giovedì 14 settembre 2023

Notizia bomba ultimora: l’Italia vuole far parte dei BRICS

articoli e video di Michael Hudson, Pepe Escobar, Alessandro Visalli, Paolo, Zhang Xiaoyu, Jeffrey Sachs, Pasquale Cicalese, Fabrizio Casari, Giacomo Gabellini, Sergei Lavrov, Stefano Orsi, Anna Polo, Paolo Arigotti, Francesco Masala, Dichiarazione di Johannesburg II, Alessandro Visalli



Notizia bomba ultimora: l’Italia vuole far parte dei BRICS – Paolo

Voci sussurrate di corridoio a destra, per ora non ancora confermate per ovvi motivi di riservatezza, riportano l’intenzione di questo governo di promuovere una iniziativa parlamentare che conduca l’Italia verso l’adesione al BRICS.

Come da recenti notizie sui media internazionali, ai paesi fondatori di questa struttura geopolitica, ovvero Brasile, Russia, india, Cina e Sud Africa, a partire dal 2024 se ne aggiungeranno altri sei. L’Italia potrebbe essere quindi il settimo.

Come noto il BRICS individua un’area economica che supera in termini di PIL sia la UE che gli USA. Il suo PIL vale infatti quasi la metà del PIL mondiale, mentre da un punto di vista militare supera la stessa NATO. Con l’ingresso dell’Italia l’equilibrio si sposterebbe ulteriormente in favore del BRICS. Ovvio che anche la moneta di riferimento a livello di mercato internazionale non sarebbe più il dollaro, né tanto meno l’euro, ma lo yublo. Con l’adesione al BRICS, dato l’attuale disvalore dello yublo rispetto all’euro, il nostro debito pubblico, che ammonta a circa duemilaseicento miliardi di euro, verrebbe calcolato con un computer quantistico.

La notizia ovviamente è rimbalzata su tutti i media internazionali, gettando gli operatori finanziari nello sgomento più profondo. Una potenza economica e militare come l’Italia provocherebbe uno sconquasso planetario ed il primo a pagarne le conseguenze sarebbe proprio Zelensky, che si ritroverebbe a combattere l’invasore russo con fionda e cerbottana. Privato dei nostri carri armati Ariete, costruiti su telaio panda, del costo di 500 milioni di euro cadauno, vedrebbe ridursi drammaticamente il suo potenziale bellico. Ma quali sarebbero le prime conseguenze politiche interne di tale drammatica decisione?. Indubbiamente molto gravi perché il presidente USA Biden, cosi come Putin con Prigozhin, non è avvezzo ai tradimenti. E’ chiaro che Giorgia Meloni, prima di prendere qualsiasi aereo per i suoi abituali tour, dovrebbe dare immediatamente l’addio al premierato. E’ vero che potrebbe consolarsi con la rete di rapporti personali che nel frattempo si è creata a livello del globo terraqueo, ma il problema rimarrebbero comunque i suoi spostamenti che suggerirebbero, per ragioni di sicurezza, di non andare oltre la metro di Roma. Un posto di prestigio, cosi come avvenuto per Di Maio grazie ai suoi servigi resi nel progetto draghiano di distruzione del M5S, sicuramente per lei verrebbe trovato, magari al posto di Brunetta nel Cnel. Più difficile appare invece la situazione di Matteo Salvini. Il suo problema è che pur essendo “occupabile” non vanta nessun credito formativo né in patria , né all’estero. Insomma trovargli un lavoro non sarebbe un compito facile neppure per i nuovi centri dell’impiego mai avviati. Meno critica, seppur seria, appare la posizione degli altri componenti di governo. A parte quella del ministro Lollobrigida, cognato di Meloni, che comunque, come noto, non avrà problemi alimentari, potendo sempre rovistare nei cassonetti. Oltretutto con enormi vantaggi per la sua salute, visto che, rovistando, probabilmente non troverà né aragoste né caviale, a tutto vantaggio del suo colesterolo.

Restiamo ansiosi in attesa di vedere cosa succede.

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Alaa Abd el-Fattah

 

I miracoli dei Brics? – Francesco Masala

Dopo il miracolo della “pace” fra Arabia Saudita e Iran, il sostegno alla Palestina al punto 17 della Dichiarazione di Johannesburg II, la liberazione dalle galere egiziane di Alaa Abd el-Fattah (e qualche migliaio di prigionieri politici) sarebbe una grande discontinuità con la comunità internazionale dell’Occidente, che uccide giorno dopo giorno Leonard Peltier e Julian Assange.



 

Jeffrey Sachs: “Siamo in un mondo multipolare in cui i BRICS sono più grandi del G7 e gli Stati Uniti non lo accettano”

Il noto economista statunitense Jeffrey Sachs ritiene che gli Stati Uniti mostrino una resistenza ostinata ad accettare la realtà di un mondo multipolare, che aumenta il rischio di conflitti globali.

In una recente intervista al settimanale svizzero Die Weltwoche – secondo quanto riporta l’emittente RT – Sachs ha fortemente criticato l’approccio di Washington all’attuale scenario geopolitico. “Siamo già in un mondo post-americano e post-occidentale. Siamo in un mondo veramente multipolare. Siamo in un mondo in cui i paesi BRICS sono più grandi dei paesi del G7, […] e gli Stati Uniti non accettano quella transizione”.

Secondo Sachs, che è stato consigliere di numerosi leader politici, la Casa Bianca resta convinta di governare un mondo in cui solo Russia e Cina sono ribelli e il resto lo accetterà. “Secondo me, gli Stati Uniti sono indietro di un quarto di secolo”, ha affermato.

Ha anche spiegato che l’Europa, da parte sua, è stata deludente perché non c’è una sola voce nel continente in questo momento che abbia una “prospettiva geopolitica che sia anche solo intelligibile”. Per Sachs la sorpresa più grande è “l’incapacità dell’Europa di avere una comprensione coerente dell’attuale situazione globale”.

“Potremmo dirigerci verso un mondo di enormi conflitti e disastri, o potremmo dirigerci verso un mondo in cui qualche leader USA intelligente e non ottuagenario si alza e dice: ‘Non abbiamo più bisogno della NATO, ma ne abbiamo bisogno’. Ciò di cui abbiamo bisogno è avere relazioni normali con Cina, India, Russia, Brasile e Unione europea e all’improvviso le cose sarebbero molto diverse”, conclude l’esperto.

Come evidenziato da Sachs, al pari di tanti altri osservatori e studiosi a livello mondiale, siamo già entrati in una fase post-unipolare. Gli Stati Uniti accetteranno la nuova configurazione internazionale e si adegueranno ad essa, oppure proveranno in ogni modo, guerra compresa, a fermare l’ascesa del nuovo mondo multipolare?

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L’allargamento dei Brics e le dinamiche intercapitalistiche del futuro – Pasquale Cicalese

Con l’allargamento dei Brics le dinamiche intercapitalistiche nei prossimi decenni subiranno una virata a 360 gradi. Produttori fornitori di materie prime energetiche, produttori fornitori di materie prime agricole, fornitori produttori di componenti industriali e semindustriali.

La dinamica mondo subirà un travaso di ricchezze all’opposto degli ultimi 500 anni, specie se si aggiungeranno altri paesi Brics. Dalla bidonville mondiale, nel frattempo industrializzata, si arriverà all’assorbimento di prodotti in quel che prima era considerato primo mondo e ciò provocherà travaso di ricchezze.

A questo punto, non fidandosi i paesi della valuta principale ci sarà un processo di dedollarizzazione, che avrà come cardine le riserve valutarie della Pboc, nel frattempo quasi intatte.

Il non assorbimento a fini interni delle riserve Pboc in questi anni, parzialmente dati all’Occidente, e che ora stanno rientrando, saranno il fulcro delle relazioni economiche internazionali, oltretutto, avendo avuto il salto tecnologico, contando sulla primazia industriale in vari settori. Il processo si allargherà ai Brics e avrà come cardine Arabia, Russia e Iran, oltre che Venezuela.

Questo nuovo sistema mondo trascinerà Africa e America Latina.

In pratica, dopo 500 anni, e dopo il 1956 della Conferenza di Bandung si assisterà alla democratizzazione delle relazioni internazionali.

Usa, toro ferito, menerà fendenti, ma è debole sul piano dell’assetto finanziario e a qualche compromesso arriverà.

Quel che sarà distrutta è l’Ue, vortice deflazionistico mondiale, dal 1972 con Werner, a cui gli si assorbirà il surplus commerciale e delle partite correnti, da parte di Usa e dei paesi produttori. Non sembra che in Ue se ne stiano accorgendo di questo processo storico, con il pozzo senza fondo ucraino e dell’est sta lì a dimostrarlo.

In fondo il Comecon assicurava la sicurezza Ue, venuta meno essa, dopo 30 anni, l’Ue si trova da sola. Le cancellerie occidentali insistono a frenare il processo, ma unite Arabia, riserve russe, riserve iraniane, riserve petrolifere venezuelane, Pboc, una potenza di fuoco impressionante.

Non so quando questo processo avrà un’accelerata, ma è in fieri. La presenza dell’Arabia Saudita vuol dire fine del processo storico iniziato con la decisione di Nixon del 1973.

La presenza dell’Iran vuol dire fine della crisi petrolifera del 1979.

La guerra ucraina-russa vuol dire il consolidamento dell’asse russo cinese.

E tutti questi processi avranno effetti sul sistema mondo capitalistico. Può darsi che la crisi dell’Ue, e dell’Usa, porti a nuove lotte sociali o all’inferno capitalistico come sta succedendo ora, ma qualcosa capiterà. Il mondo è in movimento.

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BRICS, l’acronimo si fa progetto – Fabrizio Casari

Sotto la sigla BRICS, si è riunito a Johannesburg un consesso che, con i nuovi entrati – Iran, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Argentina, Eritrea ed Etiopia – dal 1° gennaio del 2024 rappresenterà il 47% della popolazione mondiale e il 37% del PIL planetario. Se si pensa che alla sua nascita, nel 1995, rappresentava solo il 16,9 del PIL, che nel 2010 arrivò al 26,1, si capisce come l’incremento sia inversamente proporzionale a quello del G7, che è passato dal 66% del 1990 al 46% di oggi.

Un confronto che sarà sempre più impietoso per l’Occidente. Secondo il Presidente cinese, Xi Jinping, l’adesione di nuovi paesi “segna un nuovo punto di partenza”. C’è in effetti un dato che, più di ogni altro, suffraga le parole del leader cinese: con l’ingresso dei nuovi paesi, il blocco del Sud globale arriva a avere tra le sue fila i primi 9 produttori di idrocarburi del mondo, oltre il 61% della produzione; e quando si aggiungeranno altri paesi come Venezuela e Algeria, il dato sarà ancora più netto. Arriveranno ad irrobustire ulteriormente i BRICS anche giganti demografici come Indonesia e Pakistan, paesi di importanza strategica come Turchia, Tunisia e Algeria, di grande interesse geopolitico e valore ideologico come Nicaragua, Cuba e Venezuela.

Il vertice era particolarmente atteso per diverse ragioni. Tra queste l’approvazione delle procedure e dei criteri per le nuove adesioni, l’ampliamento della cooperazione tra i paesi membri senza l’utilizzo del Dollaro, le piattaforme alternative di pagamento, la crescita del ruolo della Banca dello Sviluppo; si è deciso di approfondire la cooperazione in materia di sicurezza alimentare all’interno del gruppo.

