sabato 30 settembre 2023

le mummie egizie non possono riposare

 

Chi vuole colonizzare anche le mummie del Museo Egizio? - Tomaso Montanari

 

Nella sesta tesi sul concetto di storia (1942), Walter Benjamin scrive che «neppure i morti saranno al sicuro dal nemico, se vince. E questo nemico non ha smesso di vincere». Neppure le mummie del Museo Egizio di Torino sembrano al sicuro dalla vittoria di questa estrema destra di matrice fascista, che si salda con la precedente vittoria di una destra economica che ha smontato lo Stato stesso, imponendo il pensiero unico della privatizzazione. Si legge tutto questo, a ben guardare, nella violenta campagna contro il direttore dell’Egizio Christian Greco.

Il gene di Neanderthal non spiega (forse) solo la mortalità lombarda da Covid, ma anche il livello cavernicolo dei leghisti e dei fratellitalioti che odiano un direttore che prova (con successo) a decolonizzare un museo che nacque sottraendo all’Egitto, e a tutto il continente africano, un patrimonio capitale. Le aperture del museo alla comunità egiziana piemontese, e più in generale a quella arabofona in Italia, sono passi preziosi di un percorso che dovrebbe portare i musei italiani ad aprirsi «a tutti», come la Costituzione dice della scuola. Il terrore dei fascio-cavernicoli è evidente: in quelle sale si comincia a intravedere che una società multiculturale è non solo possibile, ma perfino più bella, umana, ricca e aperta al futuro di una asfittica e astratta celebrazione dell’identità italiana usata come una clava (per di più usata da un personale politico che ha serie difficoltà perfino con la lingua italiana). Si capisce che Greco non sia il tipo ideale di direttore, per questa destra orribile: che a Firenze medita di candidare a sindaco il direttore degli Uffizi Eike Schmidt, appena sorpreso a mettere in cattedra un terrorista nero (affidandogli una conferenza su Caravaggio, la legge e l’onore…).

Difendendo Greco, molti osservatori democratici hanno aggiunto che le pretese della destra sarebbero anche inattuabili perché l’Egizio è un ente di diritto privato. Ma questo non è vero: e anzi qua vengono alla luce gli effetti della vittoria dell’altra destra, quella neoliberista.

Alle 11.30 del 6 ottobre 2004 il Museo Egizio di Torino fu «il primo grande museo italiano a diventare Fondazione: una scelta – esultò il ministro Giuliano Urbani, Governo Berlusconi II – che renderà possibile una gestione più efficiente e moderna». La Fondazione a cui è stato conferito quell’inestimabile patrimonio pubblico per la durata di trent’anni è composta da Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Regione Piemonte, Provincia di Torino, Città di Torino, Compagnia di San Paolo e Fondazione Cassa di Risparmio di Torino. Il primo consiglio di amministrazione assunse il direttore del museo senza nemmeno consultare il Comitato Scientifico, composto da egittologi illustri. Ma ciò che rese subito ben chiaro cosa significasse il passaggio da museo dello Stato a museo di una fondazione di diritto privato fu il nome del presidente, che non fu quello di un serio egittologo ignoto al grande pubblico (benché il regolamento di Urbani sancisse che egli avrebbe presieduto anche il comitato scientifico), bensì quello di un membro della famiglia Agnelli, e padre dell’allora vicepresidente della Fiat: lo stazzonato Alain Elkann, poi divenuto famoso come nemico mortale dei nuovi lanzichenecchi. Finito, nel 2012, il memorabile mandato di quest’ultimo, il posto è toccato ad Evelina Christillin. Naturalmente la scelta cadde su un’altra componente dell’oligarchia torinese (in una regressione dei musei pubblici verso l’antico regime), ma bisogna riconoscere che Christillin ha guidato la fondazione con saggezza, riuscendo ad assicurarle un direttore di prim’ordine come Greco: sotto la loro guida l’Egizio è tornato a svolgere, e assai bene, un servizio pubblico intellettuale (per usare un’espressione di Antonio Gramsci). Basta questo breve sunto della storia recente del museo per far capire quale sia il problema: tutto dipende dalla personalità del presidente, e dalle decisioni del consiglio d’amministrazione. Se MiC e Regione Piemonte volessero cacciare il direttore, anche contro il parere del Comune, con chi si schiererebbero i rappresentanti in consiglio di amministrazione delle fondazioni bancarie? È davvero difficile immaginare una ferma opposizione di queste ultime al potere esecutivo, e dunque alla fine sarà comunque la politica a decidere se fermarsi o se andare fino in fondo. E non basta. La riforma dei musei di Dario Franceschini (celebrata quasi da tutti coloro che oggi giustamente insorgono a favore di Greco) ha preso a modello proprio la fondazione dell’Egizio: affidando anche agli enti locali i consigli di amministrazione e i consigli scientifici dei grandi musei nazionali, e mettendo saldamente nelle mani del ministro stesso la nomina dei direttori dei musei di fascia A, scelti da una terna preparata da una commissione in cui il ministro ha sempre avuto suoi autorevoli emissari. In questo modo, si è passati dal concorso pubblico (garanzia di oggettività, e di indipendenza) a una soggezione diretta dei musei al potere politico, con esiti clamorosamente grotteschi, come per esempio la trasformazione di Pompei in una specie di sala stampa del governo Renzi, e oggi di quello Meloni.

È dunque giusto, e necessario, difendere oggi Greco e il Museo Egizio, e lottare perché i nipotini del duce si accontentino della mummia di Predappio: ma se vogliamo essere credibili, e onesti, dobbiamo anche denunciare i disastri della (non)sinistra che ha privatizzato il patrimonio, e lo ha usato come strumento di propaganda.

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Lo sconto agli arabi un giusto risarcimento, per secoli abbiamo sottratto beni culturali - Luciano Canfora

Caro Direttore,

ho seguito su vari quotidiani e innanzitutto sulla torinese «Stampa» le aggressioni rivolte al direttore del Museo egizio. Brutto segno di decadenza intellettuale e civile nel nostro non felicissimo presente.

