venerdì 27 luglio 2012

La gentilezza può aiutare ad uscire dalla crisi meglio del Pil - Anna Maria Ferrari Boccacci


Conversando alcuni mesi fa con una giovane commercialista, prestatasi, “obtorto collo”, ad una iniziativa del Movimento per la Gentilezza, mi venne da ricordarle, come esempio di economia naturale, il baratto, quello delle origini, quello per cui il pastore con un gregge troppo affollato poteva recare qualche capo di bestiame al vasaio, che lo ricambiava con ciotole o anfore in terracotta.
Anche mio padre, subito dopo la guerra, veniva spesso chiamato ad ammazzare e sezionare qualche vitello o capretto o coniglio a casa di amici e se ne tornava ogni volta con il suo pezzo di carne. Nella casa di periferia in cui sono cresciuta, abitavano otto famiglie e ognuna aiutava l’altra come poteva: c’era l’infermiera che si offriva per le iniezioni, il meccanico che riparava le biciclette per tutti, la “lettrice” che la sera intratteneva le donne con i fotoromanzi….chi non partecipava a questi scambi di abilità veniva semplicemente salutato con un buongiorno o un buonasera.
Ecco: il dono della propria abilità, questa è gentilezza. Lasciare uno spazio alla generosità verso gli altri, dopo una giornata di lavoro, può darci quella ricompensa straordinaria che nel lavoro non c’è più.
Sì, ma il Pil così non cresce – ci si può obiettare.- Beh, non cresce il Pil, ma crescono l’amicizia, la capacità di fare squadra, le abilità, la voglia di vivere, la speranza, la consapevolezza di non essere soli. Vi pare poco? Sono proprio queste le basi per rifondare la società sana e giovane di cui ci siamo dimenticati, presi nella logica dei numeri, degli euro, delle statistiche. Ora, si tratterà di rinnovarsi, ritornando indietro, riscoprendo quello che di buono abbiamo lasciato per strada in una folle corsa verso la finanza pura cui tutti ci siamo asserviti.-
Non vogliamo demonizzare né la ricchezza, né il denaro, ma riequilibrare i rapporti tra i talenti, che possono guidare la società verso la sua crescita, over per crescita s’intende lo sviluppo e il miglioramento dell’uomo, in modo armonico appunto, così da salvare tutto ciò che di bello e di buono egli nutre in sé.

giovedì 26 luglio 2012

di Germania ed euro

Noi, appesi come foglie d'autunno – Barbara Spinelli
Nessuno di noi sa quel che voglia in concreto il governo tedesco: se vuol salvare l'euro sta sbagliando tutto. Se gioca allo sfascio ci sta mettendo troppo tempo. Nessuno sa come intenda procedere la Banca centrale europea. Draghi ha detto a Le Monde che l'euro è irreversibile, che la Bce "è molto aperta e non ha tabù". Ha detto perfino che "non siamo in recessione". Ma venerdì scorso ha deciso che non accetterà più titoli di stato greci in garanzia, dando il via alle danze macabre attorno a Atene e votandola all'espulsione.
Decisione singolare, perché qualche giorno prima Jörg Asmussen, socialdemocratico tedesco del direttorio Bce, aveva detto alla rivista Stern che bisogna "aver rispetto per gli sforzi greci". Una contrazione di 5 punti di pil sarebbe tremenda per chiunque, Germania compresa: "Dovremmo almeno dire a Atene: ben fatto, buon inizio". La maggioranza nella Bce non sembra d'accordo: smentendo che siamo in recessione, si allinea non tanto alla Merkel ma all'ala più dura del suo governo. Nessuno sa infine a che siano serviti 19 vertici di capi di Stato o di governo. Dicono che gli Europei stanno correndo contro il tempo. Ben più tragicamente l'ignorano, vivono nella denegazione del tempo, dei fatti. Se tutte queste cose non le sappiano noi, figuriamoci i mercati: il caos che producono è il riflesso molto fedele del caos che regna nelle teste, negli atti, nelle parole dei capi che pretendono governare l'Unione...

La fine di una moneta - Pitagora

Il disordine regna sovrano in Europa. Se il presidente della Bce Mario Draghi asserisce in un'intervista al quotidiano Le Monde che l'euro è irreversibile, il cancelliere tedesco Merkel si dichiara «ottimista» ma non sicura della sopravvivenza dell'euro. La scorsa settimana l'Eurosistema ha deciso di non accettare titoli di stato emessi o garantiti dalla Repubblica ellenica come collaterale per ottenere prestiti fino alla «conclusione dell'esame condotto dalla Commissione europea, in raccordo con la Bce e l'Fmi, sui progressi compiuti dalla Grecia»; il Fondo Monetario Internazionale, a sua volta, secondo quanto riportato da autorevoli fonti di stampa, starebbe valutando l'idea di bloccare gli aiuti alla Grecia. Il mese di luglio è ormai trascorso senza che siano state avviate misure concrete per rendere operativo il cosiddetto «scudo anti spread» che era stato approvato alla fine di giugno, con grande risalto mediatico, dai capi di stato e di governo dell'Unione europea.
La prolungata assenza di indicazioni precise, convergenti e realizzabili, oltre che di misure concrete, da parte di coloro che hanno il potere di prendere decisioni rilevanti per i mercati finanziari ha favorito l'attuale drammatica situazione…

Uscire dall'euro si può – Sergio Cesaratto

Qual è il giochetto che la Bce ha interrotto (e che forse ha scatenato la crisi terminale)?
I capitali da mesi scappano dai debiti pubblici e dalle banche di Spagna e Italia. Le banche possono ricorrere a ri-finanziamenti dalla propria banca centrale, ma devono versare titoli a garanzia (collaterale). Le banche non avevano più collaterali di qualità come «pezze d'appoggio», quindi stavano per saltare, una ulteriore pressione sugli stati che le devono soccorrere. La Bce però consentiva loro di emettere obbligazioni garantite dagli stati, titoli accettati come collaterale per ottenere liquidità; con la liquidità ottenuta le banche compravano titoli pubblici, a loro volta offerti alla Bce per ottenere ulteriore liquidità e così via. Banche e stati riuscivano così a rifinanziarsi, mentre le banche lucravano la differenza fra il basso costo di rifinanziamento presso la Bce e gli alti tassi che gli stati pagano. Quindi un pessimo surrogato dell'intervento diretto della Bce nel sostegno agli stati perché alla lunga il giochetto rende gli stati insolventi. 
L'Eurosistema (Bce più banche centrali nazionali) è finito comunque per vantare enormi crediti verso la periferia, ed equivalenti debiti verso coloro che hanno portato capitali in Germania. 
Se l'euro salta, quei debiti si ritroverebbero sul groppone della Bundesbank. Ma se si blocca il giochetto l'euro salta (damned if you do, damned if you don't). Ecco che si spiega perché Moody's ha assegnato ieri un outlook negativo alla Germania e i Cds sui Bund (una sorta di assicurazione sul fallimento) stanno salendo…

mercoledì 25 luglio 2012

Storia popolare dell’impero americano - Howard Zinn, Mike Konopacki, Paul Buhle


uno può dire che 729 pagine dell’edizione inglese sono troppe (qui), che sono troppe anche 510 pagine dell’edizione italiana (qui), che non ha soldi da spendere (ma può leggerlo qui), ma cosa può dire davanti all’edizione a fumetti in italiano? Costa solo 10 euro ed è un libro terribile e bellissimo.
non privatevene – franz