Il documento finale di Johannesburg è, nei fatti, un manifesto dell’Ordine Nuovo Internazionale che s’intende perseguire. C’è l’impegno per il multilateralismo e la difesa del Diritto Internazionale, del quale si considera l’ONU la pietra angolare, ma si chiede una riforma del suo Consiglio di Sicurezza che preveda maggiore presenza dei paesi in via di sviluppo, per i quali si chiede anche maggiore rappresentatività negli organismi internazionali e nei fori multilaterali; si conferma l’opposizione alle sanzioni unilaterali e alle barriere doganali, anche quando vengono imposte con la scusa della tutela dell’ecosistema di fronte ai cambi climatici; infine, si richiede lo sviluppo di una convenzione internazionale per la lotta all’uso fraudolento e delittuoso delle tecnologie informative e di comunicazione.

I BRICS si propongono come attori centrali della nuova governance globale: esprimono preoccupazione per i conflitti nel mondo e insistono sul dialogo come metodo di soluzione delle controversie internazionali. Appoggiano la soluzione pacifica dei conflitti in Ucraina, Niger, Libia, Sudan e sul programma nucleare iraniano e sostengono il rafforzamento degli accordi di non proliferazione per le armi di distruzione di massa.

La sfida per un nuovo ordine mondiale

L’idea di fondo è quella di un nuovo disegno planetario, dove siano l’inclusione, le politiche equitative, lo sviluppo armonico e il commercio in parità di condizioni, il motore di un nuovo modello di economia globale. Un’alternativa alle politiche escludenti del turbo-liberismo, mantra ideologico del G7. Una contrapposizione fruttuosa, visto che, come ha ricordato Vladimir Putin nel suo intervento, “la crescita stimata per i paesi del G7 nel 2024 è dell’1,4 del PIL, mentre per i paesi aderenti ai BRICS la crescita sarà del 4%”.

Com’è ovvio, non si tratta solo di dottrine economiche contrastanti: come premessa e conseguenza di un simile disegno economico, c’è la parte più politica che è alla base del modello che propongono, che rifiuta qualunque egemonia nelle relazioni internazionali e indica come prioritario il rispetto della sovranità nazionale di ogni paese e il principio di non ingerenza nei suoi affari interni e sul modello politico e sociale che persegue.

Quello che si evidenzia nel confronto con l’unipolarismo occidentale è anche la diversa dimensione ed il diverso impatto sul pianeta dei due blocchi. Quello occidentale controlla le leve della finanza mondiale, ma il Sud globale possiede gli alimenti, l’acqua e tutte le risorse fossili (idrocarburi su tutte) e minerarie, le terre rare, i beni strategici di suolo, sottosuolo e mari. È lo scontro tra due modelli di governance: uno, il sistema dominante, energivoro e bellico; l’altro, insorgente, con una nuova idea di cooperazione e sicurezza reciproca. È la lotta tra un capitalismo senza capitali, con una ricchezza fatta di carta, contro la ricchezza di beni primari e secondari necessari. Il Nord minaccia e sanziona, ma il Sud Globale, capace di progressi tecnologici altissimi e dotato di sovranità politica e sistema di alleanze internazionali, ara il terreno del mondo che verrà.

Unilateralismo o multipolarismo?

La guerra in Ucraina ha dato accelerazione e profondità al conflitto politico con l’Occidente collettivo, sulla lettura e sulle conseguenze della guerra. In aperto rifiuto delle sanzioni che hanno preceduto e seguito l’attacco strategico NATO contro la Russia, i BRICS hanno sostenuto Mosca arrivando –  come ha ricordato Putin nel suo intervento – ad uno scambio commerciale di 230 miliardi di Dollari”. In questo incremento dell’import/export con la Russia, c’è un elemento di interesse commerciale e anche un riconoscimento politico verso un Paese che svolge una funzione di traino a questa porzione di mondo, alla quale offre sostegno politico, alimenti e idrocarburi per lo sviluppo e sicurezza nella lotta contro il neo-colonialismo.

Sul piano delle politiche finanziarie, si è data una robusta accelerazione alla de-dollarizzazione. La progressiva implementazione degli scambi in valuta locale e la ricerca dei meccanismi e dei tempi nei quali i BRICS potranno dotarsi di una loro Divisa, è stato un altro dei temi trattati nel vertice. Secondo quanto dichiarato dal Presidente sudafricano Ramaphosa, i leader BRICS hanno incaricato i ministeri delle finanze e le banche centrali dei loro paesi di valutare la possibilità di lanciare strumenti e piattaforme di pagamento basati sulle valute nazionali.

Parallelamente, proprio la necessità di sottrarre i finanziamenti internazionali e il credito all’abuso politico che l’Occidente fa degli organismi finanziari internazionali, la Banca dello Sviluppo vedrà crescere costantemente il suo ruolo.

Il procedere a tappe forzate verso la de-dollarizzazione è lo squillo di tromba più minaccioso per gli USA, che contraggono debito internazionale senza doverlo pagare, limitandosi solo a stampare altra moneta. Il che tiene in piedi un modello fallito ma altera profondamente l’intera economia mondiale a tutto vantaggio di Washington.

I prossimi arrivi

Il numero di paesi che chiedono l’ingresso nei BRICS, appare un dato aggiornabile mese dopo mese e ciò, di per se stesso, è una ulteriore minaccia all’Occidente sordo e rapace. Perché questi paesi, pur se a geometrie variabili, rappresentano la forza maggiore del nuovo mondo che scalza il vecchio. Il Sud globale cessa di essere un punto geografico e si fa soggetto politico, irrompendo nello scenario planetario. La sfida all’Ordine Internazionale inauguratosi con la caduta del campo socialista, che ha reso evidente proprio nel massimo della sua potenza il fallimento strategico del liberismo imperiale, è lanciata.

A contrapporsi non ci saranno più solo paesi con una storia ed una identità socialista, pure decisivi e trainanti: si assoceranno anche paesi che, pur ideologicamente dissimili, trovano con il Socialismo del terzo millennio consonanze strategiche, profili identitari e procedure condivise nel rifiuto di un sistema unipolare e nella ricerca di uno multipolare.

Per questo la riunione di Johannesburg non ha avuto nulla di routinario, e ben lo sanno le cancellerie e i media del mainstream imperiale, che mai fino ad ora si erano così interessati alla vicenda BRICS, considerata priva di rilevanza strategica. Hanno sempre ritenuto le differenze maggiori che le consonanze. Errore tra gli errori.

Il vertice appena concluso rappresenta invece un passaggio fondamentale nella costruzione di una struttura di governance alternativa, con una parte del pianeta che non intende più reagire sporadicamente ed ognuno per sé alla prepotenza imperiale. Quel tempo è finito, siamo in un’altra fase.

Johannesburg ha evidenziato come il progetto di costruzione di regole e procedure economiche e finanziarie internazionali sia parte essenziale e non marginale di un generale progetto politico alternativo a carattere globale. L’anti-imperialismo non è più solo una teoria politica, è divenuto una necessità irrinunciabile, disegno di un futuro possibile o assenza dello stesso. Quel mondo diverso, rappresentato dai paesi emergenti, si alza a dichiarare che l’unipolarismo non è l’ultima pagina della storia.

Che c’è un nuovo libro fatto di equità, equilibrio, rispetto e valorizzazione di tutti e fra tutti, che ha nell’ascolto reciproco e nella comune sicurezza le chiavi che aprono le porte di questo nuovo secolo. Questa la sintesi di Johannesburg: il cammino è a buon punto, nulla sarà più come prima, il mondo sarà diverso. E che l’annuncio venga dalla capitale di una nazione che grazie all’internazionalismo vide la sconfitta dell’apartheid, evoca un segnale simbolico dai mille significati. Uno più dolce dell’altro.

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BRICS e futuro dell’umanità, un invito alla riflessione – Anna Polo

Un mondo multipolare ed eterogeneo è senz’altro più interessante di uno dominato da un’unica potenza, quella statunitense, con l’Europa al seguito. Il recente allargamento dei BRICS – Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica – con l’ammissione di altri sei Paesi – Iran, Argentina, Egitto, Etiopia, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti – pone tuttavia alcune domande su cui vale la pena di riflettere, senza pretendere di trovare subito tutte le risposte.

Molti dei punti della Dichiarazione del vertice di Johannesburg appena concluso sono condivisibili – ad esempio la riforma dell’ONU, il rafforzamento dei meccanismi di disarmo e non proliferazione, l’appoggio al dialogo e alla diplomazia per risolvere il conflitto in Ucraina e un nuovo approccio al problema del debito estero. Al di là delle belle parole, si avverte però un’impostazione basata principalmente su criteri economici ed equilibri geopolitici, che non mette in discussione il modello capitalista e consumista responsabile dell’attuale disastro.  Al momento di decidere l’ammissione di nuovi membri, il PIL pare contare più di altri fattori, fondamentali invece per un giornalismo indipendente e nonviolento come il nostro.

Vediamo allora la situazione di vari dei Paesi vecchi e nuovi appartenenti ai BRICS dal punto di vista dei diritti umani, della pace, del disarmo e dell’ambiente, ossia alcuni dei temi più cari a Pressenza.

DIRITTI UMANI

In Egitto i prigionieri politici sono oltre 60.000 e le detenzioni arbitrarie, le torture, le sparizioni forzate, le condanne a morte, la persecuzione dei giornalisti indipendenti e la repressione di ogni dissenso sono all’ordine del giorno.

In Iran le manifestazioni di protesta seguite all’assassinio della giovane Masha Amini sono state represse con brutalità, arrivando a diverse condanne a morte dopo processi-farsa. Anche qui sono diffusi arresti (spesso di giornalisti, accusati di aver documentato proteste e abusi), torture, sparizioni forzate, per non parlare della discriminazione nei confronti delle donne e della persecuzione di gay e lesbiche.

L’Arabia Saudita è una monarchia assoluta dove i diritti umani vengono sistematicamente violati, la libertà di espressione attaccata e le donne discriminate per legge. Anche qui si registrano processi iniqui, detenzioni arbitrarie e condanne a morte spesso comminate per aver semplicemente partecipato a sit-in e proteste. Con i bombardamenti in Yemen l’Arabia Saudita ha inoltre causato stragi di civili e una delle più gravi crisi umanitarie del mondo.

Negli Emirati Arabi Uniti le relazioni omosessuali consensuali tra adulti sono criminalizzate e i dissidenti politici sono vittime di abusi, detenzioni arbitrarie e maltrattamenti. La libertà di stampa viene ostacolata e limitata da controlli e divieti.

In India la democrazia sta degenerando verso una forma sempre più totalitaria e punta a trasformare un Paese multilingue e multireligioso in un’entità monolitica dominata da un partito fanatico hindù. Proteste e dissenso vengono repressi e le minoranze religiose ed etniche perseguitate.

A partire dal 2022 la Ong Reporter senza frontiere classifica la Cina come uno dei dieci Paesi al mondo con la minore libertà di stampa.

In Russia gli obiettori di coscienza e tutti coloro che si rifiutano di partecipare alla guerra contro l’Ucraina vengono perseguitati, arrestati e incarcerati.

Il Brasile, l’Argentina e il Sudafrica sono gli unici membri dei BRICS ad aver abolito la pena di morte.

PACE E DISARMO

La Cina ha invaso il Tibet nel 1950 e lo ha annesso nel 1959, reprimendo nel sangue la rivolta della popolazione. Una situazione che continua ancora oggi.

La Russia porta avanti da oltre un anno una guerra di invasione in Ucraina che ha causato migliaia di morti e feriti e terribili devastazioni, a cui si contrappone una politica guerrafondaia altrettanto criminale da parte della Nato, dell’Unione Europea e degli Stati Uniti.

