribuzione di sushi, iPhone o scarpe da ginnastica costose.
Allora cosa sono esattamente questi nuovi lavori?
Un recente studio che confronta l’occupazione negli Stati Uniti tra il 1910 e il 2000 ci fornisce un’immagine chiara. Durante il secolo scorso, il numero di lavoratori impiegati come domestici, nel settore industriale e in quello agricolo è crollato. Parallelamente, “le libere professioni, i lavori dirigenziali, d’ufficio, di vendita e di servizio” sono triplicati, passando da un quarto degli impieghi complessivi a tre quarti. In altre parole, i lavori produttivi, esattamente come previsto, sono stati in gran parte sostituiti dall’automazione(anche calcolando il numero di lavoratori industriali a livello mondiale, comprese le masse che sgobbano in India e in Cina, questi lavoratori non rappresentano neppure alla lontana la stessa percentuale di popolazione mondiale di una volta. Ma anziché consentire una significativa riduzione delle ore di lavoro per rendere la popolazione mondiale libera di dedicarsi ai propri progetti, piaceri e idee, abbiamo assistito all’esplosione non tanto del settore dei“servizi”, quanto di quello amministrativo, arrivando a comprendere la creazione di intere nuove industrie come quella dei servizi finanziari o del telemarketing, o l’espansione senza precedenti di settori come quello giuridico-aziendale, accademico, dell’amministrazione sanitaria, delle risorse umane e delle pubbliche relazioni.
E questi numeri non comprendono tutte quelle persone che per lavoro forniscono a queste industrie assistenza amministrativa, tecnica o relativa alla sicurezza, né – se è per questo – l’esercito di attività secondarie (come i toelettatori di cani o i fattorini che consegnano pizze tutta la notte) che esistono soltanto perché le altre persone passano tanto tempo a lavorare in tutte le altre. Sono mestieri che propongo di definire “lavori stupidi”.
È come se esistesse qualcuno che inventa lavori inutili solo per farci continuare a lavorare. E proprio qui sta il mistero: nel capitalismo, questo è esattamente quel che non dovrebbe succedere. Certo, nei vecchi stati socialisti inefficienti come l’Unione Sovietica, dove il lavoro era considerato insieme un diritto e un sacro dovere, il sistema si occupava di inventare tutti i lavori necessari (ecco perché nei grandi magazzini sovietici ci volevano tre commessi per vendere un pezzo di carne). Ma questo, naturalmente, è proprio il genere di problema che la concorrenza di mercato dovrebbe correggere. Secondo le teorie economiche, perlomeno, l’ultima cosa che deve fare un’azienda desiderosa di profitti è sborsare soldi a lavoratori di cui non ha davvero bisogno. Eppure, non si sa perché, succede lo stesso...

continua qui  (articolo pubblicato su "Internazionale")

grazie a daniele per averlo segnalato

«Liberate il Valle!», dice Carlo Cecchi

«L’occupazione del Teatro Valle? In nessun paese civile si lascerebbe un teatro fra i più antichi, fra i più belli nelle mani di un piccolo gruppo di persone che potrebbero gestire, al massimo, un centro sociale»: Carlo Cecchi è chiarissimo. Interrogato da Succedeoggi sulla questione “Valle occupato” non si nasconde dietro all’attendismo o – figuriamoci! – dietro al bon-ton salottiero (come tanti altri…). No. Dice le cose come stanno: «Non è nemmeno uno scandalo, per la semplice ragione che è lo specchio di un Paese allo sfascio».
Tra i tanti paradossi che sorreggono l’occupazione del Teatro Valle ce n’è uno particolarmente odioso: si vuol far credere che tutti i teatranti siano dalla parte degli occupanti (che vantano premi e presenze strabilianti in ogni circostanza) ma poi a grattare la crosta della propaganda si scopre che non è così. Basterebbe dar voce a chi dissente per rendersene conto. E invece si ha l’impressione che gli occupanti del Valle dispongano soprattutto di buoni esperti di comunicazione: sono riusciti a far tacere le critiche e far arrivare all'opinione pubblica solo i “premi”.
Continua Carlo Cecchi: «Il teatro, come dice Amleto, rispecchia la realtà. Anche l’occupazione del Valle rispecchia la nostra realtà: riflette le ultime luci di un tramonto già avvenuto. Il tramonto dell’Italia ormai sprofondata nell'inciviltà, nell'immoralità»...

