giovedì 21 settembre 2023

Stoltenberg: “Putin ha invaso l’Ucraina per l’espansionismo NATO”

articoli e video di Vincenzo Costa, Roger Keeran, Clara Statello, Alberto Bradanini, Pietro Pinter, Alessandro Orsini, Massimo Nava, Alessandro Bianchi, Alessio Di Florio, Sergej Lavrov, Gustavo Petro, Demostenes Floros



LA RUSSIA DEVE MORIRE – Massimo Nava

Un’analisi premonitrice di “Foreign Affairs” nel 2014. “Putin è sicuramente consapevole che cercare di sottomettere l’Ucraina sarebbe come ingoiare un porcospino”.

La condanna della guerra di Putin, con strascico di crimini e infinite sofferenze inflitte alla popolazione civile non ha attenuanti sul piano morale e in relazione al diritto internazionale che non prevede il permesso d’invasione di uno Stato sovrano. Ma per il giudizio della storia conta anche la genesi geopolitica del conflitto. E in questo ambito vale la pena di ripercorrere alcune tappe con l’aiuto di una fonte non sospettabile di simpatie per il Cremlino: la prestigiosa rivista Foreign Affairs.
Siamo nel 2014, quando la questione dell’Ucraina comincia a fare venire i sudori freddi alle cancellerie. Si tratta di un’analisi che contribuisce a far comprendere che, come in ogni guerra, c’è un presente (in cui la gerarchia delle colpe è del tutto evidente) e c’è un passato (in cui anche la gerarchia delle responsabilità deve essere considerata). Quanto al futuro, esso sembra spento come il sole a mezzanotte.
Foreign Affairs, nel 2014, ricostruì così la genesi della crisi ucraina. «Il presidente Putin, si sostiene, ha annesso la Crimea per resuscitare l’impero sovietico, e potrebbe prendersela con il resto dell’Ucraina. Ma questa visione è sbagliata: Stati Uniti e alleati europei condividono la maggior parte della responsabilità della crisi. La radice del problema è l’allargamento della Nato, elemento centrale di una strategia volta a far uscire l’Ucraina dall’orbita della Russia e a integrarla nell’Occidente. Allo stesso tempo, anche l’espansione della UE verso est e il sostegno dell’Occidente al movimento pro-democrazia in Ucraina, a partire dalla Rivoluzione Orange nel 2004, sono stati elementi critici. Dalla metà degli anni Novanta, i leader russi si sono opposti all’allargamento della Nato e hanno chiarito che non sarebbero rimasti a guardare mentre il loro vicino strategicamente importante si trasformava in un bastione occidentale. Per Putin, il rovesciamento illegale del presidente ucraino democraticamente eletto e filo-russo è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ha risposto prendendo la Crimea, una penisola che temeva potesse ospitare una base navale della Nato, e ha cercato di destabilizzare l’Ucraina fino a quando non avesse abbandonato i suoi sforzi per unirsi all’Occidente. La reazione di Putin non avrebbe dovuto sorprendere. Dopo tutto, l’Occidente si era spinto nel cortile di casa della Russia e aveva minacciato il suo nucleo centrale».
«La crisi in Ucraina dimostra che la realpolitik rimane rilevante e che gli Stati che la ignorano lo fanno a loro rischio e pericolo. I leader statunitensi ed europei hanno commesso un errore nel tentativo di trasformare l’Ucraina in una roccaforte occidentale al confine con la Russia. Ora che le conseguenze sono state messe a nudo, sarebbe un errore ancora più grave continuare questa politica sbagliata».
«Il primo ciclo di allargamento della Nato ha avuto luogo nel 1999 e ha coinvolto la Repubblica Ceca, l’Ungheria e la Polonia. Il secondo è avvenuto nel 2004 e ha incluso Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia. Ma i russi erano troppo deboli, all’epoca, per frenare il movimento verso est della Nato che, in ogni caso, non appariva così minaccioso, dal momento che nessuno dei nuovi membri confinava con la Russia, a parte i minuscoli Paesi baltici. Poi la Nato ha iniziato a guardare più a est. Al vertice dell’aprile 2008 a Bucarest, l’alleanza ha preso in considerazione l’ammissione della Georgia e dell’Ucraina. Putin ha sostenuto che l’ammissione di questi due Paesi alla Nato rappresenterebbe una “minaccia diretta” per la Russia. Un giornale russo ha riportato che Putin, parlando con Bush, “ha lasciato intendere in modo molto trasparente che se l’Ucraina fosse stata accettata nella NATO, avrebbe cessato di esistere”».
«L’invasione della Georgia da parte della Russia nell’agosto 2008 avrebbe dovuto fugare ogni dubbio sulla determinazione di Putin a impedire l’ingresso della Georgia e dell’Ucraina nella Nato. Il presidente georgiano Mikheil Saakashvili, profondamente impegnato a far entrare il suo Paese nella Nato, aveva deciso nell’estate del 2008 di reincorporare due regioni separate, l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud. Ma Putin ha cercato di mantenere la Georgia debole e divisa, e fuori dalla Nato. Dopo lo scoppio dei combattimenti tra il governo georgiano e i separatisti dell’Ossezia del Sud, le forze russe hanno preso il controllo dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud. Mosca aveva chiarito il suo punto di vista. Tuttavia, nonostante questo chiaro avvertimento, la Nato non ha mai abbandonato l’obiettivo di portare la Georgia e l’Ucraina nell’alleanza. E l’espansione della Nato ha continuato a marciare in avanti, con l’adesione di Albania e Croazia nel 2009».
«L’ultimo strumento a disposizione dell’Occidente per allontanare Kiev da Mosca è stato l’impegno a diffondere i valori occidentali e a promuovere la democrazia in Ucraina e in altri Stati post-sovietici, un piano che spesso implica il finanziamento di individui e organizzazioni pro-occidentali. Victoria Nuland, assistente del Segretario di Stato americano per gli affari europei ed eurasiatici, ha stimato nel dicembre 2013 che gli Stati Uniti hanno investito più di 5 miliardi di dollari dal 1991 per aiutare l’Ucraina a raggiungere “il futuro che merita”. Quando i leader russi guardano all’ingegneria sociale occidentale in Ucraina, temono che il loro Paese possa essere il prossimo. Il triplice pacchetto di politiche dell’Occidente – l’allargamento della Nato, l’espansione dell’UE e la promozione della democrazia – ha alimentato un incendio».
«Putin ha poi esercitato una forte pressione sul nuovo governo di Kiev per scoraggiarlo a schierarsi con l’Occidente contro Mosca, chiarendo che avrebbe distrutto l’Ucraina come Stato funzionante prima di permettere che diventasse una roccaforte occidentale alle porte della Russia. A tal fine, ha fornito consiglieri, armi e supporto diplomatico ai separatisti russi nell’Ucraina orientale. Le azioni di Putin dovrebbero essere facili da comprendere. Un’enorme distesa di terra piatta che la Francia napoleonica, la Germania imperiale e la Germania nazista hanno attraversato per colpire la Russia stessa: l’Ucraina è uno Stato cuscinetto di enorme importanza strategica per la Russia. Washington può non gradire la posizione di Mosca, ma dovrebbe comprenderne la logica. Immaginate l’indignazione di Washington se la Cina costruisse un’alleanza militare di grande impatto e cercasse di includere Canada e Messico. Il diplomatico statunitense George Kennan ha articolato questa prospettiva in un’intervista del 1998, poco dopo che il Senato americano aveva approvato il primo ciclo di espansione della Nato. “Penso che i russi reagiranno gradualmente in modo piuttosto negativo e questo influenzerà le loro politiche”, ha detto. “Penso che sia un tragico errore. Non c’era alcun motivo per farlo. Nessuno stava minacciando nessun altro».
L’analisi di Foreign Affairs è premonitrice anche a proposito di un’eventuale invasione dell’Ucraina. «Circa 15 milioni di persone – un terzo della popolazione ucraina – vivono tra il fiume Dnieper, che divide in due il Paese, e il confine russo. La stragrande maggioranza vuole rimanere in Ucraina e si opporrebbe a un’occupazione russa. Inoltre, il mediocre esercito russo avrebbe poche possibilità di pacificare tutta l’Ucraina. Anche se la Russia vantasse una potente macchina militare e un’economia impressionante, non sarebbe in grado di occupare con successo l’Ucraina. Basta pensare alle esperienze sovietiche e statunitensi in Afghanistan, a quelle americane in Vietnam e in Iraq e a quella russa in Cecenia per ricordarsi che le occupazioni militari di solito finiscono male. Putin è sicuramente consapevole che cercare di sottomettere l’Ucraina sarebbe come ingoiare un porcospino».
E così avverrà, otto anni dopo. Tuttavia, una soluzione alla crisi ucraina esisteva, secondo Foreign Affairs. «Gli Stati Uniti e i loro alleati dovrebbero abbandonare il loro piano di occidentalizzazione dell’Ucraina e puntare invece a farne un cuscinetto neutrale tra la Nato e la Russia, simile alla posizione dell’Austria durante la Guerra Fredda. I leader occidentali dovrebbero riconoscere che l’Ucraina è talmente importante per Putin da non poter sostenere un regime anti-russo in quel Paese. Ciò non significa che un futuro governo ucraino debba essere filorusso o anti-Nato. Al contrario, l’obiettivo dovrebbe essere un’Ucraina sovrana che non rientri né nella sfera della Russia né in quella dell’Occidente».
«Si sente anche affermare che l’Ucraina ha il diritto di determinare con chi vuole allearsi e che i russi non hanno il diritto di impedire a Kiev di unirsi all’Occidente. Ma diritti astratti come l’autodeterminazione sono in gran parte privi di significato quando gli Stati potenti si azzuffano con quelli più deboli. È nell’interesse dell’Ucraina comprendere questi fatti della vita e agire con cautela nei rapporti con il suo vicino più potente».

