sabato 31 marzo 2012

La danza degli schiavi - Paula Fox

la tratta degli schiavi vista dagli occhi di un bambino, che tutto vede e tutto capisce.
un libro che (non) fa male - franz


New Orleans, 1840. Jessie Bollier, un ragazzino poverissimo, viene rapito e costretto a far parte dell'equipaggio di una nave che trasporta schiavi africani. Toccherà a Jessie accompagnare con il suo piffero la "danza" quotidiana di uomini, donne e bambini che ogni giorno il capitano costringe a esercitarsi sul ponte... Poi un naufragio interrompe il terribile viaggio, e per Jessie e Ras, giovane schiavo, comincia un'avventura piena di pericoli ma anche di incontri con uomini generosi e pronti a tutto pur di aiutarli, finché Jessie diventerà un convinto abolizionista, nemico di tutto ciò che opprime, degrada e offende gli altri esseri umani.

Jessie Bollier often played his fife to earn a few pennies down by the New Orleans docks. One afternoon a sailor asked him to pipe a tune, and that evening Jessie was kidnapped and dumped aboard The Moonlight, a slave ship, where a hateful duty awaited him. He was to play music so the slaves could "dance" to keep their muscles strong, their bodies profitable. Jessie was sickened by the thought of taking part in the business of trading rum and tobacco for blacks and then selling the ones who survived the frightful sea voyage from Africa. But to the men of the ship a "slave dancer" was necessary to ensure their share of the profit. They did not heed the horrors that every day grew more vivid, more inescapable to Jessie. Yet , even after four months of fear, calculated torture, and hazardous sailing with a degraded crew, Jessie was to face a final horror that would stay with him for the rest of his life.

martedì 27 marzo 2012

la TAV perde pezzi

È ufficiale, il ministro dell'Economia portoghese ha depennato il progetto alta velocità Lisbona - Madrid di comune accordo con il governo spagnolo. L'abbandono definitivo del progetto, spiega Ansamed, «arriva dopo la sopsensione, nel giugno di un anno fa, all'indomani dell'insediamento dell'esecutivo conservatore presieduto da Pedro Passos Coelho. «Dopo la sentenza emessa oggi dalla Corte dei Conti lusitana, contraria al contratto di costruzione della linea di alta velocità, il ministero di economia, in un comunicato, considera che questa “'chiude la polemica sul progetto, che sarà così definitivamente abbandonato”». Nella nota, citata dall'agenzia Lusa, il governo assicura che saranno valutate le conseguenze giuridiche ed economiche della sentenza, ”per agire in difesa dell'interesse pubblico”. La Corte dei Conti annulla il contratto per l'esecuzione della tratta principale del progetto di Alta velocità fra Lisbona e Madrid, di circa 150 km, che doveva collegate Poceirao con Caia, alla frontiera con la città spagnola di Badajoz. Un appalto per 1,4 miliardi di euro…

i No Tav attaccano apertamente. «Chi parla ancora di corridoio è il buon Monti, terrorizzato dallo scivolamento verso il mediterraneo e dal rimanere tagliato fuori dall’Europa, ma se le sue ricette di salvataggio sono queste la Torino Lione più che portarci in Europa in tre ore rischia di portarci verso Atene in cinque minuti. 360 professori e ricercatori universitari hanno scritto al governo, l’opinione pubblica boccia nei sondaggi ogni giorno di più questo progetto, cantanti, artisti ed esponenti del mondo culturale ogni giorno si esprimono a favore del movimento, la val di Susa resiste e sembra inarrestabile. Sarà giunto anche per il nuovo progetto Torino Lione il momento dello stop?»

la decisione del governo portoghese illumina anche la falsità di argomenti come “ce lo chiede l’Europa” o altri spropositi indimostrati sulla futura utilità dell’opera. Rinunciare ad alcuni tratti di TAV si può e anzi si deve, se e quando la sua realizzazione non sia supportata da dati affidabili che ne dimostrino la validità come investimento e come risposta a una reale domanda di servizi…

Patrick Chappatte - Il potere delle vignette

Il Lama Bianco – Alejandro Jodorowsky e Georges Bess

una storia potente, con disegni davvero belli.
violenza, illuminazione, vendetta, meditazione, un fumetto che non si legge per passare il tempo.
non delude - franz


E' stato un piacere rileggere questa storia, riscoprendone la purezza dell'intreccio e la semplicità (che non significa necessariamente banalità) della trama. Il Lama Bianco (già edita in passato in forma seriale su Comic Art) non è un capolavoro, ma rappresenta un esempio di come anche il classico fumetto d'avventura possa riuscire a rinnovare sè stesso, mantenendo una sua dignità senza dover necessariamente ricercare astruse chiavi di lettura e simbolismi nascosti al solo fine di essere dichiarato "d'autore"…


…Dopo aver lodato l'abilità narrativa di Jodorowsky, un plauso sentito va anche a Georges Bess, alle sue classiche, pulitissime tavole, e ai caldi cromatismi che si sprigionano da ogni pagina.  
Consigliato a chi ha nostalgia delle riviste d'autore degli anni 80'.
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e buon pagamento - franz

lunedì 26 marzo 2012

Ammazza un bastardo! - Colonel Durruti

Un libro che si legge d'un fiato, e non delude- franz

Ammazza un bastardo: una scritta che si riproduce sui muri di Parigi a marcare una campagna di destabilizzazione e sovversione che si estende anonimamente da un giorno all’altro, da una strada all’altra. Una campagna di un gruppo rivoluzionario che invita a far fuori i bastardi, sulla base di un manifesto che ricopre le strade di ogni arrondissement: “Ovunque siate, chiunque siate, c’è un bastardo che vi rende la vita impossibile. Ammazzatelo”. Iniziano gli attacchi. Quelli veri e quelli in effige. La carne e il simbolo, la politica e l’arte. Fino al minimalismo di un suicida che si bonzifica nell’esalazione della benzina, sostenendo un cartello con la scritta: “Sono un bastardo”. Sulla scena detective e politici, vedette dello spettacolo e giornalisti, criptorivoluzionari e artisti radicali. Critica alla maniera situazionista – semplificata nel racconto letterario, va detto - che rinfodera un plot nella tradizione del noir radicale d’oltralpe, mescolando abilmente surrealismo e hardboiled, critica radicale e letteratura di genere, nella tradizione di Manchette.

