giovedì 15 marzo 2012

Chi s'indigna per l'epiteto "pecorella", ma non osa criticare la polizia - Lorenzo Guadagnucci

Fa davvero impressione il coro di commenti indignati e perbenisti scatenato dal filmatino che mostra l’innocua provocazione di un manifestante della Val di Susa verso un carabiniere. Si è scomodato Pasolini, si è parlato di squadrismo, si è evocato il rischio di un’escalation di violenze, il tutto senza mostrare il minimo senso del ridicolo, nonostante l’acme della provocazione sia stato individuato - dagli indignati commentatori - nell’epiteto “pecorella”. 

Epiteto, peraltro, usato dallo “squadrista” per segnalare alla telecamera che riprendeva la scena, la curiosa condizione che viviamo in Italia, un paese dove i cassieri del supermercato esibiscono sul petto un’etichetta di riconoscimento, ma i poliziotti no: e dire che si tratterebbe di una misura in favore della legalità: o qualcuno ha dimenticato l'impunità ottenuta al G8 di Genova da decine di agenti picchiatori, mai indagati perché non identificabili? (E peraltro nemmeno sottoposti a procedimenti disciplinari, ma questa è una precisa scelta dei vertici delle forze dell'ordine).
Ma in Italia non si può parlare di polizia e forze dell’ordine, se non per omaggiarle, o per scandalizzarsi se un agente fra mille è fatto oggetto di sberleffo...
…La verità è che stiamo subendo un’offensiva autoritaria terribile, con un movimento civile, una fetta importante della popolazione valsusina che vengono criminalizzati, per affermare - più che la volontà di realizzare un’opera inutile e costosa, che non sarà realizzata per mancanza di soldi - un principio di fondo, e cioè che non c’è spazio per mettere in discussione gli affari, cioè i soldi pubblici destinati  ad aziende private, né per contestare un modello di (anti)sviluppo che quanto più è in crisi, tanto meno tollera interferenze di sorta.

Gli indignati commentatori si facciano un esame di coscienza. Si domandino se non stiano partecipando più o meno consapevolmente al teatro della propaganda per la grande opera in quanto tale e si chiedano se la canea scatenata da quella “pecorella” non sia la spia di un accecamento collettivo, di un conformismo così radicato che induce a scandalizzarsi per un epiteto di troppo e a non vedere i manganelli che spezzano le ossa, i  lacrimogeni che avvelenano i polmoni, le cariche senza senso e le inutili brutalità contro cittadini che manifestano - che piaccia o meno - il proprio dissenso.
Perché in Italia non è possibile parlare male delle forze di polizia, quando se lo meritano?

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