da qui

 

 

L’offensiva ucraina è fallita, ma guai a chi lo dice (in Italia) – Alessandro Orsini

 

Nessuno in Italia scriverebbe mai che la controffensiva ucraina è stata un fallimento, nonostante la stampa americana lo dica da mesi. Una frase così chiara certificherebbe il fallimento di un’intera classe […]

Nessuno in Italia scriverebbe mai che la controffensiva ucraina è stata un fallimento, nonostante la stampa americana lo dica da mesi. Una frase così chiara certificherebbe il fallimento di un’intera classe politica e mediatica. Pensate a tutti quei direttori di reti televisive, speaker radiofonici, leader di partito, direttori di istituti di ricerca sulla politica internazionale, schierati contro la diplomazia all’inizio della guerra per la sconfitta della Russia. Potreste mai immaginare che la classe mediatica riconosca di essere moralmente e politicamente corresponsabile della tragica situazione in cui l’Ucraina si contorce con Mario Draghi che viene riproposto come una pietanza che si ripropone al Quirinale verso il giorno più stomachevole della Repubblica Italiana? I signori dei media ricorrono a due strategie per non dire che la controffensiva è un fallimento: la strategia della “lente d’ingrandimento” e quella del “domani è un altro giorno”. La strategia della “lente di ingrandimento” ingigantisce conquiste ucraine talmente limitate che, cartograficamente parlando, non sono nemmeno visibili sulla mappa. È il caso di Andriivka, a sud di Bakhmut, che equivale grosso modo alla conquista di Villa Lazzaroni a Roma sulla Tuscolana. Con la differenza che Villa Lazzaroni ospita qualche piccolo ripostiglio per gli utensili, mentre Andriivka non ha nemmeno quelli essendo stata rasa al suolo al costo di decine di migliaia di ucraini uccisi e una quantità impressionante di mezzi Nato distrutti. Conquistare Villa Lazzaroni in una settimana è un fallimento reale; conquistarla dopo oltre tre mesi di devastazioni e sofferenze umane indicibili è un fallimento fantasy. La ragione per cui i media ingigantiscono la conquista di Andriivka si spiega con l’intreccio nefasto tra potere politico, giornalismo mainstream e dipartimenti di scienza politica all’italiana. Crosetto sarà presto chiamato a inviare nuove armi per la distruzione definitiva dell’Ucraina e, quindi, i soliti (s)giornalisti e i soliti (s)direttori di dipartimento dovranno spiegare che la strategia di Biden funziona. Conquistare Villa Lazzaroni in tre mesi di super-massacri e centinaia di bambini ucraini sotto terra dimostra che Ursula von der Leyen ha capito tutto della guerra in Ucraina. Se poi il teatro dell’assurdo vacilla, ecco intervenire la strategia del “domani è un altro giorno”. Agli italiani bisogna sempre spiegare che la vittoria arriverà domani perché la Nato aveva dimenticato di inviare l’arma magica. Gli ucraini vinceranno grazie agli Himars. Anzi no, grazie ai Samp/T di Crosetto. Anzi no, grazie agli Abrams. Anzi no, grazie alle bombe a grappolo. Anzi no, grazie ai 40 caccia di quarta generazione in primavera però la Russia ne ha 1000 subito. La strategia del “domani è un altro giorno” consente di rimandare all’infinito il giorno in cui le televisioni dovranno dichiarare che l’Unione europea è guidata da una classe politica fallita sorretta da una classe mediatica e accademica iper-corrotta. Mi raccomando: si tenga nascosto agli italiani che la Russia ha ammassato circa 100.000 soldati, 900 carri armati e 555 sistemi di artiglieria per lo sfondamento dell’oblast di Kharkiv. Con il dissanguamento per Villa Lazzaroni, vorrò vedere come Kiev respingerà un assalto frontale di quel tipo. Ecco il paradosso: quando una classe politico-mediatica è perfettamente fallita, si rappresenta come perfettamente vittoriosa. Crosetto aiuta il Corriere della Sera e il Corriere della Sera aiuta Crosetto. In tal modo, un po’ con lo scotch, un po’ con collanti odorosi meno nobili, gli zombie si compattano.