Non tocca a me ripetere l’ovvio, che cioè Christian Greco è tra i migliori egittologi su scala planetaria. Mi sembra invece opportuno soggiungere una considerazione che immagino contribuisca a dissipare equivoci che si stanno accumulando su questa vicenda. Non mi permetto di interpretare il pensiero del direttore dell’Egizio, sembra però a me molto elegante l’iniziativa che gli viene invece rimproverata: basti pensare che tanti tesori dei nostri musei di antichità provengono da paesi cui quei tesori sono stati sottratti. Faccio un esempio celebre: l’ambasciatore britannico presso l’impero ottomano, Lord Elgin, poté sottrarre a man bassa i marmi del Partenone incoraggiato a ciò dal sultano, perché l’Inghilterra cinicamente aveva aiutato l’impero ottomano contro Bonaparte, generale allora della Repubblica francese, il cui disegno era di sottrarre la Grecia al dominio turco. La liberale e civile Inghilterra preferì impedire questo disegno liberatorio, ricevendo in cambio un bel bottino di beni culturali da esporre nei propri musei. Queste storie non andrebbero mai dimenticate. Nel caso dell’Egitto il prelievo disinvolto di tantissimi beni culturali è durato secoli. Ristabilire un rapporto civile e cordiale è una forma elegante di «risarcimento».

So benissimo quante repliche nevrotiche susciteranno queste mie righe e tuttavia Gliele invio serenamente.

Spero davvero che Torino non perda Christian Greco.

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venerdì 29 settembre 2023

LA GRANDE RAPINA: come le oligarchie ci hanno rubato 3 stipendi e hanno reintrodotto la schiavitù

 

Identificazioni dei minori stranieri non accompagnati e menzogne di governo - Fulvio Vassallo Paleologo


 

Il Consiglio dei ministri ha varato la bozza di un Decreto legge che, tra le altre previsioni di dubbia costituzionalità, prevede nuovi criteri per l’accertamento dell’età dei minori stranieri non accompagnati, al fine dichiarato di espellere i “falsi minori”. Una ennesima proiezione normativa di uno slogan elettorale che ha permesso alle destre di vincere le ultime elezioni.

In base all’art.5 del Decreto legge che adesso dovrebbe andare alla firma del Presidente della Repubblica e quindi pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, si prevede che, in caso di arrivi consistenti e ravvicinati di minori non accompagnati, qualora l’accoglienza non possa essere assicurata dal Comune, essa è disposta dal Prefetto attraverso l’attivazione di strutture temporanee esclusivamente dedicate ai MSNA. In caso di momentanea indisponibilità di strutture temporanee, il prefetto potrà disporre il provvisorio inserimento del minore – che ad una prima analisi appaia di età superiore ai sedici anni – per un periodo comunque non superiore a novanta giorni, in una specifica sezione dedicata nei centri e strutture per adulti diversi da quelli riservati ai minori.

Sempre “in caso di arrivi consistenti, multipli e ravvicinati”, si aggiunge poi che l’autorità di pubblica sicurezza potrà disporre già al momento della prima identificazione, “lo svolgimento di rilievi antropometrici o di altri accertamenti sanitari, anche radiografici, volti all’individuazione dell’età, dando immediata comunicazione alla procura della Repubblica presso il tribunale per la persona, la famiglia ed i minorenni, che ne autorizza anche “oralmente” l’esecuzione. Solo successivamente ma senza termini precisi i provvedimenti verranno formalizzati per iscritto e notificati agli interessati. Non ci sono previsioni specifiche in ordine alle modalità di impugnazione, ma si può ritenere che al riguardo rimangano in vigore le procedure vigenti in passato. Si potrà impugnare il verbale di identificazione “davanti al Tribunale per la persona, la famiglia ed i minorenni entro cinque giorni dalla notifica, ai sensi degli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile” e “quando è proposta istanza di sospensione, il giudice, in composizione monocratica, decide in via d’urgenza entro 5 giorni”. Si aggiunge poi che “ogni procedimento amministrativo e penale conseguente all’identificazione come maggiorenne è sospeso fino alla decisione su tale istanza”.

Si “deroga” così ai criteri di accertamento dell’età ed alla presunzione di minore età in caso di dubbio, stabiliti dalla legge Zampa n.47 del 2027 e dal Decreto legislativo b.142 del 2015 che ha recepito la direttiva UE sull’accoglienza n.33 del 2013, secondo cui “l’accertamento socio-sanitario dell’età deve essere svolto in un ambiente idoneo con un approccio multidisciplinare da professionisti adeguatamente formati e, ove necessario, in presenza di un mediatore culturale, utilizzando modalità meno invasive possibili e rispettose dell’età presunta, del sesso e dell’integrità fisica e psichica della persona”. Si ritorna in sostanza alla situazione esistente fino al 2017 quando gli accertamenti sull’età dei minori stranieri non accompagnati erano svolti prevalentemente dalle autorità di polizia, magari sulla base del semplice esame radiografico del polso, con errori ed abusi che erano stati rilevati anche dalla Commissione di inchiesta della Camera dei Deputati sui centri per stranieri. Ad ogni visita ispettiva nei centri di detenzione per adulti le associazioni ed i parlamentari rinvenivano minori stranieri ritenuti erroneamente adulti, mentre erano vittime di tratta le minorenni. soprattutto nigeriane, ma anche i minori, a cui le stesse organizzazioni dei trafficanti, per poterne disporne più facilmente, suggerivano di dichiarare la maggiore età. Adesso saranno le stesse autorità statali che faciliteranno, non i rimpatri, ma le reti criminali che prosperano sul proibizionismo delle migrazioni e sulle identificazioni sommarie.