Al momento solo il Brasile e il Sudafrica sono tra i 92 firmatari e 68 Stati parte del Trattato per la proibizione delle armi nucleari. Tra i restanti membri dei BRICS l’India, la Russia e la Cina sono potenze nucleari con arsenali in espansione.

AMBIENTE

Gli Stati Uniti detengono il primato di produzione di petrolio, seguiti da Russia, Arabia Saudita, Iran, Cina, Brasile ed Emirati Arabi Uniti; eppure i combustibili fossili sono tra i principali responsabili della crisi climatica sempre più incombente e il loro abbandono a favore delle energie rinnovabili è un’esigenza irrimandabile.

L’enfasi posta nel summit dei BRICS sul “sud globale” che punta ad affrancarsi dalla disumana oppressione dell’Occidente è stata contestata dagli attivisti africani, asiatici e ucraini riuniti a Innes Park, sempre a Johannesburg , secondo i quali le dichiarazioni altisonanti celano in realtà progetti di neo-colonialismo. Un esempio eclatante è costituito dallo Stato cinese con le sue compagnie private, impegnate a costruire un enorme oleodotto dal nord dell’Uganda alle coste della Tanzania, distruggendo intere comunità in cambio di compensi irrisori, o pronte a estrarre petrolio dal Lago Alberto, minacciando così una delle maggiori risorse d’acqua.

Naturalmente molti Paesi del “blocco occidentale” si possono accusare delle stesse iniquità elencate più sopra – e infatti non manchiamo mai di denunciarle.

Restano comunque in sospeso delle domande fondamentali: da dove verrà il cambiamento profondo di cui l’umanità – anzi, tutti gli esseri viventi – hanno bisogno per sopravvivere e continuare nella loro lunga evoluzione? Dai governi, o dai movimenti? O forse dai governi sotto la pressione e lo stimolo della base sociale e in particolare dei giovani attivisti, preoccupati di un futuro che si annuncia fosco, a meno di un cambio di rotta radicale?

Come realizzare una rivoluzione interna, di mentalità, valori e comportamenti, che porti al superamento definitivo della violenza nei confronti degli esseri umani e della natura e alla costruzione di una Nazione Umana Universale?

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I BRICS raddoppiano: un mondo multipolare è più vicino? – Paolo Arigotti

A fine agosto, precisamente tra il 22 e il 24 del mese, si è tenuto a Johannesburg il vertice dei BRICS, il quindicesimo a partire dal 2009, quando il gruppo venne formalmente costituito; al tavolo i leaders dei (per ora) cinque stati membri: Brasile, Russia, Cina, India e Sudafrica [1], tutti rappresentati ai massimi livelli, con l’eccezione della Federazione russa per la quale era presente il ministro degli Esteri Sergey Lavrov (il presidente Vladimir Putin ha partecipato in videoconferenza). E proprio in Russia, nella città di Kazan, si terrà a ottobre 2024 il prossimo vertice.

Il documento finale, articolato in 94 punti, e approvato dai partecipanti è ricco di contenuti interessanti, per quanto la decisione più importante scaturita dal meeting resti l’allargamento del club, che dal primo gennaio del 2024 accoglierà sei nuovi membri: Arabia Saudita, Argentina, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Etiopia, Iran. Come si legge nei comunicati ufficiali, i leader politici in questo modo “…hanno raggiunto il consenso sui principi guida, gli standard, i criteri e le procedure del processo di espansione dei BRICS”[2]; Sanusha Naidu, ricercatore presso l’Institute for Global Dialogue, think tank sudafricano, ha parlato di “…implicazioni geoeconomiche, geostrategiche e geopolitiche”, con importanti riflessi sulle politiche in Medio Oriente, sulle relazioni tra Cina e India e nel settore energetico.

Le trattative sull’ingresso dei nuovi membri non sono state semplici, lo ha ammesso lo stesso Putin nel suo intervento, vista la diversità delle posizioni dalla quale partivano i singoli governi: se l’India aveva un approccio più restrittivo, aprendo al massimo a tre nuovi ingressi, la Cina sarebbe stata favorevole a dieci nuove adesioni. Nonostante ciò, alla fine è stato trovato un compromesso, lasciando in “lista d’attesa” i restanti stati: sono ventitré i paesi che hanno formalizzato la loro richiesta di entrare nei BRICS[3]. Permane l’incognita dell’Argentina, per la cui adesione definitiva servirà attendere gli esiti delle presidenziali di ottobre, visto e considerato che uno dei favoriti, il candidato ultraliberista Javier Milei[4], ha già dichiarato che in caso di vittoria potrebbe non confermare la decisione.

Prima di passare al merito delle decisioni assunte, che avranno inevitabili riflessi, con i tempi dovuti, sulla situazione politica ed economica mondiale, ci sia consentito di avanzare qualche riserva su certi commenti, per lo meno discutibili, comparsi su alcuni organi d’informazione, che oltre a occuparsi in modo piuttosto marginale del meeting, sembrano orientati a sminuire la portata e il significato del vertice, come del club nel suo complesso [5] [6].

I 94 punti che compongono la dichiarazione finale[7] spaziano su molti temi, molti dei quali non certo nuovi a questi vertici, dei quali sarebbe riduttivo operare un sunto. Solo per citarne qualcuno, ricorderemo le critiche agli attuali equilibri internazionali, l’auspicio di contare di più negli assetti geopolitici, la contrarietà a sanzioni unilaterali (con un chiaro riferimento alla Russia) e/o a barriere commerciali (magari col pretesto del green), una nuova spinta ai paesi emergenti e un loro maggior ruolo sullo scacchiere internazionale (cominciando dal piano africano per la pace in Ucraina), la riforma degli attuali meccanismi di funzionamento di ONU, WTO o FMI, l’impegno per una risoluzione pacifica e negoziale delle diverse conflittualità e aree di crisi, con espliciti riferimenti al nucleare iraniano e al Medio Oriente.

Nonostante una serie di punti all’ordine del giorno possano essere letti in questi termini, non ci sembra appropriato ridurre il ruolo dei BRICS a quello di semplici antagonisti del cosiddetto blocco occidentale, in particolare del G7. Come ha spiegato efficacemente l’esperto di geopolitica Gianmarco Land i[8], al contrario, inizialmente i BRICS furono in un certo senso “avallati” dai cosiddetti paesi più sviluppati, per accompagnarli verso una nuova fase di sviluppo per le economie emergenti, beninteso in linea coi desiderata occidentali [9].

Quel che probabilmente non era stato previsto (né tantomeno auspicato) dalle potenze occidentali erano i profondi cambiamenti che si sono succeduti con grande rapidità in questi ultimi anni, e che hanno subito una forte accelerazione con lo scoppio del conflitto in Ucraina. Pensiamo solo al presunto isolamento politico ed economico della Federazione russa per effetto (così si pensava) delle sanzioni[10]: oramai perfino i maggiori detrattori di Putin ammettono che si sono rivelate un sostanziale fallimento, oltre a produrre un effetto boomerang specie nei confronti degli europei[11].

E non finisce qui. In risposta all’ostilità occidentale, la politica russa ha accelerato il percorso per la costruzione di un nuovo assetto politico ed economico delle relazioni internazionali, al centro del quale si colloca la dichiarata intenzione di addivenire alla de dollarizzazione degli scambi internazionali: un processo, questo ultimo, ritenuto oramai irreversibile tanto dal presidente cinese Xi Jinping[12], che dal leader russo Putin[13], che lo hanno detto apertamente nei loro rispettivi interventi…

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 XV Vertice dei BRICS: tutti i 94 punti della dichiarazione finale in italiano

Dichiarazione di Johannesburg II
BRICS e Africa: partenariato per una crescita reciprocamente accelerata,
Sviluppo sostenibile e multilateralismo inclusivo
Sandton, Gauteng, Sud Africa
Mercoledì 23 agosto 2023