da qui

 

 

DOCUMENTI TRAPELATI – Una soluzione pacifica per il Donbass esisteva già nel 2014, ma Kiev scelse la guerra – Clara Statello

Durante una perquisizione dell’SBU a casa del deputo di Piattaforma dell’Opposizione, Nestor Shufrich, è stata trovata una bozza in 12 punti per l’autonomia al Donbass. Il progetto prevedeva la creazione di territori autonomi all’interno dell’Ucraina, per le regioni di Donetsk e Lugansk con ampi poteri di autogoverno. Il documento di quattro pagine era datato luglio 2014, firmato dallo stesso Shufrich e da Victor Medvedchuk, arrestato nel marzo 2022 e rilasciato alcuni mesi dono in uno scambio di prigionieri con Mosca.

Il ritrovamento è avvenuto venerdì 15 settembre. Lo stesso giorno Shufrich è stato arrestato (https://t.me/stranaua/122806) e portato in udienza a porte chiuse. Ai giudici ha Nestor Shufrich non ha smentito il progetto di accordo, anzi ha affermato che il documento “era stato concordato dall’OSCE”, ma era diventato irrilevante dopo la decisione di Poroshenko di andare in guerra. E’ stato accusato di tradimento, il tribunale di Pechersky ha disposto nei suoi confronti la misura cautelativa del carcere per 60 giorni (https://t.me/stranaua/122828), senza cauzione.

La rivista ucraina Strana sottolinea che alcune di queste disposizioni hanno poi costituito la base del primo e del secondo accordo di Minsk, firmato Petro Poroshenko. Gli accordi prevedevano la concessione di ampia autonomia alle aree di Donetsk e Lugansk. Tuttavia, successivamente, il processo di attuazione degli accordi di Minsk nella legislazione ucraina è stato interrotto. Non solo gli accordi non sono mai stati attuati ma chi ha promosso una soluzione pacifica viene perseguitato dalla giustizia ucraina. Perché Kiev ha scelto la guerra senza se e senza ma?

Shufrich verrà rimosso entro questa settimana dalla carica di capo della commissione parlamentare per la libertà di parola, ha detto oggi la Verkhovna Rada.

da qui

 

 

La trilogia distopica: estremisti e razionali dei nostri tempi – Alberto Bradanini

La trilogia distopica di G. Orwell (1984: la pace è guerra, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza) è divenuta realtà, sebbene con qualche decennio in ritardo rispetto alle previsioni del grande scrittore britannico.

L’impalcatura plutocratica che domina il pianeta accredita la menzogna strutturale del nostro tempo, secondo la quale il cosiddetto Regno del Bene (l’Occidente) combatte quotidianamente per difendere la libertà e democrazia, e non si occupa affatto degli interessi di chi siede in cima alla piramide.

In Italia, il Partito Unico finge di operare come se il Paese fosse davvero sovrano (se invece fosse vero il contrario, gli esponenti del Partito Unico avrebbero gravi deficit cognitivi, e non osiamo crederlo), mentre si occupa sovranamente solo di temi che l’impero egemone reputa di poter lasciare alla sua cura. Gli esponenti di tale Partito (governo e opposizione ne fanno parte a pari merito) mostrano volti arcigni e pensierosi, curvi sotto il peso delle responsabilità di chi deve soddisfare i bisogni del popolo, come se fossero costoro a prendere le decisioni.

Il duplice livello di subordinazione (politico-militare alla Nato-Usa ed economico-monetario all’Ue-Germania-oligarchie nordeuropee) ha da tempo sottratto all’Italia gli strumenti essenziali della sua sovranità.

L’Italia è un protettorato americano (come l’Europa tutta, invero), un paese gregario e ricattato/saccheggiato (in complicità con il nostro ceto dirigente, economico, politico, mediatico e accademico). Non è un segreto che l’Europa non sia più, da decenni, protagonista della scena internazionale.

Davanti a una scena di tale distopia, fabbricata e controllata dall’alto, solo gli individui che chiameremo estremisti fuori dalla realtà si ostinano a respingere le quotidiane menzogne del Pensiero Unico, mentre le persone razionali e realistiche credono che gli ingenti ritorni a favore dei ricchi e dei potenti siano l’esito di una fortuita coincidenza.

Per gli estremisti fuori dalla realtà, i media – lautamente retribuiti insieme agli altri ceti di servizio, politici, burocrati e accademici – alimentano un’insensata narrazione per sorvegliare le inquietudini del popolo sofferente e generare consenso verso il ceto dominante contro gli interessi della collettività. Le persone razionali e realistiche credono invece che i media dicano la verità, che il popolo non debba avere pretese eccessive e che occorra sostenere i giustificati conflitti armati in tante parti del mondo insieme alle politiche che li rendono possibili, anche se la povertà aumenta e i servizi sociali degradano.

Per gli estremisti fuori dalla realtà sono necessari cambiamenti radicali per riattivare la speranza di poter creare una società giusta per tutti. Per le persone razionali e realistiche, invece, la società funziona sufficientemente bene (e anzi le cose potrebbero andare molto peggio) e dunque occorre continuare a sostenere quei partiti anche se danno talvolta l’impressione di impedire che una società giusta e pacificata possa realizzarsi.

Per gli estremisti fuori dalla realtà è necessaria una palingenesi totale della società, riducendo altresì l’abnorme concentrazione di ricchezza in mani private, se si vuole evitare un collasso sociale e ambientale, o l’olocausto nucleare. Per le persone razionali e realistiche, invece, il collasso ambientale e nucleare può essere facilmente evitato, apportando qualche cambiamento, perché la perfezione non è di questo mondo.