Secondo il decreto legge approvato dal governo, qualora l’età dichiarata dal minore risulti mendace all’esito degli accertamenti, la condanna per il reato di false dichiarazioni al pubblico ufficiale può essere sostituita dalla misura amministrativa dell’espulsione dal territorio nazionale. Espulsione che, prima di essere eseguita, potrebbe essere preceduta da un periodo di detenzione amministrativa, non si comprende ancora in quali strutture. Sembra però molto difficile che i provvedimenti di espulsione si possano tradurre nel rimpatrio effettivo del minore che si suppone abbia mentito sulla dichiarazione della propria età. Sarà ancora una volta una procedura che moltiplicherà i casi di clandestinizzazione, anche in danno di soggetti particolarmente vulnerabili.

Per la Direttiva europea “rimpatri” 2008/115/CE, che pure ammette casi singoli di rimpatrio quando sono rintracciate le famiglie di provenienza nei paesi di origine, sono “persone vulnerabili»: i minori, i minori non accompagnati, i disabili, gli anziani, le donne in gravidanza, le famiglie monoparentali con figli minori e le persone che hanno subìto tortura, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale .” Spesso i minori stranieri sommano diverse cause di vulnerabilità che non sarà certo facile provare nei pochi giorni previsti per la procedura di identificazione e per gli eventuali ricorsi.

Il minore deve essere informato, in una lingua che possa capire e con l’ausilio di un mediatore culturale, tenendo conto del suo grado di maturità e di alfabetizzazione, del fatto che la sua età può essere determinata mediante l’ausilio di esami socio-sanitari, del tipo di esami a cui deve essere sottoposto, dei possibili risultati attesi e delle eventuali conseguenze di tali risultati, nonché di quelle derivanti dal suo eventuale rifiuto di sottoporsi a tali esami

Il minore straniero non accompagnato ha comunque diritto di partecipare per mezzo di un suo  rappresentante legale a tutti i procedimenti giurisdizionali e amministrativi che lo riguardano e di essere ascoltato nel merito, e a tale fine va assicurata in tutte le fasi della procedura la presenza di un mediatore culturale e di un difensore.

Secondo la vigente legge n.47/2017 ,“L’accertamento socio-sanitario dell’età deve essere svolto in un ambiente idoneo con un approccio multidisciplinare da professionisti adeguatamente formati e, ove necessario, in presenza di un mediatore culturale, utilizzando modalità meno invasive possibili e rispettose dell’età presunta, del sesso e dell’integrità fisica e psichica della persona. Non devono essere eseguiti esami socio-sanitari che possano compromettere lo stato psico-fisico della persona”

Adesso, invece, l’accertamento dell’età viene rimesso esclusivamente alle autorità di polizia nella fase di prima identificazione ed il controllo di garanzia dell’autorità giudiziaria competente” si potrà svolgere nei casi di arrivi massicci, dunque nella totalità dei casi, anche “su base verbale”, e nei brevissimi tempi previsti dal Decreto legge non è accordato un diritto di ricorso effettivo. La conferma giudiziaria scritta può arrivare infatti successivamente, ma non si precisa in che termini.

I casi di verifica dell’età rimangono dunque affidati alla polizia nei casi di “particolare urgenza”, frutto di una valutazione discrezionale della stessa autorità, e l’accertamento dell’età maggiore dopo la dichiarazione, ritenuta mendace, di minore età può comportare una espulsione immediata di ragazzi tra 16 e 17 anni, in violazione del divieto di respingimento, stabilito in favore dei minori dalle leggi nazionali e dal diritto dell’Unione Europea. E tutto questo in un decreto che tratta di espulsioni di immigrati lungo-residenti ritenuti socialmente pericolosi, di restrizioni in materia di domande reiterate di protezione, e di aumento delle dotazioni organiche delle forze di polizia. Sulla maggiore tutela delle donne immigrate in arrivo in Italia saranno le prassi che confermeranno, o meno, le buone intenzioni (su questo punto) del governo. Sempre che si trovino le risorse finanziarie necessarie.

Secondo Giorgia Meloni “Rendiamo più veloci le espulsioni degli immigrati irregolari pericolosi, introduciamo la piena tutela per tutte le donne e manteniamo quella per i minori ma con le nuove regole non sarà più possibile mentire sull’età reale”. Per il ministro dell’interno Piantedosi“non deroghiamo al regime di tutela per i minori, quel regime non viene meno”“viene previsto che in caso di rilevante afflusso e indisponibilità di strutture, il prefetto possa disporre la permanenza provvisoria per un periodo non superiore a 90 giorni nei Cara e nei Cas, ma questo non significa che viene meno il regime di tutela e trattamento differenziato per il minore”

“Più semplici” saranno soltanto gli errori e gli arbitri commessi dalle forze di polizia ai danni dei minori stranieri non accompagnati. Le procedure “semplificate” di riconoscimento dell’età vanno contro il principio del “migliore interesse del minore”, sancito dalla legge n.47 del 2017 sulla base delle Convenzioni internazionali. Se si considerano le prassi effettivamente seguite dalle autorità di polizia in passato, e presumibilmente in futuro, in base alle nuove disposizioni, si tratta di previsioni normative che potrebbero risultare incostituzionali per violazione degli articoli 13 (in tema di libertà personale), 24 (in tema di diritti di difesa) e 117 della Costituzione (riguardo il rispetto delle Convenzioni internazionali sottoscritte e ratificate dall’Italia).

Secondo la Corte di cassazione (Sentenza del 3 marzo 2020, n. 5936)“l’accertamento dell’età non può essere considerato valido ove:

  1. a) faccia prevalere i risultati degli accertamenti sanitari rispetto ai dati anagrafici certificati dal passaporto o da altro documento di identità;
  2. b) determini la maggiore età dell’interessato sulla base di un unico esame, ad es. la radiografia del polso-mano, anziché su una procedura multidisciplinare consistente nello svolgimento di un colloquio sociale, di una visita pediatrica auxologica e di una valutazione psicologica o neuropsichiatrica, alla presenza di un mediatore culturale, tenendo conto delle specificità relative all’origine etnica e culturale dell’interessato;
  3. c) non specifichi il margine di errore insito nella variabilità biologica e nelle metodiche utilizzate ed i conseguenti valori minimo e massimo attribuibile: la mancata indicazione del margine di errore, infatti, impedisce di applicare il principio della presunzione di minore età in caso di dubbio.