domenica 25 marzo 2012

ricordo di Antonio Tabucchi

Sostiene Pereira di averlo conosciuto in un giorno d'estate. Una magnifica giornata d'estate, soleggiata e ventilata, e Lisbona sfavillava. Pare che Pereira stesse in redazione, non sapeva che fare, il direttore era in ferie, lui si trovava nell'imbarazzo di metter su la pagina culturale, perché il "Lisboa" aveva ormai una pagina culturale, e l'avevano affidata a lui. E lui, Pereira, rifletteva sulla morte. Quel bel giorno d'estate, con la brezza atlantica che accarezzava le cime degli alberi e il sole che splendeva, e con una città che scintillava, letteralmente scintillava sotto la sua finestra, e un azzurro, un azzurro mai visto, sostiene Pereira, di un nitore che quasi feriva gli occhi, lui si mise a pensare alla morte. Perché? Questo a Pereira è impossibile dirlo...




Sostiene Pereira di aver conosciuto Antonio Tabucchi in un giorno d'estate...

Quasi due - Hamid Ziarati

un libro di amicizia e di guerra, di giochi e di ragazzini, di attori e santi, con un ritmo davvero intenso.
succedono molte cose, magari troppe, ma alla fine avrai letto un bel libro, non te ne penti di sicuro - franz 


…Durante un conflitto il mondo si divide sempre in due parti: alleati e nemici. Ma chi sono davvero i nemici? Qual è il vero significato dell’eroismo in guerra? Nel romanzo la vicenda bellica si intreccia a quella di due ragazzi: uno è il protagonista Darioush, iraniano, l’altro un iracheno.Due lingue diverse, due mondi relativamente distanti e una sola cosa in comune: essere due ragazzi, per giunta abituati ad odiarsi. 
Il romanzo coinvolge il lettore in una profonda introspezione psicologica dei personaggi, ma anche in un percorso storico e politico complesso, che ha forgiato il volto di due nazioni dall’importanza strategica: Iran e Iraq. Un libro attuale, consigliato non solo a chi già conosce la storia mediorientale, ma anche a chi vuole scoprire realtà storiche e politiche diverse di Paesi che sembrano lontani, ma in realtà sono molto più vicini di quanto pensiamo…

Ed è cosí che nella loro testa i martiri bambini di cui parla l'Ayatollah possono prendere il posto degli eroi del cinema. Ma il nemico, alla fine, ha tutta l'aria di uno come loro due, che parla una lingua diversa eppure ha negli occhi la stessa irriducibile vitalità. Con la sua scrittura rapida, vivida, tutta scene, capace di seguire un'esistenza nei suoi ritmi, Hamid Ziarati torna a raccontare l'energia dei ragazzini, restituendone la spensieratezza, l'incoscienza, ma anche lo smarrimento di fronte alla cieca perentorietà dell'integralismo religioso. Aiutandoci a capire con la pura forza della narrazione quanto possa essere superficiale il nostro sguardo sui mondi che non conosciamo

Il compagno di viaggio - Bertolt Brecht

Quando anni fa ho imparato
a portare l’auto, il mio maestro di guida mi disse
di fumare il sigaro e se
negli ingorghi del traffico o nelle curve strette
mi si spegneva, mi levava il volante di mano. Anche
raccontava storielle, durante il percorso; e quando io
troppo occupato non ridevo, mi toglieva
la guida. Mi sento malsicuro, diceva,
io, il compagno di viaggio, mi spavento se vedo
chi guida l’auto troppo occupato
a guidare.

Da allora lavorando
sto attento a non sprofondarmi troppo nel lavoro.
Bado a diverse cose intorno a me,
talvolta interrompo il mio lavoro per conversare un poco.
A correr tanto presto da non poter fumare
ho saputo disabituarmi. Penso
a chi viaggia con me.


(trad. Franco Fortini)

sabato 24 marzo 2012

Vivere è stare svegli - Angelo Maria Ripellino

Vivere è stare svegli
e concedersi agli altri,
dare di sè sempre il meglio 
e non essere scaltri.


Vivere è amare la vita
coi suoi funerali e i suoi balli
trovare favole e miti
nelle vicende più squallide.


Vivere è attendere il sole
nei giorni di nera tempesta
schivare le gonfie parole
vestire con frange di festa.


Vivere è scegliere le umili
melodie senza strepiti e spari,
scendere verso l'autunno
e non stancarsi di amare.

Obama: If I had a son he'd look like Trayvon




 «Se avessi un figlio, avrebbe il suo volto», dice Barack Obama, e quel figlio sarebbe stato
Trayvon il ragazzo di 17 anni ucciso a rivoltellate in Florida da un «vigilante» armato. Da morto,
è diventato suo figlio. Si era tenuto fuori, il sempre cauto e prudente Obama, dalla tragedia di
Trayvon Martin, il ragazzino di diciassette anni abbattuto a colpi di pistola su un marciapiedi di
Sanford...
da qui