lunedì 18 novembre 2013

ricordo di Doris Lessing

ho letto “Il diario di Jane Somers” tanti anni fa, bellissimo e indimenticabile.
inizia così:

Questa prima parte è il riepilogo di circa quattro anni. Non tenevo un diario, allora. Vorrei averlo fatto. Quello che so è che ora vedo quel periodo in maniera diversa da quando lo stavo vivendo.
La mia vita fino al momento in cui Freddie cominciò a morire era una cosa, poi diventò un'altra. Fino a quel momento mi ero sempre considerata una brava persona. Come tutti, voglio dire, questo lo so. Come la gente con cui lavoro, principalmente. Ora so che non mi ero mai posta la domanda di come fossi in realtà, che avevo solo preso in considerazione il giudizio degli altri.
Quando Freddie cominciò a sentirsi tanto male il mio primo pensiero fu: non è giusto. Non per me, pensavo in segreto. Sapevo, anche se non con certezza, che stava morendo, ma continuavo a comportarmi come se non fosse vero. Questo non era bello. Freddie doveva sentirsi solo. Ero orgogliosa di me stessa perché continuavo a lavorare, come sempre, "continuavo a guadagnarmi da vivere" - be', dovevo farlo, lui non poteva lavorare. Ma ero grata di avere una scusa per non stare con lui durante quei momenti terribili…


domenica 17 novembre 2013

dice Ken Kesey

Qual è il compito dello scrittore nell'America contemporanea? Non ne sono sicuro, ma faccio un esempio.
Uno di questi giorni starai camminando per strada e, all'improvviso, vedrai una luce. Guarderai dall'altra parte della strada e, in piedi all'angolo, vedrai Dio. Saprai che è Dio perché avrà una chioma gonfia e ricciuta contornata da un'aureola, come Gesù, avrà occhietti a mandorla come Buddha, e un sacco di spade appese al cinturone, come Maometto.
E ti dirà: - Vieni a me. Attraversa la strada e vieni a me. Oh, vieni a me, manderò le Muse a sussurrarti all'orecchio che sei il più grande scrittore di sempre, meglio di Shakespeare. Vieni a me, avranno tette come angurie e capezzoli come mirtilli. Vieni a me. Non devi fare altro che cantare le mie lodi.
Il tuo compito è rispondere: - Vaffanculo, Dio. Vaffanculo. Vaffanculo. Vaffanculo.
E' compito tuo, perché nessun altro lo farà. I nostri politici non lo faranno. Nessuno, a parte lo scrittore, lo farà. Nella storia vi sono tempi in cui vanno cantate le lodi del Signore, ma non adesso.
Adesso è tempo di dire: - Vaffanculo. Non m'importa chi era tuo padre. Vaffanculo.
E poi, tornare a scrivere.