Non c’è bisogno ormai di insistere che un libro a fumetti non è meno serio di qualunque altra cosa. Se ce ne fosse stato bisogno, questo è un esempio straordinario: aggiunge all’informazione fattuale, alle notizie e al commento storico-politico, la forza di un’immaginazione visuale che intreccia immagini\simbolo stilizzate (il grasso capitalista col cappello a cilindro, lo zio Sam a stelle e strisce) con la precisa ricostruzione delle fisionomie dei protagonisti ed è al suo meglio nelle immagini di sfondo, nel contesto spaziale in cui le persone e gli eventi si svolgono; recupera la grande tradizione della grafica rivoluzionaria e militante del movimento operaio americano, compresa la funzione centrale dell’umorismo. Non a caso, fra gli autori\curatori figura uno storico come Paul Buhle, che da sempre lavora proprio sull’uso dell’umorismo, della grafica, dell’ironia nella storia dei movimenti di opposizione americani; e che la grafica di Mike Kopacki riprende (per esempio, con le immagini stereotipe tradizionali del grasso capitalista col cappello a cilindro e dello zio Sam a stelle e strisce) arricchendola con una tecnica di collage che intreccia i pannelli dei cartoon con fotografie, ritagli di giornale, immagini d’epoca: in questo modo, la funzione documentaria e l’effetto grafico si rinforzano a vicenda…
…Ovviamente, un libro come questo ha bisogno di qualche istruzione per l’uso. In primo luogo (e questo vale anche per la sua fonte, la Storia del popolo americano), scrivendo negli Stati Uniti Zinn si rivolgeva a lettori che conoscevano almeno una versione dei contesti generali, della storia ufficiale e della storia istituzionale del loro paese, se non altro perché gliel’avevano fatta imparare a scuola, e quindi lo capivano come controcanto alle narrazioni dominanti (non a caso, si presenta come una lezione\conferenza di Zinn a un pubblico di attivisti e studenti), non come l’unica narrazione della storia americana, come se tutta la storia degli Stati Uniti fosse qui. Se non ne teniamo conto, davvero finiamo per farci l’idea semplificata degli Usa come il vero “impero del male”, punto e basta, mero braccio armato della repressione capitalista e imperialista. Anche la forma a fumetti può lasciare il varco a qualche semplificazione: penso alla narrazione avventurosa e un po’ complottistica della crisi iraniana del 1952, da cui sembra venir fuori che le masse sono mobilitabili e manipolabili a piacimento, basta pagare e fare propaganda - che è il contrario di quello che Zinn cerca di dire in tutto il libro. Ma sono dettagli, superabili se alla facilità di lettura e all’impatto emotivo resi possibili dalla grafica, e dalla drammaticità dei fatti narrati, aggiungiamo l’attenzione critica che un libro di storia, anche a fumetti, sempre richiede. E se teniamo in conto le parole con cui il libro si conclude: dopo tante tragedie, disgrazie, sconfitte, catastrofi, Zinn evoca ancora la speranza: “La storia umana non è solo storia di crudeltà, ma anche di compassione, sacrificio, coraggio e benevolenza… Il futuro è un infinito succedersi presenti”. La prima immagine del libro è Zinn in lacrime; l’ultima è il suo sorriso.

Creare direttamente un milione di posti di lavoro - Luciano Gallino


La proposta:
  1. Istituire un’Agenzia per l’occupazione simile alla Works Progress Administration del New Deal americano (works = opere pubbliche). L’Agenzia stabilisce i criteri di assunzione, il numero delle persone da assumere, il livello della retribuzione, i settori cui assegnarle. Le assunzioni vengono però effettuate e gestite unicamente su scala locale, da comuni, regioni, enti del volontariato, servizi del lavoro, ecc.
  2. Per cominciare si dovrebbe puntare ad assumere rapidamente almeno un milione di persone. Poiché tale numero è inferiore a quello dei disoccupati e dei precari, occorre stabilire inizialmente dei requisiti in cui i candidati dovrebbero rientrare. Un requisito ovvio potrebbe essere l’età: p. e. 16-30 anni, oltre ovviamente alla condizione di disoccupato o precario.
  3. L’Agenzia offre un lavoro a chiunque, in possesso dei requisiti richiamati sopra, lo richieda e sia in grado di lavorare.
  4. Le persone assunte dall'Agenzia dovrebbero venire impiegate unicamente in progetti di pubblica utilità diffusi sul territorio e ad alta intensità di lavoro. (Le grandi opere non presentano né l’una né l’altra caratteristica). Progetti del genere potrebbero essere: la messa in sicurezza di edifici scolastici (oggi il 50% non lo sono); il risanamento idrogeologico di aree particolarmente dissestate; la ristrutturazione degli ospedali (nel 70% dei casi la loro struttura non è adeguata per i modelli di cura e di intervento oggi prevalenti). Per attuare progetti del genere sarebbero richieste ogni sorta di figure professionali.
  5. Finanziamento. Nell’ipotesi che ogni nuovo occupato costi 25.000 euro, per crearne un milione occorrono 25 miliardi l’anno (la maggior parte dei quali rientrebbero immediatamente nel circuito dell’economia). Si può pensare a una molteplicità di fonti: fondi europei; cassa depositi e prestiti; una patrimoniale di scopo dell’1% sui patrimoni finanziari superiori a 200.000 euro (la applica la Svizzera da almeno mezzo secolo); obbligazioni mirate. Andrebbero altresì considerate altre fonti. Ad esempio, si potrebbe offrire a cassaintegrati di lunga durata la possibilità di scegliere liberamente se lavorare a 1000-1200 euro al mese piuttosto che stare a casa a 750, a condizione che sia conservato il posto di lavoro (è possibile, con l’istituto del distacco). Qualcosa del genere andrebbe considerato per chi riceve un sussidio di disoccupazione. In questi casi l’onere per il bilancio pubblico (includendo in questo l’Inps) scenderebbe di due terzi. Infine va tenuto conto che molte imprese sarebbero interessate a utilizzare lavoratori pagando, per dire, soltanto un terzo del loro costo totale.