Preambolo

  1. Noi, i leader della Repubblica Federativa del Brasile, della Federazione Russa, della Repubblica dell’India, della Repubblica Popolare Cinese e della Repubblica del Sud Africa, ci siamo incontrati a Sandton, in Sud Africa, dal 22 al 24 agosto 2023 per i XV BRICS Summit svoltosi sotto il tema:”BRICS e Africapartenariato per una crescita reciprocamente accelerata, uno sviluppo sostenibile e un multilateralismo inclusivo“.
  2. Riaffermiamo il nostro impegno verso lo spirito BRICS di rispetto e comprensione reciproci, uguaglianza sovrana, solidarietà, democrazia, apertura, inclusività, collaborazione rafforzata e consenso. Basandoci su 15 anni di vertici BRICS, ci impegniamo ulteriormente a rafforzare il quadro di cooperazione BRICS reciprocamente vantaggiosa sotto i tre pilastri della cooperazione politica e di sicurezza, economica e finanziaria, culturale e interpersonale e a migliorare la nostra strategia partenariato a beneficio del nostro popolo attraverso la promozione della pace, di un ordine internazionale più rappresentativo e più giusto, di un sistema multilaterale rinvigorito e riformato, dello sviluppo sostenibile e di una crescita inclusiva.
  3. Ribadiamo il nostro impegno per un multilateralismo inclusivo e per il rispetto del diritto internazionale, compresi gli scopi e i principi sanciti nella Carta dei diritti delle Nazioni Unite (ONU) come pietra angolare indispensabile e il ruolo centrale delle Nazioni Unite in un sistema internazionale in cui gli stati sovrani cooperano per mantenere la pace e la sicurezza, promuovere lo sviluppo sostenibile, garantire la promozione e la protezione della democrazia, dei diritti umani e delle libertà fondamentali per tutti e promuovendo la cooperazione basata sullo spirito di solidarietà, rispetto reciproco, giustizia e uguaglianza.
  4. Esprimiamo preoccupazione per l’uso di misure coercitive unilaterali, che sono incompatibili con i principi della Carta delle Nazioni Unite e producono effetti negativi soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Ribadiamo il nostro impegno a potenziare e migliorare la governance globale promuovendo un sistema internazionale e multilaterale più agile, efficace, efficiente, rappresentativo, democratico e responsabile.
  5. Chiediamo una maggiore rappresentanza dei mercati emergenti e dei paesi in via di sviluppo, nelle organizzazioni internazionali e nei forum multilaterali in cui svolgono un ruolo importante. Chiediamo inoltre di aumentare il ruolo e la quota delle donne degli EMDC a diversi livelli di responsabilità nelle organizzazioni internazionali.
  6. Ribadiamo la necessità che tutti i paesi cooperino nella promozione e protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali secondo i principi di uguaglianza e rispetto reciproco. Siamo d’accordo nel continuare a trattare tutti i diritti umani, compreso il diritto allo sviluppo, in modo giusto ed equo, sullo stesso piano e con la stessa enfasi. Concordiamo di rafforzare la cooperazione su questioni di interesse comune sia all’interno dei BRICS che nei forum multilaterali, tra cui l’Assemblea generale delle Nazioni Unite e il Consiglio per i diritti umani, tenendo conto della necessità di promuovere, proteggere e soddisfare i diritti umani in un contesto non selettivo e non politicizzato. modo costruttivo e senza doppi standard. Chiediamo il rispetto della democrazia e dei diritti umani. A questo proposito, sottolineiamo che dovrebbero essere implementati a livello di governance globale così come a livello nazionale.
  7. Sosteniamo una riforma globale delle Nazioni Unite, compreso il Consiglio di Sicurezza, con l’obiettivo di renderlo più democratico, rappresentativo, efficace ed efficiente, e di aumentare la rappresentanza dei paesi in via di sviluppo tra i membri del Consiglio in modo che possa rispondere adeguatamente alle sfide globali prevalenti e sostenere le le legittime aspirazioni dei paesi emergenti e in via di sviluppo dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina, tra cui Brasile, India e Sud Africa, a svolgere un ruolo maggiore negli affari internazionali, in particolare nelle Nazioni Unite, compreso il Consiglio di Sicurezza.
  8. Riaffermiamo il nostro sostegno al sistema commerciale multilaterale aperto, trasparente, giusto, prevedibile, inclusivo, equo, non discriminatorio e basato su regole, con al centro l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), con un trattamento speciale e differenziale (S&DT). per i paesi in via di sviluppo, compresi i paesi meno sviluppati. Sottolineiamo il nostro sostegno a lavorare per ottenere risultati positivi e significativi sulle questioni della 13a Conferenza Ministeriale (MC13). Ci impegniamo a impegnarci in modo costruttivo per perseguire la necessaria riforma dell’OMC al fine di presentare risultati concreti all’MC13. Chiediamo il ripristino di un sistema vincolante di risoluzione delle controversie dell’OMC, pienamente e ben funzionante, a due livelli, accessibile a tutti i membri entro il 2024, e la selezione di nuovi membri dell’organo d’appello senza ulteriori ritardi.
  9. Chiediamo la necessità di compiere progressi verso il raggiungimento di un sistema commerciale agricolo equo e orientato al mercato, porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare e una migliore nutrizione, promuovere l’agricoltura e i sistemi alimentari sostenibili e implementare pratiche agricole resilienti. Sottolineiamo la necessità di realizzare la riforma agricola in conformità con il mandato di cui all’articolo 20 dell’Accordo sull’agricoltura, riconoscendo al tempo stesso l’importanza di rispettare i mandati per quanto riguarda una soluzione permanente sull’azionariato pubblico (PSH) per fini di sicurezza alimentare e di salvaguardia speciale meccanismo (MVU) per i paesi in via di sviluppo, compresi i paesi meno sviluppati, nei rispettivi contesti negoziali. I membri BRICS sono anche preoccupati per le misure restrittive del commercio che non sono coerenti con le regole dell’OMC, comprese misure unilaterali illegali come le sanzioni.
  10. Sosteniamo una solida rete di sicurezza finanziaria globale con al centro un Fondo monetario internazionale (FMI) basato su quote e risorse adeguate. Chiediamo la conclusione della 16a revisione generale delle quote del Fondo monetario internazionale (FMI) entro il 15 dicembre 2023. La revisione dovrebbe ripristinare il ruolo primario delle quote nel FMI. Qualsiasi aggiustamento delle quote dovrebbe comportare un aumento delle quote dei mercati emergenti e delle economie in via di sviluppo (EMDC), proteggendo al tempo stesso la voce e la rappresentanza dei membri più poveri. Chiediamo una riforma delle istituzioni di Bretton Woods, compreso un ruolo maggiore per i mercati emergenti e i paesi in via di sviluppo, anche in posizioni di leadership nelle istituzioni di Bretton Woods, che riflettere il ruolo degli EMDC nell’economia mondiale.
  11. Accogliamo con favore la dichiarazione congiunta dei ministri degli Affari esteri e delle relazioni
    internazionali dei BRICS riuniti il 1° giugno 2023 e prendiamo atto del 13° incontro dei consiglieri per la sicurezza nazionale e degli alti rappresentanti dei BRICS per la sicurezza nazionale tenutosi il 25 luglio 2023.
  12. Siamo preoccupati per i conflitti in corso in molte parti del mondo. Sottolineiamo il nostro impegno per la risoluzione pacifica delle differenze e delle controversie attraverso il dialogo e consultazioni inclusive in modo coordinato e cooperativo e sosteniamo tutti gli sforzi volti alla soluzione pacifica delle crisi.
  13. Riconosciamo l’importanza di una maggiore partecipazione delle donne ai processi di pace, compresa la prevenzione e risoluzione dei conflitti, il mantenimento della pace, la costruzione
    della pace, la ricostruzione e lo sviluppo postbellico e il sostegno della pace.
  14. Sottolineiamo il nostro impegno per il multilateralismo e per il ruolo centrale delle Nazioni Unite che sono prerequisiti per mantenere la pace e la sicurezza. Chiediamo alla comunità internazionale di sostenere i paesi nel lavorare insieme verso la ripresa economica postpandemica. Sottolineiamo l’importanza di contribuire alla ricostruzione e allo sviluppo dei paesi postbellici e invitiamo la comunità internazionale ad assistere i paesi nel raggiungimento dei loro obiettivi di sviluppo. Sottolineiamo l’imperativo di astenersi da qualsiasi misura coercitiva non basata sul diritto internazionale e sulla Carta delle Nazioni Unite.
  15. Ribadiamo la necessità del pieno rispetto del diritto internazionale umanitario nelle situazioni di conflitto e della fornitura di aiuti umanitari in conformità con i principi fondamentali di umanità, neutralità, imparzialità e indipendenza stabiliti nella risoluzione 46/182 dell’UNGA.
  16. Elogiamo i continui sforzi collettivi delle Nazioni Unite, dell’Unione Africana e delle organizzazioni subregionali, inclusa in particolare la cooperazione tra il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e il Consiglio per la Pace e la Sicurezza dell’Unione Africana, per affrontare le sfide regionali, compreso il mantenimento della pace e della sicurezza. , promuovendo la costruzione della pace, la ricostruzione e lo sviluppo post-bellico, e chiediamo di proseguire sostegno da parte della comunità internazionale a questi sforzi utilizzando mezzi diplomatici come il dialogo, i negoziati, le consultazioni, la mediazione e i buoni uffici, per risolvere controversie e conflitti internazionali, risolverli sulla base del rispetto reciproco, del compromesso e dell’equilibrio degli interessi legittimi. Ribadiamo che il principio “soluzioni africane ai problemi africani” dovrebbe continuare a servire come base per la risoluzione dei conflitti. A questo proposito sosteniamo gli sforzi di pace africani nel continente rafforzando le pertinenti capacità degli Stati africani. Siamo preoccupati per il peggioramento della violenza in Sudan. Esortiamo alla cessazione immediata delle ostilità e chiediamo il libero accesso della popolazione sudanese all’assistenza umanitaria. Rimaniamo preoccupati per la situazione nella regione del Sahel, in particolare nella Repubblica del Niger. Sosteniamo la sovranità, l’indipendenza, l’integrità territoriale e l’unità nazionale della Libia.
    Ribadiamo il nostro sostegno a un processo politico “guidato e di proprietà della Libia” con la
    mediazione guidata dalle Nazioni Unite come canale principale. Sottolineiamo la necessità di
    raggiungere una soluzione politica duratura e reciprocamente accettabile alla questione del Sahara
    Occidentale in conformità con le pertinenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite
    e in adempimento del mandato della Missione delle Nazioni Unite per il Referendum nel Sahara
    Occidentale
     (MINURSO).
  17. Accogliamo con favore gli sviluppi positivi in Medio Oriente e gli sforzi dei paesi BRICS per sostenere lo sviluppo, la sicurezza e la stabilità nella regione. A questo proposito, approviamo la dichiarazione congiunta dei vice ministri degli Esteri e degli inviati speciali dei BRICS per il Medio Oriente e il Nord Africa nella riunione del 26 aprile 2023. Accogliamo con favore il ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra il Regno dell’Arabia Saudita e la Repubblica islamica dell’Iran e sottolineano che l’allentamento delle tensioni e la gestione delle differenze attraverso il dialogo e la diplomazia sono fondamentali per la coesistenza pacifica in questa regione strategicamente importante del mondo. Riaffermiamo il nostro sostegno alla sovranità, all’indipendenza e all’integrità territoriale dello
    Yemen, e lodano il ruolo positivo di tutte le parti coinvolte nella realizzazione di un cessate il fuoco e nella ricerca di una soluzione politica per porre fine al conflitto. Chiediamo a tutte le parti di impegnarsi in negoziati diretti inclusivi e di sostenere la fornitura di aiuti umanitari, di soccorso e di assistenza allo sviluppo al popolo yemenita. Sosteniamo tutti gli sforzi volti a raggiungere una soluzione politica e negoziata che rispetti la sovranità e l’integrità territoriale siriana e la promozione di una soluzione duratura alla crisi siriana. Accogliamo con favore la riammissione della Repubblica araba siriana alla Lega degli Stati arabi. Esprimiamo la nostra profonda preoccupazione per la terribile situazione umanitaria nei Territori palestinesi occupati a causa della crisi aiuti umanitari e allo sviluppo del popolo yemenita. Sosteniamo tutti gli sforzi volti a raggiungere una soluzione politica e negoziata che rispetti la sovranità e l’integrità territoriale siriana e la promozione di una soluzione duratura alla crisi siriana. Accogliamo con favore la riammissione della Repubblica araba siriana alla Lega degli Stati arabi. Esprimiamo la nostra profonda preoccupazione per la terribile situazione umanitaria nei Territori palestinesi occupati a causa della crisi aiuti umanitari e allo sviluppo del popolo yemenita. Sosteniamo tutti gli sforzi volti a raggiungere una soluzione politica e negoziata che rispetti la sovranità e l’integrità territoriale siriana e la promozione di una soluzione duratura alla crisi siriana. Accogliamo con favore la riammissione della Repubblica araba siriana
    alla Lega degli Stati arabi. Esprimiamo la nostra profonda preoccupazione per la terribile situazione umanitaria nei Territori palestinesi occupati a causa della crisi l’escalation della violenza sotto la continua occupazione israeliana e l’espansione degli insediamenti illegali. Chiediamo alla comunità internazionale di sostenere negoziati diretti basati sul diritto internazionale, comprese le pertinenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e dell’Assemblea Generale e l’Iniziativa di Pace Araba, verso una soluzione a due Stati, che porti alla creazione di uno Stato di Palestina sovrano, indipendente e vitale. Elogiamo l’ampio lavoro svolto dall’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA) e chiediamo un maggiore sostegno internazionale alle attività dell’UNRWA per alleviare la situazione umanitaria del popolo palestinese.
  18. Esprimiamo seria preoccupazione per il continuo deterioramento della situazione umanitaria, politica ed economica ad Haiti. Riteniamo che la crisi attuale richieda una soluzione guidata da Haiti che comprenda il dialogo nazionale e la costruzione del consenso tra le forze politiche locali, le istituzioni e la società. Chiediamo alla comunità internazionale di sostenere gli sforzi haitiani volti a smantellare le bande criminali, migliorare la situazione della sicurezza e porre le basi per uno sviluppo sociale ed economico duraturo nel paese.
  19. Ricordiamo le nostre posizioni nazionali riguardo al conflitto in Ucraina e nei dintorni, espresse nelle
    sedi appropriate, tra cui il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e l’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Notiamo con apprezzamento le pertinenti proposte di mediazione e di buoni uffici volti alla risoluzione pacifica del conflitto attraverso il dialogo e la diplomazia, compresa la Missione di pace dei leader africani e il percorso proposto per la pace…

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L’allargamento dei Brics, l’alba di un mondo nuovo? – Alessandro Visalli

Quello che si è manifestato a Johannesburg appare essere un punto di svolta simile a quello degli anni Settanta[1]. Con l’ingresso nei Brics da gennaio 2014 si completa il passaggio dell’Arabia Saudita in nuove alleanze, preludio per l’annunciata chiusura delle basi americane (a giugno annunciata da Bin Salman[2]) e del consolidamento delle transazioni in altra valuta del petrolio. Insieme al gigante arabo entrano anche altri attori di primo piano come l’Egitto, gli Emirati Arabi e l’Iran, in Sud America l’Argentina. Infine, l’importante, sotto il piano simbolico, Etiopia[3].