martedì 20 marzo 2012

Federico García Lorca e Leonard Cohen

Leonard Cohen:
"All’età di sedici anni sono "inciampato" in un libro di Garcia Lorca. Lo avevo adocchiato in un negozio di libri di seconda mano in quella lucente ‘Gerusalemme del Nord’ che è Montreal, Quebec. Presi in mano quel libro, un libro del destino e lessi:
Voglio vederti passare sotto gli archi di Elvira
per vedere le tue cosce e iniziare a piangere.
Quelle parole sconvolsero la mia vita e compresi che la mia esistenza sarebbe stata uno sforzo continuo per scrivere, un giorno, almeno una volta nella vita, una frase come quella. Righe di fuoco mi bruciavano dinanzi agli occhi e nel cuore, e continuai a leggere. La mia esistenza non e’ stata più la stessa da allora... questo poeta ha "rovinato" la mia vita: era diventato il mio mondo, era diventato il mio orizzonte, era diventato il mio universo e così ho iniziato a chiamarlo "fratello". Mia figlia prende nome da lui: l’ho chiamata Lorca".
"I libri di Lorca mi hanno insegnato che la poesia può essere pura e profonda e - al tempo stesso - popolare. Lorca mi ha insegnato che tutta la grande poesia è un suono che viene dal profondo, è stato lui a spingermi a commettere quel grande atto contro natura che è stato il mio coinvolgimento nella poesia. A lui sono stato capace di dare in cambio solo il nome di mia figlia. Incontrare l’opera di Lorca è stato come trovare per strada un lingotto d’oro. Un’inestimabile fortuna fatta di gioia, poesia e felicità".
Pequeño vals vienés

En Viena hay diez muchachas, 
un hombro donde solloza la muerte 
y un bosque de palomas disecadas. 
Hay un fragmento de la mañana 
en el museo de la escarcha. 
Hay un salón con mil ventanas. 
¡Ay, ay, ay, ay! 
Toma este vals con la boca cerrada. 

Este vals, este vals, este vals, 
de sí, de muerte y de coñac 
que moja su cola en el mar. 

Te quiero, te quiero, te quiero, 
con la butaca y el libro muerto, 
por el melancólico pasillo, 
en el oscuro desván del lirio, 
en nuestra cama de la luna 
y en la danza que sueña la tortuga. 
¡Ay, ay, ay, ay! 
Toma este vals de quebrada cintura. 

En Viena hay cuatro espejos 
donde juegan tu boca y los ecos. 
Hay una muerte para piano 
que pinta de azul a los muchachos. 
Hay mendigos por los tejados. 
Hay frescas guirnaldas de llanto. 
¡Ay, ay, ay, ay! 
Toma este vals que se muere en mis brazos. 

Porque te quiero, te quiero, amor mío, 
en el desván donde juegan los niños, 
soñando viejas luces de Hungría 
por los rumores de la tarde tibia, 
viendo ovejas y lirios de nieve 
por el silencio oscuro de tu frente. 
¡Ay, ay, ay, ay! 
Toma este vals del "Te quiero siempre". 

En Viena bailaré contigo 
con un disfraz que tenga 
cabeza de río. 
¡Mira qué orilla tengo de jacintos! 
Dejaré mi boca entre tus piernas, 
mi alma en fotografías y azucenas, 
y en las ondas oscuras de tu andar 
quiero, amor mío, amor mío, dejar, 
violín y sepulcro, las cintas del vals. 

venerdì 16 marzo 2012

Amare stagioni - Étienne Schréder

chi legge fumetti per distrarsi o per divertirsi non continui a leggere.
questo è un fumetto dolente, che racconta una storia davvero terribile.
e però si legge benissimo e non si dimentica presto - franz


…Convivere con il proprio passato è una cosa, raccontarlo è un'altra. Occorre trasformarsi in alchimista e intavolare negoziati con se stesso. Da dove cominciare? Bisogna dire tutto?
Da quale angolazione rivelare cose tanto profondamente sepolte?
Ho seguito con complicità le riflessioni di Étienne Schréder. Ho visto la sua evoluzione durante tutti questi anni di gestazione e di realizzazione. È un viaggio doloroso dal quale si esce indubitabilmente un po' diversi. Perché porta alla luce un'intimità estremamente conturbante e, soprattutto, fa deflagrare un muro protettivo costruito con infinita pazienza. Ne nasce un libro ispirato e fragile, una tappa improcrastinabile e necessaria per il suo autore e, per noi lettori, un libro raro - François Schuiten

…Non ci si aspetti quindi evoluzioni grafiche a simulacro di mondi interiori esasperati dall'ebbrezza dell'alcol, né immaginari visivi folli incastrati nella realtà amorfa del protagonista. Il narratore ci racconta la storia, secca, placida, senza orpelli e ce la mostra cruda ed essenziale. Verrebbe da pensare: peccato. Perché, sebbene la narrazione lineare renda tutto più fluido e consistente, il linguaggio del fumetto avrebbe forse permesso qualche azzardo in più e reso il racconto assolutamente coerente con il medium usato. La vicenda si snoda tra la Francia e il Belgio, è narrata in prima persona e dà il meglio di sé laddove la storia diventa più on the road: qui vengono fuori compagni di viaggio tridimensionali che danno vita a dialoghi per nulla scontati che ci fanno dimenticare una voce narrante spesso troppo ingombrante e cupa. L'annosa questione di cui sopra è quindi vivamente riproposta. Mezzo vuoto o mezzo pieno? Amare stagioni può essere visto da angolazioni e prospettive differenti e sembrare allo stesso tempo una "pietra miliare della graphic novel autobiografica" – dalla prefazione di François Schuiten – o, banalmente, l'occasione mancata di un autore di raccontare la propria storia, per quanto tragica e straziante, andando oltre quella modalità classica che ormai è caratteristica propria di un certo fumetto d'autore. - Dark0

giovedì 15 marzo 2012

Chi s'indigna per l'epiteto "pecorella", ma non osa criticare la polizia - Lorenzo Guadagnucci

Fa davvero impressione il coro di commenti indignati e perbenisti scatenato dal filmatino che mostra l’innocua provocazione di un manifestante della Val di Susa verso un carabiniere. Si è scomodato Pasolini, si è parlato di squadrismo, si è evocato il rischio di un’escalation di violenze, il tutto senza mostrare il minimo senso del ridicolo, nonostante l’acme della provocazione sia stato individuato - dagli indignati commentatori - nell’epiteto “pecorella”. 