martedì 24 luglio 2012

Test Tfa, quiz per insegnanti pieni di svarioni - Luciano Canfora

Reclutare i prossimi insegnanti è operazione estremamente delicata e di altissimo rilievo. I modi del reclutamento un tempo erano ovvi e abbastanza collaudati: si trattava di un concorso, le cui prove avevano una riconosciuta dignità culturale. Il meccanismo è stato variamente aggredito nel tempo, alla luce di concezioni politico-pedagogiche dagli effetti devastanti. L'ultima trovata si chiama Tfa (Tirocinio formativo attivo, vedi «Corriere della Sera» del 22 luglio): quesiti a risposta multipla, concettualmente imparentati con i cruciverba della «Settimana enigmistica» e pallida reincarnazione dei quiz di Mike Bongiorno. È quasi imbarazzante parlarne, e penoso misurarsi con questo degrado; e nondimeno è indispensabile dare l'allarme prima che sia troppo tardi. Come era prevedibile, infatti, un meccanismo del genere, oltre a rispecchiare un'idea bassa della cultura, è destinato inevitabilmente a macchiarsi di errori dovuti all'ignoranza di coloro che formulano i quesiti a risposta multipla...
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Il Terzo Reich - Roberto Bolaño

un libro che avvince, dove molto non viene detto, la fine è precipitosa, non c'era tempo.
mi ha ricordato questo.
è un libro imperfetto, ma non ti stacchi.
essercene libri così imperfetti  - franz




Stiamo parlando dunque di un libro composto da un Bolano giovane, o quasi, già arrivato in pianta stabile in Spagna, e che in quei periodi si era trasferito da Barcellona a Blanes. Sappiamo che aveva cominciato a scrivere senza sapere dove sarebbe andato a parare, e che in seguito avrebbe giurato di non accingersi mai più in vita sua, per nessun motivo, ad approcciare un lavoro di scrittura con quelle premesse. Tornando al giudizio impietoso del suo autore, Il Terzo Reich non è "una vera merda", nella maniera più assoluta. Al contrario, per buona parte sfiora il capolavoro…

…Terzo Reich è giustappunto un gioco, un wargame, che ripropone gli scenari della Seconda guerra mondiale e del quale Udo Berger, giovanotto tedesco in vacanza in un piccolo centro sulla Costa Brava in compagnia della sua bella fidanzata, è un profondo conoscitore. Come avviene nei romanzi di Dick, la cappa sonnacchiosa di questo luogo di villeggiatura si colora a poco a poco di un mistero indefinibile. Gli eventi ci vengono riferiti, in forma diaristica e non aliena da una certa pedanteria, da Udo in persona, il quale, anziché godersi il mare e l’amore, preferisce starsene chiuso in albergo a elaborare nuove strategie. L’immersione in questo mondo speculativo lo aliena dal mondo circostante rendendolo un narratore inaffidabile, per cui ci è impossibile stabilire in quale misura gli strani personaggi che entrano in scena siano reali o un parto della maniacale fantasia di Udo. Fatto sta che nel giro di poche pagine, senza quasi capire come, l’albergo ci appare come un luogo da fare invidia al sinistro Overlook Hotel di Shining…

dalla Germania


1) non solo le esportazioni cinesi rallentano, anche la Germania si sta impallando, e Moody’s la declassa, niente di strano.

se il resto del mondo si impoverisce, non è normale che i due più grandi esportatori del mondo comincino a girare a vuoto?

inutile avere industrie competitive e produrre merci perfette, se mancano i compratori.

ed è perfettamente inutile definire speculatori i normali investitori che operano con le regole di sempre: non è forse evidente che, se le borse crollano, i paesi vanno in default, le esportazioni languono, c’è meno ricchezza in giro e quindi i prezzi per la ricopertura di debiti a scadenza si fanno sempre più alti, alimentando a loro volta la crisi?

è la crisi classica, bellezze: non c’è nessuna congiura, pensarlo è paranoia; o meglio la congiura c’è stata quando gli stati si sono indebitati per consentire evasioni fiscali, corruzione, stipendi folli ai grandi manager e tutte le pazzie del liberismo selvaggio di qualche decennio di cui oggi ci tocca di pagare il prezzo.

semmai discutere CHI li deve pagare questi prezzi, ma non fare finta, per favore, che un prezzo non si debba pagare!

pagare tutti (tutti i paesi, intendo): anche la Germania? certo, perché loro no? pagheranno per ultimi, ma pagheranno forse più salato...


2) Una minoranza danneggia la maggioranza – e l’intero paese.

di Sigmar Gabriel, possibile candidato della SPD a cancelliere per le elezioni del 2013.

(la sua tesi principale è quella che sostengo da anni: “occorre che anche le banche possano fallire, senza che per questo crolli l’intera economia del paese”).

Vale come sempre: la maggioranza delle lavoratrici e dei lavoratori delle banche tedesche, europee ed internazionali fa un buon lavoro. Ma una minoranza di banchieri rischio quotidianamente col suo comportamento di portare danni giganteschi all’economia pubblica ed è responsabile di una massiccia perdita di credibilità dell’intero settore.
Ricostruire la fiducia nelle banche e nei mercati finanziari non è solo il compito della politica. I rispettabili ed onorevoli clienti, nel senso miglior del termine, di banche private, casse di risparmio e banche cooperative devono finalmente alzare forte e distinta la loro voce contro le “pecore nere” e fare le loro proposte per una regolamentazione: Noi tutti abbiamo bisogno delle banche e di una finanza efficiente. Ma se dobbiamo di nuovo fidarci delle banche, allora l’industria della finanza deve radicalmente cambiare.
Ma anche la politica è interrogata: in passato ha compiuto errori gravi – anche in Germania.  Tanto più importante che oggi finalmente si cambi direzione: non possiamo solo accusare e lamentarci, dobbiamo agire. Per questo i punti seguenti sono di particolare importanza...

