lunedì 31 maggio 2021

LA PEDAGOGIA AUTOCOLONIALISTA DELLA LOBBY DEI CREDITORI - comidad

 


Secondo alcuni analisti internazionali, ai motivi di preoccupazione e irritazione degli USA nei confronti della Germania, oltre l'annoso caso del gasdotto North Stream 2, si sarebbe aggiunto anche il Recovery Fund. Se così fosse, l’irritazione statunitense sarebbe del tutto comprensibile, dato che con il Recovery Fund la Germania rilancia un proprio ruolo imperialistico sull’Europa occidentale e, per di più, a costi prossimi allo zero. La narrazione sulle presunte mirabilie del Recovery Fund riguarda soprattutto i media italiani; eppure qualche voce critica si è dovuta affacciare anche tra di essi, dato che il lettore medio abituato ad un minimo di frequentazione della stampa estera sa che ormai il mito si sta sgonfiando. Ad esempio, il settimanale “l’Espresso” ha dovuto ammettere che il confronto con gli analoghi interventi del governo americano è assolutamente avvilente per il Recovery Fund: gli USA spendono cifre che corrispondono al 40% del loro Pil, contro il misero 5% dell’Unione Europea. Chi narra di una Germania che avrebbe finalmente abbandonato il dogma della “frugalità”, propina balle.
Per l’Italia il vantaggio in termini finanziari del Recovery Fund si concretizza in appena 25 miliardi, tra sussidi ed eventuali risparmi sugli interessi. Se si considera che l'anno scorso il solo BTP Italia ha rastrellato più di 22 miliardi, si comprende la pochezza dell’operazione finanziaria dell'UE, a cui si aggiungono tempi da era geologica per l’erogazione dei fondi e condizionalità talmente vessatorie da risultare surreali.
Se l'UE non è già finita sottosopra è per il “quantitative easing” della Banca Centrale Europea. L’anno scorso l’immissione di liquidità, con l'acquisto indiretto di titoli di Stato da parte della BCE, è stata di oltre 1500 miliardi.
Quest’anno la BCE ha già previsto altre immissioni di liquidità per 1850 miliardi. La Federal Reserve, la banca centrale americana, aveva avviato il “quantitative easing” con sei anni di anticipo rispetto alla BCE, e sempre la Federal Reserve era riuscita ad imporlo alla UE scavalcando le resistenze, vere o finte, della Germania. In Italia il merito di aver “salvato” l'UE e l'euro è attribuito a Mario Draghi, mentre in realtà egli è stato solo uno strumento degli USA, che, dopo aver “inventato” l’UE in funzione anti-russa, ora non possono permettersi una sua dissoluzione, per gli effetti disastrosi che comporterebbe sulla NATO.

Se la narrazione sul Recovery Fund è totalmente infondata, come si spiegano i suoi effetti sul rilancio dell’imperialismo tedesco? La domanda è basata su un presupposto sbagliato, e cioè che l’imperialismo sia esclusivamente una questione di confronto e scontro tra nazioni. In realtà l’imperialismo è anche, e soprattutto, una componente dello scontro di classe. La fiaba delle fiabe è che l’Italia “subisca” suo malgrado le politiche di austerità germaniche, mentre al contrario la lobby della deflazione, cioè la lobby dei creditori, ha in Italia una delle sue principali roccaforti. Rallentare lo sviluppo non comporta solo l’assenza di inflazione e quindi la cristallizzazione del valore dei crediti; comporta anche la crescente dipendenza dal debito, persino se gli interessi sono bassi. La lobby italiana dei creditori cerca sponde e tutori all'estero per imporre all’interno politiche recessive, mascherate da “risanamento dei conti” e da “riforme strutturali”.
Si tende quasi sempre a sottovalutare la potenza ideologica della lobby dei creditori, che riesce a dissimularsi piegando ai propri interessi il linguaggio delle altre ideologie. La lobby dei creditori è avara e quindi cerca di far lavorare i propri aedi anche gratis, inculcando nelle altre ideologie, comprese quelle di “sinistra”, i “valori morali” dell’austerità. Non si tratta solo di manipolazione dall'esterno. Ciò che il politicamente corretto non è in grado neppure di comprendere, è che la mistificazione non è dovuta solo all’opera di agenzie addette allo scopo, ma è un vero e proprio rapporto sociale, nel quale istanze diverse, e a volte addirittura opposte come l’affarismo ed il moralismo, si fanno reciprocamente da sponda, spesso in modo del tutto inconsapevole.

I media e gli intellettuali si fanno così strumenti, più o meno volontari, di questa offensiva ideologica, che può essere definitiva come “pedagogia del genitore malevolo”, cioè i genitori che, come nel famoso film di Troisi, ti dicono che gli altri bambini sono sempre più bravi di te. Gli altri Paesi sono meno corrotti, non sono così spreconi, quando hanno i soldi sanno spenderli, eccetera. In tal modo si coltiva nell'opinione pubblica il senso dell'inadeguatezza e il bisogno di dipendenza, la ricerca di “vincoli esterni”. Più le gerarchie sociali sono arbitrarie, più cercano di camuffarsi sotto la falsa “oggettività” delle emergenze, della scarsità e delle inadeguatezze.
Ciò che gli USA non sono riusciti ancora a capire è che la vera risorsa dell’imperialismo tedesco è l’autocolonialismo italiano. Non a caso l’Italia è l’unico Paese che accederà completamente ai prestiti del Recovery Fund. Non sono certo quei pochi soldi che interessano alla nostra lobby dei creditori, ma proprio quelle condizionalità vessatorie che consentiranno di trovare i pretesti per comprimere ulteriormente le richieste delle classi subalterne.

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Cosa succede in Valsusa? La parola all’Avv. Valentina Colletta

  

Pubblichiamo una sintesi dell’incontro tenutosi mercoledì 26 maggio nella sede del CLE nell’ambito delle iniziative organizzate in Università dai giovani studenti No Tav e apparsa sul sito https://serenoregis.org/ a cura di Daniela Bezzi.


Dopo le partecipate assemblee già tenutesi il 12 maggio nella sede del CLE (per dire delle recenti requisizioni di San Didero) e il 19 maggio nella sede di Palazzo Nuovo (in cui la commissione tecnica del Movimento NoTav ha sottolineato i molti aspetti di insostenibilità del progetto Torino-Lione), l’incontro del 26 maggio della serie Cosa succede in Valsusa? è stato curato del Collettivo della Facoltà di Giurisprudenza e ha messo a fuoco il metodico lavoro di insabbiamento da parte della magistratura nei confronti dei responsabili dei tanti e documentati episodi di violenza da parte delle FF.OO (Forze dell’Ordine) nei confronti degli attivisti NoTav.

Il confronto si è svolto di nuovo al CLE (Aula autogestita) alla presenza dell’avv. Valentina Colletta (già difensora di Nicoletta Dosio, oltre che di Dana Lauriola, e di molti altri militanti del Movimento NoTav), ed è iniziato con la proiezione del film Archiviato: un documentario che fu lo stesso legal team del Movimento a concepire, per denunciare la sistematica impunità dei tanti episodi di violenza perpetrati nel corso di varie manifestazioni di protesta contro manifestanti inermi, a volte non più giovanissimi, in alcuni casi rimasti menomati per il resto della loro vita.

Un lavoro firmato da Carlo Amblino e con voce narrante dell’attore Elio Germano, essenzialmente di montaggio di vari spezzoni girati (spesso dalle stesse FF.OO.) durante gli scontri in valle, che ha visto la collaborazione e il patrocinio di varie associazioni (Gruppo Antigone, Associazione Giuristi Democratici, Controsservatorio Valsusa, A Buon Diritto) e, che nell’ottobre del 2016 venne presentato anche al Senato della Repubblica ma si trovò incredibilmente rifiutato l’anno successivo dalla manifestazione Biennale della Democrazia di Torino “che pur si pregia di essere un Forum di confronto, su tematiche di fondamentale importanza”  ha fatto notare l’Avv. Colletta introducendo il film.