Epiteto, peraltro, usato dallo “squadrista” per segnalare alla telecamera che riprendeva la scena, la curiosa condizione che viviamo in Italia, un paese dove i cassieri del supermercato esibiscono sul petto un’etichetta di riconoscimento, ma i poliziotti no: e dire che si tratterebbe di una misura in favore della legalità: o qualcuno ha dimenticato l'impunità ottenuta al G8 di Genova da decine di agenti picchiatori, mai indagati perché non identificabili? (E peraltro nemmeno sottoposti a procedimenti disciplinari, ma questa è una precisa scelta dei vertici delle forze dell'ordine).
Ma in Italia non si può parlare di polizia e forze dell’ordine, se non per omaggiarle, o per scandalizzarsi se un agente fra mille è fatto oggetto di sberleffo...
…La verità è che stiamo subendo un’offensiva autoritaria terribile, con un movimento civile, una fetta importante della popolazione valsusina che vengono criminalizzati, per affermare - più che la volontà di realizzare un’opera inutile e costosa, che non sarà realizzata per mancanza di soldi - un principio di fondo, e cioè che non c’è spazio per mettere in discussione gli affari, cioè i soldi pubblici destinati  ad aziende private, né per contestare un modello di (anti)sviluppo che quanto più è in crisi, tanto meno tollera interferenze di sorta.

Gli indignati commentatori si facciano un esame di coscienza. Si domandino se non stiano partecipando più o meno consapevolmente al teatro della propaganda per la grande opera in quanto tale e si chiedano se la canea scatenata da quella “pecorella” non sia la spia di un accecamento collettivo, di un conformismo così radicato che induce a scandalizzarsi per un epiteto di troppo e a non vedere i manganelli che spezzano le ossa, i  lacrimogeni che avvelenano i polmoni, le cariche senza senso e le inutili brutalità contro cittadini che manifestano - che piaccia o meno - il proprio dissenso.
Perché in Italia non è possibile parlare male delle forze di polizia, quando se lo meritano?

ministri al cinema

Enrica Bartesaghi, presidente del Comitato Verità e Giustizia per Genova ha scritto questa interessante lettera aperta a Repubblica, dopo una dichiarazione della ministra Cancellieri dei giorni scorsi. Pare che per la signora Cancellieri undici anni, con centinaia di udienze in tribunale e due gradi di giudizio, siano passati invano. 

Ho letto su Repubblica di sabato, 10 marzo 2012, all’interno di un trafiletto pubblicato a pag. 10, che il Ministro degli Interni, sig.ra Cancellieri, ha annunciato che andrà a vedere il film sulle violenze al G8 nella scuola Diaz, poiché “il Paese ama molto le forze dell’ordine, però è giusto, che mi vada a documentare perché tanto più si conosce, tanto meglio si fa”.
Sig.ra Cancellieri, mi scusi, ma Lei dove è stata negli ultimi dieci anni? Sulla Luna od un altro pianeta? Perché se si fosse trovata su questa terra e
magari in Italia, si sarebbe dovuta accorgere di quello che è successo dieci anni fa a Genova, perché ha coinvolto centinaia di manifestanti, italiani e stranieri, feriti, torturati, fermati ed arrestati ingiustamente, di un
ragazzo di vent’anni ucciso, di nome Carlo Giuliani, tutto questo ad opera delle forze dell’ordine “tanto amate dal Paese”. Della più grande violazione dei diritti umani dal dopoguerra in un paese occidentale, come dichiarato da Amnesty International.
E, negli anni successivi, si sarebbe potuta accorgere dei processi che si sono celebrati a Genova, per le violenze delle forze di polizia in piazza, alla scuola Diaz, nella caserma di Bolzaneto. Delle decine di appartenenti alle forze dell’ordine, tra i quali alti funzionari della Polizia Italiana (tanto amata) condannati in primo e secondo grado. E sì che è stata anche prefetto a Genova! 
E per documentarsi, per conoscere, per meglio fare, lei ha bisogno di andare a vedere un film? Una fiction? Che non riporta nemmeno i nomi dei responsabili di tanta cieca violenza? Se vuole posso aiutarla, si tratta di alcuni dei funzionari, nel frattempo tutti promossi, nonostante i processi e le sentenze di condanna, ai vertici della “tanto amata” polizia italiana…

mercoledì 14 marzo 2012

La grande avventura - Robert Westall

un bambino perde i genitori in un bombardamento e con un cane cerca di sopravvivere.
sembra una storiella come tante, in realtà è un libro davvero vivo, che non annoia mai.
peggio per chi non ha tempo e voglia di leggere questo piccolo grande libro - franz



Si tratta senza dubbio di un nuovo classico, uno dei capolavori della letteratura per ragazzi contemporanea e uno dei testi più significativi sul rapporto tra infanzia e guerra. Si tratta senza dubbio di un nuovo classico, uno dei capolavori della letteratura per ragazzi contemporanea e uno dei testi più significativi sul rapporto tra infanzia e guerra. La figura dell’orfano viaggiatore, con la sua improvvisa libertà, dolorosa e meravigliosa, con un modo nuovo di guardare alla realtà, permette rimandi a tanti eroi bambini classici, da Huck Finn al Remigio di Malot, e del resto la struttura del romanzo, costruito per progressive prove che sono tappe, ricorda quella della fiaba e delle leggende medievali. Ne La grande avventura Westall ha il grande coraggio di mostrare la guerra come metafora totale della vita, come situazione di frattura e ribaltamento radicali delle consuetudini e della quotidianità, che con forza denuda i personaggi, scoprendone tutte le contraddizioni, le bassezze e le imprese, e costringe il protagonista a osservare e comprendere un mondo che sembra calpestare per la prima volta.