Impossibile sottovalutare l’evento, se pure atteso (e che spiega lo sforzo per escludervi Putin incriminandolo[4]): tra le cose più importanti c’è che l’Occidente collettivo (ed in particolare l’Europa) perde ogni residua influenza sull’Opec+[5] e quindi sulla geopolitica dell’energia, aspettiamoci benzina a parecchi euro ed energia a valori stabilmente alti (con buona pace di coloro che si attardano contro il cambiamento climatico ‘inventato’, senza capire che è questione letteralmente di sopravvivenza e non solo del pianeta[6]); in Africa a questo punto abbiamo, da Nord a Sud, tutte le principali potenze schierate contro l’Occidente imperiale[7], o almeno capaci di rivendicare maggiore indipendenza da questo, nessuno può immaginare anche militarmente di andare in  Africa contro Egitto, Algeria e Sud Africa insieme, o in Medio Oriente contro Arabia Saudita, Iran, Emirati, e i relativi alleati (senza considerare che ha fatto domanda anche la Turchia); si saldano due colossi d’ordine come Arabia Saudita e Iran (capolavoro della diplomazia cinese) e con Egitto e Emirati diventano il polo inaggirabile della regione; nel cortile di casa degli Usa si saldano Brasile e Argentina, in pratica il centro del subcontinente ha cambiato collocazione. Il Messico, con Bolivia, Honduras, Venezuela hanno fatto domanda. In estremo oriente ai due colossi della Cina e dell’India, membri storici, hanno fatto domanda il Bangladesh, l’Indonesia, il Kazakistan, la Tailandia, il Vietnam. Seguiranno altri come il Pakistan.

Il primo impatto si avrà sulla dinamica delle materie prime (non a caso nel vertice è stato dichiarato che i paesi africani vogliono usarle per svilupparsi) e quindi sulle ragioni di scambio (il prezzo relativo tra materie prime e prodotti intermedi o finali in uno scambio) che fino ad ora hanno arricchito l’Occidente. In termini medi avremo conseguenze sulla centralità del dollaro (che perde definitivamente l’ancoraggio saudita).

Se consideriamo che la sfida cinese (ma a questo punto in prospettiva anche indiana) e russa non si spendono solo in termini di controllo delle materie prime, ma anche di tecnologie, siamo ad una svolta epocale.

Ma conviene andare più ordinatamente, ed evitare di sovrainterpretare gli eventi. I Brics (originariamente Bric, quando Jim O’Neil propose nel 2001 di nominare in tale modo i quattro paesi emergenti Brasile, Russia, India, Cina) solo nel 2006, quindici anni fa, a margine di un’assemblea dell’ONU decisero di organizzarsi in un coordinamento diplomatico informale e nel 2009 lo trasformarono in una sorta di club permanente (come il G7) nel Summit di Ekaterinburg. Sin dalla dichiarazione del 2009 lo scopo dell’associazione è di instaurare un più equo ordine mondiale multipolare, nel quale, cioè, sia assente un egemone centrale. Nel 2010 venne ammesso il Sudafrica e progressivamente aumentarono le ambizioni. Mentre in una prima fase si trattava sostanzialmente di coordinare la propria azione nelle organizzazioni multipolari a guida occidentale (Onu, FMI, BM, Wto) progressivamente emerse lo scopo di modificarne gli assetti e/o organizzare autonomi organismi di sostegno allo sviluppo. Passa necessariamente per questa nuova agenda la riduzione del ruolo dominante del dollaro (e quello subordinato dell’euro), la capacità di resistere ai ditkat del Fmi e BM e di resistere al rischio di subitanee fughe di capitali e crisi di liquidità, e alle sanzioni unilaterali. Insomma, resistere alle armi di distruzione finanziaria che l’Occidente spesso usa per disciplinare e minacciare il mondo.

Nel 2014, a questo scopo, i Brics decisero a Fortaleza di creare una propria Banca di Sviluppo che avesse il compito di finanziare le iniziative infrastrutturali comuni. Una Banca, si deve notare, aperta a chiunque e dotata di 50 miliardi per investimenti e 100 di riserva. La Banca è inoltre dotata di uno specifico accordo Swap e della piattaforma “Brics Pay”, per usare la moneta dei cinque paesi membri, anziché il dollaro americano.

Fanno parte dei Brics paesi piuttosto eterogenei, classificabili come del ‘secondo’ o ‘terzo’ mondo secondo la vecchia dizione, con una popolazione molto estesa (il primo e secondo, il settimo, nono, e ventiquattresimo, complessivamente circa tre miliardi e trecento milioni di abitanti su otto), una superficie territoriale che vede il primo, terzo, quadro e sesto paese più grande al mondo, un Pil nominale che vede il secondo, quinto decimo ed undicesimo paese (per complessivi circa 24.000 miliardi su 90.000) e un Pil PPA molto più grande con il primo, terzo, sesto, ottavo paese al mondo (per complessivi 49.000 miliardi su 141.000), enorme dotazione di materie prime. Ma anche paesi classificabili come ‘democrazie’ di stampo occidentale (l’India, il Sudafrica, il Brasile) e ‘democrazie autoritarie’ (la Russia) o ‘democrazie popolari’ a partito unico (la Cina). Paesi, infine, con diversi livelli di accordo con l’Occidente e gli Usa (come l’India, capace di stare in relazione contemporaneamente con Cina, Usa e la Russia) o il Sudafrica e lo stesso Brasile, insieme a paesi in rotta di collisione frontale, come la Russia, o latente, come la Cina.

Cosa, dunque, li tiene insieme? In sostanza la storia del colonialismo e l’esperienza del Novecento. Il percorso di avvicinamento tra i paesi è stato infatti prudente e progressivo fino alla vera e propria esplosione di richiesta di adesione di questi ultimi mesi, con sei nuovi paesi accolti come ‘soci fondatori’ a pieno titolo dal gennaio 2024 (Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti) ed tanti altri in coda (Afganistan, Algeria, Bahrain, Bangladesh, Bielorussia, Bolivia, Cuba, Indonesia, Kazakistan, Kuwait, Palestina, Messico, Nicaragua, Nigeria, Pakistan, Senegal, Sudan, Siria, Thailandia, Tunisia, Turchia, Uruguay, Venezuela, Vietnam, Angola, Congo, Guinea e Zimbabwe). Si parla di paesi che sono dei giganti economici e geopolitici, con dotazioni energetiche e di materie prime di primissimo livello e una popolazione cumulata di oltre un miliardo e seicento milioni di abitanti (cosa che fa superare la metà dell’umanità). Si tratta di un’impressionante accelerazione che è figlia dell’indebolimento relativo dell’Occidente sul piano materiale e, tanto più, su quello dell’autorità morale e della capacità di minaccia.

Quello dei Brics, tuttavia, in particolare se viene ulteriormente allargato (anche se magari non proprio a tutti), non è un controblocco egemonico che possa avere l’ambizione di governare il mondo come un nuovo G50 a trazione cinese. Se lo fosse il ‘Club’ dovrebbe essere più piccolo e non contenere troppi potenziali rivali di potenza simile. Qui starebbero insieme letteralmente i nemici storici: l’India ed il Pakistan, l’Iran e l’Arabia Saudita, Siria e Turchia, o comunque a volte rivali, come Argentina e Brasile, o Messico. L’effetto sarebbe una paralisi geopolitica simile a quella che, sia pure in condizioni diverse, affligge l’Europa.

 

Ma se non è, e neppure può essere, il nucleo di un blocco egemonico nel senso della logica Occidentale, ovvero di quello che Arrighi chiamava sistema di egemonia, cosa ci mostra (in controluce, se vogliamo) questa improvvisa rottura degli argini ed allargamento? Due cose a mio parere:

–        che si tratta essenzialmente di un esercizio di autodifesa, resasi necessaria dalla postura aggressiva dell’egemone anglosassone;

–        e che recepisce le tre lezioni che negli ultimi anni esso ha impartito.

In altre parole, l’allargamento dei Brics segna, da una parte, la diluizione della potenza relativa cinese nella compagine, dato che crea le premesse di un nuovo e potente polo Medio Orientale, e rafforza quello africano[8]. Infine, fa da contrappeso alla centralità russo-cinese anche l’ingresso di un paese di lingua spagnola in Sudamerica della grande rilevanza come l’Argentina, preludio forse ad altri allargamenti decisivi nel “cortile di casa” degli Usa[9].

 

Dall’altra, al contempo, il sistema Brics crea un’area di potenziale scambio commerciale e condivisione finanziaria sempre più ampia ed in grado, con il successivo allargamento a questo punto probabile, di raggiungere o superare la rilevanza dei mercati Occidentali. E, infine, crea un drammatico rafforzamento della capacità di governare i flussi di materie prime energetiche grazie all’ingresso simultaneo del paese con 300 miliardi di barili di riserve (mentre il primo, il Venezuela che è un paese ‘amico’ ne ha 304) e del terzo, l’Iran (156), senza dimenticare gli Emirati Arabi Uniti ed il Kuwait (145) che ha fatto domanda. In sostanza, tra i paesi con maggiori riserve, restano fuori solo il Canada (170), l’Iraq (145), gli USA (69) la Libia (48), il secondo e terzo perché sostanzialmente sotto occupazione. Anche guardando la produzione attuale, ovvero l’impatto immediato, su 80 milioni di barili al giorno, i paesi dei Brics ne controllano ora direttamente 38 milioni, ma con i paesi che hanno fatto domanda salirebbero a 50 circa. Considerando invece i consumi gli Stati Uniti sono in deficit di 8 milioni tra produzione e consumo (11/19 milioni) l’Europa, il Giappone sono in deficit e i paesi del Bric hanno un consumo di ca 30 milioni. In sostanza ora sono in grado di controllare il mercato e di fare il prezzo.

Dunque non è un blocco egemonico coeso ed alternativo all’Occidente a guida Usa. Non è il ‘club’ della Cina. Si tratta di un sistema di autodifesa tendenzialmente orizzontale, fondato sul principio che non si vuole più essere dominati da una potenza egoista (e fintamente universalista). Questo lo rende in questa congiuntura del tutto determinante.

È, del resto, una delle più potenti molle interne dello stesso sviluppo cinese e del ‘mandato del cielo’ del Partito Comunista, ma anche della rinascita russa: la memoria delle umiliazioni (più remote nel primo caso, più recenti nel secondo), che l’Occidente ha fatto subire ai paesi che si sono mostrati deboli. Il ricordo di colonialismo e imperialismo e delle sue meccaniche di estrazione del valore tipiche.

Ricordo che si unisce alle “tre lezioni” che la crisi ucraina sta impartendo proprio ora al mondo:

–        la prima, che gli Usa possono ‘rubare’ le riserve ed espropriare in modo del tutto illegale i privati cittadini dei paesi che gli si oppongono;

–        la seconda, che, al contempo, le temutissime sanzioni non possono piegare un paese dotato di materie prime, clienti e capacità industriale adeguata;

–        infine, la terza, che la grande potenza tecnologica militare dell’Occidente non riesce a fare la differenza mentre la sua industria bellica non è più all’altezza di una guerra ad alto attrito.

Insomma, il re è nudo (ma, contemporaneamente, è più cattivo che mai).

Non è un nuovo polo geopolitico compatto, ma bastano queste tre lezioni, unite alla memoria, per lanciare la sfida: non si vuole più essere dominati e si preferisce tentare una strada di autogestione e governo condiviso, per porre fine finalmente alla ‘grande divergenza’ che sussiste da cinquecento anni.