Ricollegandosi a quanto già anticipato introducendo il documentario, l’Avv. Colletta ha innanzitutto ricordato l’origine della maggior parte dei filmati, per la maggior parte prove documentali fornite dalle stesse FF.OO. nell’ambito delle varie udienze svoltesi nel corso degli anni presso il Tribunale di Torino, in particolare durante il cosiddetto ‘processone’ riguardante l’impressionante serie di denunce a carico dei manifestanti. “Ma come il documentario ben dimostra, è stato regolarmente impossibile – a parte pochissime eccezioni – individuare i responsabili delle violenze subìte dai manifestanti, non solo tra gli agenti direttamente responsabili ma anche tra colleghi e dirigenti che ne erano senz’altro partecipi.

Trattandosi di azioni di gruppo, chiunque è testimone di un abuso avrebbe il dovere di denunciare e testimoniare, rendendosi protagonista dell’abuso se non lo fa… ma così non è stato per gli inquirenti, dando per scontato che anche in caso d’indagine i ‘colpevoli’ avrebbero negato qualsiasi responsabilità” ha detto l’Avv. Colletta, sottolineando però l’accanimento investigativo che si è invece abbattuto sul fronte opposto, criminalizzando chiunque (benché incensurato) fosse stato individuato partecipe oppure in qualche modo vicino al Movimento No Tav, non solo in Val Susa ma nel resto dell’Italia.

“La Digos è stata attivissima nell’individuazione dei fiancheggiatori, sulla base delle foto estrapolate dai filmati. Mentre non è stato fatto alcuno sforzo per individuare i responsabili di violenza tra le FF.OO. e per questo abbiamo deciso di muoverci direttamente come legali.” Nel caso della manifestante Marta, oggetto di violenza persino sessuale, l’individuazione dei responsabili sarebbe stata semplicissima, essendo gli stessi che firmarono il verbale di fermo; e solo grazie al confronto con le foto prodotte direttamente dal legal team del Movimento, si è arrivati ai colpevoli – ma anche il caso di Marta si è concluso con l’archiviazione con l’incredibile motivazione che le circostanze di concitazione caratterizzanti quel momento di scontro ‘escludono la possibilità di desideri sessuali’!

“Come Avvocati avevamo sperato di non dover dare seguito a questa documentazione, che si è chiusa nel 2016” ha proseguito l’Avv. Colletta. “Senonché proprio recentemente, a seguito di una manifestazione assolutamente pacifica che si è svolta a San Didero il 17 aprile scorso, eccoci a denunciare l’ennesimo caso di violenza, con uso indiscriminato di lacrimogeni ad altezza d’uomo contro un gruppo di manifestanti. Tra essi è rimasta gravemente colpita Giovanna Saraceno, tuttora ricoverata in ospedale per fratture alla calotta cranica con prognosi di almeno un anno – e per la quale abbiamo esposto querela sperando che i responsabili tra le FF.OO. vengano individuati, ma non è affatto certo…

L’unica cosa certa, dal 2016 ad oggi, è la crescita esponenziale degli indagati e dei verdetti, come nel caso di Dana Lauriola, che solo da poco ha ottenuto i domiciliari dopo sette mesi di carcere che avrebbero dovuto essere addirittura due anni, benché incensurata. E non sono pochi gli indagati sul suo stesso caso, che com’è noto è di lieve rilievo: il blocco dei tornelli su un tratto di autostrada, per denunciare le condizioni gravissime del compagno Luca Abbà precipitato dal famoso traliccio (luglio 2012) per un danno complessivo ai gestori di poco più di € 700.”

A nome del Collettivo di Giurisprudenza è quindi intervento Alessandro che ha sottolineato come “più che di repressione si dovrebbe parlare di criminalizzazione, a fronte della più sistematica decriminalizzazione, ovvero dell’uso selettivo del crimine: da una parte per sopprimere il dissenso di chiunque si oppone alla Grande Opera, dall’altra per autorizzare qualsiasi abuso da parte di chi si fa Agente di tale repressione, evidenziando l’ipocrisia di un sistema che teoricamente renderebbe obbligatoria l’azione penale (…) e invece valorizza il protagonismo degli Agenti di Polizia, chiamati a concorrere con schedature, informative e quant’altro: frequentazioni, convegni, amicizie, tutto concorre all’istruzione dell’accusa…”

Un’intenzionalità confermata dall’Avv. Colletta quando ha ricordato che il cosiddetto pool di inquirenti sulla situazione NoTav, è stato creato nel 2010, ovvero prima che si evidenziasse una particolare necessità inquisitoria. Contribuendo cioè a orientare a priori le indagini in corso, in quanto affidate appunto allo stesso pool. “Per esempio la stessa partecipazione alle udienze nei vari processi, che sarebbe un diritto per chiunque – a cominciare dalla famosa Aula Bunker che ha visto lo svolgersi del ‘processone’ – diventa un’occasione di schedatura da parte della Digos, per attenzionare chi per esempio è attivo su vari fronti di protesta sociale (…) Anche in assenza di comportamenti criminosi ecco che la scheda-Digos concorrerà alla definizione di indagato solo perché fisicamente presente magari solo come testimone, allo sgombero di una casa occupata, e tutte queste assiduità verranno poi impugnate in sede di giudizio.”

L’Avv. Colletta ha tra l’altro ricordato le recenti udienze per i tafferugli che si verificarono un anno fa contro alcuni studenti del FUAN all’Università “in cui si è arrivato alla richiesta di misure cautelari per condotte che al massimo potrebbero definirsi bagatellari, a fronte della più assoluta indulgenza nei confronti del banchetto del FUAN la cui presenza è stata giustificata come libertà di espressione!”

Alessandro del Collettivo Giurisprudenza ha poi richiamato l’attenzione su alcuni studiosi che hanno dedicato una particolare attenzione all’accanimento giudiziario sul caso Val Susa in particolare Alessandro Senaldi (Università di Genova, autore di Cattivi e primitivi. Il movimento NoTav tra discorso pubblico, controllo e pratiche di sottrazione – Ed. Ombre Corte, 2016) e Xenia Chiaromonte (ICI Berlin Institute for Cultural Inquiry, autrice del fondamentale Governare il conflitto – Ed. Meltemi, 2019). “Senaldi scherzosamente sottolinea l’alta velocità dei procedimenti contro i NoTav, che normalmente prevedono rinvii a giudizio 2 volte e mezzo inferiori che in altri casi, mettendo in dubbio l’assunto secondo il quale La legge è uguale per tutti…”

“Infatti non lo è, ma non solo per il Mov NoTAV o per altri conflitti sociali. La legge è fondamentalmente classista” ha fatto eco l’Avv. Colletta. “La considerazione riservata a una persona abbiente sarà indubbiamente diversa da quella per un tossicomane (per fare un esempio di cui mi sono occupata recentemente) che in un supermercato ha rubato un pezzo di formaggio – evidentemente perché aveva fame… Ma il solo fatto che dopo essersi divincolato abbia cercato di scappare, identifica il reato come rapina. La sentenza non è stata ancora emessa ma potrebbe essere esemplare, ovvero severa, e questa è purtroppo la norma – mentre tutt’altro che esemplarmente vediamo puniti i responsabili dei tanti casi, per esempio di strage, bancarotte, nocività ambientali, fallimenti fittizi etc, che si trascinano per anni e magari si concludono in prescrizione, sebbene così impattanti sui territori e sul corpo sociale.

Per cui: la giustizia NON è uguale per tutti e non è una bestemmia dirlo. Per una ragione innanzitutto procedurale: perché se il giudice incarica la polizia di indagare circa le responsabilità della stessa polizia, non si arriverà a nessuna conclusione, è normale che all’interno dello stesso corpo di polizia ci si difenda con l’omertà – la cosa cambierebbe incaricando forse i carabinieri o la guardia di finanza, ma ciò non succede.”