Per gli estremisti fuori dalla realtà, l’impatto dei cambiamenti del Partito Unico è solo cosmetico e richiederà secoli prima di essere avvertito, mentre la minaccia nucleare non è un’invenzione e la concentrazione illimitata di ricchezze, essenza del capitalismo neoliberista, è alla base della distruzione dell’ambiente di vita.

Per gli estremisti fuori dalla realtà, l’impero americano mente sistematicamente su tutto e da decenni, e le tante guerre da esso scatenate non hanno nulla a che vedere con la libertà, la democrazia o la sicurezza degli Stati Uniti (il paese più sicuro da quando esiste il mondo). Per gli estremisti fuori dalla realtà l’impero Usa mente senza pudore anche sulla guerra in Ucraina, mentre sorvola sovranamente sulle sue 800 basi militari in 80 paesi al mondo (oltre alle 145 del Regno Unito, suo fedele vassallo) e i 900 miliardi di dollari del suo bilancio militare (2023).

Per le persone razionali e realistiche, sebbene in passato gli Stati Uniti possano aver mentito su qualche guerra, questa volta però (la guerra in Ucraina) stanno dicendo la verità.

Per gli estremisti fuori dalla realtà l’accumulo di macchinari da guerra da parte dell’impero statunitense ai confini dei suoi principali rivali geopolitici (Russia e Cina) è un gesto d’aggressione, una provocazione che persegue obiettivi imperiali geostrategici. Per le persone razionali e realistiche, invece, l’accumulo di armamenti da parte degli Stati Uniti ai confini di quei due rivali non è altro che un’innocente decisione di legittima difesa.

Per gli estremisti fuori dalla realtà le agenzie governative e quelle dello stato nascosto sorvegliano tutti coloro che esprimono dissenso e stanno progettando di censurare anche Internet. Le persone razionali e realistiche ne sono anch’esse al corrente, ma pensano che sia una buona cosa.

Per gli estremisti fuori dalla realtà le guerre infinite, il militarismo, la politica del rischio nucleare calcolato, la distruzione dell’ambiente, lo sfruttamento, l’oppressione e l’autoritarismo sono insostenibili e si deve voltare pagina facendo ricorso a ogni mezzo. Le persone razionali e realistiche credono invece che per veder scomparire tali problemi basti semplicemente ignorarli, pensando a cose più piacevoli.

Gli estremisti fuori dalla realtà credono che per ottenere il cambiamento necessario in una società i cui termini di funzionamento sono truccati dalle oligarchie di ricchi e potenti sia necessario acquisire coscienza e poi agire, perché i numeri e la ragione sono dalla nostra parte.

Per le persone razionali e realistiche è possibile ottenere i cambiamenti desiderati sostenendo con forza maggiore i soliti partiti alle prossime elezioni. Per gli estremisti fuori dalla realtà la definizione di follia consiste nel fare sempre la medesima cosa aspettandosi risultati diversi.

da qui

 

 

 

OFFENSIVA UCRAINA, QUEL CHE NE RESTA – Pietro Pinter

Sono passati più di 3 mesi da quando le forze armate ucraine hanno lanciato la loro preannunciata offensiva di primavera-estate. Negli ultimi 100 giorni un contingente di circa 12 brigate, equipaggiato con le migliori forniture militari che la NATO è stata in grado di offrire e con quanto restava della riserva strategica di veicoli corazzati sovietici, in preparazione almeno dall’inverno scorso, si è scagliato contro linee difensive russe altrettanto lungamente preparate. Secondo la maggior parte delle analisi autorevoli, una tra tutte quella del capo di stato maggiore americano Mark Milley, l’offensiva ucraina si esaurirà nei prossimi 30-60 giorni a causa del mutamento del meteo (che renderà il terreno prevalentemente rurale dello Zhaporozhye una palude fangosa) e del deterioramento delle capacità offensive dovuto all’attrito.

Le forze armate ucraine, nonostante alcuni successi tattici, sono lontane dal “conquistare obiettivi strategicamente importanti che garantiranno un maggior peso al tavolo delle trattative”, come il consigliere per la sicurezza nazionale USA, Jake Sullivanpronosticava all’inizio di giugno. Nel principale teatro delle operazioni, l’assalto ha raggiunto al massimo i 10 chilometri di profondità e, come mostrato chiaramente nell’intervista sopracitata di Milley, che risale all’11 settembre, non ha superato la prima delle tre principali linee difensive russe (vedi foto), contrariamente a quanto affermato da alcune fonti. Il contingente ucraino ha concentrato i suoi sforzi nelle insenature, caratterizzate sempre da terreno più basso rispetto a quello circostante, che si sono rivelate più vulnerabili nei primi giorni di “ricognizione in forze”: questo è avvenuto poco a Est del Dnipro presso il villaggio di Pyatikhatky, nel settore centrale (dove negli ultimi giorni si concentrano i combattimenti più
feroci) a Rabotino, a 10km dalle linee di partenza ucraine, e nella “cengia di Vremensky”. L’assalto però non è riuscito a sfondare le principali linee di difesa e le alture controllate dalle forze armate russe, per raggiungere obiettivi strategici come Tokmak, città situata a 20km dalle attuali posizioni ucraine, snodo autostradale e ferroviario fondamentale del corridoio
terrestre tra Russia meridionale e Crimea, bastione della terza (e ultima) linea difensiva. Almeno, per ora.

Se questo stato delle cose dovesse essere confermato alla fine dell’offensiva, il bilancio per Kiev non potrebbe che essere negativo. L’Ucraina avrebbe speso una forza d’assalto difficilmente replicabile nel breve-medio periodo per ottenere un limitato successo tattico, senza successo strategico. Una situazione simile a quella dell’”operazione Charlie”, l’ultimo assalto tedesco della prima guerra mondiale che, pur riuscendo a penetrare le linee anglofrancesi, non riuscì a cambiare il corso della guerra prima dell’arrivo in forze del contingente statunitense e dell’esaurimento delle risorse tedesche.