sabato 16 novembre 2013

un'intervista con Ken Loach

Tu sei stato la prima grande personalità a sostenere e supportare l’appello per il boicottaggio culturale di Israele e hai aperto la strada per tutti gli altri che volevano unirsi a te. Alcune persone dicono che non dovresti boicottare la cultura. Cosa risponderesti in questo caso?
Prima di tutto, sei un cittadino, un essere umano. Quando ti trovi davanti a tali crimini, devi rispondere in quanto essere umano, indipendentemente da che tu sia un artista, un VIP o qualcos’altro. Devi prima di tutto rispondere e devi fare tutto quello che puoi per attirare l’attenzione delle persone sul problema. Il boicottaggio è una tattica. E’ efficace contro Israele perché questo si presenta come un “faro” della cultura, ed è quindi molto suscettibile al boicottaggio culturale. Non dovremmo aver niente a che fare con progetti che sono supportati dallo Stato di Israele. Ciò non riguarda le singole persone, dobbiamo concentrarci sulle azioni dello Stato israeliano. E’ questo che dobbiamo prendere di mira. E lo prendiamo di mira perché non possiamo semplicemente stare fermi e guardare persone costrette a vivere le proprie vite nei campi profughi per sempre.
Israele usa l’arte e la cinematografia per una campagna chiamata ‘Brand Israel’. L’arte è quindi politicizzata. Per quanto ti riguarda, tutti i tuoi film sono politici. Quindi, secondo te, l’arte può essere uno strumento per combattere l’oppressione?
 Sì. La questione fondamentale è questa: qualsiasi storia scegli di raccontare o qualsiasi immagine scegli di mostrare, quello che scegli indica quali sono le tue intenzioni. Se fai qualcosa che è interamente d’evasione, in un mondo che è pieno d’oppressione, questo indica quali sono le tue priorità. Quindi un grande film commerciale, girato per fare dei soldi, mostra qualcosa. Ha delle conseguenza politiche ed implica delle prese di posizione politiche. La maggior parte dell’arte ha un contesto e delle implicazioni politiche.
Hai sentito di World War Z, un film con dove c’è un virus letale che uccide le persone in tutto il mondo, e l’unico posto sicuro è Israele per via del muro che hanno costruito?
Suona molto come storia di estrema destra. Bisogna vedere il film prima di emettere un giudizio, ma dalla tua descrizione, sembra proprio un fantasia di estrema destra. E’ interessante che Israele si riveli tramite i suoi amici. Nel nord dell’Irlanda – che ha una lunga storia di divisioni tra lealisti e repubblicani – i lealisti, sui loro muri, hanno la bandiera di Israele e dei bianchi del Sud Africa; i repubblicani della Palestina e dell’ANC. E’ curioso come queste alleanze rivelino così tanto di ciò che pensa la gente.
Sei preoccupato dell’avanzata della destra e delle ideologie di estrema destra in Europa?
A me ricorda i primi anni ’30. L’avanzata dell’estrema destra si accompagna sempre con la recessione economica, la depressione e la disoccupazione di massa. Le persone al potere, che vogliono mantenere il loro potere, devono sempre trovare dei capri espiatori poichè non vogliono che le persone combattano il loro vero nemico, cioè il capitalismo classista, i proprietari delle grandi industrie, coloro che controllano la politica. Hanno invece bisogno di trovare un capro espiatorio. I più poveri, gli immigrati, i richiedenti asilo, i rom. Le destra scegli i più vulnerabili, i più deboli da biasimare per la crisi del loro sistema economico. Nella disoccupazione di massa le persone diventano infelice e hanno bisogno di qualcosa contro cui lottare. Gli ebrei vennero presi di prima negli anni ’30, e gli vennero fatte cose terribili. Oggi sono gli immigrati, i disoccupati… In Gran Bretagna abbiamo un pessimo sistema mediatico che biasima coloro che non hanno lavoro per la loro disoccupazione mentre, ovviamente, non ci sono possibilità di lavoro.   
Come possiamo rispondere a questo quando la stessa gente controlla stampa, capitali e politica? Come possiamo, noi, società civile, senza accesso alla stampa dei principali media, sfidare e sconfiggere questa ideologia? 
Bella domanda. Alla fine non c’è alcuna casa in cui rifugiarsi se non la politica. Bisogna fare un’analisi della situazione ed organizzare la Resistenza. Come sia da organizzare è sempre un bella questione. Bisogna sconfiggere qualsiasi attacco sul campo e stare in solidarietà dalla parte di coloro che sono sotto attacco. Bisogna anche organizzare partiti politici. Il problema è che abbiamo partiti che hanno analisi false. Abbiamo i partiti stalinisti della sinistra che hanno condotto per anni le gente dentro un vicolo cieco, abbiamo i socialisti democratici che vogliono che la gente pensi che dobbiamo lavorare all’interno del sistema, che possiamo riformarlo, che possiamo farlo funzionare. Il che ovviamente è una fantasia, non funzionerà mai. La domanda è quale politica? Le persone sono quotidianamente in difficoltà con tutto ciò…