È intervenuta poi dal pubblico Irene che ha definito aberrante l’archiviazione dell’abuso sessuale documentata dal film Archiviato verso il finale, con la NoTav Marta non solo palpeggiata nelle parti intime e insultata come puttana da un’agente per giunta donna, ma intimidita dallo stesso giudice mentre riconosce i responsabili degli abusi: “speriamo solo che il crescere di sensibilità su certe problematiche renda difficile il riproporsi di simili situazioni: un vero schifo!” Richiamandosi poi al dibattito che è cresciuto in altri paesi del mondo, per esempio negli Stati Uniti, sul tema della police brutality, Irene si è chiesta come mai un’attenzione analoga non si è sviluppata in Italia e in particolare su ciò che succede in Val Susa.

“Su questo punto dovremmo ragionare se non altro perché apre uno spiraglio di speranza” ha convenuto l’Avv. Colletta. “Forse quel che fa la differenza è un diverso sistema d’informazione, benché i casi di violenza qui da noi non siano meno ‘schiaffo in faccia’ di quelli che hanno motivato le proteste oltre-atlantico. Penso alla povera Giovanna letteralmente rovinata da un lacrimogeno; o a quella signora non più giovanissima che dopo gli scontri di Chianocco non potrà più camminare normalmente, per non dire delle conseguenze sul piano psicologico che sono stati in molti a soffrire – o di quelle immagini che documentano l’irruzione delle FF.OO. all’interno di un bar durante gli scontri di Chianocco… Forse se queste immagini venissero diffuse dai nostri media, cambierebbe qualcosa, ma la mia impressione è che il sentimento prevalente da noi è aprioristicamente in favore delle FF.OO.  Forse negli Stati Uniti si è raggiunta una diversa consapevolezza.”

Ha ripreso la parola Alessandro del Collettivo di Giurisprudenza che ha sottolineato l’ulteriore protagonismo dei Sindacati di Polizia che si costituiscono regolarmente parte civile nei processi. Riferendosi poi al caso di Giovanna ha ricordato che la Convenzione di Ginevra considera i lacrimogeni armi da guerra che come minimo andrebbero utilizzati a parabola e non ad altezza d’uomo, come è troppo spesso successo in Val Susa. E in relazione alla riflessione di Irene, ha messo in rilievo il cambio di paradigma riscontrato dai sociologi del diritto americani rispetto a una ‘macchina della polizia’ che da un certo punto in poi è stata vista non solo da dentro, ma anche da fuori.

Sempre sul tema della police brutality sollevato da Irene è intervenuto poi un altro studente, ricordando i casi di Federico Aldovrandi, Carlo Giuliani, Stefano Cucchi, che hanno richiesto anni per arrivare a un riconoscimento di giustizia benché insoddisfacente. “E comunque non dovremmo sottovalutare l’aspetto della rabbia, che tutti questi casi di ingiustizia contribuisce ad accrescere, nei confronti dello Stato” ha concluso, facendo riferimento al quartiere in cui vive, quartiere Aurora, spesso teatro di violenti scontri con la polizia, per esempio durante il lockdown. “La funzione della polizia dovrebbe essere di difesa dei cittadini e invece finisce per essere di repressione della protesta sociale, e questo genera rabbia…”

Sulla tesi delle ‘mele marce’, ovvero dei ‘casi isolati’ all’interno delle FF.OO., l’Avv. Colletta ha ritenuto importante ricordare i fatti di Genova 20 anni fa, che anche per lei hanno rappresentato un momento di non ritorno: “Ammesso che la tesi sia accettabile, io avrei voluto vedere una radicale pulizia tra i ranghi della polizia, come dei carabinieri nel caso di Cucchi. E invece abbiamo assistito a sistematici insabbiamenti e deviazioni delle indagini, per arrivare al massimo a condanne simboliche che però non escludono il reintegro e addirittura le promozioni, dopo i periodi di sospensione! Ma se il caso Cucchi ha richiesto 15 anni, durante i quali ai responsabili è stato dato persino il diritto di insultare chi cercava di fare giustizia, significa che dietro le ‘mele marce’ c’è un sistema, un apparato, un corpo pronto a difendere a oltranza le ‘mele marce’!”

E tornando sul caso della Val Susa, sulla sproporzione delle pene inflitte per reati relativamente gravi, nel confronto con ciò che è successo per esempio alla Diaz durante i giorni di Genova, ha ribadito la funzione fondamentalmente rieducativa di qualsiasi pena. “Nessuno pretende l’impunità in caso di danneggiamento, a patto che il danneggiamento non venga scambiato per terrorismo o eversione. Se questo succede, io cittadina ho il diritto di pensare e di dire che non è giusto.”

da qui

 

BastaDeTerricidio

 

Appello per un
22 Maggio Giornata Globale di lotta al Terricidio

Dal Sud dell’Indoamerica al Mondo,
il Movimiento de Mujeres Indígenas por el Buen Vivir  propone  #BastaDeTerricidio.

Queste parole non escono dalle nostre bocche, le nostre labbra sono abitate dal silenzio. Le parole escono dai nostri piedi. Perché quando la bocca si stanca di gridare e il suo suono diventa impercettibile, allora è necessario parlare con i piedi.

Ecco perché camminiamo. Perché i nostri piedi raccontino ciò che le nostre parole non hanno potuto narrare.

I nostri piedi, scolpiti dal vento, induriti dagli aspri sentieri della lotta quotidiana per sopravvivere. I nostri piedi a volte avvolti in stracci, a volte nudi, razzializzati, calpestati, imbruttiti, ma non sconfitti. Forti per continuare a camminare, radicati nella terra.
I nostri piedi recuperano la dignità e ci portano a calpestare le tracce ancestrali, perché dal fondo della memoria recuperiamo l’orizzonte del #BuenVivir come Diritto.

Dal 14 marzo ci siamo messe in cammino al passo,  lentamente ma con fermezza. Abbiamo percorso paesaggi meravigliosi attraversati da dolore, grida e lotta. Nutrendoci di quelle forze che emergono dalla terra e dai popoli.

Arriveremo il 22 maggio a #BuenosAires per dire Basta al Terricidio!
Un Basta che si nutrirà di azioni collettive, di volontà umanitarie e dell’articolazione globale per porre fine a tanta morte.

Forse chi ha creato questo sistema perverso, i detentori del potere, i mentori della morte, credono che non abbiamo imparato nulla dalla conquista del continente fino ad ora?

Non siamo solo davanti a un problema di carattere climatico, sanitario o economico, un vaccino non lo risolve e nemmeno una legge. 

La malattia più letale è stata quella di imporre una normalità, costruita in opposizione all’ordine cosmico, spezzando la relazione armonica e di reciprocità con la Terra.
Durante questo periodo i #femicidi#feminicidi#travesticidi e #transfeminicidi sono aumentati. L’#ecocidio ha superato un limite di perversità e impunità che ha mostrato non solo la negligenza del sistema, ma anche il fatto che i terricidi sono disposti a tutto pur di alimentare la loro insaziabile avidità.

La cultura dell’odio è stata introdotta dai poteri religiosi, rimuovendo quella dell’amore e del rispetto tra i generi, i popoli e la natura, la nostra spiritualità clandestina è perseguitata dalle religioni oppressive finanziate dall’#estrattivismo genocida.

Da secoli il sistema imperante ha determinato il segmento dell’umanità che desidera eliminare. Il #genocidio è attuato con la complicità di tutti i governi del mondo. Siamo coscienti che il #terricidio non si risolverà con una legge, poiché è l’insieme di tutti i modi di uccidere le diverse forme di vita che questa matrice di civiltà imposta ha pianificato ed eseguito fino ad ora.