Il paragone è volutamente esagerato: le forniture NATO all’Ucraina non si esauriranno dall’oggi al domani, e la capacità dell’industria bellica russa – pur aumentata nell’ultimo anno – non sarà probabilmente in grado di consentire una massiccia offensiva in grado di mutare radicalmente il corso della guerra. Ma il problema, per Kiev, rimane. In Ucraina arriveranno gli F-16, i missili a lungo raggio ATACMS e forse – cosa che il ministro degli Esteri ucraino da per scontata, umiliando quasi ritualmente l’omologa tedesca Barbock, anche i missili Taurus. Ma tutti concordano sul fatto che tramonta il sogno di un Blitzkrieg verso il Mar Nero che colga la Russia di sorpresa e la porti ad una breve capitolazione. All’orizzonte si conferma la prospettiva, invero già piuttosto chiara dalla stabilizzazione delle linee russe dopo le dolorose (e disastrose) ritirate di Kherson e Kharkov, di una lunga guerra d’attrito.

Una forma di guerra che non gioca in favore dell’Ucraina, a causa di quell’”asimmetria della volontà” che ha caratterizzato pressoché tutte le guerre di spedizione della NATO (e questa è senza dubbio una guerra della NATO, a guida americana) dalla seconda guerra mondiale in poi. In discussione non è la volontà ucraina di combattere – che non ha mostrato alcun segno di cedimento – quanto invece la disponibilità (e in certi casi, la stessa possibilità) da parte della coalizione a supportare ai livelli attuali il suo sforzo bellico. Si legge sul prestigioso e influente Foreign Affairs che “il rischio principale per l’Ucraina non è tanto un brusco cambiamento politico in Occidente, quanto il lento disfacimento di una rete di
assistenza estera accuratamente tessuta.” Ed è un giudizio piuttosto condivisibile. Un supporto costante ma ridotto (il Regno Unito ha già dichiarato, ad esempio, che non sostituirà il carro Challenger, uno su 14 inviati, distrutto in battaglia) potrà permettere all’Ucraina di sopravvivere alla guerra ma non di vincerla. E questo potrebbe portare a un mutamento di strategia: un’Europa occidentale preoccupata dalla crisi economica e dalla necessità di assicurare i propri legami commerciali in Eurasia, e un’America assorbita dal più importante conflitto con la Cina, o dalla meno importante ma più vicina crisi al confine meridionale, potrebbero voler porre fine alla guerra a oltranza in Ucraina e (posto che un’intesa si riesca a trovare, cosa non scontata vista la scommessa ormai totale di Mosca sulla “operazione militare speciale”) scendere a patti con i nemici russi.

Zelensky è ben conscio di questo e ha dichiarato di essere pronto a una guerra “perenne”, “senza lieto fine”. Per affrontarla, il leader ucraino cerca di ripulire il Paese dall’immagine di corruzione che sta sollevando sempre più critiche, soprattutto negli USA, relative alla destinazione dei fondi inviati all’Ucraina, mettendo sotto accusa oligarchi, commissari e persino licenziando il ministro della Difesa, accusato da mesi di appropriazione indebita. D’altro canto, in mancanza di una reale industria bellica (salvo alcune eccellenze nel settore dei droni aerei e navali) Zelensky manda all’offensiva la principale risorsa che l’Ucraina può apportare alla guerra: la propria popolazione. Il licenziamento in blocco di tutti i commissari militari, la rimozione di esenzioni alla leva per studenti e alcune categorie di malati e la pressione sui Paesi europei per l’estradizione dei rifugiati idonei al servizio militare, preludono a una mobilitazione ancora più estesa delle precedenti, magari sul modello della mobilitazione totale sperimentata in alcuni distretti del Paese.

Meno chiari sono i prossimi passi della Russia, che dalla presa di Bakhmut non ha più tentato nessun significativo sforzo offensivo, salvo operazioni minori nella direzione di Kupyansk durante l’offensiva ucraina. Per il momento il Cremlino esclude nuove mobilitazioni, investe nell’espansione dell’industria bellica, rafforza la difesa delle sue infrastrutture critiche, tenta di riparare intese strategiche entrate in crisi (Turchia, Armenia), di sviluppare quelle che hanno funzionato (India, Cina, Arabia Saudita, Iran) e di forgiarne di nuove, per quanto improbabili (Corea del Nord, Myanmar). Risolve – con spettacolare violenza, e pensionando generali dalla sospetta lealtà – i suoi scontri di potere interni.

Verosimilmente, anche il Cremlino si prepara ad una guerra di lungo corso, che dovrà gestire come un fattore strutturale della sua politica estera e militare, e non più come una vorticosa emergenza. Ciò che la accomuna all’Ucraina è che i suoi risultati sul campo – e nell’eventuale diplomazia del conflitto – non saranno limitati tanto dalla volontà di combattere, quanto dalla capacità di farlo con i propri mezzi, a seconda di quelli che la NATO potrà e vorrà mettere in campo.

da qui

 

 

Gli interessi economici dietro il conflitto in Ucraina – Roger Keeran

Chiunque presti la pur minima attenzione al conflitto in Ucraina può rendersi conto della totale falsità della narrazione statunitense sulla sua causa, ossia che il dittatore Vladimir Putin si sia imbarcato in una guerra “non provocata” in uno sforzo sanguinario per ripristinare l’impero zarista russo. Purtroppo la maggior parte degli americani non ci fa caso, e così circola senza vergogna questa narrazione, come un imperatore senza vestiti.

Fortunatamente, accademici come John Mearsheimer e Jeffrey Sachs e The Nation hanno spiegato che questo conflitto è stato effettivamente provocato, provocato dagli Stati Uniti che, dal crollo dell’Unione Sovietica, hanno sconsideratamente esteso la NATO all’intero confine occidentale della Russia, un’ovvia minaccia alla sicurezza nazionale russa. Gli Stati Uniti intendono includere l’Ucraina nel circolo della NATO e dal 1991 interferiscono palesemente nella politica interna dell’Ucraina per sostenere le forze favorevoli all’Occidente. Ciò ha incluso il sostegno a un colpo di Stato contro il presidente regolarmente eletto Victor Yanoukovitch nel 2004, il sostegno alla cosiddetta ribellione di Maidan del 2014, l’indebolimento dei cosiddetti accordi di Minsk (I e II del 2014 e del 2015) e il sostegno all’attuale presidente corrotto Volodymyr Zelensky.

Un recente libro in francese dell’economista italiano Giulio Palermo, Le Conflit Russo-Ukrainien: L’imperialisme US à la conquete de l’Europe (Editions Delga, Paris, 2022) [ll conflitto russo-ucraino. L’imperialismo Usa alla conquista dell’Europa], non solo racconta questa storia, ma approfondisce il materiale che ho visto in inglese per spiegare gli interessi economici dell’imperialismo statunitense in questo conflitto.