…La grande avventura, che è il titolo più noto in Italia, pur essendo ambientato in una certa zona dell’Inghilterra sotto le bombe della Seconda Guerra Mondiale, è davvero una storia senza tempo.
Non riesco a farmi venire in mente, tra i tantissimi libri e film, per ragazzi e per adulti, qualcosa che abbia la stessa capacità e la stessa efficacia simbolica nel rappresentare un’infanzia in guerra.
Contemporaneamente, qui, della guerra, oltre al volto più immediato, si svela anche un lato che teniamo il più possibile nascosto, e che è un vero rompicapo pedagogico: la guerra è un’educatrice straordinaria…

…Il romanzo è ambientato in Inghilterra e la guerra rappresenta la cornice che si manifesta in termini di bombardamenti, fame e razionamenti del genere alimentare.
Si tratta di un classico percorso di formazione in cui il protagonista, Harry, si troverà a dover crescere molto in fretta per sopravvivere in un realtà lontana dal guscio famigliare. Un mondo, per molti aspetti, cinico e spietato, dove ogni uomo pretende qualcosa. 
Westall con una scrittura semplice, lineare, molto adatto a ragazzi giovanissimi, passa in rassegna molti aspetti dell'animo umano, ponendo il lettore di fronte ad una realtà cruda e dura, per molti aspetti difficile da digerire. Il romanzo risulta molto scorrevole e si legge velocemente. Inoltre non risulta mai noioso, pedante o eccessivamente lacrimevole, siamo lontani da Cuore.
Il personaggio di Harry è delineato bene e presenta una buona introspezione psicologica, aspetto che permette al lettore di immedesimarsi nel suo viaggio, conoscendo le sue paure, le sue emozioni e i suoi sentimenti.
L'unica cosa che non mi ha convinto è il finale, troppo frettoloso e anche abbastanza sconcertante (ma non voglio dirvi di più perché altrimenti vi faccio perdere il gusto di scoprirlo da soli).

martedì 13 marzo 2012

Un treno chiamato Moebius - A.J. Deutsch

provate a leggerlo, solo una decina di pagine, vale la pena - franz


Il racconto completo:
Un metropolitano llamado Moebius  da qui  (in spagnolo)
A Subway Named Moebius  da qui  (in inglese)

Un articolo interessante sul racconto:
A train called Moebius [1] è il titolo di un racconto di fantascienza del 1958, nel quale l’autore, lo scienziato tedesco A.J. Deutsch, immaginava che una linea della metropolitana potesse trasformarsi in un nastro di Moebius, inghiottendo un treno al suo interno in un percorso senza fine, secondo il funzionamento della celebre figura. Negli anni ’80, uno dei più grandi scrittori argentini, Julio Cortázar [2], pubblica un racconto intitolato Texto in una libreta [3], ambientato nella metropolitana di Buenos Aires, teatro di sparizioni, misteriosi eventi e di una strana indagine. A cinquant’anni dal primo racconto e a quindici dal secondo, il regista argentino Gustavo Mosquera [4] riprende A train called Moebius e, rielaborandolo insieme a molte delle suggestioni cortazariane, ne fa un film inquietante e dalle forti connotazioni politiche. Ciò che lega i tre testi, oltre all’evidente rapporto di trasposizione cinematografica, è un determinato modo di rappresentare e dotare di senso un determinato ambiente, un milieu tipicamente urbano e simbolo di modernità, ma anche carico di forti implicazioni simboliche: la metropolitana. 
Perché la metropolitana? Cosa rende questo particolare mezzo di trasporto così ricco di suggestioni e tanto fertile per un determinato tipo di narrazione (quella fantastica)?...

lunedì 12 marzo 2012

Un fatto umano - Manfredi Giffone, Fabrizio Longo, Alessandro Parodi

una bellissima graphic novel, mi ha ricordato "Maus", di Art Spiegelman, e non solo perché i personaggi hanno facce di animali.
appassionante, un ottimo ripasso per chi si è distratto per qualche decennio o non si ricorda.
da non perdere - franz


Questo libro ci piace perché le 370 tavole acquerellate (che sono bellissime) ci gettano in pasto alla storia più buia del nostro paese, della guerra interna alla mafia agli assalti frontali della mafia stessa allo Stato. Una favola nera fatta non solo di nomi ma di volti. Una storia di stragi e di connivenze raccontata – in tutti i suoi livelli – con poesia…

…Ma una scelta grafica forte indubbiamente c’è, ed è di quelle che fanno parlare: a parte il narratore esterno, il puparo Mimmo Cuticchio, tutti i personaggi messi in scena hanno volti di animali. Il riferimento è certamente, da un lato, a una certa tradizione del fumetto, alla Spiegelman, per cui la figura animale ha un portato simbolico. Ma qui c’è un riferimento ancora più forte a una tradizione fisiognomica molto più antica, almeno secolare in Occidente, secondo la quale la deformazione caricaturale del viso in direzione di tratti animaleschi deve rivelare i tratti di personalità salienti della persona rappresentata.
Lo stile abbastanza realistico dei disegni fa risaltare ancora di più questa scelta chiaramente antirealistica, per la quale, sin dal volto che possiede e che rivela fin dal momento dell’entrata in scena, ogni personaggio si trova moralmente o ideologicamente connotato. Magari è proprio questa scelta di fondo a rendere tutto sommato accettabile il sospetto di agiografia: per quanto documentata e verosimile sia questa storia, essa è narrativamente coinvolgente perché ci si presenta come un racconto epico dove il male è contrapposto al bene, e, come in ogni epica che si rispetti, i personaggi rendono noto immediatamente il loro ruolo, a partire dal proprio stesso aspetto. In fondo il narratore è un puparo, e un puparo racconta proprio storie epiche…

giovedì 8 marzo 2012

Tutto ha un prezzo

La catastrofe ecologica del Golfo del Messico del 2010 è costata per ora 7,8 miliardi di dollari, che saranno prelevati dal fondo di compensazione di 20 miliardi creato subito dopo il disastro del Golfo del Messico. Gli utili netti del 2011 sono stati 23,9 miliardi di dollari.
Traduzione: uno dei disastri ecologici maggiori della storia dell’umanità, a leggere e ascoltare giornali e politici degli Stati Uniti, grava sul bilancio di chi l’ha causato come un leggero raffreddore. E quei soldi arriveranno perché Obama e avvocati hanno fatto la voce grossa.
E nel Delta del Niger qualcuno verrà risarcito?
Tutto si può vendere e comprare, e come sempre la vita occidentale costa molto di più della vita africana, in ogni caso sempre briciole di bilancio.
“E’ l’economia, bellezza”, direbbe qualcuno, io dico che è uno schifo, Bartleby direbbe “I would prefer not to” - franz