lunedì 23 luglio 2012

Un amministratore racconta il dramma della nuova povertà - Sandro Medici


Aumenta la povertà. Cresce la disoccupazione. Diminuiscono salari e stipendi. Redditi familiari ai minimi storici. Record di cassa integrazione. La precarietà del lavoro dilaga. Le rilevazioni sulla condizione sociale nel nostro paese ormai si susseguono incalzanti: sempre più allarmanti, quasi disperanti. Tutte ci restituiscono un panorama dolente di un paese piegato e stremato. Un'opacità che induce alla rassegnazione e soffoca anche la speranza.
Sono gli effetti di una crisi economica che da tempo attraversa i continenti. Ma è anche la conseguenza di scelte sciagurate, agite per contrastare le ricadute finanziarie, che però si scaricano come un flagello sulla platea sociale. Un flagello che diventa pena e sofferenza, angoscia di una condizione materiale in cui si dibattono milioni di persone impoverite e tormentate da bisogni che niente e nessuno più può soddisfare perché lo stato sociale è in via di estinzione.
Anziane e anziani, adulti e perfino minori che si ritrovano sulla soglia della sopravvivenza e che quindi si rivolgono all'amministrazione pubblica per essere aiutati, trovando quest'ultima svuotata e disarmata. Chi perde il lavoro e chi non ce l'ha, chi chiude bottega, chi s'indebita con le banche, chi non riesce a pagare le tasse; chi viene sfrattato o è senzacasa, chi non può più pagare l'affitto o il mutuo o le utenze, la luce, il gas, il telefono; chi non ce la fa a tirare avanti con la sola pensione o chi resta solo e vive nell'abbandono; chi si dibatte tra esclusione e precarietà affettiva; chi scappa da abusi e violenze e non sa dove andare, cosa fare; chi ha bisogno (e diritto) a sussidi e assistenza perché disabile o anziano fragile o malato; chi vive in strada o clandestino o variamente labile, o inesorabilmente emarginato, respinto, derelitto...

Perché Monti ha fallito - Piero Bevilacqua


È possibile fare un breve e disincantato bilancio del governo Monti? La prima, avvilente constatazione, è che in quasi 9 mesi di "riforme" e di "vertici decisivi" la montagna del debito pubblico italiano non è stata neppure scalfita. Anzi si è fatta ancora più alta e imponente. Il debito ammontava a 1.897 miliardi di euro nel dicembre 2011, oggi è arrivato a. 1.966. Dunque, la ragione fondamentale della nostra condizione di rischio, la causa causarum delle nostre difficoltà presenti e future si è ulteriormente aggravata. Lo spread si mantiene elevato e torna sui 500 punti. Il Pil - questo vecchio totem delle società capitalistiche - è nel frattempo diminuito e diminuirà ancora. Scenderà di oltre il 2% nel 2012. Dicono gli esperti che si riprenderà nel 213. Ma per quale felice congiunzione degli astri non è dato sapere. Qui, infatti, la scienza economica si muta in astrologia, dà gli oroscopi. L'elenco dei disastri non è finito.

La disoccupazione è aumentata, quella giovanile in particolare. Per quella intellettuale in formazione il governo propone ora di aumentare le tasse universitarie, così potrà essere efficacemente ridotta... Una nuova tassa sulle famiglie italiane di cui occorrerebbe informare l'on. Casini, che ne è uno zelante difensore...

...Il governo Monti ha solo ritardato la discesa del paese nell'abisso per un comprensibile effetto psicologico. Oggi appare nella sua piena luce di «governo ideologico», come lo chiama Asor Rosa: esso è la malattia che vuol curare i sintomi, acuendo le cause che ne sono all'origine. E' l'ideologia che domina a Bruxelles. Lo abbiamo visto con la Grecia, lo stiamo osservando con la Spagna. Un medico che dovrebbe dare ossigeno al malato e continua a tagliare col bisturi. Prima il "risanamento" e poi la crescita è un vecchio ritornello, che oggi appare tragicamente fallimentare. La presente crisi, com'è noto ormai a molti, origina dalla sproporzione fra l'immensa ricchezza prodotta a livello mondiale e la ridotta capacità della domanda di attingerla.
Troppe merci a fronte di redditi popolari stagnanti e in ritirata, sostenuti con il surrogato dell'indebitamento familiare. La politica di austerità, dunque, rende più grave la crisi perché ne ripropone e alimenta le cause...

domenica 22 luglio 2012

Oratorio bizantino - Franco Arminio

un libro da leggere piano, fermandosi, riprendendolo, senza fretta.
denso, concreto e poetico insieme.
come non leggerlo? - franz



Quanti libri politici escono ogni mese in Italia? Cinque, dieci, cinquanta? Forse meno, forse di più. Di certo nessuno somiglia a questo libro scritto da Franco Arminio: Oratorio bizantino (Ediesse). Nessuno possiede la forza e la verità di parola del paesologo di Bisaccia, Irpinia d’Oriente. Lo scrive Franco Cassano, filosofo meridionale, osservatore acuto del nostro Sud, quando ci spiega nella sua prefazione come il poeta irpino si opponga alla “planetaria fornicazione dei mediocri”, quella che incrementa al Sud come al Nord il bottino privato, arraffando dal pubblico secondo i propri interessi personali e di gruppo. Di più, da questa fornicazione procede la politica attuale, una politica non-politica, che trasforma tutto in affare, in carriera e compromessi, che presenta come sano senso della realtà la tecnica della spartizione del bottino…