La sfida consiste quindi nel dare vita ad una sorta di nuovo G11 (e poi G30-50), nel quale compensare i propri commerci e creare le proprie riserve strategiche e investimenti per lo sviluppo, un organismo di coordinamento e cooperazione che faccia leva sul controllo dei mercati dell’energia, della finanza (almeno per sé, anche tramite nuove piattaforme di pagamento[10]), protegga e sviluppi le proprie tecnologie, migliori le ragioni di scambio delle merci in modo da far cessare il neoimperialismo Occidentale sul ‘Sud Globale’.

Lo slogan cinese di una “comunità con un futuro condiviso per l’umanità”[11], ispira un approccio cooperativo e pragmatico, particolarmente concentrato sulle esigenze di base di paesi a reddito pro capite ancora basso o medio, alle infrastrutture essenziali, a schemi di reciproco vantaggio…

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Pepe Escobar – NATOstan vs mondo multipolare. I tentacoli della guerra ibrida pronti contro i BRICS 11

[Traduzione a cura di: Nora Hoppe]

Avremo tutti bisogno di tempo e di introspezione per analizzare l’intera gamma di vettori di cambiamento scatenati dall’inaugurazione dei BRICS 11 la scorsa settimana in Sudafrica.

Ma “il tempo non aspetta nessuno”. L’Impero tornerà a colpire in piena forza; in effetti i suoi tentacoli da Guerra Ibrida multi-idra sono già in mostra.

Qui e qui ho tentato due abbozzi di Storia sulla nascita dei BRICS 11. In sostanza, ciò che la partnership strategica Russia-Cina sta realizzando, un passo (gigantesco) alla volta, è anche multi-vettoriale:

– espandere i BRICS in un’alleanza per combattere la non– diplomazia degli Stati Uniti

– contrastare la demenza delle sanzioni

– promuovere alternative a SWIFT

– promuovere l’autonomia, l’autosufficienza e le istanze di sovranità

– e, nel prossimo futuro, integrare gli BRICS 11 (e non solo) con l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO) per contrastare le minacce militari imperiali, cosa già accennata dal presidente Lukashenko, creatore del prezioso neologismo “Globo Globale”.

Al contrario, l’indispensabile Michael Hudson ha costantemente dimostrato come “l’errore strategico di autoisolamento degli Stati Uniti e dell’Unione Europea dal resto del mondo è così massiccio, così totale, che i suoi effetti sono l’equivalente di una guerra mondiale”.

Per questo il professor Hudson sostiene che la guerra per procura in Ucraina – non solo contro la Russia ma anche contro l’Europa – “può essere considerata come la Terza Guerra Mondiale”.

Per parecchi aspetti, precisa il prof. Hudson, stiamo vivendo “un’estensione della Seconda Guerra Mondiale, le cui conseguenze hanno visto: gli Stati Uniti creare un’organizzazione economica e politica internazionale sotto il proprio controllo per operare nel proprio interesse nazionale; il Fondo Monetario Internazionale imporre il controllo finanziario degli Stati Uniti e dollarizzare l’economia mondiale; la Banca Mondiale prestare ai governi il denaro necessario a sostenere i costi infrastrutturali della creazione di una dipendenza commerciale dai prodotti alimentari e manifatturieri statunitensi; la promozione dell’agricoltura di piantagione, il controllo degli Stati Uniti e della NATO sul petrolio, sulle miniere e sulle risorse naturali; e le agenzie delle Nazioni Unite sotto il controllo degli Stati Uniti, con potere di veto in tutte le organizzazioni internazionali che hanno creato o a cui hanno aderito”.

Ora, quando si tratta di emancipazione reale del Sud Globale, della Maggioranza Globale o del “Globo Globale”, il gioco è del tutto diverso. Basti pensare che Mosca ha ospitato il vertice Russia-Africa a fine luglio e che Pechino, con Xi in persona, ha trascorso una giornata la scorsa settimana a Johannesburg con decine di leader africani, tutti facenti parte del nuovo Movimento dei Non Allineati (NAM): il G77 (in realtà 134 nazioni), presieduto da un cubano, il presidente Diaz-Canel.

È la doppia elica Russia-Cina in atto – che offre a vaste aree del “Globo Globale” sicurezza e infrastrutture ad alta tecnologia (Russia) e finanza, esportazioni di manufatti e infrastrutture stradali e ferroviarie (Cina).

In questo contesto, una moneta BRICS non è necessaria. Il prof. Hudson cita in modo cruciale il presidente Putin: ciò che serve è un “mezzo di regolamento” per le Banche Centrali per la loro bilancia dei pagamenti, per tenere sotto controllo gli squilibri nel commercio e negli investimenti. Questo non ha nulla a che vedere con una moneta sovranazionale sostenuta dall’oro dei BRICS.

Inoltre, non ci sarà bisogno di una nuova valuta di riserva, poiché un numero sempre maggiore di Paesi abbandonerà il dollaro statunitense nei propri regolamenti.

Putin ha parlato di un’unità contabile “temporanea” – poiché il commercio all’interno dei paesi BRICS si espanderà inevitabilmente nelle rispettive valute nazionali. Tutto ciò si svilupperà nel contesto di un’alleanza sempre più stretta tra i principali produttori di petrolio, gas, minerali, agricoltura e materie prime: una vera e propria economia (corsivo mio) in grado di sostenere un nuovo ordine globale che spingerà progressivamente il dominio occidentale nell’oblio.

Chiamiamolo il modo più soft per eutanizzare l’Egemonia…

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I BRICS PIÙ SEI, L’UCRAINA E L’ECONOMIA MONDIALE MULTIPOLARE

Intervista di Danny Hayphong con Michael Hudson e Pepe Escobar

Mi scuso con i lettori se riscontreranno una certa qual pesantezza e scarsa scorrevolezza della traduzione di questo interessantissimo articolo. Il testo originario è la “sbobinatura” dell’audio della trasmissione ed è non solo estremamente colloquiale ma anche, a volte, impreciso nell’acquisizione di termini e concetti. Ciò ha richiesto, in vari passaggi, un lavoro da indovino più che da traduttore per decifrare, non sempre alla perfezione probabilmente, il pensiero espresso ed è quindi possibile che alcuni punti risultino comunque fumosi.

Danny Haiphong: Andiamo subito al sodo, signori. Parliamo di BRICS, perché in Sudafrica si è appena concluso il vertice, è stata rilasciata la Dichiarazione di Johannesburg e sono stati aggiunti nuovi membri (come potete vedere, è motivo di allarme per gli Stati Uniti, visto che in sottofondo si sentono delle sirene).

Ma i BRICS, con tutte le speculazioni e l’entusiasmo al riguardo, e Pepe ed io ne abbiamo parlato insieme, hanno portato a un’azione concertata dopo questo vertice, il 15°, e cioè l’espansione dei BRICS.

Ora ci sono sei nuovi membri, Argentina, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Iran ed Etiopia. Si tratta di uno sviluppo enorme.

Quindi, immagino che a ciascuno di voi piacerebbe sentire le considerazioni dell’altro sul vertice, su questa espansione e su cosa significhi per il mondo multipolare, l’economia mondiale multipolare, potremmo chiamarla così; inizi chi vuole.

Pepe Escobar: Michael, vuoi iniziare tu? Sai perché? Perché sono stato immerso in questa storia per quattro giorni, senza sosta, e ci sono ancora dentro. Quindi mi piacerebbe sentire prima la tua analisi e poi intervengo e potrei andare avanti per 10 ore. Per favore Michael, vai pure.

Michael Hudson: In un certo senso, credo che questo sia un incontro preliminare per preparare il terreno per ciò che verrà. E tutto ciò che i BRICS possono fare a questo punto è prendere accordi tra di loro.

Ma il vero problema è quale sarà la loro strategia collettiva per staccarsi dal giardino degli Stati Uniti e della NATO, dall’intero ordine economico che gli Stati Uniti hanno messo in atto sin dal 1945.

Per questo è necessario creare una sorta di gruppo di base che scriva i principi fondamentali. In un certo senso, ciò di cui hanno bisogno è un manifesto.

Devono dire: ecco gli obiettivi e i principi di base di come opereremo. E credo che per il momento abbiano voluto mantenere il gruppo piuttosto piccolo, in modo che gli altri Paesi possano scegliere.

Se vi unirete al gruppo BRICS, il BRICS allargato, farete parte di questo nuovo ordine generale. E questo significherà, in ultima analisi, rompere con l’ordine incentrato sugli Stati Uniti.

Perché non si può avere il tipo di ordine di cui i Paesi BRICS hanno discusso durante l’incontro di questa settimana e allo stesso tempo rimanere soggetti al Fondo Monetario Internazionale, alla Banca Mondiale, all’economia neoliberista e a quella che lo stesso Presidente Putin ha definito la trappola del debito, che impedisce ai Paesi di acquisire un’indipendenza economica.

Il Presidente Putin ha tenuto un ottimo discorso in cui ha detto che fondamentalmente i Paesi, l’epoca coloniale del colonialismo europeo sono stati sostituiti dai controlli finanziari e che i Paesi non possono essere indipendenti fino a quando non sono finanziariamente indipendenti.

È facile per lui dirlo, perché gli Stati Uniti lo hanno costretto a essere indipendente, stanno costringendo la Cina a essere indipendente e stanno spingendo tutti i Paesi a essere indipendenti.

Ma quello che ha detto nel suo discorso è che i Paesi del cosiddetto miliardo globale, hanno fatto di tutto per preservare un mondo unipolare come era una volta. A loro conviene. Sono loro a trarne vantaggio. E stanno cercando di sostituire il diritto internazionale con il loro ordine. Ma nessuno ha visto le regole di questo ordine.

Quindi ha sottolineato che questo ordine è solo un nuovo tipo di colonialismo. E ha citato specificamente il Presidente brasiliano Lula, dicendo che Lula ha menzionato l’onere del debito che le economie in via di sviluppo devono affrontare.

Naturalmente, ha detto, da un lato c’è lo sforzo di sottrarre tutte queste risorse. Dall’altro lato, in termini di prestiti, le relazioni sono strutturate in modo tale da rendere praticamente impossibile la restituzione di questi prestiti, in modo che questi obblighi possano essere visti come indennizzi obbligatori piuttosto che come pagamenti di prestiti.

Ebbene, questo ha lanciato il guanto di sfida. A un certo punto, di cui non hanno potuto discutere pubblicamente oggi, si renderanno conto che se vogliamo utilizzare i nostri surplus economici per sviluppare le nostre infrastrutture, la nostra spesa pubblica per i bisogni fondamentali, non possiamo cedere il nostro surplus economico ai detentori occidentali del debito in dollari.

Qualcosa sta per cedere. E hanno evitato di parlarne. L’unica cosa di cui possono davvero parlare ora è come sostenere l’aiuto reciproco. E siamo ancora un po’ lontani dall’affrontare l’Occidente. Ma questo sarà ciò che accadrà.

Ed è questa dimensione politica che non è stata affatto discussa in Occidente. Spero quindi che oggi si possa parlare del vero significato politico dei BRICS.

Il Ministro degli Esteri Lavrov ha fatto un bellissimo commento. Ha detto che l’Occidente parla degli incontri dei BRICS solo come di un’agenda economica. E ha detto: “Ma questo sminuisce quello che stiamo facendo”.

Ha detto che l’Occidente ci tratta come un club economico, ma sminuisce il suo vero significato. Saremo un club politico, e ci vuole un’intera ristrutturazione politica per avere una ristrutturazione economica.