La soluzione è un’assoluta e totale rivoluzione. Noi la stiamo percorrendo in ogni recupero territoriale, in ogni cerimonia ancestrale che attuiamo, nel recupero e nel rafforzamento della nostra medicina ancestrale. Nella difesa attiva della vita e dei territori. Ciò nonostante, continuerà ad essere insufficiente se non ci incrociamo per tessere insieme, recuperando l’arte di vivere che in #indoamérica i nostri predecessori ci hanno trasmesso.
Sappiamo che questo non è il momento migliore né il contesto adeguato per uscire dai territori. Ma se restiamo in casa continueranno ad ucciderci.

Arriveremo a Buenos Aires il 22 maggio, abbiamo scelto questa data come nostro primo grido di libertà, quello della plurinazionalità dei territori. 

Noi, donne indigene, siamo portatrici di messaggi universali che stanno rivelando ciò che succederà se non reagiamo. E’ necessaria una vera rivoluzione che interpelli questa matrice di civiltà malata e con essa il potere come idea e come ordine. Questo giorno storico sarà l’inizio di una rivoluzione per la vita, dalla memoria e dalla giustizia per i popoli e soprattutto per la terra. 

Dai diversi territori del pianeta realizzeremo questa azione globale, perché siamo milioni che non accettiamo più questo sistema di morte.

Potete taggarci sulle nostre reti social o inviarci foto alla mail bastadeterricidio@gmail.com
Vi invitiamo a unirvi per esigere insieme a noi #BastaDeTerricidio da balconi, terrazze, finestre, porte, attraverso cortei, murales, attacchinaggi, marce, azioni.

http://www.yabastaedibese.it/2021/05/22-05-bastadeterricidio/

domenica 30 maggio 2021

Il settore delle pubbliche relazioni mira a bloccare i movimenti ambientali – ecco cosa possono fare gli attivisti - Selina Gallo-Cruz

 

Il settore delle pubbliche relazioni mira a bloccare i movimenti ambientali, ma gli attivisti stanno sviluppando nuove forme di resistenza.

Mentre le comunità di tutto il paese si preparano a piantare alberi per celebrare il 51° anniversario della Giornata della Terra, anche le industrie si stanno rimettendo in riga, promettendo il loro impegno a diventare più green. Ma queste strategie di mercato nascondono spesso un sottile inganno, volto a promuovere aziende che, in realtà, continuano a danneggiare l’ambiente. Da qui, la necessità di esortare il governo a rafforzare le sanzioni legali contro i casi di greenwashing – una pratica che le multinazionali utilizzano per travisare strategicamente le loro pratiche ambientali. 

Non c’è bisogno di andare troppo lontano per comprendere cosa sia il greenwashing. Nella mia città natale, Worcester, in Massachusetts, si può osservare questo fenomeno anche sui camion della spazzatura, sui quali sono raffigurate immagini di parchi pubblici e corsi d’acqua incontaminati… Il messaggio che cercano di comunicare è la spazzatura in qualche modo si trasforma in splendidi stagni con anatre, circondati da spazi verdi idiallici. Il logo della società, infatti, dice che i loro servizi di raccolta rifiuti danno nuova vita alle risorse (“Give Resources New Life”). Se questo genere di pubblicità è considerato accettabile perché essenzialmente volto a scopi commerciali – migliore è la percezione che il pubblico ha di un’azienda, più alte sono le probabilità che la trattino con condiscendenza – mettere al primo posto le pubbliche relazioni rappresenta una grave minaccia per i movimenti ambientali. 

Nel caso accennato, le parole e le immagini utilizzate dall’azienda servono a mascherare le complessità dell’economia politica dei rifiuti e le realtà nefaste che si nascondono dietro il termine riciclaggio. Gran parte della spazzatura della mia città finisce in un inceneritore che l’EPA ha classificato come uno dei più grandi emettitori di ossidi di azoto e l’anidride solforosa, due sostanze inquinanti, possibili responsabili di alcune malattie. Si tratta di uno dei problemi di giustizia ambientale più grave di tutto il paese, secondo gli attivisti. Tutto ciò che non va nell’inceneritore, finisce nelle discariche più lontane, come in Virginia o in Ohio, aumentando ancora di più le emissioni di gas serra e aggravando il fenomeno dell’esternalizzazione dei rifiuti. Nel frattempo, le proposte di modifica al sistema di riciclaggio hanno aumentato l’indignazione generale, scatenando una disputa tra cittadini, politici e il settore delle pubbliche relazioni.

Una battaglia sul riciclaggio locale

Due anni fa, all’interno del suo programma “Clean City”, la città ha proposto di sostituire i contenitori del riciclaggio con sacchetti di plastica monouso, sostenendo che questo ridurrebbe lo spargimento di rifiuti a causa del vento. Un cambiamento del genere non solo aggraverebbe il problema del riciclaggio dei rifiuti alimentari, ma aumenterebbe la nostra dipendenza dai combustibili fossili utilizzati per produrre sacchetti di plastica, producendo ogni anno più di 135 tonnellate di plastica. Inoltre, non risolverebbe il problema della spazzatura “vagante”, la cui fonte principale è rappresentata da contenitori usa e getta e sacchetti di plastica, che probabilmente aumenteranno con l’apertura di uno stadio e di un nuovo quartiere dello shopping. 

Quando alcuni cittadini si sono mobilitati per opporsi a questa proposta – esortando la città a mantenere bidoni di riciclaggio riutilizzabili e implementare strategie di riduzione dei rifiuti più efficaci, come ad esempio il divieto di contenitori usa e getta – hanno scoperto che il vecchio capo del Dipartimento dei Lavori Pubblici era diventato rappresentante dell’azienda che voleva vendere alla città il distributore di buste di plastica “a strappo”. Ed era stato lui a convincere il direttore della città che il nuovo sistema avrebbe abbassato i costi di riciclaggio. 

L’obiettivo delle pubbliche relazioni è conquistare la fedeltà del cliente attraverso narrazioni convincenti, anche se sono fuorvianti o false.

L’analisi sui sistemi di riciclaggio ha dimostrato che il nuovo metodo di raccolta adottato dalla città sarebbe stato finanziato dall’industria di sacchetti. L’azienda ha assunto un rappresentante PR per incontrare gli attivisti ambientali che hanno reagito alla notizia, e provare a convincerli che i sacchetti monouso potrebbero essere prodotti utilizzando la tecnologia di cattura del carbonio, azzardando anche a sostenere che se non fosse stato per loro, molto più carbonio sarebbe entrato nell’atmosfera. Gli attivisti erano tutt’altro che impressionati, ma ben consapevoli dell’ambiguità di tali affermazioni.
 
 In risposta alle preoccupazioni dell’opinione pubblica, Worcester ha ritardato momentaneamente l’avvio del nuovo sistema. Questa lotta, tuttavia, mostra come l’industria delle PR trovi sempre nuove tattiche per mettere i bastoni tra le ruote a chi fa attivismo. 

Pubbliche relazioni e le tattiche contro il movimento ambientalista

La nascita dell’industria delle pubbliche relazioni è attribuita a Edward Bernays e al suo lavoro del 1928, intitolato “Propaganda”, con il quale l’autore delineava la sua filosofia della manipolazione psicologica collettiva per scopi politici e di altro tipo. Presto applicò questo approccio anche al mondo della pubblicità e con i suoi slogan contribuì a far salire alle stelle le vendite, dalle sigarette alle tazze usa e getta. Alla fine, un’intera industria di marketing è nata sul suo esempio, applicando queste strategie per aziende farmaceutichemilitari e ogni altro settore della società. 