Naturalmente, non ci vuole un genio dell’economia per capire che il grande vincitore di questo conflitto non è né la Russia né l’Ucraina, ma l’industria statunitense delle armi. Dall’inizio del conflitto, l’Ucraina ha ricevuto più di 75 miliardi di dollari, diventando di gran lunga il principale beneficiario degli aiuti esteri USA nel mondo. Questo include 18,3 miliardi di dollari in assistenza alla sicurezza, 23,5 miliardi di dollari in armi e attrezzature e 4,7 miliardi di dollari in sovvenzioni e prestiti per le armi (Council on Foreign Relations, 10 luglio 2023). Naturalmente, la maggior parte di questo denaro finisce nelle tasche dei produttori di armi statunitensi. Lockheed Martin fornisce missili anticarro Javelin e lanciarazzi Himars. Raytheon fornisce missili Javelin e missili antiaerei Stinger, e così via.

Palermo non si limita a questo ovvio saccheggio del contribuente americano, ma spiega che due dei principali beneficiari di questo conflitto sono gli interessi bancari e di investimento USA legati all’agricoltura e alle compagnie petrolifere e del gas statunitensi.

Le banche e le società di investimento americane hanno un interesse di lunga data nell’ottenere il controllo dell’agricoltura ucraina, il cosiddetto granaio d’Europa. Già nel 2014 il presidente filo-occidentale, Petro Porochenko,aveva negoziato un prestito di 15,5 miliardi di dollari da parte del Fondo Monetario Internazionale (FMI) che in cambio insisteva sulla liberalizzazione della vendita di terreni, intendendo la vendita di terreni statali a investitori privati. Ciò significava la fine della moratoria governativa su tali vendite in vigore dal 2001. Sotto Volodymyr Zelensky, la privatizzazione dei terreni si è estesa. Il 31 marzo 2020 il governo Zelensky ha fatto approvare una legge impopolare che legalizza la vendita di terreni agricoli, una misura a lungo richiesta dal FMI e da altri investitori internazionali.

Secondo un rapporto di febbraio 2023 del think tank Oakland Institute, circa cinque milioni di ettari (il doppio della Crimea) della terra più fertile del mondo “sono stati ‘rubati’ da interessi privati allo Stato ucraino”. Complessivamente, più del 28% della terra coltivabile è ora controllata da “oligarchi, individui corrotti e grandi imprese agroalimentari”.

Gli interessi finanziari statunitensi (ma anche europei e sauditi) sono i principali investitori e beneficiari di questo processo. Tra questi, Vanguard (una società finanziaria con sede in Pennsylvania che è il più grande fornitore di fondi comuni di investimento al mondo) e NN Investment Partners Holdings, di proprietà di Goldman Sachs. Secondo l’Oakland Institute, “anche diversi grandi fondi pensione statunitensi, fondazioni e fondi universitari sono investiti in terreni ucraini attraverso NCH Capital, un fondo di private equity con sede negli Stati Uniti, che è il quinto maggiore proprietario di terreni nel Paese” (Ucraina). L’Oakland Institute non potrebbe essere più chiaro: “Quanto emerso indica che i terreni agricoli ucraini sono un’importante posta in gioco nella guerra”.

Un’altra posta in gioco, forse ancora più grande dei terreni agricoli ucraini, è il mercato europeo del gas e del petrolio. Come i terreni agricoli, gli interessi del gas e del petrolio sono stati quasi completamente ignorati dai commentatori americani. Il grande vantaggio del resoconto di Palermo è che spiega come la guerra si inserisca nelle strategie a lungo termine delle compagnie petrolifere e del gas USA, con il sostegno di qualsiasi amministrazione di Washington. Storicamente, questo mercato dipendeva fortemente dal gas e dal petrolio russo. All’inizio della guerra, l’Unione Europea importava il 40% del gas naturale e il 25% del petrolio dalla Russia.

Le compagnie petrolifere statunitensi hanno a lungo desiderato questo mercato europeo. Questa brama si è intensificata dopo la crisi finanziaria del 2007-2009, quando nuovi massicci investimenti nel settore petrolifero e del gas hanno aumentato la produzione statunitense di gas naturale del 70% (tra il 2011 e il 2014) e hanno reso gli Stati Uniti il più grande produttore di petrolio al mondo, superando sia la Russia che l’Arabia Saudita. Le compagnie petrolifere e del gas USA avevano bisogno di uno sbocco per questo surplus. Dopo aver perpetrato in precedenza attacchi militari ed economici contro i fornitori storici di gas e petrolio all’Europa (Iran, Iraq, Libia e Venezuela), gli Stati Uniti avevano un solo rivale per il mercato europeo: la Russia.

Per conto delle compagnie petrolifere, Washington ha contrastato la dipendenza europea dall’energia russa. Washington si è opposta al gasdotto Nordstream, un piano per soddisfare il fabbisogno europeo di gas naturale attraverso un gasdotto che va dalla Russia alla Germania (Nordstream I seguito da Nordstream 2). Il Nordstream I è entrato in funzione nel 2011 [mentre il Nordstream 2, concluso nell’autunno 2021 non è mai entrato in funzione, ndt]. Nel febbraio 2022 la Russia invade l’Ucraina e il 26 settembre 2022 il gasdotto Nordstream viene colpito da tre esplosioni separate. Nessuno ha rivendicato la responsabilità, ma chiunque abbia un po’ di cervello può capire che l’unico beneficiario sono le compagnie petrolifere e del gas statunitensi.

Dopo l’invasione russa, gli Stati Uniti hanno reagito imponendo tre severe tipologie di sanzioni economiche volte a paralizzare l’economia russa. La prima è stata il congelamento dei beni della banca di Stato russa all’estero. La seconda è stata l’esclusione della Russia dal principale sistema di scambio monetario internazionale noto come Swift. La terza misura è stata l’imposizione di sanzioni contro l’importazione di gas e petrolio russo, con Washington che ha pressato l’Europa affinché si adeguasse a questo tipo di sanzioni. Infatti data la maggiore dipendenza dell’Europa dalla Russia (a differenza degli Stati Uniti che non hanno praticamente mai importato gas o petrolio russo), la mancanza di infrastrutture sufficienti per gestire il gas e il petrolio USA e il prezzo più alto dei prodotti statunitensi, l’Europa ha avuto difficoltà a conformarsi. Ciononostante, le compagnie petrolifere e del gas statunitensi sono riuscite a trarre vantaggio dalla guerra e dalle sanzioni. Già nel 2022 l’Europa è diventata la destinazione principale per il gas naturale liquefatto americano, con il 65% di tutte le esportazioni, un massimo storico per le esportazioni di gas americano in Europa.