Lettera all’Irpinia
     Cara Irpinia
     Terra di nuvole e silenzio,
     Ti scrivo da una strada di Avellino che si chiama corso Europa, una strada dove sta iniziando il traffico della mattina. Si annuncia una bella giornata di sole, ma pochi dei tuoi figli se ne accorgeranno: si parlerà, parleremo anche oggi del frastuono che produciamo con le nostre frasi che stanno nell’aria e non si posano da nessuna parte. La politica è un polline che produce allergie, un polline sottile, invisibile, che entra dappertutto, nelle case, si posa sulle giacche, sulla testa, sulle ciglia.
     Tu, cara Irpinia, non vorresti che i tuoi figli ti squarciassero il ventre con nuove strade, non ti opprimessero il corpo con il peso di altri palazzi.
     Ti piace chi ara e semina, chi sa potare un albero, chi pianta una vigna. Ti piace chi legge, chi vive la sua vita in una quieta passione, guardando i figli che crescono, i genitori che muoiono. Guardare e aiutare. Commuoversi e aiutarsi. Essere dolci.
     Cara Irpinia, i tuoi figli ti hanno sempre combattuta e questo ha seminato nel loro sangue paura e diffidenza. Ma adesso c’è bisogno di amare l’epoca stracciata in cui ci troviamo, c’è bisogno di ricucirla giorno per giorno, ora per ora. È questa la rivoluzione a cui siamo chiamati. Ci vuole una tensione religiosa, un’adesione alla sacralità del reale.
     La politica in tutto il mondo e anche in questo angolo piccolo non dice alle creature del mondo di fermarsi, di raccogliersi e abbracciarsi, ma istiga a produrre nuove merci e a consumarle. Viviamo in un delirio in cui l’unica grande moneta che possediamo, la terra tonda, viene nascosta dai coriandoli prodotti dalle zecche di stato.
     Tra quelli che pretendono di curarti, cara Irpinia, ci sono persone di cui non abbiamo alcun bisogno, mestieranti della politica che vengono da un tempo in cui si pensava che il mondo voleva essere modernizzato. Invece il mondo voleva semplicemente fare il suo mestiere che è quello di essere un mistero, un mistero in cui girano per un poco, per un attimo tutte le nostre vite.
     Non ti chiediamo niente, cara Irpinia. Vogliamo solo farti compagnia, festeggiarti, lo facciamo anche per chi sta nelle spine di una malattia, anche per chi resta nel groviglio delle sue miserie spirituali.
     Quello che ci puoi dire tu, è che dobbiamo finalmente disubbidire alle nostre debolezze e alle nostre paure. Eccola la nostra politica, l’abbiamo trovata.
     Noi vogliamo andare dietro il paesaggio, vogliamo servirlo.
     Siamo noi, cara Irpinia, che continueremo ad amare ogni tuo angolo e non importa se non faremo abbastanza, se non saremo lucidi e composti.
     Saremo attenti, ti porteremo attenzione. Perché l’amore è attenzione, perché la politica è raccogliersi e pensare insieme a cosa vogliamo, a cosa possiamo diventare.

Desaparecidos, il Vaticano sapeva - Horacio Verbitsky


La politica dei “desaparecidos” che il dittatore Jorge Videla ha finito per ammettere con diverse dichiarazioni e in tribunale, era nota fin dal 10 aprile 1978 alla Commissione esecutiva della Chiesa cattolica che, però, si guardò bene dall’informare l’opinione pubblica. Tutto questo risulta da un documento rinvenuto nell’archivio della Conferenza episcopale.
Il documento porta il numero 10.949 e già il numero dà un’idea della quantità di informazioni sulle quali la Chiesa continua a mantenere il segreto. Il documento fu redatto a cura del Vaticano al termine di un pranzo con Videla ed è conservato nel fascicolo 24-II. Sono riuscito a visionare il documento in maniera surrettizia dopo che a una formale richiesta le autorità ecclesiastiche avevano risposto con la sorprendente affermazione secondo cui l’Episcopato non avrebbe archivi.
Quando incontrava esponenti della Chiesa cattolica, Videla parlava con la franchezza in uso tra amici. L’allora presidente dell’Episcopato, il cardinale Raul Francisco Primatesta, comunicò all’Assemblea Plenaria che lui e i suoi due vicepresidenti, l’arcivescovo Vicente Zazpe e il cardinale Juan Aramburu, avevano parlato a Videla dei casi di prigionieri apparentemente rimessi in libertà, ma in realtà assassinati, si erano interessati dei sacerdoti desaparecidos, quali Pablo Gazzarri, Carlos Bustos e Mauricio Silva, e di altre persone scomparse nei giorni precedenti all’incontro con Videla. Secondo il documento episcopale “il presidente ha risposto che apparentemente sarebbe ovvio affermare che sono già morti; si tratterebbe di varcare una linea di demarcazione: questi sono scomparsi, non ci sono più. Questo sarebbe il più chiaro, comunque ci porta a una serie di considerazioni in ordine a dove sono stati sepolti: in una fossa comune? E in tal caso chi li avrebbe sepolti in questa fossa? Una serie di domande alle quali le autorità di governo non possono rispondere sinceramente in quanto la cosa coinvolge diverse persone”, un eufemismo per alludere a coloro che avevano svolto il lavoro sporco di sequestrarli, torturarli, ucciderli e fare sparire le spoglie. L’atteggiamento del clero aveva sfumature sottili. Zazpe chiese: “Cosa rispondiamo alla gente visto che c’è un fondamento di verità in quanto sospettano?”. E Videla “ammise che era vero”. Aramburu spiegò che “il problema è di rispondere in modo che la gente non continui a chiedere spiegazioni”…

sabato 21 luglio 2012

pentimenti

...«Pesanti difficoltà nelle crisi europee erano state identificate con largo anticipo, ma sono state occultate», scrive l'economista pentito Doyle, che è stato a capo della divisione dell'Fmi che si occupa di Israele, Svezia e Danimarca. «I fattori che hanno portato a questi fallimenti nella sorveglianza europea (avversione al rischio analitico, priorità al rapporto bilaterale e pregiudizi nei confronti dell'Europa) - continua l'economista - stanno diventando più profondamente radicati, nonostante le iniziative che pretendono di limitarli». 
Questi problemi sarebbero assolutamente evidenti nella nomina dei direttori del Fondo che, nell'ultimo decennio, «sono stati con tutta evidenza disastrosi» per Doyle. Anche l'attuale direttore Lagarde sarebbe «contaminato», secondo l'economista, «siccome né la sua integrità e il suo stile possono compensare la fondamentale illegittimità del processo di selezione»...
da qui



El veterano economista del consejo ejecutivo del Fondo Monetario Internacional (FMI)Peter Doyle presentó este miércoles su dimisión en cuya carta critica el "fracaso de primera categoría" de la gestión de la crisis económica global y la "incompetencia" del Fondo. Es más, Doyle, que ha trabajado durante 20 años en el FMI, dice estar "avergonzado" por su vinculación a la entidad.
En una carta obtenida por la cadena norteamericana CNN, Doyle comienza: "Después de 20 años de servicio, estoy avergonzado de tener cualquier tipo de asociación con el Fondo en todas las maneras". Así, introduce una carta en la que reitera sus críticas al FMI por su actuación en el actual contexto de crisis económica.
"Esto no es solo por la incompetencia" del organismo, "también por las notables dificultades en estas crisis que, como en otras, fueron identificadas bien de antemano pero suprimidas después", afirma Doyle, certificando que el FMI ha eliminado información...

venerdì 20 luglio 2012

Mario Benedetti – Grazie per il fuoco (Gracias por el fuego)

Mario Benedetti ha scritto un romanzo formidabile (allo stesso livello de "La tregua"), ti tiene attaccato alla pagina e Ramòn ti sembrerà di averlo già incontrato, magari allo specchio.
fatevi del bene, leggetelo - franz



Publicada en nueve idiomas, prohibida largamente por la censura argentina y, tras el golpe de 1973, también por la uruguaya, esta tercera novela de Mario Benedetti (posterior a `Quien de nosotros ` y `La tregua`) narra el conflicto de una generación que quiso acabar con la corrupción y el conformismo. `Gracias por el fuego` es una historia de ignominia y de muerte, a la vez que la crónica de una impotencia colectiva y, más aproximadamente, el inventario de una crisis moral.