contro i libri digitali a scuola

“Demenza Digitale“ (di Manfred Spitzer) è il titolo di un libro che dovrebbe far riflettere sui computer (e non solo) a scuola.
“quando si dichiara che a scuola si studia meglio grazie ai media digitali, non bisogna dimenticare che non esistono dimostrazioni di queste tesi. Quasi tutti gli studi sui risultati scolastici con l’introduzione dei computer nelle scuole sono stati realizzati e sponsorizzati, non a caso, dall’industria informatica e dalle società telefoniche”
“chi è favorevole all’introduzione dei media digitali nelle scuole usando soldi pubblici, deve prima dimostrare l’effetto positivo di questa misura. Gli studi a disposizione ci inducono a pensare che portatili e lavagne interattive nelle scuole ostacolino il processo di apprendimento e quindi danneggino gli alunni”
“secondo gli autori dello studio PISA in Germania la semplice presenza di un computer in casa conduce dapprima i bambini a usarlo per giocare. Questo li distrae dallo studio e ripercuote negativamente sui risultati scolastici. Riguardo all’utilizzo del computer a scuola, da un lato si è visto che gli allievi che non utilizzano mai un computer ottengono risultati leggermente inferiori rispetto a quelli che lo usano una volta all’anno o più di una volta al mese. D’altro canto i risultati in lettura e aritmetica di chi ricorre al computer più volte alla settimana sono peggiori. E lo stesso accade con l’uso di internet nelle scuole”
” i computer elaborano informazioni. Da qui si deduce erroneamente che i computer siano strumenti ideali di apprendimento. Invece, proprio il fatto di sottrarci il lavoro mentale, i computer non sono adatti per imparare meglio. L’apprendimento presuppone una lavoro mentale autonomo: più a lungo, e sopratutto in modo più approfondito, si elabora un contenuto, meglio lo si impara”
“il cervello di un adulto è sostanzialmente diverso da quello ancora in via di sviluppo di un bambino. Questo semplice fatto viene praticamente ignorato da tutti gli esperti che si occupano del tema dei media digitali in ambito educativo”
“sebbene l’attuale coorte degli studenti universitari americani disponga di una preparazione tecnologica impensabile in passato, i ragazzi non prediligono i manuali elettronici rispetto ai normali testi di studio. Inoltre non sono stati rilevati collegamenti con e-book letti in precedenza o con una generale predilezione dei libri elettronici: i soggetti del test che leggevano in prevalenza e-book preferivano comunque studiare su testi stampati”
“se si chiede agli studenti universitari che cosa preferiscono tra manuali elettronici o libri stampati, si ottiene un risultato stupefacente: il 75% dei presunti nativi digitali sceglie i libri stampati e solo il 25% quelli elettronici. E’ quanto appurato nel marzo del 2011 da un sondaggio americano tra 655 studenti tra i 18 e i 24 anni”
“è ora che le decisioni nell’ambito della pedagogia non seguano le richieste del mercato, bensì dati scientifici comprovati. Siamo ben lontani da tutto ciò”
“il 12% dei giovani della Corea del Sud, il paese che attualmente vanta l’uso più intensivo di media digitali, accusa sintomi conclamati di dipendenza. Questo rende ancora più discutibile l’invocazione di una maggiore competenza mediatica negli asili e nella scuola elementare”
“si sostiene spesso che la competenza mediatica sia una competenza chiave. A ben guardare non riguarda né la programmazione né la capacitò di pensiero logico (algebra di Boole), né altre capacità intellettuali mentali legate ai media digitali, bensì solo un conoscenza superficiali dei software più diffusi”
“l’aspetto più ingannevole nel concetto di competenza mediatica è che per utilizzare internet non è necessaria alcuna capacità specifica. Ciò che serve è invece una solida cultura di base o generale. Chi già ne dispone potrà trovare molti contenuti su internet e informarsi in maniera approfondita. Chi invece non conosce (ancora) niente non diventerà più colto tramite i media digitali. Perché è necessario avere conoscenze preliminari di un determinato contenuto per poterlo approfondire. Chi non è convinto può provare a inserire in un motore di ricerca un contenuto di cui non sa assolutamente nulla. Si accorgerà ben presto che Google non è in grado aiutarlo. Vale invece il contrario: più so, prima trovo in rete i dettagli che mi erano sconosciuti.”