Per la Corte di cassazione “nel procedimento finalizzato all’accertamento dell’età del minore, là dove sussistano dubbi sull’età, quanto il minore non accompagnato venga a dichiarare alle autorità preposte sulla propria età non vale quale elemento per dichiarare del primo l’inattendibilità, ma è il presupposto stesso per l’attivazione del procedimento là dove manchi un documento anagrafico“. Adesso questo principio consolidato nella giurisprudenza viene capovolto, e si affida alla polizia, dopo i primi sommari accertamenti, il potere di stabilire il carattere mendace della dichiarazione del minore, con un controllo giurisdizionale attenuato e ritardato, affidato anche oralmente alla Procura e solo successivamente al Tribunale dei minorenni.

Come osserva invece la Corte di Cassazione, “all’esito del procedimento finalizzato all’accertamento della età del minore non accompagnato, il Tribunale per i minorenni, giudice del merito competente, è chiamato ad avvalersi degli esiti dell’esame multidisciplinare riservato al minore e quindi, anche, dell’accertamento sanitario che contenga la specifica del margine di errore insito nella variabilità biologica e nelle metodiche utilizzate, e dei conseguenti valori, minimo e massimo, attribuibili, all’età del minore.

Per la stessa Corte, “Il margine di errore cristallizzato nell’accertamento sanitario per gli estremi indicati non afferisce soltanto all’indagine medica, ma guida, nei suoi esiti, anche l’accertamento demandato al giudice, correlandosi al primo l’affermazione della regola presuntiva per la quale, ove l’applicazione del margine di errore, in combinato con il range di età stimato dai sanitari, non consenta di addivenire con certezza alla determinazione dell’età, si presume nella persona esaminata quella minore”.

Le nuove previsioni contenute nell’art.5 dell’ennesimo decreto legge “omnibus” approvato dal Consiglio dei ministri collidono con norme ancora in vigore della legge n.47 del 2017, che non sono state espressamente abrogate, e costituiscono il presupposto per prassi di polizia che potrebbero violare nella sostanza i principi di garanzia previsti, come “superiore interesse del minore”, anche in favore dei minori stranieri non accompagnati, dalle Convenzioni internazionali, dalle Direttive europee e dall’art.117 della Costituzione che le richiama.

Ancora una volta non rimane che prepararsi ad una forte mobilitazione ed all’avvio di una serie di vertenze legali per ristabilire i principi di garanzia imposti in uno Stato di diritto dal sistema gerarchico delle fonti normative e dai richiami costituzionali ed internazionali. Sarà anche necessario un costante monitoraggio delle strutture diverse nelle quali verranno confinati i minori stranieri non accompagnati, soprattutto quelli che saranno destinatari di un provvedimento di espulsione per l’asserita dichiarazione mendace in ordine all’età. Si dovrà infatti vigilare per impedire che vengano violati i divieti di respingimento ed espulsione stabiliti in favore dei minori dall’art. 19 del T.U. n.286/98, dalla normativa europea e dalle Convenzioni internazionali.

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La gente non vuole la guerra

 

articoli, video, musica di Seymour Hersch, Hermann Göring, Alfonso Navarra, Miguel Ruiz Calvo, Juan Antonio Aguilar, Alessandro Marescotti, Giorgio Gaber, Daniele Luttazzi, Michele Santoro, Domenico Quirico, Manlio Dinucci, Alessia C. F. (ALKA), Giuliano Marrucci, Jeffrey Sachs, Marinella Correggia, Marinella Mondaini, Attac, Carlo Tombola, Raffaella Nadalutti, Antonio De Lellis, Piero Maestri, Maria Pastore, Carlo Palermo, Paolo Selmi, Alessandro Orsini, M.I.R.

 

“La gente non vuole la guerra […]. Ma sono i leader delle nazioni che determinano la politica ed è semplice trascinare le masse, sia che si tratti di una democrazia che una dittatura fascista, un parlamento o una dittatura comunista. Abbia o meno la possibilità di esprimersi. il popolo può sempre essere assoggettato agli ordini dei leader. È facile. Tutto quello che bisogna fare è dir loro che sono stati aggrediti e denunciare i pacifisti per mancanza di patriottismo, cosa che espone il Paese a un pericolo maggiore”. Così il Maresciallo del Reich Hermann Göring al processo di Norimberga.

 

 

UN ANNO DOPO L’ATTENTATO AL NORD STREAM LA RUSSIA HA VINTO? – Seymour Hersch

(Articolo originariamente pubblicato in inglese su Substackripreso da Other News) – Oggi è l’anniversario della distruzione di tre dei quattro gasdotti Nord Stream 1 e 2 da parte dell’amministrazione Biden. Avrei qualcosa da aggiungere a riguardo, ma dovremo aspettare. Perché? Perché la guerra tra Russia e Ucraina, nella quale la Casa Bianca continua a respingere qualsiasi discorso di cessate il fuoco, è a un punto di svolta. Ci sono alti esponenti dell’intelligence americana che, sulla base di rapporti sul campo e informazioni tecniche, ritengono che l’esercito ucraino, demoralizzato, abbia rinunciato alla possibilità di superare le tre linee di difesa russe, dove c’è una grande presenza di mine, e di portando la guerra in Crimea e nelle quattro province che la Russia conquistò e annesse. La realtà è che il malconcio esercito di Volodymyr Zelenskyj non ha più alcuna possibilità di vincere.