Signore e signori, come dice J.Saramago, siamo di fronte ad un romanziere estremamente Umano. Ferocemente Umano. "Grazie per il fuoco", scritto nel 1965, è un nero ritratto di un paese corrotto, marcio e stanco: l'Uruguay di allora ricorda molto da vicino l'Italia di oggi. Dostoevskij in "Delitto e castigo" chiese al mondo se fosse giusto uccidere una persona abietta, crudele e amorale. Mario Benedetti risponde di sì. Edmundo Budino è ricco, potente, detestabile, corruttore di anime: anche qui il parallelo è molto facile. E' giusto sbarazzarsi di persone pericolose come il Notabile, il Vecchio, come l'autore chiama Budino. Perché certe persone sono velenose, corruttrici fino al midollo: le loro parole, persino i loro sorrisi sono funesti. Da certe persone non ci si può aspettare nulla di buono. Per questo il figlio, Ramòn, decide che è giunto il momento di ammazzarlo. Per liberare un intero paese da un cancro pericoloso, che con i suoi tentacoli corrompe e ricatta la parte peggiore di ogni cittadino. Questa è l'arma di questi infami: siamo tutti uguali, ognuno di noi ha i suoi scheletri nell'armadio, nessuno può dirsi puro e innocente. Forse in parte è vero, ma alla fine, comunque vada, c'è sempre qualcuno che alza la testa, magari un popolo intero. Un libro bellissimo, che unisce una prosa elegante a riflessioni "vitali" e mai banali.

Porque te tengo y no 
porque te pienso 
porque la noche está de ojos abiertos 
porque la noche pasa y digo amor 
porque has venido a recoger tu imagen 
y eres mejor que todas tus imágenes 
porque eres linda desde el pie hasta el alma 
porque eres buena desde el alma a mí 
porque te escondes dulce en el orgullo 
pequeña y dulce 
corazón coraza 

porque eres mía 
porque no eres mía 
porque te miro y muero 
y peor que muero 
si no te miro amor 
si no te miro 

porque tú siempre existes dondequiera 
pero existes mejor donde te quiero 
porque tu boca es sangre 
y tienes frío 
tengo que amarte amor 
tengo que amarte 
aunque esta herida duela como dos 
aunque te busque y no te encuentre 
y aunque 
la noche pase y yo te tenga 
y no.

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lunedì 16 luglio 2012

Cancellazione - Percival Everett

un libro formidabile, ricco, profondo e leggibile.
io me lo leggerei, se non l'avessi appena letto, Percival Everett è un fuoriclasse - franz



E allora Thelonius, di getto, s'inventa di sana pianta il ghetto e lo racconta. E siccome Thelonius (come del resto lo scrittore del quale stiamo parlando) è un grande scrittore, ecco che la sua rabbiosa parodia della letteratura trash, scritta in un accesso di furore, diventa un caso letterario. Il più sconvolgente romanzo-verità della storia della letteratura americana. Titolo: CAZZO! Ma che si può chiedere di più a un best-seller? Peccato che, da qualche parte, anche nelle pieghe ciniche dello show business, esista qualcosa di simile alla buona, cara vecchia coscienza… Prima assoluta per l'Italia (ma in Francia è giù cult) di uno scrittore cinquantenne originario della Georgia che da anni vive in California e si intende di composizione musicale e di pesca con la mosca. Un romanzo graffiante, cattivo, sorprendente: fra l'altro il (finto) best-seller è davvero un bel pezzo di scrittura!

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Provate a immaginare uno scrittore nero e benestante che – invece di scrivere storie farcite di slang ambientate nel ghetto – si dedica a riscritture postmoderne di classici greci. Un giorno, a corto di soldi e inviperito per l’ennesimo successo televisivamente corretto del romanzo nero sottoproletario e sboccato, decide di scrivere una parodia in quello stile, intitolandola Cazzo (la parola più ricorrente). Provate a immaginare lo scrittore che propone al proprio esterrefatto agente di venderlo agli editori come l’esplosivo esordio di un ex galeotto nigger incazzato e l’ulteriore stupore dell’agente quando il romanzo riceve un’offerta milionaria e balza in cima alle vendite, finendo in corsa al premio letterario dove in giuria si trova proprio il Nostro. Sarà dura convincere i giurati che quella è una porcata scritta in un fine settimana per mostrare come, alla narrativa afro-americana, sia necessaria una cancellazione, opposta e complementare all’invisibilità dell’uomo di Ralph Ellison.

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…l'arma in più di Cancellazione, l'ingrediente che lo rende un romanzo atipico eppure paradigmatico nella produzione di Percival Everett è la saga familiare quasi soap che percorre l'intero plot: lutto, malattie, rancori e persino un grande segreto – che non riveliamo - nascosto in una scatola piena di lettere che il padre del protagonista ha chiesto di distruggere (ma che probabilmente voleva fossero lette), e che la madre ha dimenticato di bruciare a causa dell'Alzheimer (ma forse ha coscientemente deciso di far arrivare ai figli). Un libro ricchissimo e colto ma facilissimo da leggere, un manifesto contro la banalità ma senza freddezza, senza rinunciare ai sentimenti. Puro, scintillante, complicato, emozionante jazz.