Un’altra Cassa Depositi e Prestiti è possibile - Attac italia

1. Non passa giorno che la Cassa Depositi e Prestiti non venga invocata per finanziare questo o quel progetto, per tappare questo o quel buco, per rilanciare questo o quel settore dell’economia.
Quasi nessuno tuttavia riflette su cosa sia veramente Cassa Depositi e Prestiti e cosa sia diventata da quando nel 2003 è stata trasformata in società per azioni e al suo interno sono entrate le fondazioni bancarie. Vista la gravità della crisi economica e sociale che viviamo, è giunto il momento di porre fine ad una privatizzazione occulta di questa importante istituzione di finanza pubblica e di mettere in campo una forte ed ampia iniziativa politica per la sua socializzazione.
Occorre di conseguenza fare un po’ di chiarezza.
2. Cassa Depositi e Prestiti fin dalla sua nascita e sino al 2003 aveva funzioni ben precise : era un ente dello Stato, con il compito di raccogliere il risparmio postale dei cittadini e dei lavoratori e di tutelarlo attraverso un interesse basso –trattandosi di risparmio “a vista”, ovvero ritirabile in qualsiasi momento – ma garantito dallo Stato. Contemporaneamente, l’insieme del gettito raccolto veniva convogliato ad un unico scopo : finanziare a tassi calmierati gli investimenti degli enti locali. Si trattava a tutti gli effetti di una doppia funzione pubblica e sociale, fuori da logiche di mercato.
3. Era una funzione linearmente ancorata all’art. 47 della Costituzione, che incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme e ne promuove la destinazione a fini di interesse generale, in diretta contrapposizione alla speculazione e alla globalizzazione finanziaria.
4. Nel 2003, Cassa Depositi e Prestiti viene trasformata in Spa e le fondazioni bancarie entrano nel suo capitale sociale (con il 30%, oggi ridotto al 18%). Da quel momento e progressivamente, Cassa Depositi e Prestiti muta strutturalmente la propria funzione che, da pubblica, diviene privatistica, ovvero finalizzata alla produzione di dividendi per gli azionisti (Ministero del Tesoro e fondazioni bancarie).
Nel contempo assume sempre più funzioni, alcune per conto dello Stato, altre come soggetto operante a tutto campo nell’economia del Paese a sostegno di puri interessi privati, fino al ruolo preponderante di oggi, in cui rappresentando il vero snodo delle risorse a disposizione nel pieno della crisi globale, diviene il focus per ogni scelta di politica economica in atto o in progetto…

venerdì 15 novembre 2013

Una seria politica per i rifugiati è possibile - Carlo Devillanova e Francesco Fasani

MIGRANTI, METAFORE RELIGIOSE E CANALI DI INGRESSO
È banale, e per questo ancora più triste, constatare che la tragedia di Lampedusa e i suoi oltre 300 morti evidenziano per l’ennesima volta il fallimento delle politiche di gestione deiflussi migratori verso l’Europa. (1) Più complessa e controversa è l’attribuzione delle responsabilità.
Il 3 ottobre 2013, mentre diventava evidente la misura della catastrofe, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, additava le responsabilità degli scafisti, invocando il presidio delle frontiere per “stroncare il traffico criminale di esseri umani”. Il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, ipotizzava addirittura un disegno divino per attribuire la responsabilità all’Europa: “Spero che la divina provvidenza abbia voluto questa tragedia per far aprire gli occhi all’Europa” . (2) Proseguendo con le metafore religiose, e senza voler in alcun modo minimizzare il ruolo di Europa e scafisti in queste morti, sarebbe forse più efficace iniziare a rimuovere le travi che albergano nei nostri occhi, indipendentemente dal fatto che quelle negli occhi degli altri siano pagliuzze, travi o intere foreste.
Se invece passiamo al linguaggio dell’economia, dobbiamo parlare di scelte e incentivi. Su quelle barche che cercano di approdare sulle nostre coste viaggiano sia immigrati “economici” che potenziali rifugiati. I primi vengono in Europa a cercare un lavoro e migliori condizioni di vita, i secondi cercano riparo da persecuzioni personali o da conflitti. In entrambi i casi, si tratta del risultato della sostanziale assenza di plausibili canali di accesso regolare in molti paesi europei e, in particolare, in Italia.
Degli immigrati “economici” si è già detto molto, anche su questo sito. Il punto cruciale è che gli immigrati che si trovano già in Italia senza documenti hanno una probabilità di diventare stranieri legalmente residenti (grazie a sanatorie o a un uso improprio del decreto flussi) assai più elevata di chi resta nel proprio paese di origine ad aspettare la chimera di un ingresso legale. (3) Difficile stupirsi, quindi, se molti di loro decidono di venire in Italia irregolarmente, spesso rischiando la vita...