La guerra continua, mi dice un funzionario con accesso all’intelligence attuale, perché Zelenskyj insiste che deve continuare. Né nel suo quartier generale né alla Casa Bianca di Biden si parla di un cessate il fuoco né c’è interesse per colloqui che potrebbero porre fine al massacro. “È tutta una bugia”, ha detto il funzionario, riferendosi alle affermazioni ucraine di un graduale progresso in un’offensiva che ha subito perdite sconcertanti mentre guadagnava terreno in alcune aree sparse che l’esercito ucraino misura in metri a settimana. “Cerchiamo di essere chiari”, ha detto il funzionario, “Putin ha commesso un atto stupido e autodistruttivo dando inizio alla guerra. Pensava di avere poteri magici e che tutto ciò che desiderava si sarebbe avverato. L’attacco iniziale della Russia”, ha aggiunto il funzionario, “è stato mal pianificato, poco presidiato e ha causato perdite inutili. I suoi generali gli hanno mentito e lui ha iniziato la guerra senza logistica, senza modo di rifornire le sue truppe”. Molti dei generali colpevoli sono poi stati licenziati sommariamente.

“Sì, non importa quanto provocato, Putin è stato stupido violando la Carta delle Nazioni Unite, e lo siamo stati anche noi”, ha detto il funzionario, riferendosi alla decisione del presidente Biden di intraprendere una guerra per procura con la Russia finanziando Zelenskyj e il suo esercito. “Ed è per questo che ora, per giustificare il nostro errore, dobbiamo dipingerlo di nero con l’aiuto dei media”. Si riferiva ad un’operazione segreta di disinformazione volta a screditare Putin e portata avanti dalla CIA in coordinamento con membri dell’intelligence britannica. Il successo dell’operazione ha portato i principali media degli Usa e a Londra a riferire che il presidente russo soffriva di diverse malattie, tra cui problemi ematologici e gravi tumori. Un aneddoto molto citato diceva che Putin veniva trattato con forti dosi di steroidi. Non tutti si sono lasciati ingannare. Nel maggio 2022, Il Guardian ha riferito scettico che le voci “abbracciavano un ampio spettro: Vladimir Putin soffre di cancro o morbo di Parkinson, dicono rapporti non confermati e non verificati”. Ma molte delle principali agenzie di stampa hanno abboccato. Nel giugno 2022, Newsweek ha pubblicato quello che ha definito un grande scoop, citando fonti anonime secondo cui, due mesi prima, Putin si era sottoposto a un trattamento per un cancro in stadio avanzato: “Il controllo di Putin è forte ma non più assoluto. La lotta all’interno del Cremlino non è mai stata così intensa… tutti sentono che la fine è vicina”.

“Nei primi giorni dell’offensiva di giugno ci sono state alcune incursioni ucraine”, ha detto il funzionario, “sopra o vicino” alla prima delle tre formidabili barriere difensive di cemento della Russia, “e i russi si sono ritirati per assorbirle. E li hanno uccisi tutti”. Dopo settimane di forti perdite e scarsi progressi, oltre a terribili perdite di carri armati e veicoli blindati, ha continuato il funzionario, importanti membri dell’esercito ucraino, senza dichiararlo, hanno praticamente annullato l’offensiva. Le due città che l’esercito ucraino ha recentemente rivendicato come catturate “sono così piccole che non starebbero tra due cartelloni pubblicitari della Burma-Shave”, un riferimento ai cartelloni pubblicitari che sembravano essere su ogni autostrada americana dopo la seconda guerra mondiale.

Una conseguenza dell’ostilità neoconservatrice dell’amministrazione Biden nei confronti di Russia e Cina – esemplificata dalle dichiarazioni del Segretario di Stato Tony Blinken, che ha ripetutamente affermato che non tollererà un cessate il fuoco in Ucraina in questo momento – è stata una significativa divisione nella comunità dell’intelligence. Una delle vittime è il National Intelligence Estimates (NIE), che da decenni definisce i parametri della politica estera americana. In molti casi, alcuni uffici chiave della CIA si sono rifiutati di partecipare al processo NIE a causa del profondo disaccordo politico con la politica estera aggressiva del governo. Uno dei fallimenti più recenti è stato quello del NIE che calcolava l’esito di un attacco cinese a Taiwan.

Per molte settimane ho riferito del disaccordo di lunga data tra la CIA e altri membri della comunità dell’intelligence sulla prognosi dell’attuale guerra in Ucraina. Gli analisti della CIA sono sempre stati molto più scettici rispetto ai loro colleghi della Defense Intelligence Agency (DIA) riguardo alle prospettive di successo dell’Ucraina. I media americani hanno ignorato la disputa, ma non The Economist, con sede a Londra, i cui giornalisti meglio informati non firmano gli articoli. Un segnale della tensione interna alla comunità americana è emerso nel numero del 9 settembre della rivista, quando Trent Maul, direttore delle analisi della DIA, ha rilasciato un’intervista straordinaria in cui ha difeso i resoconti ottimistici della sua agenzia sulla guerra in Ucraina e la sua problematica controffensiva. L’Economist titolò “Un’intervista insolita”, ma passò inosservata anche ai principali giornali degli Stati Uniti.

Maul ha riconosciuto che la DIA “ha sbagliato” nel riferire sulla “volontà di combattere” dei suoi alleati quando gli eserciti addestrati e finanziati dagli Stati Uniti in Iraq e Afghanistan “sono andati in pezzi quasi da un giorno all’altro”. Maul ha contestato le denunce della CIA – anche se non ha citato l’agenzia per nome – sulla mancanza di abilità dei leader militari ucraini e sulle loro tattiche nell’attuale controffensiva. Ha detto all’Economist che i recenti successi militari dell’Ucraina sono stati “significativi” e hanno dato alle sue truppe una probabilità del 40-50% di sfondare le tre linee difensive della Russia entro la fine di quest’anno. Tuttavia, secondo The Economist, ha avvertito che “le munizioni limitate e il peggioramento del tempo renderanno tutto molto difficile”.