Qualsiasi valutazione obiettiva della politica statunitense nei confronti dell’Ucraina dovrebbe concludere che si tratta di un fallimento abissale, con un’eccezione lampante. Tutte le armi e l’addestramento non hanno cambiato le sorti dell’Ucraina; il fallimento dell’offensiva ucraina di primavera/estate lo dimostra. Più armi per l’Ucraina hanno significato solo più morte e distruzione. Né le armi e né le sanzioni hanno avuto alcun effetto sulla politica o sull’economia russa. La Russia ha sostituito le sue esportazioni in Europa trovando nuovi mercati in Cina, India e altrove. Il rublo, dopo essere sceso leggermente dopo l’inizio del conflitto, è ora forte come non mai. Gli europei, che pagano di più l’energia, non hanno beneficiato delle sanzioni imposte dagli Stati Uniti alla Russia. Gli africani non hanno beneficiato dell’escalation dei prezzi dei cereali indotta dalla guerra. Né la guerra ha portato benefici ai contribuenti statunitensi, che devono pagare per la più grande porcheria militare dopo l’Afghanistan.

L’unico chiaro vincitore di questo sanguinoso conflitto è l’imperialismo statunitense, vale a dire l’industria militare USA, le banche e le società azionarie USA legate all’agricoltura ucraina e le compagnie USA del gas e del petrolio che si sono impadronite del mercato europeo.

(Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare)

da qui

 

 

Uniamo le nostre forze contro le loro guerre – Tutte/i a Ghedi il 21 ottobre ! 

Assemblea on line domenica 24 settembre, ore 10.30

Link assemblea: https://us04web.zoom.us/j/6154963185pwd=SVlyTEtQaHBVOGlHNkRhRkZySVZVdz09

Password  091651

Chi non riesce a entrare dal link deve APRIRE ZOOM

Id:  6154963185

Poi aggiungete la password  091651

Il 21 ottobre manifestiamo a Ghedi: contro la guerra, l’economia di guerra, il governo Meloni, la NATO

La guerra tra NATO e Russia in Ucraina, una guerra che è da ambo i lati dettata da interessi di dominio e di sfruttamento, e ha già prodotto un orrendo massacro di centinaia di migliaia di morti e di feriti, non accenna a finire. Anzi, nonostante si parli di proposte di pace, la continua fornitura di armi da parte di UE e Stati Uniti a Kiev prolunga la guerra e la porta sempre più in territorio russo.

Su scala globale, è in atto una crescita esponenziale delle tensioni commerciali, diplomatiche, militari e, in questo contesto, è partita una vera e propria corsa al riarmo che esprime e a sua volta alimenta la corsa verso nuove, catastrofiche guerre inter-capitalistiche per una spartizione del mercato mondiale tra le massime potenze capitalistiche dell’Ovest e dell’Est.

Intanto in Italia e nell’intero Occidente si afferma a grandi passi un’economia di guerra e un disciplinamento sociale sempre più soffocante nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nelle università, sui territori, nei mezzi di comunicazione.

Il governo Meloni attacca frontalmente le condizioni di vita di milioni di lavoratori, disoccupati e precari, ha consentito senza muovere un dito l’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità che colpisce salari che sono già in molti casi da fame, effettua altri tagli alla sanità pubblica, ai servizi sociali e al reddito di cittadinanza, con milioni di famiglie spinte verso la povertà estrema, ha dato il via libera alla violazione di tutte le norme di sicurezza sul lavoro con l’effetto di moltiplicare i morti sul lavoro, prosegue nell’opera di devastazione sociale e ambientale, aumenta le spese militari per l’invio di armi in Ucraina e per il potenziamento delle basi e delle infrastrutture belliche. E ora, per deviare la crescente rabbia su un falso bersaglio, indica negli emigranti-immigrati il “vero nemico” da cui difendersi.

In realtà, invece, il nostro primo e principale nemico è qui, ed è proprio il governo Meloni e la classe degli sfruttatori, grandi, medi e piccoli per conto dei quali l’esecutivo delle destre amministra le spese dello stato e il cosiddetto ordine pubblico.

La guerra e le politiche di austerity sono due facce della stessa medaglia: ad un aumento delle spese militari e per la repressione corrisponde, da un lato, il taglio di pari intensità ai salari, alle pensioni e alla spesa sociale, dall’altro un incremento della militarizzazione della vita sociale, del nazionalismo, del razzismo di stato, del sessismo favorendo la impressionante crescita della violenza fisica e psicologica contro le donne, dell’intervento poliziesco nelle lotte sindacali e sociali.

Contro questa nuova barbarie che avanza, facciamo appello a tutte le realtà attive contro la guerra, nelle scuole, nelle lotte sociali e ambientali, affinché la giornata di sabato 21 ottobre diventi l’occasione per rilanciare la mobilitazione contro la guerra, l’economia di guerra, il governo Meloni, per lo scioglimento della NATO, la chiusura di tutte le basi militari e il ritiro delle truppe italiane all’estero.

La scelta della giornata del 21 ottobre rappresenta per noi un ponte verso quei lavoratori e quelle lavoratrici che il giorno prima entreranno in lotta “contro guerra, carovita, precarietà, per fermare il governo Meloni” in occasione dello sciopero generale indetto dal sindacalismo di base.

Per questo – nel contesto di un insieme di iniziative contro la guerra in Italia e all’estero – promuoviamo il 21 ottobre una mobilitazione nazionale unitaria a Ghedi. Ghedi è la base storica di attacco dell’aeronautica militare italiana e il deposito di decine di bombe atomiche NATO-US da montare su aerei italiani. Mentre in molti vanno alla ricerca del nemico solo ed esclusivamente al di fuori dei confini nazionali, i duri fatti dimostrano che il nostro primo nemico è qui “in casa nostra”.

Da Ghedi vogliamo far arrivare il nostro messaggio anti-militarista e disfattista anche al di là delle frontiere italiane per dare il nostro contributo al coordinamento internazionale e internazionalista delle iniziative di lotta contro la guerra in Ucraina, contro tutte le guerre del capitale. La sola ed unica forza che può fermare la folle corsa alla distruzione reciproca dei paesi e alla catastrofe ambientale e umana che la accompagna è il disfattismo in Ucraina, in Russia e qui verso i “propri” governi, i “propri” capitalismi, e l’affratellamento, l’unità tra gli sfruttati e gli oppressi di tutti i paesi del mondo. Proletari di tutti i paesi uniamoci: è ancora e sempre questa la via della liberazione dallo sfruttamento e dalla guerra.