…La società ha infatti dichiarato di aver chiuso il 2011 con un forte utile, generato da una parte dal rialzo del prezzo del petrolio, e dall’altra dalle dismissioni di alcune attività non fortemente produttive. La compagnia petrolifera ha così potuto spingere i ricavi a quota 96,34 miliardi di dollari rispetto agli 84 miliardi di dollari dei dodici mesi precedenti, contraendo le spese operative e straordinarie, e permettendo così agli utili netti di raggiungere quota 23,9 miliardi di dollari rispetto alla perdita di 4,9 miliardi di dollari dell’anno precedente.

La British Petroleum ha raggiunto un accordo extragiudiziale con le migliaia di persone danneggiate dalla marea nera che nel 2010 si riversò nelle acque del Golfo del Messico dalla piattaforma petrolifera Deepwater Horizon. In seguito all’intesa tra le parti, è stato rinviato il processo alla compagnia petrolifera, che sarebbe dovuto iniziare proprio oggi, lunedì 5 marzo.
Adesso l’accordo con le parti lese dovrà essere formalmente approvato dalle autorità giudiziarie americane. Secondo quanto comunicato dalla stessa BP, l’azienda ha acconsentito a versare un risarcimento complessivo di circa 7,8 miliardi di dollari, che saranno prelevati dal fondo di compensazione di 20 miliardi creato subito dopo il disastro del Golfo del Messico.
La cifra coprirebbe comunque solo i danni subiti dai privati, ma non le multe e le richieste di risarcimento presentate dal Governo USA e dai diversi Stati costieri che hanno denunciato danni ambientali in seguito all’incidente. Resterebbero inoltre da coprire le domande di risarcimento degli azionisti e delle compagnie concorrenti, che attribuiscono alla Bp le perdite patite per la moratoria sulle trivellazione decisa in seguito al disastro della Deepwater Horizon.
La cifra finale, dunque, potrebbe essere sensibilmente più alta, ma in ogni caso la BP ritiene che l’accordo appena raggiunto con le persone danneggiate non rappresenti «un’ammissione di responsabilità»…

Il Delta del Niger è l'area fluviale più vasta dell'Africa, è il terzo delta al mondo. Ha una superficie complessiva di circa 70.000 kilometri quadrati (per avere un metro di paragone, per noi italiani, il nostro maggior delta, quello del fiume Po, si estende su di una supercie di 786 chilometri quadrati). Era un paradiso ecologico, un ecosistema dove foresta pluviale, paludi alluvionali e anse del fiume si amalgamavano in un perfetto equilibrio tale da far vedere, in modo netto ed inequivocabile, la straordinaria bellezza della natura e da far vivere, attraverso la pesca, la caccia e l'agricoltura oltre 20 milioni di persone…


...Non vi sono ragioni al mondo per non affermare che chi ha prodotto questo disastro debba pagare fino all'ultimo centesimo il ripristino (se mai sarà possibile, comunque quanto più possibile) dell'ambiente naturale. Non è un problema che riguarda solo gli Ogoni (o i nigeriani). E' un tema che riguarda tutti noi, il mondo intero...