Quindi non stiamo parlando di differenze marginali. Non stiamo parlando di fermarci semplicemente all’utilizzo delle rispettive valute e alla denominazione del nostro debito nelle rispettive valute con swap valutari. Stiamo parlando di un salto quantico, di una strutturazione sostanzialmente nuova.

Ed è a questo che l’Occidente non crede. Credono a quello che diceva Margaret Thatcher: non c’è alternativa. E l’incontro di questa settimana è incentrato sul fatto che sì, c’è un’alternativa.

Pepe Escobar: Ben detto, Michael, bravo. Vorrei iniziare offrendo un po’ di background, quello che abbiamo imparato dagli Sherpa, cosa è successo esattamente a quel fatidico tavolo a Johannesburg. Ok.

All’inizio, l’India voleva che venissero aggiunti solo altri tre membri. Si trattava più o meno di Argentina, Iran e Algeria. I cinesi volevano 10 nuovi membri. E indovinate chi era l’intermediario a quel tavolo che cercava di fare, ancora una volta, da messaggero tra Cina e India? I russi.

Così, alla fine, hanno raggiunto questo compromesso, direi molto efficace, di sei membri. Il Sudafrica, fin dall’inizio, ha spinto per l’Egitto. Anche i russi spingevano per l’Egitto, perché il Cairo aveva fatto pressioni su Mosca: vogliamo entrare, e avevano già un accordo.

I cinesi, direi, hanno puntato il massimo fin dall’inizio. Volevano i migliori produttori di energia, petrolio e gas. Quindi erano Iran, Arabia Saudita ed Emirati, e tutti gli altri erano d’accordo fin dall’inizio.

Per quanto riguarda l’Iran, è stato molto, molto facile perché l’Iran ha già una relazione strategica con la Russia e la Cina.

Gli Emirati e l’Arabia Saudita, ovviamente, perché Mohammad bin Salman non solo ha un rapporto estremamente stretto con Putin, ma entrambi gestiscono l’OPEC Plus. Quindi, dal punto di vista russo e cinese, si trattava di incorporare l’OPEC Plus nei BRICS.

E gli Emirati, ovviamente, per lo stesso motivo: massimi produttori. E poi il Brasile, ovviamente, ha fatto pressioni per l’Argentina fin dall’inizio. Direi che questo è lo sforzo di Lula per cercare di salvare l’Argentina da se stessa, aiutando essenzialmente il suo ottimo amico Fernandez.

E, allo stesso tempo, per mandare un messaggio all’Argentina: “Per favore, non votate come presidente quel pazzo anarchico che vuole dollarizzare l’economia e trasformare l’Argentina, come Michael sa molto bene, in un contenitore perpetuo del FMI e degli Emirati”.

Quindi non sappiamo se funzionerà, ma i dibattiti in Argentina stanno già esplodendo. La minuscola oligarchia con sede a Buenos Aires che gestisce il Paese, in sostanza, è una questione di 50 famiglie, non di più.

Stanno dando di matto, come è prevedibile, proprio come l’oligarchia brasiliana sta dando di matto perché Lula ha avuto un ruolo di primo piano nei BRICS. Anche se è un po’ stanco e presto sarà operato. Sembrava stanco. Stava leggendo degli appunti.

Non era il Lula con cui siamo abituati a trattare. Lula, come improvvisatore, è quasi impavido. Stava leggendo degli appunti e sembrava stanco. Comunque, è stato molto, molto efficace. Ha parlato ancora una volta di una moneta BRICS.

Ma come ha detto Michael, nessuno è entrato nei dettagli, innanzitutto perché è troppo presto e non ci sono le persone, i meccanismi, il lavoro di squadra per iniziare ad analizzarla davvero.

Il modo in cui, ad esempio, ha fatto l’Unione Economica Eurasiatica e Glazyev e Mityayev qui a Mosca, che ho intenzione di incontrare nei prossimi giorni. Ci stanno lavorando da oltre tre anni.

E poi si è cercato di convincere Modi a introdurre tre nazioni musulmane e arabe nei BRICS. Ancora una volta, chi ha fatto il lavoro duro? I russi. E c’è stata una sorta di quid pro quo tra Mosca e Nuova Delhi.

Lavrov sapeva che qualsiasi accenno nella dichiarazione finale alla ricerca di una nuova moneta BRICS, una moneta alternativa, avrebbe messo a disagio gli indiani, che sono terrorizzati dalle sanzioni americane e dalle sanzioni secondarie americane.

E Modi, come tutti sappiamo, sta continuamente diversificando i rischi tra l’impero e l’integrazione eurasiatica e, in questo caso, l’integrazione dei BRICS. Quindi, in sostanza, c’è stato un compromesso. Ok, non ne parleremo. Ne parleremo più avanti. E ovviamente Modi ha dovuto accettare le tre nazioni musulmane.

E c’è stata una domanda sull’Africa, che aveva solo due candidati. Era l’ultimo round di discussioni. Quindi hanno detto: “Ok, chi sarà il prossimo candidato?”.

Tutti parlavano dell’Algeria, ma l’Algeria è praticamente un affare fatto. Ha ottime relazioni sia con la Russia che con la Cina e presto entrerà a far parte dei BRICS, probabilmente nel secondo gruppo l’anno prossimo.

I sudamericani hanno detto: “Questa è solo la prima fase di espansione. Ce ne saranno altre. Quindi la prossima, al 16° vertice dei BRICS che si terrà a Kazan in Russia, nel 2024. È molto, molto importante. Confermato ufficialmente da Vladimir Putin. E, naturalmente, molto, molto importante. Lo chiamo un tocco di giustizia poetica.

Gli 11 BRICS, come li chiamo da ieri, iniziano il 1° gennaio 2024, che è il primo giorno della presidenza russa dei BRICS. Quindi è una cosa bellissima.

Si tratta di qualcosa, ovviamente, da corpi diplomatici molto sofisticati, come i russi o i cinesi, che hanno pensato e inviato messaggi che sanno che il Sud globale nel suo complesso capirà immediatamente, raccoglierà immediatamente.

Così alla fine hanno detto: “Ok, prendiamo una nazione africana molto strategica di cui nessuno parla”. L’Etiopia. Perfetto. È vicina all’Asia occidentale. È nel nord-est dell’Africa. È vicina al nuovo membro Egitto. Fa parte di una situazione molto strategica del Corno d’Africa che coinvolge il Mar Rosso, non lontano dal Canale di Suez. Si può dire di tutto.

E molto ricca di minerali e metalli, per non parlare delle riserve inesplorate di petrolio e gas, rame, oro, platino, tantalio, eccetera. Perfetto. Perfetto. Assolutamente perfetto. Così, alla fine, sono arrivati all’11° BRICS.

Quindi, lo definisco una mossa brillante, un colpo da maestro per diverse ragioni. Ma credo che la ragione più importante, e vorrei sentire che ne pensa Michael, sia l’aspetto energetico.

Ora controllano almeno il 47, 48% della produzione mondiale di petrolio. Nella prossima fase, che avverrà l’anno prossimo, se riusciranno a conquistare, per esempio, l’Algeria, il Venezuela e il Kazakistan, che cosa salterà fuori? Forse si arriverà al 70% della produzione globale di petrolio o forse addirittura all’80%. Si tratta quindi di un’enormità.

Perché ora, oltre a tutto questo, controllano – e questo è un elenco a mente, forse dimentico qualcosa – la Via del Mare del Nord, la Via dell’Artico, tutti i corridoi terrestri della Belt and Road Initiative, le Nuove Vie della Seta, i corridoi terrestri che attraversano lo Xinjiang attraverso il cuore della regione fino all’Asia occidentale, e poi ancora fino all’Europa.

La Via della Seta marittima, perché ora sono molto, molto importanti nel Mar Arabico, nel Golfo di Oman, nel Golfo Persico, nel Mar Rosso e nel Canale di Svizzera. Tutto questo con un solo colpo di scacchiera. Lo considero quindi un colpo da maestro.

E non c’è da stupirsi che nessuno in Occidente, almeno nelle ultime 24 ore, abbia parlato del fatto che i BRICS siano ora un attore importante nei mercati globali, nei mercati delle materie prime, per ovvie ragioni, Russia, Brasile, Argentina, eccetera, ma anche nei mercati energetici.

E questo è stato il risultato, direi, della seconda fase di questo avvicinamento tra Iran e Arabia Saudita, iniziato dai russi. Prima hanno parlato con gli iraniani, poi con i sauditi.

Nella fase successiva, hanno messo iraniani e sauditi allo stesso tavolo, e poi la palla è andata dall’altra parte dei cinesi, e i russi hanno detto ai cinesi: ok, ora è il momento del gol. E ovviamente i cinesi hanno fatto un tiro alla Messi e a Pechino hanno segnato.

C’è stato l’accordo di riavvicinamento tra Teheran e Riyadh, che hanno riallacciato relazioni diplomatiche e persino relazioni di investimento. Ora hanno visite di alto livello fianco a fianco, ecc.

Quindi la riconciliazione tra sciiti e wahhabiti è stato un lavoro di partenariato strategico Russia-Cina, assolutamente eccezionale. E ora abbiamo la seconda fase, che li vede tutti allo stesso tavolo, nei BRICS 11. E forse presto potremo averli tutti insieme. e anche averli tutti allo stesso tavolo nell’Organizzazione della Cooperazione di Shanghai.

E questo è qualcosa che il nostro amico Lukashenko, il vecchio Luka, aveva già messo a verbale: “Guardate, stiamo per avere i BRICS da una parte, la Cooperazione di Shanghai dall’altra. Sono fondamentalmente gli stessi grandi attori. Perché non metterli tutti insieme sullo stesso tavolo?

È qualcosa che accadrà, e forse potrebbe accadere già l’anno prossimo, perché il vertice si terrà qui in Russia. E l’agenda russa è estremamente ambiziosa in termini di integrazione di tutto sotto il motto ufficiale russo, che è una maggiore partnership con l’Eurasia.

Questo vale per tutti i partner eurasiatici, Iran, Arabia Saudita, Emirati, Bielorussia, ecc. ma anche per l’integrazione dell’Eurasia con l’Africa.

E Xi Jinping, in termini di integrazione in Africa, non solo ha esercitato forti pressioni per ottenere tre membri africani al BRICS 11, ma si è tenuto un incontro speciale tra Xi e la delegazione cinese e i capi di Stato di diversi Paesi africani invitati da Ramaphosa e altri leader del mondo in via di sviluppo, il gruppo G77, di cui nessuno parla in Occidente.

Sono sicuro che Michael lo sa molto bene. Il G77 è essenzialmente il nuovo movimento dei non allineati. E non si tratta solo di 77 nazioni, ma di 134 nazioni in via di sviluppo. E la maggior parte proviene da dove? Dall’Africa. E il presidente è un cubano, Diaz-Canel.

Riuscite a immaginare questo spettacolo assolutamente eccezionale? In una stanza a Johannesburg, c’è un cubano, leader del nuovo movimento dei non allineati, con tutti questi leader del mondo in via di sviluppo, la maggior parte dei quali africani, che si incontrano esclusivamente con Xi Jinping per discutere di sviluppo sostenibile. Tutto ciò che riguarda lo sviluppo sostenibile.

Si tratta quindi di qualcosa che ovviamente non leggerete sul New York Times o sul Washington Post. Si è trattato quindi di una delle cose più importanti che si sono svolte a margine dell’incontro.

Quindi, se mettiamo insieme tutto questo, si delinea un’integrazione sempre più stretta tra Eurasia, Africa e America Latina sotto i contorni del BRICS 11, che l’anno prossimo potrebbe diventare BRICS 20. E tra qualche anno, BRICS 30 o BRICS 40.