Brescia anticapitalista – Collettivo NN Brescia – Collettivo Linea Rossa della bassa bresciana – Centro di documentazione contro la guerra, Milano – Comitato internazionalista, Como – Comitato permanente contro le guerre e il razzismo, Marghera – Controtendenza Piacenza – Controvento – Laboratorio politico Iskra – Movimento di lotta per il lavoro 7 novembre, Napoli – Plat Bologna – Rete dei comitati e dei collettivi di lotta Roma e Viterbo – SI Cobas – Tendenza internazionalista rivoluzionaria

da qui

 

 

 

Guerra in Europa, la fine della sfera pubblica. La fine di un mondo – Vincenzo Costa

Sperando che non si giunga alla fine del mondo (cioè alla catastrofe nucleare), certamente siamo alla fine di un mondo, la fine della sfera pubblica, di un sistema di organizzazione mondiale, di strutture concettuali.

 

La fine della sfera pubblica

La nozione di sfera pubblica – lo sappiamo a partire da Mill e Tocqueville sino ad Habermas e alla Arendt – è fondante per la nozione di democrazia, poiché la democrazia presuppone un’opinione pubblica informata, critica, capace di discernimento.

A rendere possibile questa forma di governo erano i “corpi intermedi” (partiti, associazioni etc.) che erano condizione di possibilità di una decodifica critica, plurale, e senza pluralismo dell’informazione e delle interpretazioni non esiste sfera pubblica.

Un processo avviato da tempo, messo in luce da tanti pensatori in maniera differenziata – da Baudrillard a Byung-Chul Han– fa emergere che questa nozione di sfera pubblica è collassata.

In effetti siamo passati dalla tanto maltrattata partitocrazia alla Mediocrazia: i media ci fanno vivere nella realtà che essi costruiscono.

Così ora hanno costruito la figura di un Zelensky eroe, e hanno anche costruito il nazionalismo ucraino, che non si sarebbe sviluppato nelle forme che stiamo vedendo senza i media.

La tv non rappresenta la realtà, la produce, la fa accadere, e non solo perché la falsifica (fa anche questo), ma perché trasforma in realtà un modello. Il modello era: costruire un nazionalismo ucraino, costruendo la figura dell’eroe. Le immagini, la narrazione ha fatto si che il modello entrasse nella realtà.

Ma come la hanno costruita possono distruggerla in due giorni: basta che inizino a trasmettere altre immagini, altre informazioni, per esempio basta che spargano la voce che in Ucraina gli USA, col consenso di Zelensky, avevano laboratori di armi biologiche, notizia che circola sui media.

Basta che facciano emergere notizie che distruggono la faccia: crollerebbe il mito della lotta della libertà contro la barbarie, cambierebbe la narrazione, e cambiando la narrazione cambierebbe il vissuto.

 

I media posso fare accadere la realtà che vogliono.

Così Maduro era il dittatore, e in un istante diventa un interlocutore, dalle sanzioni a Maduro si passa all’acquisto di petrolio da lui. Tra poco, se conviene, diventerà un campione della libertà.

L’opinione pubblica mediatizzata non è più dotata di memoria culturale e comunicativa (assman): vive nell’istante, dimentica all’istante. I media non costruiscono una storia, ma una serie di istanti frammentati.

 

Questo non è senza un significato nella “realtà vera”

Putin sa di avere perso la guerra mediatica in Occidente, e se prima agiva cercando di non contrariare l’opinione pubblica europea, ora questo possibile freno inibitorio è cessato.

E lo stesso è oramai chiaro ai cinesi. E prendono le precauzioni: creazione di reti chiuse, perché mica vogliono finire come Trump che veniva bloccato da Facebook. Ma soprattutto: quello che pensa la sfera pubblica occidentale è del tutto indifferente per il resto del mondo, che oramai ci vede come dei fanatici che devono imporre il loro modo di vita ovunque.

E questo non è senza significato dal punto di vista militare. La vittoria mediatica dell’Occidente può rivelarsi un boomerang: possiamo creare la sfera pubblica che vogliamo, ma questa non ha più potere di pressione, di essa non si terrà più conto nei prossimi giorni, nel decidere come condurre le operazioni militari.

Una sfera pubblica che non ha più influenza sui decisori cessa di esistere, lo sappiamo a partire da Locke, che aveva colto il potere di interdizione della sfera pubblica, un potere che è cessato. E per questo la modernità è finita.

Oramai è chiaro che tutto si gioca nella sfera mediatica. Non siamo solo passati dal governo economico al governo della società, come mette anche giustamente in luce Foucault: siamo passati dal governo della società al governo delle opinioni.

 

Il ruolo degli USA

Forse questa guerra segnerà la fine della Russia, ma la cosa sembra più propaganda che realtà, e basta guardare una cartina con i paesi che veramente impongono sanzioni per rendersi conto che è una distorsione derivante da una prospettiva eurocentrica attardata.

Con o senza Putin si certificherà come già vediamo, solo il suo spostamento verso l’Asia, con la formazione di un grande blocco asiatico (Russia, Cina, India) e con una piccola propaggine europea, mentre la Russia, se avessimo avuto politici meno sciagurati e più lungimiranti, poteva essere un potente sporgersi dell’Europa verso l’Oriente, un ponte.

Molto più probabilmente siamo davanti al crollo degli USA: fine dell’egemonia del dollaro (dopo la decisione di congelare parte dei miliardi di dollari delle riserve russe nessuno si fiderà più degli Usa), fine del potere sui paesi arabi (l’Arabia che è entrata nei BRICS), creazione di un blocco anglo-americano con interessi sempre più divergenti rispetto a quelli europei, creazione di un fronte franco-tedesco, con Scholz che, in maniera prudente ma continua, sta disfacendo la politica di Steinmeier.

Siamo alla fine di un’epoca. E i nostri giornali e i nostri politici ci fanno vivere, come ama dire Roberto Buffagni, a Disneyland.

E pagheremo caro avere questa classe politica inetta, senza senso della misura, che parla come se fossero degli alcolizzati al bar, senza pensare che – se non c’è una guerra nucleare – dovremo riallacciare relazioni. Non hanno imparato, come si dice tra la gente del popolo, magari non colta ma con senso della misura, che “bisogna mangiare anche domani”.

Questi vivono e fanno politica come se non vi fosse un domani.

da qui



continua qui

Nessun commento:

Posta un commento