Gli effetti non sono stati positivi. Le pubbliche relazioni, per essere chiari, non si basano sulla verità. Né su ricerche scientifiche obiettive, o ipotesi applicate. Non sono intese a sostenere relazioni eque tra un’organizzazione e il suo pubblico di supporto. L’obiettivo delle pubbliche relazioni è conquistare la fiducia del cliente attraverso narrazioni convincenti, anche se fuorvianti o false. Sono state a lungo utilizzate per contrastare i movimenti degli attivisti, e possiamo capire come grazie agli studi sociologici sul tema.

Gli attivisti per clima dovrebbero proiettarsi qualche passo avanti e escogitare strategie per affrontare – e smascherare pubblicamente – le manovre delle pubbliche relazioni.

I movimenti sociali sviluppano ciò che gli scienziati sociali chiamano “strutture di azione collettiva”, o modi strategici di impostare il loro messaggio per identificare più facilmente la radice alla base dei problemi sociali e promuovere soluzioni concrete. In risposta, gli attori che sono presi di mira dagli attivisti – tra cui i politici, le società e altre organizzazioni come i gruppi industriali – sviluppano argomenti di “controflusso”, facilmente vendibili al pubblico, in cui esprimono diretto disaccordo e presentano prove per confutare le accuse, che spesso però non funzionano. Con l’aiuto di consulenti PR, possono invece cooptare le richieste dei movimenti, apparentemente riconoscendone la correttezza e lavorando per incorporarle in una ridefinizione di chi sono e cosa fanno. È importante per gli organizzatori notare che questa non è una piena cooptazione degli obiettivi e delle iniziative attiviste. La cooptazione può avere un esito positivo, se le cause portate avanti dal movimento vengono veramente portate avanti da agenti potenti. Tuttavia, questa sovrapposizione di ruoli può anche portare un’organizzazione a sposare i valori del movimento, evitando di apportarvi reali cambiamenti che vadano contro i propri interessi. Questo va oltre il concetto di “rebranding”, che mira semplicemente ad aggiornare l’immagine di un’azienda o a espandere la sua base di mercato, semplicemente modificandone il logo. Il controflusso ha lo scopo esplicito di smobilitare la protesta. In casi estremi, come ho descritto nella mia ricerca, può comportare una reinvenzione istituzionale totale. 

Nel frattempo, il “greenwashing“, un termine coniato negli anni ’80, mira a distogliere l’attenzione dagli effetti deleteri delle scelte aziendali, rallentare lo slancio dei movimenti sociali e conquistare la fiducia dei consumatori. La pubblicità dei camion di smaltimento dei rifiuti della mia città, la ricerca sponsorizzata dall’azienda di sacchetti di plastica e il controflusso argomentativo del rappresentante PR del venditore di sacchetti sono tutti esempi. E a volte gli attivisti contribuiscono inconsapevolmente a questo processo quando i loro obiettivi li invitano a impegnarsi in un dialogo che suscita un’articolazione sentita delle loro rimostranze – un’opportunità per gli esperti di pubbliche relazioni di imparare esattamente quali sentimenti e affermazioni avrebbero più influenzare il pubblico su la questione. 

Gli esperti di pubbliche relazioni possono anche aiutare le aziende a escogitare alleanze artificiali attraverso una strategia soprannominata “astroturfing” (letteralmente, ricevere consensi), ossia il tentativo di dare l’impressione di un diffuso sostegno popolare a una politica, a un individuo o a un prodotto, laddove tale sostegno esiste in misura limitata. Per esempio, il gruppo “Donne per il Gas Naturale”, in realtà è composto da identità virtuali fasulle. Gli esperti di pubbliche relazioni costruiscono legami politici con gruppi reali, spesso meno potenti, come è successo con gli investimenti della società di gas naturale per opporsi alle politiche di transizione dai combustibili fossili. E aiutano i loro clienti  a ispirare maggiore fiducia tra le comunità colpite dalle loro attività. Formosa Plastics, nota per il devastante inquinamento che ha causato nelle acque navigabili e nell’aria in alcune comunità multietniche degli Stati Uniti, ha fatto donazioni simboliche a gruppi civici ambientali locali e finanziato posizioni accademiche presso le università locali. 

Adiacente al campo delle pubbliche relazioni, anche l’attività di lobbying porta avanti una serie di potenti strategie. Poco dopo recente veto posto dal governatore del Massachusetts, Charlie Baker, su un ambizioso progetto di legge sul clima, i ricercatori della Brown University hanno pubblicato un rapporto che illustra come, nonostante la schiacciante testimonianza nelle commissioni legislative a favore dell’azione per il clima, le coalizioni industriali siano riuscite a guidare la politica energetica.
 
 Gli sforzi delle pubbliche relazioni per controllare il discorso sulle questioni ambientali – in particolare il cambiamento climatico – sono implacabili. Che cosa può fare allora un movimento sociale? 

Contrastare le PR ingannevoli

I movimenti sono sempre più consapevoli delle strategie di pubbliche relazioni e le sfidano. Le organizzazioni di controllo, come Global Witness, sono state particolarmente astute nel verificare le affermazioni del governo e dell’industria, nel confrontarle con dati concreti e nell’invitare i leader a rispettare i propri impegni. A Worcester, il Sunrise Movement ha condotto un’approfondita revisione del “Piano Verde” cittadino recentemente presentato, rivelando gravi omissioni e preoccupanti contraddizioni tra ciò che il piano rappresenta e ciò che non promette di realizzare.

Ci sono diverse considerazioni importanti che gli organizzatori possono applicare prima che le PR possano deragliare lo slancio del movimento.

1. Elaborare strategie in anticipo e pianificarle attivamente. Negli archivi ci sono tantissimi video e foto di attivisti per i diritti civili che si preparano ad affrontare la violenza che potrebbero incontrare durante i sit-in. Gli attivisti per il clima dovrebbero pensare diversi passi avanti e escogitare strategie per affrontare – e smascherare pubblicamente – le manovre PR.
 
 2. Essere più discriminatori nell’identificare quali politici, leader e alleati sono sinceramente preoccupati per il cambiamento climatico e quali no. Qui, ancora una volta, il Movimento Sunrise nel Massachusetts ha dimostrato un’abile lungimiranza strategica, rivendicando una significativa vittoria per il movimento climatico nella recente corsa al Senato tra il sostenitore del movimento,  Ed Markey, e il suo principale rivale del Senato democratico, Joseph Kennedy III.

Ogni strategia attinge a diversi meccanismi attraverso cui attuare il cambiamento – quindi, gli attivisti dovrebbero valutare attentamente il loro obiettivo: convertire, convincere o infine costringere. Sono molti gli esempi che attestano il potere trasformativo del dialogo come strumento per indurre il pensiero empatico e la costruzione di relazioni reciproche e egualitarie. Tuttavia, questo mezzo fallirà con i politici e i leader dell’industria, dal momento che molte grandi aziende non hanno realmente fissato obiettivi per ridurre le emissioni di gas a effetto serra.
 
 3. Formulare richieste orientate all’azione che vadano al di là dell’opposizione a politiche e pratiche pericolose e proporre invece chiare modifiche politiche, articolate in modo dettagliato. L’opposizione può raccogliere un ampio consenso su ciò che è sbagliato, ma le proposte con alternative chiare saranno più resistenti alle tattiche delle pubbliche relazioni. Inoltre, lasciando l’attuazione di un piano per il clima a leader che non conoscono il tema e non hanno esperienza, può rendere i loro “piani verdi” meno efficaci e più vulnerabili alla manipolazione

C’è da dire, però, che le denunce hanno effetto solo fino a un certo punto. Da un lato, gli sforzi per denunciare l’impatto dell’industria del gas naturale sul cambiamento climatico hanno innescato una maggiore consapevolezza su ogni piano – l’esempio più recente è il End Polluter Welfare Act del 2021. D’altro canto, le denunce – in particolare quelle rivolte alla legislazione locale – non sono efficaci quanto lo sviluppo di nuove politiche alternative, che specifichino l’elettrificazione, il divieto di nuovi collegamenti a combustibili fossili o l’attuazione di riconversioni delle fonti di combustibili fossili esistenti. È inoltre necessaria l’implementazione di politiche volte a ridurre il dispendio energetico, soprattutto perché gli esperti hanno analizzato i limiti dell’energia alternativa rispetto al nostro attuale utilizzo, nonché gli effetti dannosi della tecnologia “verde”

Anche con l’aggravarsi della crisi climatica, molte delle industrie incriminate continuano a riversare fondi in attività che si sforzano per impedire un rapido declino. Può sembrare paradossale che gli attacchi ai movimenti vengano spesso confezionati sotto forma di accordi strategici. Ma i risultati degli studi sociologici sulla politica ambientale  mostrano che il greenwashing è una delle armi più comuni, almeno lì dove gli attivisti detengono abbastanza potere per evitare quella repressione diretta che le resistenze indigene spesso affrontano.
 