…Nel Delta del Niger (una regione di circa 70.000 kmq con 27 milioni di abitanti), si produce la maggior parte del petrolio nigeriano, circa 2,4 milioni di barili al giorno.
L’inquinamento criminale viene causato dalla perdita del greggio che fuoriesce da tubature vecchie ed usurate dal tempo che si estendono nel territorio per centinaia di chilometri, riversando così il petrolio nell’acqua del fiume e lungo le sue sponde. Le persone che vivono in questo luogo respirano aria inquinata, mangiano pesce contaminato e bevono acqua mista a petrolio.   Sono 36 mila i  km² di mangrovie, corsi d’acqua e lagune invasi dalla melma nera; per rifornirsi di acqua potabile, le popolazioni locali sono costrette a scavare nel sottosuolo fino a 50 metri di profondità, causando instabilità del terreno e ponendo la zona a rischio di frane.
 Il recente rapporto del PNUE, cioè il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, denuncia apertamente questa catastrofe ambientale. Sono stati esaminati più di 4mila campioni estratti dai 780 pozzi della zona. Il risultato è sconcertante: le popolazioni bevono, cucinano e si lavano con acqua proveniente da pozzi contaminati dal benzene, in cui i livelli di tossicità sono 900 volte superiori a quanto consentito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità(OMS).
Anche l’aria viene contaminata dai gas, sottoprodotti delle estrazioni petrolifere, che vengono bruciati a cielo aperto dal 1985, pratica definita “gas flaring” (gas esplosivo) che fa sprecare ogni anno una quantità di gas pari al 30% del fabbisogno europeo.  Questo gas potrebbe essere reinserito nel sottosuolo oppure utilizzato per i fabbisogni energetici della Nigeria. Invece viene bruciato dalle multinazionali perché  ciò rende l’estrazione del petrolio molto più veloce, abbassando così i costi di gestione e di produzione.
Il solo inquinamento ambientale prodotto dal “gas flaring” nel mondo, diventa pari alle emissioni di 77 milioni di auto o di 125 centrali a carbone.  Le fiammate ardono continuamente di giorno ed illuminano la notte, rendendo irrespirabile l’aria, facendo aumentare considerevolmente la temperatura attorno alle trivellazioni e causando problemi respiratori, malattie della pelle e degli occhi, disturbi gastrointestinali, leucemie e cancro.  La legge nigeriana vieta la pratica del “gas flaring” perché viene ritenuta pericolosa per l’ambiente e per la salute umana, ma i governi non sono mai riusciti ad imporre la soluzione del problema. I vertici dello stato nigeriano dovrebbero rafforzare la regolamentazione circa l’estrazione del petrolio, in modo da obbligare le aziende petrolifere a rispondere dell’inquinamento ambientale, prevenendo così ulteriori abusi.
 Oltre ai problemi di salute e quelli ambientali, la popolazione deve anche subire l’ingiustizia sociale: nonostante l’immenso valore economico dei 606 pozzi petroliferi, dopo circa 50 anni di estrazioni che ogni anno creano l’80% del Pil nazionale, la Nigeria resta uno tra i più poveri paesi africani. L’aspettativa di vita dei 27 milioni di persone che abitano il delta del Niger – delle quali il 60% sopravvive grazie alle attività direttamente collegate all’ecosistema – arriva a poco più di 40 anni. La distribuzione delle risorse non è equa. Il tasso di disoccupazione varia tra il 75 e il 95%, perché a lavorare nei pozzi petroliferi è soprattutto manodopera specializzata proveniente dall’estero. Gli unici ad arricchirsi con il petrolio sono le multinazionali ed i politici locali corrotti. Negli ultimi decenni però queste disuguaglianze hanno esasperato la popolazione che, attraverso proteste e mobilitazioni, subendo repressioni violente da parte dello Stato e dagli agenti della sicurezza privata delle multinazionali,  è arrivata a rivendicare la fine del saccheggio indiscriminato del territorio, chiedendo la bonifica dei corsi d’acqua e dei terreni, una più equa distribuzione dei proventi del petrolio, nonché il risarcimento del debito ecologico…

mercoledì 7 marzo 2012

Terracarne - Franco Arminio

Arminio racconta di un mondo che sta morendo, fa delle fotografie dell'esistente, con poesie, racconti, cronache, istantanee. 
ogni tanto qualche raggio di luce e un venticello di speranza allontana gli odori (anche) di morte e di rovine, fisiche e morali, che ammorbano l'aria, che respiriamo tutti i giorni.
un libro necessario - franz



…Questo è anche e forse soprattutto un libro sulla morte che, occasionalmente ma non per questo meno significativamente, s’incontra con la morte del mondo che l’uomo, nella presunzione pure di superare i suoi limiti, ha costruito. E Arminio crede e non crede nel potere della parola. Se da qualche parte scrive di volere, con le sue parole, prendere un paese e porlo in salvo (p. 231), dall’altro confessa pure l’impotenza: “Faccio parole con la carne e con la terra. Con le parole faccio carne e terra e niente” (p. 145). C’è un’esattezza spaventosa in queste parole, continuazione stenografica dell’osservazione che avvicina la tensione della scrittura di Arminio, e la sua interna esigenza, a quella dell’ecole du regard di un Peter Handke, che scrive: “Quel che ho sempre pensato fra me non è niente: io sono soltanto quel che m’è riuscito di dirvi”. D’altro canto, ci viene un altro paragone lontano territorialmente da quel Sud nel quale Arminio si muove (ma Arminio non è scrittore territoriale, localistico), quello con il paesologo Walter Benjamin (quello che ha parlato della natia Berlino e di Mosca, e di Berlino attraverso Mosca: come Arminio attraverso il suo vagabondaggio torna in fondo sempre all’odiata/amata Bisaccia). In Benjamin l’altissima tensione della scrittura investe ogni frase, tanto da togliere il respiro. Anche Arminio, flaubertianamente, costruisce le sue frasi come se ciascuna fosse l’ultima, anzi l’unica. Ma, nello stesso tempo, ci fa il dono di una leggibilità assoluta.
  
La desolazione è la sua Musa, ma non c’è solo lei. Arminio è anche ispirato da un profondo sentimento umoristico, perché mentre si leggono le sue pagine si ride per i continui paradossi, le descrizioni di sé e degli altri. Pratica la politica dell’humor, che è un altro aspetto della sua personalità. Al termine di queste pagine, scritte con eleganza eppure ruvide, si conosce, o riconosce, il Paese che noi tutti abitiamo, le cento e mille località distese lungo lo Stivale, dove alloggiamo, o abbiamo alloggiato, perché Arminio non descrive solo l’Irpinia desolata, bensì un luogo dello spirito che conosciamo molto bene. Per questo Terracarne, che prende il nome dal suo particolare modo di essere, non è un libro localistico, bensì globale, mondiale. È un libro sui paesi senza essere paesano, sull’identità senza essere fornire alcuna identità, un libro singolare eppure universale. Ha ragione Roberto Saviano quando dice che in questo libro, nelle sue pagine, ci sono frammenti di luce. A tratti abbagliante.
Marco Belpoliti da la Stampa
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Chi è Franco Arminio? Uno che va in giro per paesi e li descrive. Certo, ma non solo. Uno scrittore? Sì, uno dei più originali delle ultime generazioni. Ma non basta. E’ soprattutto un eroe culturale. Appartiene a quella genia di scrittori che fanno qualcosa di più che scrivere: testimoniano con la loro vita e la loro presenza l’incontrovertibile. Una volta si sarebbe detto che sono degli intellettuali. Penso a Sciascia, a Pasolini. Oggi lo scrittore che supera la distinzione tra arte e vita è qualcosa di più: come Roberto Saviano, un eroe culturale dei nostri tempi, oltre che uno scrittore. Chi legge “Terracarne” (Mondadori, pp 353, §18) incontrerà un modo ancora diverso di essere eroi culturali: dimesso, paziente, laterale, diagonale.  Arminio, ipocondriaco all’ultimo stadio, vive su di sé, sulla sua pelle quello che racconta dei paesi del suo Sud. Lo fa in un modo assoluto, estremo, eppure dolce e riflessivo. con ‘Terracarne’ ci ha dato un libro straordinario che sarebbe da leggere nelle scuole per far capire come gli scrittori s’impastano con la realtà e la somatizzano. Una scrittura pungente e insieme calma, affabulante e stralunata.
Marco Belpoliti  da “l’espresso”