Zelenskyj ha anche riconosciuto che quelle che ha definito le “recenti difficoltà” della sua nazione sul campo di battaglia sono state percepite da alcuni come un motivo per avviare seri negoziati con la Russia sulla fine della guerra. Zelenskyj lo ha definito “cattivo tempismo” perché la Russia “percepisce la stessa cosa”. Tuttavia, ancora una volta ha chiarito che i colloqui di pace non sono sul tavolo e ha lanciato una nuova minaccia ai leader dell’area i cui Paesi ospitano i rifugiati ucraini e che vogliono, come ha informato Washington la CIA, la fine della guerra. Zelenskyj ha avvertito nell’intervista, come ha scritto The Economist: “Non c’è modo di prevedere come i milioni di rifugiati ucraini nei Paesi europei reagirebbero all’abbandono del loro Paese”. Zelenskyj ha detto che i rifugiati ucraini “si sono comportati bene… e sono grati” a coloro che hanno dato loro rifugio, ma non sarebbe una “bella storia” per l’Europa se una sconfitta ucraina “mettesse le persone con le spalle al muro”. Si trattava niente di meno che di una minaccia di insurrezione interna.

Il discorso di Zelenskyj alla recente Assemblea generale annuale delle Nazioni Unite a New York non ha offerto molte novità e, come riportato dal Washington Post , ha ricevuto l’obbligatorio “caloroso benvenuto” da parte dei partecipanti. Tuttavia, secondo il giornale, “ha tenuto il suo discorso in una sala semipiena, nella quale molte delegazioni hanno rifiutato di presentarsi per ascoltare ciò che aveva da dire”. I leader di alcune nazioni in via di sviluppo, aggiunge il rapporto, erano “frustrati” dal fatto che i diversi miliardi che l’amministrazione Biden stava spendendo, senza una seria responsabilità, per finanziare la guerra in Ucraina stavano diminuendo il sostegno alle loro stesse lotte per “affrontare il riscaldamento globale, la povertà e garantire un vita più sicura per i suoi cittadini”.

Il presidente Biden, nel suo discorso all’Assemblea generale, non ha affrontato la pericolosa posizione dell’Ucraina nella guerra con la Russia, ma ha invece riaffermato il suo forte sostegno all’Ucraina e ha insistito sul fatto che “la Russia è l’unica responsabile di questa guerra”, dimenticando tre decenni di espansione della NATO verso Est e il coinvolgimento segreto dell’amministrazione Obama, nel 2014, nel rovesciamento di un governo filo-russo in Ucraina. Il presidente potrebbe avere ragione nel merito, ma il resto del mondo ricorda, a differenza della Casa Bianca, che sono stati gli Stati Uniti a scegliere di entrare in guerra in Iraq e Afghanistan, con poca considerazione per la giustificazione che avevano per farlo.

Il presidente Biden non ha parlato della necessità di un cessate il fuoco immediato in una guerra che l’Ucraina non può vincere, e che si aggiunge all’inquinamento che ha causato l’attuale crisi climatica in cui è impantanato il pianeta. Biden, con il sostegno del segretario di Stato Blinken e del consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan – ma con un sostegno in calo in altre parti degli Stati Uniti – ha reso il suo inesorabile sostegno finanziario e morale alla guerra in Ucraina una questione di vita o di morte per la sua rielezione. Nel frattempo, un implacabile Zelenskyj, in un’intervista la scorsa settimana con un corrispondente servile di 60 Minutes, un tempo apice del giornalismo americano aggressivo, ha descritto Putin come un altro Hitler e ha insistito falsamente sul fatto che l’Ucraina avesse l’iniziativa nella sua attuale guerra con la Russia. Alla domanda del corrispondente della CBS Scott Pelley se pensasse che “la minaccia della guerra nucleare sia alle nostre spalle”, Zelenskyj ha risposto: “Penso che continuerà a minacciare. Aspetta che gli Stati Uniti perdano stabilità e crede che ciò accadrà durante le elezioni americane. Cercherà l’instabilità in Europa e negli Stati Uniti. Utilizzerà il rischio di utilizzare armi nucleari per alimentarlo. Continuerà a minacciare”.

Il funzionario dell’intelligence americana con cui ho parlato ha lavorato all’inizio della sua carriera contro l’aggressione e lo spionaggio sovietici. Rispetta l’intelligenza di Putin ma disprezza la sua decisione di entrare in guerra con l’Ucraina e provocare la morte e la distruzione che la guerra provoca. Tuttavia, come mi ha detto: “La guerra è finita. La Russia ha vinto. Non c’è più un’offensiva ucraina, ma la Casa Bianca e i media americani devono continuare a mentire. La verità è che se all’esercito ucraino venisse ordinato di continuare l’offensiva, si ammutinerebbe. I soldati non sono più disposti a morire, ma questo non si adatta alle sciocchezze concepite dalla Casa Bianca di Biden”.

Articolo originariamente pubblicato in inglese su Substack

Traduzione di Paloma Farré.

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La guerra Russia-Ucraina? E’ anche una eco-guerra – Alessandro Marescotti

Questo è ormai uno scontro economica fra l’apparato produttivo della Nato e quello della Russia, senza esclusioni di colpi. E a farne le spese è la transizione ecologica e l’Agenda ONU 2030. Si punta solo sulla vittoria militare, costi quel che costi.

La guerra in Ucraina ha scosso profondamente il panorama politico ed economico internazionale, con conseguenze drammatiche anche per la transizione energetica e la lotta al cambiamento climatico. In un contesto di crescente tensione tra la NATO e la Russia, le nazioni europee si sono trovate costrette a prendere decisioni difficili per ridurre la dipendenza dal gas russo. Il risultato è stato un ritorno al carbone, una fonte di energia altamente inquinante e dannosa per l’ambiente.