 Con questa consapevolezza, è fondamentale che gli attivisti continuino a sviluppare forme di resistenza che tengano conto della doppia faccia delle pubbliche relazioni. È necessario per poter avere delle conversazioni oneste sui gravi problemi ecologici che dobbiamo affrontare, nonché per costruire – e realizzare – politiche che siano veramente efficaci.

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In Canada i bambini ammazzati non smettono di piangere

Quando ammazzano i genitori rubano i loro figli (Argentina), quando non riescono ad ammazzare i genitori (gli schiavi sono necessari) rubano i loro figli, e se non riescono a ridurli a loro immagine e somiglianza, a fargli un perfetto lavaggio del cervello, se ne liberano, a volte ammazzandoli, le altre volte abbandonandoli, relitti senza identità culturale - Amen


Canada: shock in comunità nativi, trovati resti 215 bimbi

 

La comunità dei nativi della British Columbia meridionale (Canada) è sotto shock. Una tragica verità che i membri della minoranza etnica 'Tk'emlúps te Secwépemc' sospettavano da decenni è venuta alla luce in tutta la sua macabra crudeltà nei giorni scorsi: i resti di 215 bambini sono stati trovati vicino a quella che un tempo era la Kamloops Indian Residential School, uno degli istituti del sistema delle cosiddette 'Indian residential schools', una rete di scuole fondate dal governo e amministrate dalle Chiese cattoliche che rimuovevano i figli degli indigeni dalla loro cultura per assimilarli nella cultura dominante.

Ma non solo: i bambini erano spesso oggetto di abusi sessuali e fisici, e molti di loro - come testimonia questo ritrovamento, di cui dà notizia oggi la Cnn - pagarono con la vita la loro unica 'colpa' di essere diversi. La Kamloops Indian Residential School, una delle più grandi del Paese, iniziò l'attività alla fine del 19mo secolo sotto la gestione della Chiesa cattolica prima di passare sotto il controllo del governo nella seconda metà degli anni Sessanta e di chiudere i battenti nel 1978.

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Nel Canada trovati i resti di 215 bambini indigeni in una fossa comune vicino all'ex scuola cattolica

(globalist.it)

L'istituto faceva parte di una rete fondata dal governo e amministrate dalle Chiese cattoliche, che dovevano "separare" i figli degli indigeni dalla loro cultura per "assimilarli" nella cultura dominante.

 

Una vicenda terribile: la comunità dei nativi della British Columbia (Canada) è sotto shock: i resti di 215 bambini sono stati trovati in una fossa comune vicino a quella che un tempo era la Kamloops Indian Residential School.
L'istituto, chiuso nel 1978, faceva parte di una rete di scuole, fondate dal governo e amministrate dalle Chiese cattoliche, che avevano come scopo quello di "separare" i figli degli indigeni dalla loro cultura per "assimilarli" nella cultura dominante.
I bambini erano spesso oggetto di abusi sessuali e fisici, e molti di loro - come testimonia questo ritrovamento, di cui dà notizia la Cnn - pagarono con la vita la loro unica "colpa" di appartenere a un'altra cultura.

La Kamloops Indian Residential School, una delle più grandi del Paese, iniziò l'attività alla fine del 19esimo secolo sotto la gestione della Chiesa cattolica prima di passare sotto il controllo del governo nella seconda metà degli anni Sessanta e di chiudere i battenti nel 1978.
Una "perdita impensabile di cui si è parlato ma che non era mai stata documentata" è stata confermata, ha detto il presidente della comunità Tk'emlúps te Secwe'pemc, Rosanne Casimir: "Il weekend scorso, con l'aiuto di un georadar, la cruda verità dei risultati preliminari è venuta alla luce. La conferma dei resti di 215 bambini che erano studenti della Kamloops Indian Residential School. Alcuni avevano appena tre anni".

"Il mio cuore è sprofondato - ha commentato un ex studente di quella scuola, Harvey McLeod, nel corso di un'intervista alla Cnn -. E' stato così doloroso sentire alla fine ciò che pensavamo stesse accadendo lì". Questa storia, ha aggiunto, "è così irreale, ma ieri è diventata reale per molti di noi in questa comunità".
Casimir ha sottolineato che i resti ritrovati appartengono a bambini le cui morti "non sono mai state documentate". Una circostanza, questa, confermata da McLeod, che per decenni si è chiesto che fine avessero fatto alcuni suoi amici e compagni di classe. Le indagini proseguiranno in collaborazione con l'ufficio del coroner della British Columbia e il governo ha garantito che i resti verranno salvaguardati e identificati.

Secondo un rapporto del 2015, pubblicato dalla Commissione per la Verità e la Riconciliazione, molti dei bambini che frequentavano queste scuole non ricevevano nemmeno cure mediche adeguate, ed alcuni morivano di tubercolosi. La Commissione stima che in un periodo di vari decenni oltre 4.000 bimbi hanno perso la vita in queste scuole.
Il primo ministro canadese Justin Trudeau ha detto che è un "doloroso pro memoria" di "un capitolo vergognoso della storia del nostro Paese".

da qui

 

 

su Arte tv è disponibile per qualche giorno il documentario “Uccidi il Nativo che è in ogni bambino”, di Gwenlaouen Le Gouil

https://www.arte.tv/it/videos/093799-000-A/uccidi-il-nativo-che-e-in-ogni-bambino/

Prigionieri della propria Patria. Intere generazioni vittime di un vero e proprio genocidio culturale, tale è stato il trattamento riservato per decenni alle comunità autoctone da parte del Canada. Dall’introduzione dell’Indian Act nel 1876, che identifica i membri delle First Nations come cittadini di serie B, i figli dei Nativi hanno subìto le politiche di acculturazione del governo e della Chiesa per la loro “civilizzazione” e trasformazione in Cristiani-modello - in altre parole, una manipolazione di massa finalizzata al controllo di territori e risorse. Nonostante il mea culpa pubblico del Primo Ministro Trudeau, lo Stato ostacola tutt'ora la ricerca della verità, come nel quadro del processo sugli abusi della Scuola Sant’Anna: proprio da qui ha inizio un'inchiesta senza reticenze alle radici di un trauma storico.

 

 

Un documentario (in italiano) “Genocidio nativi del Canada e le torture delle scuole cattoliche”:





la vergogna delle Factory Schools:


Oggi, circa due milioni di bambini indigeni di varie parti del mondo studiano nelle “Factory School”, ovvero in scuole residenziali finalizzate all’assimilazione, dove gli strappano l’identità indigena e li indottrinano per conformarli alla società dominante.