Sono molti anni che esco quasi ogni giorno e vado in giro in posti dove non va più nessuno, posti a cui non crede più nessuno. Vado a vedere come stanno le cose, vado a vederle da vicino. La mia scrittura è un modo per uscire da me o per convivere con il dolore, una scrittura che si forma intorno a ciò che ho dentro e al modo in cui questo mio “dentro” si incontra, si incrocia con il “fuori”. Un scrittura fatta con tutto il corpo, un corpo a corpo col paese. Nessun paese è un luogo inerte. Ognuno ha un suo umore. Non ce ne sono due uguali. L’atmosfera cambia da un posto all’altro. Ogni volta che entro in un paese nuovo, provo un’emozione vera. Bisogna avere un occhio trasversale per superare ciò che, a prima vista, sembra uguale. È con quest’occhio e con questo cuore che tutto, piano piano, diviene interessante, unico. Un’osservazione partecipe diventa un’osservazione terapeutica. In fondo non posso nascondere che per me la paesologia è una terapia. Uscire dalle case in cui per tanto tempo ci siamo rintanati, pensando di stare al sicuro, uscire dalla baracca mefitica del proprio io. La paesologia è una strada sul crinale, a metà tra una nuova forma di impegno e una cerimonia religiosa, a metà tra poesia ed etnologia, sempre però ben lontani dalla paesanologia e dalle sue sagre.
Se c’è una sagra che mi interessa è quella del futuro. Questa disciplina, allo stesso tempo inesistente e indispensabile, sta tutta nell’attenzione ai paesi come sono adesso. Il mio è un dolore che combatte contro la distrazione e la cecità. I paesi non sono morti, ci sono ancora, sono malati, esattamente come è malato tutto il pianeta. C’è una parola che può riassumere tutto: desolazione. Si tratta di una malattia nuova per i paesi. Prima c’era la miseria, c’era il mondo mirabilmente descritto da Carlo Levi, c’era la lontananza e l’oppressione, c’era la comunità dei poveri, degli umili. Siamo passati dalla civiltà contadina, a volte crudele, perfino spietata, a questa cosa oscena che chiamo modernità incivile.
Il mio ultimo libro, più degli altri, esprime la scelta di porre una serena obiezione al mondo. La desolazione per me non è un epilogo, ma un punto di partenza per un nuovo modo di abitare la terra, una nuova postura. Ciò che io invoco è una nuova etica, un umanesimo delle montagne. La mia visione parte dallo sgomento di stare in un pianeta pieno di merci, un pianeta in cui non sappiamo più farci compagnia e nel quale ognuno in cuor suo sembra aver dato addio a tutti gli altri. In Terracarne parlo di autismo corale, parlo della nostra incapacità di passare il tempo in compagnia e in lietezza. È qui la radice di tutta la mia scrittura. La posta in gioco è tollerare l’incertezza di ogni cosa. La paesologia è una “scienza” arresa, non è una “scienza” facile. Scrivo a oltranza di luoghi che perdono abitanti e di abitanti che hanno perso i loro luoghi. È un invito ad abbandonare le sicurezze dell’uomo attuale, a scendere in basso, ad avvicinarsi alla terra, al mondo per come è e per come potrebbe essere nostro malgrado. È un atto di ascolto riverente, è inginocchiarsi davanti all’altare del vento e dell’aria, della luce, delle pietre. La paesologia è prendere i propri occhi e modificarli, è svelare la bellezza di ciò che gli altri ci fanno credere brutto, insignificante. Un punto di vista che parte dall’interno, dai nostri organi, dai nostri sensi e che ci lega a ciò che vive, che sta nel mondo. Non è più il tempo del delirio per l’umanità, non è più il tempo per le smanie capricciose dell’ “io”. Bisogna uscire, andar fuori, imparare a usare il corpo come un’astronave, apprendere da tutto ciò che è piccolo, inerme, silenzioso, vinto. Pregare per la sua salvezza, che è poi anche la nostra. Una piccola apocalisse silenziosa è in corso sotto i nostri occhi. Possiamo fingere di non vederla, o possiamo chinarci e prestare nuova attenzione, donarle lo sguardo, darle una voce. I paesi non sono un problema, sono una possibile soluzione. Non sono un esperto di faccende economiche, la mia ossessione è la scrittura. La mia è un’esperienza di dedizione assoluta alla scrittura. Inutile lamentarsi per la perdita di attenzione nei confronti della letteratura. L’unica cosa che uno scrittore può fare è scrivere libri veri, onesti, infiammati dal coraggio, costruiti con puntiglio e rigore.
La paesologia non è un’evasione dalla letteratura. Cerca lettori combattenti. Per stare al mondo senza ammalarsi di noia e di ingordigia, ci vuole uno slancio disumano, ci dobbiamo convincere che siamo terracarne. In ciò che scrivo l’indagine su me stesso è intrecciata all’osservazione di un lampione, di una macchina parcheggiata, di una vecchia che cammina per strada. I deliri della mente e quelli delle betoniere, tutto per me è oggetto della paesologia. C’è bisogno di includere, intrecciare. Viviamo in un’epoca irrimediabilmente mescolata, a cui è inutile portare il broncio. La realtà, a dispetto di ogni oltraggio, rimane colossale e merita di essere raccontata.
Franco Arminio da  LA REPUBBLICA