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domenica 15 luglio 2012

Dakota delle bianche dimore - Philip Ridley


Philip Ridley ti cattura senza pietà.
anche Dakota è una ragazzina che vive in un mondo in rovina e riesce a trovare la sua strada, un po' investigatrice un po' sognatrice.
fino alla fine non ti fermi, bello - franz




…Fin dalla sua prima apparizione in Italia con lo splendido Dakota delle Bianche Dimore, l’autore inglese ci ha abituato a periferie degradate, a palazzoni sbrecciati, a giardinetti striminziti e sepolti dal cemento o dai rifiuti.
Eppure a ben vedere solo raramente la città compare nelle sue storie come entità complessiva: si tratta piuttosto di piccole porzioni, di microcosmi, di schegge metropolitane impazzite, che via via si incarnano in poche case, in singole strade, in quartieri residenziali, in centri commerciali. Simile scelta si deve anche al desiderio di costruire ambienti a misura di ragazzini, ancora non pienamente in possesso di una ampia topografia e colti proprio nel momento di un progressivo allargamento del proprio raggio di azione. Buttarsi a capofitto nella forma indistinta della metropoli potrebbe addirittura essere annichilente se non si è pronti ad affrontare la quantità di percezioni simultanee di colori, luci, odori, movimenti, volti

E' un giallo intricato, ma facilmente risolvibile da una mente allenata che abbia un minimo di fantasia. L'autore fa ridere, ma allo stesso tempo emozionare e spaventare il lettore, ed e' riuscito a mettere in evidenza alcuni aspetti della vita molto importanti come, ad esempio, la buona volontà, che caratterizza quasi tutti i personaggi.Questi, senza mai scoraggiarsi, cercano una soluzione a ogni domanda, lasciandone anche una irrisolta a cui dovrete dare voi la risposta. Il libro e' caratterizzato da due temi principali: quello del raggiungimento degli ideali da parte di chiunque, anche di un "poveraccio", e quello della solitudine che ogni personaggio ha in diverse quantità, ma che on vorrebbe avere. C'e' chi e' considerato un povero pazzo, chi un sognatore o uno stupido, chi una persona "diversa", ma nessuno pensa che, se sono così, e' solo colpa di coloro che li hanno abbandonati. Spero di essere riuscito a convincere qualcuno a questa lettura, e consiglio a chi l'abbia già letto e lasciato a metà, di cominciarlo con occhi diversi…

venerdì 13 luglio 2012

L'autobus di Grillo - Ilvo Diamanti

Il M5S è un autobus. Di misura variabile. Con percorso variabile. Da alcuni mesi, è in crescita costante. Si è allungato. I passeggeri sono aumentati di numero. Rapidamente. Fra marzo e aprile: sono quasi raddoppiati. Poi, da maggio, si sono moltiplicati. 

All'inizio eravamo in pochi. Perlopiù giovani-adulti come me. Che ho quasi quarant'anni. Sono di Bologna. Di sinistra. Senza partito. 

Viaggiare ci piace. Utilizzavamo l'Autobus per raggiungere le località dei Beni Comuni. La Collina dell'Acqua Pubblica, Borgo Ambiente, la Valle dello Sviluppo Sostenibile. Non avevamo problemi di collegamento. Perché siamo sempre connessi. Alla Rete. 

Negli ultimi mesi, si sono aggiunti in tanti. Sempre di più. Sparsi e spersi. Decisi a fuggire dai monti. O meglio: da Monti e dalla regione del Montismo. Sono saliti nell'Autobus M5S. Molti abitanti del Paese Democratico (PD) che non sopportano la coabitazione con quelli del Paese della (cosiddetta) Libertà (PdL). Né l'eccessiva familiarità con l'Unione del Centro (UdC). Una provincia piccola, alla congiunzione fra il PD e il PdL. Sospesa  e incerta fra gli altri due Paesi. Molti abitanti del PD e dei Territori alla sua Sinistra non sopportano la promiscuità, con i nemici di sempre. Dopo anni e anni di conflitti, trovarsi tutti insieme, riuniti intorno al nuovo Governatore. Mario Monti. Alla nuova Confederazione: il Montismo. Inaccettabile e intollerabile. Così hanno approfittato del passaggio dell'Autobus M5S. Guidato da un autista esperto e fumantino. Beppe Grillo. Abile a cercare nuovi itinerari e nuove stazioni. E sono saliti. Seguiti da molti altri. A Genova, Parma, Mira. Comacchio. In molte città: grandi, medie, piccole e piccolissime. Del Nord e del Centro. Dove, di volta in volta, si sono aggiunti nuovi passeggeri. In fuga da altri territori. Dalla Padania, scossa da scandali e conflitti. La Terra dell'Indipendenza da Roma Ladrona. Diventata simile a Roma. Meglio andarsene altrove. Lontano. Sull'Autobus di Grillo. Che, nel corso del viaggio, ha raccolto anche molti passeggeri in fuga dal PdL. Il Paese della Libertà: un popolo senza sovrani e senza guida. Incapaci di stare con gli abitanti del PD. Un residuo dell'URSS. Stalinista. Così nell'Autobus di Grillo sono saliti insieme gli insofferenti del PD e del PdL. Paradossalmente: per ostilità reciproca. Uniti dal risentimento verso i vecchi e i nuovi sovrani. Berlusconi, Bersani, Casini. E Bossi. Ma anche Di Pietro, Maroni, Vendola. Ma soprattutto, Monti. Tecnico, Professore. Un Potere Forte. Al servizio dei Poteri Forti del Nuovo Mondo senza Frontiere. L'Euro. Il Mercato. 

Meglio partire. Insieme ad altri, disposti a intraprendere questo viaggio, verso non-si-sa-dove. Verso il Paese che -ancora - non c'è. Meglio viaggiare, andarsene, fuggire. Da un'altra parte. Dove: non importa...

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mercoledì 11 luglio 2012

Il vecchio pozzo - Magda Szabó

il mondo dell'infanzia di Magda, con le sue parole e i suoi ricordi.
un mondo magico, per molti, se si ricordano.
un libro da leggere lentamente, col dispiacere che finisca - franz





In quel pozzo esiste il meraviglioso mondo capovolto dell’infanzia felice e perduta, trasformata poi nel mondo interiore da cui scaturiscono le invenzioni poetiche e narrative della futura scrittrice. E ci sono i genitori, a loro volta scrittori “mancati”, c’è la città ungherese di Debrecen, con la sua bellezza scintillante della primavera e delle feste di Natale, gli animali amati (soprattutto i gatti), i parenti, i giochi, la scuola. Dal pozzo, quando Magda ritorna alla vecchia casa ormai adulta e carica di una vita difficile, saltano fuori tutte queste meraviglie e danno vita ad un nuovo romanzo. Non deve essere stato difficile alla bimba che viveva in quella casa pensare di diventare un giorno una scrittrice, come dimostra la scena rappresentata nelle prime pagine del “Vecchio pozzo”, che spiega come i genitori, , passano le serate a inventare fiabe mirabolanti insieme alla loro figlioletta, la quale partecipa attivamente alla creazione di questi mondi magici, perché , scrive la Szabo’, e da autentici , madre, padre e figlia passano le ore a inventare mostri giganteschi presto debellati, nuvole acchiappate con un semplice fischio, invenzioni strampalate e persino un tantino preveggenti, regni stabiliti in isole remote, dove l’erede al trono assomiglia immancabilmente a Ifi, il gatto di casa.