Ci siamo dati l’obiettivo di mettere fine a queste fabbriche dell’assimilazione. I popoli indigeni e tribali devono mantenere il controllo della loro educazione, che vogliono sia radicata nella loro terra, nella loro lingua e nella loro cultura, rendendoli orgogliosi di loro stessi e dei loro popoli...

continua su survival.it

Weltgenie - Alberto Signetto

 


Il video si ispira alla poesia Turin di Gottfried Benn che racconta la follia del soggiorno torinese di Friedrich Nietzsche del 1888. Weltgenie è un ipnotico viaggio a ritroso nella memoria dell’autore che mescola le immagini del poema con il lungo piano-sequenza del Lingotto, luogo simbolo del passato industriale torinese.

sabato 29 maggio 2021

A cosa serve la scuola pubblica e la visione che manca al Recovery Plan di Draghi

 

Piccole storie del Nicaragua (e di ambasciatori)

Un’analisi di Bái Qiú’ēn sulle prossime elezioni presidenziali, sull’orteguismo e su ambasciatori nica poco credibiliA SEGUIRE, la brutta storia di Mario Vattani, fascio-rock e picchiatore designato in Consiglio dei Ministri a diventare ambasciatore d’Italia a Singapore la cui nomina ha innescato interrogazioni parlamentari e appelli affinché il Presidente della Repubblica ne revochi l’incarico.

 

I.

«Matateco Dio mispiales, Señor Gobernador Tastuanes».

Con queste parole inizia una commedia satirica che fonde, nell’idioma utilizzato, la lingua precolombiana e quella spagnola. Risale alla cultura orale e non si sa con esattezza il periodo in cui è stata scritta, probabilmente nel XVII secolo o anche prima. Comunque in piena epoca coloniale. È una sorta di «carnevalata» e nel periodo che precede la quaresima è tutto concesso, persino sbeffeggiare i colonialisti spagnoli. È, probabilmente, il primo testo di protesta contro la dominazione coloniale nel continente ispano-americano.

Appartiene al cosiddetto «teatro di strada», si intitola El Güegüense, tutti i personaggi indossano una maschera che li caratterizza e nel 2005 è stata dichiarata dalla Unesco patrimonio immateriale della umanità. Deriva dalla lingua náhuatl, quella degli tenochcas (aztechi), e può significare «vecchio» o «saggio». Il personaggio principale è appunto il Güegüense, un commerciante meticcio certamente anziano e pieno di acciacchi, ma più che altro abile nei giochi di parole e nel mentire.

Tastuanes si ritiene che provenga da tlatoani, ossia «capo». Se così è, pare evidente che si tratti di un nome-burla, poiché ripeterebbe il concetto «governatore-capo».

Doña Suche-Malinche è la figlia del Governatore Tastuanes. La traduzione del suo nome è Fiore di Malinche (Xochitl Malintzin). Non solo è un albero della Mesoamerica, ma era anche la compagna-interprete di Hernán Cortés. Con un vocabolo che deriva dal suo nome, si indicano l’opportunismo e il tradimento delle proprie origini: malinchismo. Per estensione e forzando un po’, Fiore di Malinche si potrebbe tradurre «il massimo dell’opportunismo».

È impossibile rendere in poco spazio l’intera storia, che comunque non è eccessivamente lunga. Comunque, ciò che conta è che il lieto fine sia il matrimonio fra don Forcico, il figlio del Güegüense, e doña Suche-Malinche. Essendo un popolano meticcio, pure il «don» è burlesco, poiché nell’epoca coloniale lo si usava esclusivamente per i notabili.

Don Ambrosio è invece il figliastro («entenado», in puro nicaraguense) del Güegüense e il suo nome fa riferimento alla «hambrosia». Che non è il nettare degli Dèi, bensì il termine tuttora in uso fra i nicaraguensi per indicare la fame («hambre»). Gioco di parole caratteristico di questa opera teatrale, giunto fino a noi e rimasto nel linguaggio popolare quotidiano.

È pubblicata la prima volta nel 1883, con la traduzione inglese a fronte. Per i più curiosi fra i lettori che volessero conoscere il testo e non se la cavano bene con l’inglese, esiste una versione in italiano di parecchi anni fa e reperibile in pochissime biblioteche (tradotto da Franco Cerutti, 1968).

Ciò che maggiormente ci interessa sono le caratteristiche del personaggio principale: il Güegüense è estremamente furbo e abile nei doppi sensi, ma soprattutto è un bugiardo e un imbroglione incallito. Attenzione, però, perché non sempre si deve giudicare la menzogna in modo negativo: può essere una forma di difesa (quanto meno, così pensava Gramsci). A volte, l’unica a disposizione. E per gli indios lo era, senza dubbio, nell’epoca coloniale. Tanto che questo testo teatrale è considerato come la prima espressione della resistenza culturale indigena. Con un linguaggio praticamente incomprensibile per uno spagnolo (in realtà, per chiunque di noi).

Il problema è che la mentalità tipica dei nicaraguensi di oggi è esattamente questa. Se si ritiene che dire il vero possa essere un danno, meglio mentire. Pure di fronte alla evidenza. Se non può derivare alcun danno, meglio mentire sempre e comunque. Non si sa mai.

La traduzione di «Matateco Dio mispiales» suona, grosso modo: «Che Dio misericordioso La protegga». Però, quando è il Güegüense a proferire questo augurio, il senso è esattamente opposto.


II.

È appena stata pubblicata l’ultima indagine demoscopica di M&R Consultores sulle prossime elezioni del 7 novembre. Tralasciamo le voci sui legami fra questa impresa di sondaggi e la famiglia Ortega-Murillo, poiché non esistono prove in tal senso, e prendiamo per buoni i dati che fornisce.

È il settimo sondaggio effettuato dalla stessa impresa: il 58,3% degli intervistati dichiara che voterà certamente per il Fsln, ai quali si potrebbe aggiungere un 9,5% di probabili, raggiungendo il 67,8%.

Nelle inchieste precedenti, la predisposizione al voto per il Fsln è andata progressivamente aumentando. Facendo riferimento al voto sicuro («duro», secondo la loro definizione): settembre 2019 il 37,5%; dicembre 2019 il 44%; luglio 2020 il 41,2%; ottobre 2020 il 46,5%; gennaio 2021 il 41,9%. La sesta inchiesta, dell’aprile 2021, dà al FSLN il 50,7%.

Tolto il calo del gennaio 2021, in un anno e mezzo le preferenze per il Fsln sono aumentate del 13,2%. Raggiungendo la sicura maggioranza assoluta.

Abbiamo il vago sospetto che con il prossimo sondaggio, fra il voto «duro» e quello probabile, il Fsln raggiungerà il 72,44%. Se ci azzecchiamo, vi diremo come abbiamo fatto a indicare questa percentuale.

Però… i primi a non credere a questi numeri sono proprio i componenti della famiglia Ortega-Murillo, che conoscono alla perfezione il fenomeno del «Güegüense». Lo stesso che si verificò nelle elezioni anticipate del 1990 e fece vincere alla coalizione antirivoluzionaria. E non hanno alcuna intenzione di rivivere quella esperienza, che continuano a temere come una sorta di sindrome del Vietnam che perseguita i loro sogni trasformandoli in incubi.

Che non credano a questi sondaggi risulta evidente dalle loro stesse ultime “mosse”. Dopo la nomina dei nuovi componenti del Consejo supremo electoral (Cse), all’inizio di maggio, praticamente tutti appartenenti o vicini al partito al governo, costoro hanno dato cinque giorni di tempo ai partiti e alle coalizioni per iscriversi al processo elettorale. In base alla normativa vigente, il periodo concesso dovrebbe essere di due mesi, ma… ciò è secondario rispetto al seguito della storia.

In base a cavilli che in nessun paese al mondo avrebbero credito, pochi giorni dopo l’iscrizione, è stata tolta la «personería jurídica» al Partido de restauración democrática (Prd), ossia a una parte degli ex contras, e al Partito conservador (Pc), il più antico del Paese. Il che significa che non sono più riconosciuti come partiti.