giovedì 14 novembre 2013

Hajo Meyer, un ebreo antisionista contro lo stato di Israele

...Cosa l’ha spinta a scrivere il suo libro, La fine del giudaismo?
In passato, i media europei hanno scritto molto sui politici di estrema destra come Joerg Haider in Austria e Jean-Marie Le Pen in Francia. Ma quando Ariel Sharon venne eletto [primo ministro] in Israele nel 2001, i media rimasero zitti. Ma negli anni ’80 capii il pensiero profondamente fascista di questi politici. Con il mio libro ho voluto prendere le distanze da tutto ciò. Sono cresciuto nel giudaismo avendo come valore fondamentale l’eguaglianza dei rapporti tra gli esseri umani. Sono venuto a sapere dell’esistenza del giudaismo nazionalista solo quando ho sentito i coloni difendere nelle interviste le loro prepotenze a danno dei palestinesi. Quando un editore mi ha chiesto di scrivere qualcosa sul mio passato ho deciso di scrivere questo libro, per fare i conti col mio passato. Le persone di un gruppo che disumanizzano le persone che appartengono a un altro gruppo lo fanno o perché l’hanno imparato dai genitori o perché sono stati manipolati dai loro leader politici. Questo in Israele è accaduto per decenni, nel senso che hanno manipolato l’Olocausto per i loro scopi politici. Nel lungo periodo il paese si sta distruggendo, inducendo così i suoi cittadini ebrei a diventare paranoici. Nel 2005, [l’allora primo ministro] Ariel Sharon ha illustrato tutto ciò dicendo alla Knesset che “sappiamo che non possiamo fidarci di nessuno, possiamo fidarci solo di noi stessi”. Questa è la definizione più concisa che ci sia di qualcuno che soffre di paranoia clinica. Uno dei crucci più grandi della mia vita è che Israele si definisce con l’inganno uno stato ebraico, mentre in realtà è sionista. Vuole il massimo del territorio con il minor numero possibile di palestinesi. Io ho quattro nonni ebrei. Sono ateo. Condivido il retaggio socio-culturale ebraico e ho imparato l’etica ebraica. Non voglio essere rappresentato da uno stato sionista. Non hanno idea di cosa è stato l’Olocausto. Usano l’Olocausto per instillare la paranoia nei propri figli.

Nel suo libro lei scrive sulle lezioni che ha imparato dal passato. Può spiegare come il suo passato ha influenzato la sua percezione di Israele e della Palestina?
Non sono mai stato un sionista. Dopo la guerra, gli ebrei sionisti hanno sbandierato il miracolo di avere “un paese tutto nostro”. Da ateo impenitente, ho pensato che, se questo è un miracolo di Dio, avrei voluto che avesse fatto il più piccolo dei miracoli creando lo stato 15 anni prima. In quel caso i miei genitori non sarebbero morti.
Potrei fare un elenco senza fine delle somiglianze tra la Germania nazista e Israele. Prendersi la terra e le proprietà, negare alle persone la possibilità di ricevere un’istruzione, ridurre la possibilità di guadagnarsi da vivere distruggendo le loro speranze, tutto con lo scopo di cacciare la gente dalla propria terra. E quello che personalmente trovo più spaventoso, più dello sporcarsi le mani uccidendo in prima persona, è il creare le circostanze in cui le persone incominciano a uccidersi a vicenda. Così la distinzione tra le vittime e i carnefici si indebolisce. Seminando zizzania in una situazione dove non c’è unità, aumentando la distanza tra le persone – come Israele sta facendo a Gaza….

…Può commentare la notizia che i ministri israeliani hanno approvato un disegno di legge che proibisce la commemorazione della Nakba, e cioè la spoliazione della Palestina storica? La legge propone una pena fino a tre anni di reclusione.
E’ così razzista, così spaventoso. Non ho parole. E’ un’espressione di quello che già sappiamo. La Zochrot[l’organizzazione per la commemorazione della Nakba] venne fondata per contrastare gli sforzi israeliani di cancellare i segni che ricordano la vita palestinese. Proibire ai palestinesi di commemorare la Nakba…non potrebbero comportarsi in modo più nazista e fascista. Forse aiuterà il mondo a svegliarsi...