Quindi il G20, così come lo conosciamo, è in difficoltà. Perché il G7 all’interno del G20 è già in coma. Un coma pesante, pesante. Presto anche il G20 sarà in coma. E i nuovi G7 e G20 saranno i BRICS 11, 15, 20, ecc.

Naturalmente, sto cercando di dipingere uno scenario di speranza in tutto questo. Le sfide sono enormi. E questo è insito in una domanda che vorrei porre direttamente a Michael sulla Nuova Banca di Sviluppo, la NDB. Penso che Michael possa spiegare a tutti noi i problemi che la NDB deve affrontare.

La prima reazione l’ho avuta già da Sergey Glazyev del Ministero Macroeconomia dell’Unione Economica Eurasiatica, che è subordinato alla Commissione Economica Eurasiatica, subordinata all’Unione Economica Eurasiatica.

Glazyev ha detto una cosa estremamente importante. Perché la NDB è più o meno paralizzata e non è molto avventurosa nel concedere prestiti aggirando il dollaro americano?

Perché gli statuti della banca sono stati scritti in modo totalmente dipendente dal dollaro americano. Glazier ha detto: “All’epoca avevo avvertito le autorità russe e le altre nazioni, i BRICS-5, che non potevate farlo. Tutto deve essere organizzato in termini di valute nazionali.

Non mi hanno ascoltato. E ora sono in difficoltà perché temono assolutamente di concedere prestiti e di essere colpiti dalle sanzioni americane. E che i destinatari di questi prestiti siano colpiti da sanzioni secondarie americane. Quindi Michael può davvero spiegare a tutti noi.

Certo, questo è vero. Ma cosa potrebbero fare per uscire da questo pasticcio? E questo spiega un’altra cosa, perché non sono entrati nel dettaglio di altri prestiti, sistemi di pagamento, a parte le banalità che già conosciamo.

Naturalmente, aumenteranno i regolamenti commerciali nelle loro valute nazionali. Questo lo sapete già. Quindi cercheranno di aumentare.

Ma in termini di ricezione di prestiti di cui hanno davvero bisogno, e alcune di queste nazioni avrebbero davvero bisogno dell’aiuto della NDB. Penso soprattutto all’Argentina.

Come potrebbe funzionare considerando l’attuale situazione statutaria della banca? La parola a te, Michael, per favore.

Michael Hudson: Beh, credo che tu abbia messo il dito su quello che è il vero incubo dell’Occidente. E cioè che alla fine, ovviamente, i BRICS-11 si fonderanno con l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai semplicemente perché sono minacciati dagli Stati Uniti.

Non hai citato tre membri di tre nazioni che non erano presenti alla riunione dei BRICS e che sono i più forti sostenitori di questa fusione. Si tratta del Presidente Biden, di Blinken e di Nuland.

Stanno come facendo sì che questi Paesi si avvicinino, quasi contribuendo a catalizzare il loro avvicinamento in questa unione naturale, perché o si sta insieme o si sta separati, come amano dire gli stessi americani.

Tu hai anche sottolineato, molto correttamente, che la chiave di tutto questo è proprio il petrolio e l’energia. È questo che la stampa occidentale non può discutere perché il punto centrale di tutta la politica estera statunitense dal 1945 è l’industria petrolifera internazionale.

Gli americani, per esempio, hanno fatto, già negli anni ’30, dei grafici per dimostrare che l’aumento del PIL di ogni Paese è coordinato con l’impiego di energia per lavoratore nella produttività.

Il modo per aumentare la produttività è il petrolio, il gas, il carbone e l’energia. E se si riesce a controllare l’energia da parte delle Sette Sorelle, le grandi compagnie petrolifere Standard Oil, Shell Oil e le altre, allora si possono semplicemente spegnere le luci e i trasporti degli altri Paesi.

E se si riesce a controllare il petrolio e il commercio alimentare, evitando che gli altri Paesi producano i propri cereali, ma facendo solo colture alimentari per l’esportazione, e se si riesce a contrastare la riforma agraria con la forza e la rivoluzione e le oligarchie clientelari per impedire un’agricoltura fondamentalmente familiare, che produca il proprio cibo, allora si ha la capacità di imporre sanzioni agli altri Paesi.

E questo è davvero l’unico modo in cui l’Occidente può cercare di resistere agli 11 BRICS. A questo punto non hanno nulla da offrire se non astenersi dal combattere questi Paesi e dall’entrare in guerra con loro. Quindi la SCO è ciò che proteggerà questi Paesi dalle ritorsioni.

E se riusciranno a diventare autosufficienti dal punto di vista energetico e alimentare, allora avrete tolto all’America la possibilità di imporre sanzioni ad altri Paesi per dire: vi faremo morire di fame e fermeremo la vostra economia se non farete quello che vogliamo.

In realtà, sono gli 11 BRICS, soprattutto Russia e Cina, ad avere la capacità di dire: “Possiamo imporre sanzioni a voi, possiamo interrompere i contatti”. Possiamo interrompere i contatti. Volete separarvi da noi? Non vi piace quello che stiamo facendo? Possiamo semplicemente interrompere i contatti con voi. Non siete obbligati a comprare le nostre terre rare, il nostro gallio o il nostro nichel. Voi andate per la vostra strada, noi per la nostra.

Ora, il problema è come tu hai sottolineato, il tuo primo punto è l’Argentina. E credo che questo sia un problema. Da un lato, ovviamente, Lula voleva che l’Argentina entrasse.

Ma Argentina e Brasile hanno lo stesso problema. Il loro debito in dollari non è come quello dei Paesi africani o asiatici. Il loro debito in dollari è dovuto, come hai detto, alle 50 famiglie che controllano l’Argentina. Il debito in dollari è dovuto alla loro oligarchia.

Quindi la domanda è: quando si parla di quali sono gli interessi dell’Argentina, la risposta è: “Di quale Argentina stiamo parlando?

Dello 0,01% argentino che ha controllato la politica argentina? O dell’economia nel suo complesso?

Spero che uno degli effetti di questi incontri dei BRICS sia che le elezioni politiche che si terranno a breve, al ballottaggio in Argentina, siano davvero per il popolo.

Volete unirvi ai BRICS o volete davvero dollarizzare l’economia, ovvero spostare tutta la pianificazione centrale dal governo, da ciò che eleggete, alle 50 famiglie?

Ebbene, Lula ha un problema molto simile a questo, perché nel 1990, quando il Brasile, come l’Argentina, pagava il 45% di interessi sul suo debito estero, le uniche persone che compravano questo debito estero erano le principali famiglie brasiliane.

E queste sono le famiglie che hanno rimosso Lula dal potere e hanno messo il corrotto presidente neoliberale statunitense. E Lula deve fare i conti con la realtà che il Brasile ha un dominio simile da parte delle principali famiglie bancarie.

Come faranno i BRICS a gestire queste tensioni interne? C’è davvero bisogno di una rivoluzione o no? Questa è la domanda.

Gli Stati Uniti faranno tutto il possibile per cercare di scatenarla, per interferire con le elezioni come hanno fatto con Bolsonaro in Brasile, come hanno fatto con le elezioni argentine dopo l’era di Pinochet (nel testo ma penso che sia un suo errore, N.d.T.). È proprio questo il punto cruciale.

Tu hai parlato della moneta dei BRICS, e credo sia importante sottolineare che sarebbe molto prematuro pensare a una vera e propria moneta, nel senso di ciò che la gente usa per comprare e vendere beni.

Il presidente Putin è stato molto chiaro nel suo discorso. Ha detto di aver parlato di una moneta unica per il regolamento [delle transazioni commerciali/economiche]. È meglio che lo citi perché è molto importante per la nostra discussione.

(Citazione) Credo che una moneta unica di regolamento meriti sicuramente la nostra attenzione. Si tratta di una questione complessa ma dobbiamo muoverci per risolverla in un modo o nell’altro. La seconda questione riguarda la realizzazione di transazioni economiche tra i nostri Paesi. (http://en.kremlin.ru/events/president/news/72095)

Ciò significa che ci saranno eccedenze e deficit tra i Paesi BRICS. Come faranno a gestire il fatto che i principali paesi in surplus, i principali paesi che forniscono infrastrutture, sviluppo portuale, petrolio, energia e cibo saranno la Cina e la Russia?

Deve esserci qualcosa di più di un semplice scambio di valute, che è una questione marginale. Deve esserci qualcosa, e ne abbiamo già discusso in passato, come quello che il FMI chiamava oro di carta con i DSP, che significava semplicemente che i Paesi stranieri finanziavano le spese militari americane all’estero.

Ma più che altro, come descritto da Keynes nel 1944, una banca dei BRICS che emetta un proprio tipo di oro cartaceo da utilizzare solo tra i Paesi stessi per regolare i propri squilibri. Quindi, sì, per il momento Cina e Russia li aiuteranno a svilupparsi.

Ma la differenza tra quello che stanno facendo loro e quello che stanno facendo il FMI e le nazioni USA-NATO è che i loro investimenti aiuteranno effettivamente i Paesi a crescere e ad essere indipendenti, invece di essere dipendenti.

L’obiettivo della finanza internazionale per i BRICS è diametralmente opposto alla dipendenza che è l’obiettivo della finanza internazionale, in stile statunitense e neoliberista.

Quindi, a un certo punto, supponendo che la Cina, la Russia, l’Algeria e tutti gli altri Paesi che stanno contribuendo a fornire risorse ai Paesi membri dei BRICS, questi Paesi saranno in grado di sviluppare una produzione propria sufficiente a sviluppare un gruppo di mutuo soccorso tra questi Paesi.

E credo che, nello specifico, il Presidente Putin abbia menzionato il caffè. Si riferiva in particolare al caffè africano, ma anche a quello brasiliano: gli esportatori di caffè ottengono solo una parte del prezzo finale di vendita del caffè, perché non si occupano della raffinazione e della commercializzazione.

Il piano dei BRICS prevede un’integrazione verticale.

Per i paesi che vengono liquidati semplicemente come produttori di materie prime e messi l’uno contro l’altro per avere una produzione di materie prime a basso valore aggiunto, cioè a bassa rendita aggiunta, significa lasciare tutta la rendita economica, tutta la rendita di monopolio agli Stati Uniti, all’Olanda, all’Inghilterra, i Paesi che si occupano della raffinazione e della commercializzazione vera e propria.

[Contrastare tutto] questo sarà l’obiettivo dei Paesi BRICS. E nella misura in cui i Paesi che prima vendevano le materie prime solo al costo di produzione, ora possono dire: “Bene, c’è stata un’enorme rendita economica per le compagnie petrolifere.

Le compagnie petrolifere possono spendere 20 centesimi per produrre un barile di petrolio e venderlo a 20 o 80 dollari. Ebbene, ora lo otterremo anche noi. Ed è così che finanzieremo il nostro sviluppo. Siamo terribilmente dispiaciuti. Non possiamo più permetterci di finanziare il vostro sviluppo perché non siete stati amichevoli con noi.

Stiamo usando il nostro sviluppo per finanziare la nostra indipendenza economica con un sistema economico diverso. Il sistema economico che avevate promesso sarebbe stato proprio come il vostro, sviluppando le nostre economie. Questo è il sistema che avete cercato di impedirci di realizzare.

Avremo bisogno dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai solo per proteggerci. E avremo bisogno del commercio, dell’energia e del cibo per assicurarci che non possiate spegnere le nostre luci. Non potete farci morire di fame. Non potete farci nulla. E fareste meglio a essere gentili con noi, perché c’è qualcosa che possiamo fare a voi…

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