Il carbone e il nucleare

Un esempio tangibile di questa inversione di rotta è l’Ilva di Taranto, dove è stata richiesta la triplicazione della produzione di carbone coke: altro che decarbonizzazione! Anche la centrale di Cerano, a Brindisi, ha visto aumentare il ricorso al carbone, come dimostra il traffico navale legato alla sua importazione. La Germania si è trovata a confrontarsi con il dilemma tra carbone e nucleare, mettendo i Verdi al governo di fronte a scelte difficili, contrarie alla propria identità. L’intero apparato produttivo, pur di fare la guerra, ha fatto un pauroso balzo all’indietro sotto il profilo dell’ecosostenibilità.

Il ritorno della prima guerra mondiale

La guerra fra Russia e Ucraina è ormai una guerra economica fra l’apparato produttivo della Nato e quello della Russia. E’ una guerra di resistenza dei rispettivi apparati economici. Ci sono similitudini con la prima guerra mondiale. Ogni mese si sfornano cannoni, missili, proiettili, carri armati, bombe e armi di ogni tipo. L’imperativo non è la sostenibilità ambientale: è resistere, produrre e vincere.

Pur di vincere la guerra si distrugge senza scrupoli l’ambiente, dopo aver ucciso senza scrupoli le persone.

La rimozione dell’Agenda 2030

E l’Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile? Non se ne parla più.

La lotta alla povertà, alla fame, alle diseguaglianze? Erano i primi obiettivi dell’Agenda 2030. Dimenticati! Salvo poi a ricordarceli quando arrivano i barconi dei migranti.

E l’acqua, l’energia pulita, i cambiamenti climatici, la biodiversità? Anche questi punti dell’Agenda 2030 sono stati dimenticati.

La scomparsa della decarbonizzazione

Gli esiti di questa rimozione dei grandi problemi planetari sarà devastante.

Si va verso il precipizio bellico e contemporaneamente verso il precipizio ecologico.

La decarbonizzazione è ormai solo una parola consolatoria, in realtà la guerra si fa con il carbone, e l’acciaio di questa guerra è acciaio fatto con il carbone, con tanto carbone.

I carri armati e i cannoni, come pure le maxi-bombe plananti e i missili, sono il frutto della siderurgia di guerra, la più sporca e la più dannosa da ogni punto di vista.

L’ILVA e la Cina

La Nato ha deciso di tenere in vita l’ILVA. La fabbrica sopravvive in condizioni difficilissime, con i sindacati in rivolta e gli ambientalisti allarmati dai picchi di benzene. Sopravvive perché è dichiarata per legge come stabilimento di “interesse strategico nazionale”. Ma è ora di dirlo: l’interesse strategico nazionale dell’ILVA non ha nulla di economico. Quegli altoforni restano oggi accesi solo in funzione anti-Pechino.

L’autarchia Nato

E’ un ritorno all’autarchia siderurgica, per sganciare l’Italia dall’acciaio cinese dopo aver obbedito allo sganciamento dalla Via della Seta cinese e dal gas russo.

E’ un inconfessabile ritorno all’economia di guerra, all’autarchia non di mussoliniana memoria ma all’autarchia del blocco Nato. Un blocco che deve avere le mani assolutamente libere nei confronti della Cina, in previsione di un futuro conflitto fortemente voluto dagli Stati Uniti. Un conflitto per evitare che Pechino divenga la prima potenza economica mondiale. Uno smacco che gli Stati Uniti vivrebbero come un trauma, esattamente come quando l’Urss arrivò prima nello spazio.

La guerra sulla Luna

Il conflitto arriverà presto sulla Luna, per mettere anche là le mani sulle terre rare, che gli Stati Uniti non hanno in quantità sufficiente. “Tra i metalli rari che secondo gli esperti potrebbero essere presenti in grandi quantità sulla Luna, ci sono lo scandio e l’ittrio, che potrebbero essere utilizzati nei motori dei veicoli, per produrre vetro o ceramica, dispositivi elettronici e sistemi radar”. Questo si legge sul Messaggero che aggiunge: “Usa, Cina, Russia e India si contendono le risorse”. Della Luna. Si preparano scene di colonialismo lunare, dall’amaro sapore militare.

La tragedia ucraina

In questo quadro incredibilmente fosco, l’Ucraina oggi vive la sua tragedia.

Non si vuole chiamare tutto questo “guerra per procura”.

Ma è una tragedia lo stesso, con risvolti di cinismo che stanno tutti nel fatto che a morire non sono gli americani e gli europei, ma gli ucraini. A cui si affida la parola roboante d’ordine: “vittoria”.

L’Ucraina sta combattendo disperatamente una battaglia “per vincere” ma è  sproporzionata. Il costo umano è insopportabile. Lo dicono le dottrine militari che prevedono perdite almeno tre volte superiori nel caso di assalti e di attacchi, come viene comandato ai soldati ucraini oggi, dopo un cinico e spietato addestramento Nato.

I cinquantenni all’assalto

La Russia ha chiaramente violato il diritto internazionale invadendo l’Ucraina.

Ma l’iniziale guerra difensiva si è trasformata in una sanguinosa controffensiva che richiede l’arruolamento in Ucraina dei cinquantenni, dei padri di famiglia, come pure dei giovanissimi. E’ una controffensiva che falcia decine di migliaia di vittime ogni mese. E che ne ingoia continuamente. Con arruolamenti continui. E con continue diserzioni e renitenze alla leva. Ma non se ne parla.

È fondamentale sottolineare che la strategia di guerra a oltranza è insostenibile, soprattutto con l’arrivo dell’inverno.

Questa guerra lascia solo distruzione e macerie.

La guerra infinita

Sarà una guerra infinita, e terminerà solo con il crollo di una delle due parti, o con un accordo quando ci si renderà conto che i bellicosi proclami di vittoria hanno falciato troppe vittime, in una inutile strage.

Questa guerra infinita, che la Nato ha già messo nel conto (vedere dichiarazioni di Stoltemberg), sarà un freno alla lotta contro il cambiamento climatico.