I nomi dei candidati alla presidenza, vicepresidenza, deputati nazionali e deputati al parlamento centroamericano devono essere presentati entro la fine di luglio. Nessuna unità è ancora stata raggiunta fra le varie componenti della opposizione; anzi, sono sempre più forti le spinte centrifughe. Ciò nonostante, un nome spaventa terribilmente la famiglia Ortega-Murillo: quello di Cristiana Chamorro.

Potrebbe anche ottenere un discreto risultato, nel caso si presentasse con l’opposizione unita. Per cui, non è sufficiente cancellare un paio di partiti dalla competizione: gli elettori votano comunque, non essendo possibile eliminare pure loro con un tratto di penna. E allora…

Cosa c’è di meglio che accusarla di riciclaggio di denaro e bloccargli i conti bancari? Tutto è possibile: di certo ha ricevuto montagne di soldi da organizzazioni legate al governo di Washington (Ned, Usaid, ecc.). E potrebbe essere «inibita» dalla gara elettorale semplicemente applicando la recente legge sugli «agenti stranieri». Ma una accusa di riciclaggio pesa assai di più, anche a livello internazionale.


III

Crediamo che pochi, o addirittura nessuno di coloro che stanno leggendo queste righe, sappiano chi era l’ambasciatore del Nicaragua in Uruguay negli anni di Pepe Mujica (dal 2013). Che attualmente è ambasciatore di Managua a Ottawa (dal 2017).

È nato a Pistoia il 25 ottobre 1959 e per parecchi anni ha vissuto a Villa Wanda, in quel di Arezzo. Amante delle auto di lusso, è stato arrestato dalla polizia austriaca a Vienna, nel 1999, per riciclaggio di denaro. Toh, la stessa accusa contro Cristiana Chamorro.

Daniel Ortega è tornato alla presidenza del Nicaragua nel 2007 e due anni dopo ha naturalizzato questo personaggio (11 maggio 2009) e lo ha immediatamente dotato di passaporto diplomatico. Inizialmente come incaricato d’affari della ambasciata a Montevideo, poltrona che gli ha consentito una rapida carriera. Ma soprattutto un marameo per l’Interpol.

Anni fa, infatti, la magistratura italiana ha emesso nei confronti di questo toscano un mandato di cattura internazionale per… riciclaggio di denaro (un miliardo e duecento milioni di dollari) e altri reati di tipo finanziario. Ma non può fare nulla, essendo protetto dalla immunità diplomatica. Oltretutto, gli inquirenti nostrani sono convinti che sia in possesso di numerosi documenti riservati, relativi a un bel po’ di «segreti». Non ultima la strage alla stazione di Bologna.

Se Cristiana Chamorro ha probabilmente riciclato del denaro, pure questo personaggio strettamente legato alla massoneria deviata e protetto dalla immunità diplomatica di un governo che si dice di sinistra, non è un santo. Entrambi, comunque, sono innocenti fino a sentenza definitiva.

Per coloro che non hanno ancora capito di chi si tratta: è Maurizio Gelli, secondogenito del ben più noto Licio.


IV

Ancora in epoca somozista, nel 1977, Roberto Calvi apre a Managua una succursale del Banco Ambrosiano: il Banco Comercial, nazionalizzato dalla Rivoluzione solo dopo il suo stranissimo suicidio, avvenuto a Londra nel 1982. Oltre al banchiere di Dio, della loggia «Andorra» fa parte un «fratello» nicaraguense naturalizzato italiano, àlvaro Robelo Gonzáles, che è pure Gran Maestro della loggia autonoma del Nicaragua. Nulla da dire sulla massoneria storica, alla quale appartennero Rubén Darío e Sandino. Come pure Garibaldi e forse Mazzini. Ma quella di oggi è spesso un altro film.

Sposato con l’italiana Lucia Raffone, negli anni Novanta l’avvocato Robelo è l’ambasciatore in Italia per il governo di Violeta de Chamorro (un italiano ambasciatore di un paese straniero in Italia). In seguito è il vicepresidente del Banco europeo de Centro América (Beca), fra i cui soci vi sono parecchi craxiani «esiliati» dopo Mani pulite, ed è socio di Gabriele Pillitteri, fratello di Paolo ex sindaco di Milano, nella Bjelonic (aliscafi sul Lago Cocibolca). Già dal 1987, Robelo è indicato da Giovanni Falcone come un «terminal» per il riciclaggio di denaro e in rapporti d’affari con i corleonesi, fra i quali Giuseppe Mandalari, commercialista di Totò Riina. Infine, manco a dirlo, è in stretto contatto sia con il «fratello» Licio sia con Maurizio Gelli. Oltre che con i socialisti e con il presidente di Finivest.

Come nota di cronaca, tanti anni fa a Managua ci capitò di incrociare un suo socio in altre più o meno losche faccende. Il craxiano con barba fluente Francesco Cardella. Forse qualcuno si ricorderà di lui, se citiamo Mauro Rostagno e la comunità Saman.

Altra nota di cronaca: l’ambasciatore italiano in quegli anni era un certo Alberto Boniver. Fratello della ben più nota Margherita. E poi, possiamo continuare a chiederci perché tanti craxiani portarono un sacco di soldi in Nicaragua. E li distribuirono bipartisan.

Roba vecchia, si dirà. Nella campagna elettorale del 2001 Robelo appoggia Daniel Ortega, ma vince l’insulso Enrique Bolaños. Nell’ultimo decennio, dopo il rifiuto del Vaticano e del Belgio di averlo in casa propria come diplomatico, oltre alla dichiarazione di «non grato» da parte dell’Austria (2012), questo ottuagenario è attualmente «ambasciatore itinerante per missioni speciali». Di quali missioni non è possibile sapere. Ma, come direbbe Andreotti, a pensar male…

È vero che le colpe dei padri… ma pure i figli Mónica e Carlos ricoprono da anni cariche diplomatiche.


V

Storicamente i sandinisti, fin da Sandino, si chiamano fra loro «fratelli». Non certo per via della affiliazione alla massoneria. Ma dubitiamo che la famiglia Ortega-Murillo utilizzi questo termine con lo stesso senso che gli dava Carlos Fonseca (¿Qué es un sandinista?).

Infatti, in giro per il mondo ci sono parecchi «fratelli» massoni. In posti di comando. Uno di questi è Erdogan, affiliato alla loggia «Hathor Pentalpha». Nei documenti ufficiali, la coppia presidenziale nicaraguense lo chiama regolarmente «fratello».

Un altro massone, pure lui «fratello», è al-Sisi.

Non sappiamo se sia un «fratello» massone Lukashenko, che in ogni caso è pure «compañero», ma di certo non è un soggetto raccomandabile.

La lista potrebbe continuare, ma riteniamo che questi tre nomi siano sufficienti.

Qualcuno ha affermato che quella della famiglia Ortega-Murillo è «eresia ideologica». Tutto può essere. Ma crediamo che, oltre a El Güegüense conosca assai bene pure la commedia pirandelliana Il gioco delle parti.

 

AMBASCIATORI ITALIANI: MA COME LI SCELGONO?

“Mario Vattani : parla una vittima dell’aggressione”. A proposito di brutte storie in cui sono coinvolti diplomatici, l’Osservatorio sul fascismo a Roma commenta l’intervista de “Il Fatto Quotidiano” a Andrea Sesti, uno dei due giovani massacrati da un gruppo di naziskin all’uscita del cinema Capranica la notte tra il 9 e il 10 Giugno 1989. Tra di loro vi era Mario Vattani, il console fascio-rock, designato in Consiglio dei Ministri a diventare primo ambasciatore d’Italia a Singapore

Sono in corso interrogazioni parlamentari e appelli affinché il Presidente della Repubblica non firmi la nomina.

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La passione “fascio rock” del nuovo ambasciatore italiano a Singapore

Mario Andrea Vattani, alias “Katanga”, era la voce del gruppo musicale “Sotto fascia semplice”. Dieci anni fa suonò al festival di Casapound. Un articolo di Micromega.

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