Mi trovo su una soglia a guardare
attraverso nuvole di polvere che soffia, verso dove mi dicono che c’è ancora
foresta non disboscata. Ieri sono passata in macchina fra migliaia di ceppi e
resti bruciacchiati di incendi dove, nel 1956, c’era la più meravigliosa
foresta che io abbia mai visto, ora tutta distrutta. La gente deve mangiare. Ha
bisogno di carburante per accendere il fuoco.
E’ il nordovest dello Zimbabwe all’inizio
degli anni Ottanta, e sono venuta a trovare un amico che insegnava in una
scuola di Londra. E’ qui per “aiutare l’Africa”, come diciamo noi. E’ un’anima
dolce e idealista, e quello che ha trovato in questa scuola lo ha talmente
scioccato che è entrato in una depressione dalla quale ha fatto fatica a
riprendersi. Questa scuola è come ogni altra costruita dopo l’indipendenza.
Consiste in quattro grandi stanze di mattoni una accanto all’altra, messe
direttamente nella polvere, un due tre quattro, con mezza stanza a
un’estremità, che è la biblioteca. In queste aule ci sono delle lavagne, ma il
mio amico si tiene i gessi in tasca, perché altrimenti verrebbero rubati. Nella
scuola non c’è un atlante o un mappamondo, non ci sono libri di testo né
quaderni né biro... Nella biblioteca non ci sono libri del tipo che gli alunni
vorrebbero leggere, ma solo tomi di università americane, difficili perfino da
sollevare, rifiuti delle biblioteche bianche, gialli o titoli come Weekend a Parigi o Felicity
trova l’amore.
C’è una capra che cerca di trovare
sostentamento in un po’ di erba vecchia. Il preside della scuola si è intascato
i fondi ed è stato sospeso. Il mio amico non ha denaro perché tutti, alunni e
insegnanti, glielo chiedono in prestito quando viene pagato e probabilmente non
glielo restituiranno mai. Gli allievi hanno dai sei ai ventisei anni, perché
alcuni che non hanno ricevuto un’istruzione da bambini sono qui per recuperare.
Alcuni allievi percorrono molte miglia a piedi ogni mattina, che piova o faccia
bello, attraversando anche i fiumi. Non possono fare i compiti perché nei
villaggi non c’è la luce, e non si riesce a studiare facilmente alla luce di un
ciocco di legna che brucia. Le ragazze devono andare a prendere l’acqua e
cucinare prima di avviarsi a scuola, e poi quando tornano.
Mi siedo col mio amico nella sua stanza,
la gente passa timidamente, e tutti supplicano per avere dei libri. “Per
favore, ci mandi dei libri quando torna a Londra”, dice un uomo, “ci hanno
insegnato a leggere ma non abbiamo libri”. Tutti quelli che ho incontrato,
tutti, hanno supplicato di avere dei libri.
Rimasi lì per qualche giorno. La polvere
soffiava. Le pompe si erano guastate e le donne dovevano andare a prendere
l’acqua al fiume. Un altro insegnante idealista arrivato dall’Inghilterra si
era ammalato nel vedere com’era questa cosiddetta scuola.
L’ultimo giorno hanno ucciso la capra.
L'hanno tagliata a pezzetti e l'hanno cucinata in una grande pentola di latta.
Era il tanto atteso banchetto di fine trimestre: capra bollita e porridge. Sono
ripartita in macchina che il banchetto era ancora in corso, passando di nuovo
fra le cicatrici e i monconi della foresta.
Non credo che molti degli allievi di
questa scuola riceveranno dei premi.
Il giorno dopo devo tenere un discorso in
una scuola a nord di Londra, un’ottima scuola. E’ una scuola maschile, con
edifici e giardini stupendi. I ragazzi lì ricevono ogni settimana la visita di
qualcuno che conoscono bene: può essere il padre di qualcuno o un parente, e
non è insolito per loro ricevere la visita di una celebrità.
Mentre tengo loro il discorso, ho in mente
la scuola fra le nubi di polvere nel nordovest dello Zimbabwe, e guardo le
tiepide aspettative delle facce inglesi che ho davanti e cerco di dir loro che
cosa ho visto nell’ultima settimana. Aule senza libri, senza libri di testo, o
un atlante, o nemmeno una carta geografica appesa al muro. Una scuola in cui
gli insegnanti supplicano di spedire loro dei libri perché possano imparare a
insegnare, visto che loro stessi hanno diciotto o diciannove anni. “Per favore,
ci mandi dei libri”. Ma nella loro mente non ci sono immagini da associare a
quello che sto raccontando: quelle di una scuola che sorge fra nubi di polvere,
dove c’è scarsità d’acqua, e dove il lusso di fine trimestre è una capra appena
uccisa cucinata in un pentolone.
E’ veramente così impossibile per questi
studenti privilegiati immaginare una povertà così estrema?
Faccio del mio meglio. Loro sono educati.
Sono sicura che un giorno qualcuno di loro
vincerà dei premi.
Poi il discorso si conclude. Dopo chiedo
agli insegnanti com’è la biblioteca, e se gli allievi leggono. In questa scuola
privilegiata, mi sento dire quello che sento sempre quando vado in questo tipo
di scuole e perfino nelle università. “sa com’è,” dice uno degli insegnanti,
“molti ragazzi non hanno mai letto un libro, e la biblioteca è usata solo
parzialmente”.
Sì, è vero, sappiamo tutti com’è. Tutti
noi...
Magnifico, come tutto quello che ha scritto questa donna formidabile.
RispondiEliminail ho iniziato con "Il diario di Jane Somers", so che dovrò rileggerlo
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