La guerra all’ecologia

La sostenibilità ambientale sarà sempre più messa in secondo piano, e il ritorno al carbone e al nucleare verrà presentato come il prezzo da pagare per vincere contro la Russia. Questa guerra in Ucraina ha messo in luce quanto sia pericoloso sacrificare le sfide ambientali e sociali in nome di conflitti geopolitici. La disumanità della guerra si riversa su tutti gli aspetti della vita, mentre il nostro pianeta continua a riscaldarsi a un ritmo preoccupante.

La politica per la pace

È ora di porre fine a questa follia e di concentrarsi sulle vere sfide globali, come la povertà, le diseguaglianze e la crisi dei migranti, lavorando insieme per un mondo più sostenibile e pacifico. Come? Sostenendo Papa Francesco, Lula e i paesi africani impegnati per la pace. E ponendo in Italia al centro della politica, al primissimo posto dell’agenda politica, la lotta per la pace come primo comandamento per difendere la vita delle persone e il futuro stesso del Pianeta. Una politica per la pace e per l’ambiente.

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Seymour Hersh: per l’intelligence Usa la guerra è finita e ha vinto la Russia

I servizi segreti statunitensi ritengono che le truppe ucraine non riusciranno a rompere le linee di difesa dell’esercito russo. Lo ha affermato il giornalista americano premio Pulitzer Seymour Hersh nel suo ultimo scritto.

“Ci sono elementi significativi nella comunità dell’intelligence statunitense, sulla base di rapporti sul campo e di intelligence tecnica, che credono che l’esercito ucraino demoralizzato abbia rinunciato alla possibilità di superare le linee di difesa russe a tre livelli, pesantemente minate”, ha spiegato il giornalista sulla sua pagina sulla piattaforma Substack.

Hersh ha anche sottolineato che gli ucraini hanno rifiutato l’idea di tentare di impadronirsi della Crimea e delle quattro nuove regioni della Russia.

L’esercito ucraino, ha proseguito, non può più vincere. “La guerra è finita. La Russia ha vinto. Non c’è più alcuna offensiva ucraina, ma la Casa Bianca e i media americani devono continuare a mentire”, ha scritto Hersh, citando un funzionario dell’intelligence statunitense.

Secondo l’interlocutore del giornalista, dopo diverse settimane di gravi perdite e senza grandi progressi, le truppe ucraine hanno effettivamente annullato la controffensiva.

Se all’esercito ucraino venisse ordinato di continuare l’offensiva si ammutinerebbe, perché i soldati non vogliono più morire, ha ribadito il funzionario.

“La guerra continua perché [il presidente ucraino Volodymyr] Zelenskyj insiste su questo punto”, ha precisato Hersh.

Allo stesso modo, si è rammaricato che né l’ufficio del leader ucraino né la Casa Bianca affrontino la possibilità di una tregua, né siano interessati a negoziati per porre fine alle ostilità.

L’Ucraina ha lanciato una controffensiva all’inizio di giugno contro le posizioni russe fortemente radicate nelle regioni di Donbas, Kherson e Zaporozhye. Tuttavia, non ha compiuto progressi sostanziali e ha pagato con decine di migliaia di vite ucraine e centinaia di veicoli corazzati forniti dalla NATO, poiché le forze ucraine non sono state in grado di raggiungere nemmeno le prime principali linee difensive russe in un mese e mezzo.

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Daniele Luttazzi – Ovazione in Canada, Philip Dick e le “dissonanze cognitive” dell’occidente

Sulla sua rubrica “Non c’è di che”, Daniele Luttazzi offre, tramite il Fatto Quotidiano, forse il miglior spaccato di quella che definisce correttamente “dissonanza cognitiva” dell’occidente rispetto al nazismo. Uno scritto illuminante che parte dall’ovazione in Canada, passa per gli scritti di Philip Dick e arriva in Italia. 

Lettura altamente consigliata.

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di Daniele Luttazzi – Fatto Quotidiano

27 settembre 2023

Dal Canada al Trentino, i nazisti sono ovunque: è “La svastica sul sole”

Il conflitto in Ucraina sta sottoponendo i cittadini europei non solo ad assurde vessazioni economiche, ma soprattutto a un disagio psichico che non mi sembra adeguatamente segnalato: quello dovuto alla dissonanza cognitiva di chi vive in un Occidente democratico, dopo la vittoria sul nazifascismo nella Seconda guerra mondiale, ma si trova circondato da continui tributi a nazisti poiché gli Usa e la Nato hanno deciso di fare la guerra alla Russia servendosi dell’Ucraina, il Paese autocratico dove il nazista Bandera è un eroe nazionale.

Un anno fa, a tutti sembrò bizzarro che Putin annunciasse un’operazione speciale contro “i nazisti ucraini”. Non si capiva perché lo facesse, e cosa c’entrassero i nazisti: i più non sapevano dei crimini neonazisti in Donbass, denunciati da Onu, Osce e Amnesty. Quasi tutta la stampa italiana, a parte il Fatto e il manifesto, si trasformò in megafono propagandistico per nascondere la verità che solo ora viene ammessa dal segretario generale della Nato Stoltenberg, e cioè che la Nato arma l’Ucraina in funzione anti-russa dal 2014, che Putin invase l’Ucraina per fermare la Nato, e che la Nato decise di non trattare con la Russia, anche se così si sarebbe evitata questa guerra del cazzo. E così siamo arrivati alla raccapricciante standing ovation della Camera canadese per l’ex SS Yaroslav Hunka.

La scena pare tratta da un episodio di L’uomo nell’alto castello, la serie tv tratta dal romanzo di Philip Dick La svastica sul sole, che immagina una realtà alternativa in cui Germania e Giappone hanno vinto la Seconda guerra mondiale. Provai lo stesso raccapriccio da dissonanza cognitiva un anno fa vedendo Gramellini su Rai3 che usava toni struggenti per esaltare Vyacheslav Abroskin, generale della brigata filonazista Azov: arrivò a paragonarlo, in un panegirico da voltastomaco, addirittura a Oskar Schindler (t.ly/6oTDI)…

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