Questo è dunque, rispetto agli altri, un libro (del 1970, tradotto ora in italiano) di memorie reali ma raccontate con la forza narrativa di una grande romanziera. Uno poi magari vi ritrova singolari consonanze con la propria esperienza: “chiunque ripensi ai giochi della propria infanzia ricorda quanto poco importante fosse appesantire la fantasia con elementi esteriori, bastava sedersi tra le quattro gambe all’aria del tavolo capovolto, immaginando di essere in un mare in tempesta, e solo un folle non avrebbe visto che le onde intorno…( chi mai non ha rovesciato sedie e tavoli per farne vascelli?). Su un tessuto commovente di episodi, affetti, sogni e timori si innestano memorie più profonde, come nell’ammirazione per il realismo buono della mamma: “la sua leggerezza nel sopportare l’esistenza, l’incrollabile serenità che manteneva in ogni circostanza, la gioia che mostrava assaporando la bellezza prodigiosa elargita spontaneamente dal mondo – la pioggia, un albero, un libro, una serratura insolita, i quadri appesi al museo, un fungo… - erano una specie di miracolo divino”…

venerdì 6 luglio 2012

Pavlov o del borseggiatore


Sul sito del MIUR è apparso il 5 luglio un comunicato/articolo intitolato Il cane di Pavlov, nel quale il ministro Profumo, o chi per lui, con ironia e severità, se la prende con chi pensa che tra il fatto di togliere 200 milioni all’istruzione pubblica e il fatto di dare 200 milioni alle scuole paritarie ci sia un qualche legame.
A me ricorda la storia di un borseggiatore, smemorato, ma gentiluomo, diceva di se stesso, che, dopo aver “prelevato” il portafoglio, per prima cosa faceva sparire i documenti, le carte, lasciava solo i contanti.
Dopo qualche giorno “ritrovava” il portafoglio, e dopo aver concluso, in buona fede, che non aveva gli elementi per poterlo restituire, si trovava con dei soldi da spendere, ma la decisione di spesa era di qualche tempo prima.


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giovedì 5 luglio 2012

nel sogno di un’altra politica - Franco Arminio

Si parla della crisi, senza il coraggio di dire cos’è in crisi. I partiti vogliono uscire dalla crisi con la crescita. Sembra una cosa ovvia e invece è una scelta molto complicata. Bisogna crescere per mantenere un certo tenore di vita. I governi ragionano come se fossero individui. La politica si sta riducendo sempre più alla manutenzione dell’egoismo. Ho molti amici di sinistra a cui parlare della necessità di inumare il capitalismo pare una follia. Quello che una volta era il conflitto di classe adesso è diventata la guerra delle vanità contrapposte: si preferisce contestare il vicino di casa, si preferisce parlare male delle persone che abbiamo intorno, piuttosto che organizzare la lotta ai padroni del mondo. Questi padroni a volte vanno in disgrazia, vedi Berlusconi, e la sinistra non sa approfittarne per provare a costruire una democrazia senza padroni.
Il capitalismo è intimamente morto, ma prima di morire ha stordito anche la sinistra. E allora ci troviamo in una stagione con gli occhi chiusi. E l’occidente sta diventano una macchina della decomposizione. Una macchina che mostrando ogni giorno i suo effetti ha il potere di far pensare che non c’è spazio per nient’altro. E invece bisogna dire ogni giorno che la felicità e il capitalismo sono forze antitetiche. I mercati finanziari non contano più dei mercati rionali; un ragazzo che si iscrive all’università dovrebbe prima frequentare una bottega per imparare a fare qualcosa con le mani; ci vorrebbe un reddito di cittadinanza garantito per tutti, ma più alto per chi vive nei paesi; i giovani che ne fanno richiesta dovrebbero poter disporre di un pezzo di terra. Alle prossime elezioni ci vorrebbe un partito che facesse proposte di questo tipo. Un partito che candidi non chi sa parlare, ma chi sa guardare...

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Pertini in Irpinia nel 1980

dice Giovanni Iozzoli

...Napolitano è andato in quei posti e l’hanno pure fischiato, un oltraggio al rinomato civismo della zona. E anche a sentire stà notizia, si riattizzano i ricordi e il gioco impietoso delle differenze. Anche il vecchio Pertini si prese maleparole e insulti quando arrivò tra le macerie irpine…Pianse e passò alla storia per la sua sfuriata a reti unificate, trasmessa anche dalla compassata BBC. A quell’epoca Napolitano era il cinquantenne capo dei nascenti miglioristi e lavorava nell’ombra per segare la sedia a Berlinguer. Per che cosa passerà alla storia, Napolitano? Per il pareggio di bilancio inserito in Costituzione?...
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mercoledì 4 luglio 2012

Il cammino degli infermi - Franco Arminio


Prima si camminava, adesso si telefona o si vaga nella rete. Nella civiltà contadina per vivere bisognava camminare molte ore al giorno. Al mio paese il fazzoletto di terra, che poi era un fazzoletto di pietre, poteva distare anche dieci chilometri. E in un giorno se ne facevano venti, insieme al mulo e alla zappa.
L’Italia negli ultimi anni si è letteralmente fermata. Chi non è fermo davanti alla televisione, è fermo davanti al computer o è dentro un’automobile. Si vedono sul ciglio delle strade solo gli stranieri. Qualche giorno fa ho incontrato una badante che ogni giorno fa cinque chilometri a piedi per spostarsi dal letto dove dorme al letto dove accudisce un’anziana.
Pure io cammino poco ultimamente. Potrei accampare la scusa di una lesione al menisco, ma il motivo vero è che al mio paese non c’è più nessun motivo per camminare. Non ho un fazzoletto di terra da raggiungere, non c’è più nessuno con cui passeggiare. Quando esco in piazza trovo i miliziani del rancore. Qualche spirito più lieve ha ormai da tempo rinunciato a uscire. I ragazzi non amano le vasche, stazionano davanti al bar e si spostano solo per approdare davanti alla sala giochi. I ragazzi non passeggerebbero mai con un cinquantenne.
Per camminare non mi resta che prendere la macchina fotografica e farmi un giro lontano dalla piazza, nel museo delle porte chiuse che è diventato il mio paese. Non sono camminate che fanno bene. Quando torno a casa mi sento peggio di prima. E mi metto davanti al computer a scrivere. Scrivo seduto sul divano, col computer sulle gambe. È una postura che mi consente di rimanere davanti allo schermo anche per sei ore, ma è una postura micidiale. Fra poco girare il collo o piegare la schiena saranno operazioni complicate...

ricordo di Berlinguer - Salvatore Mannuzzu


Enrico Berlinguer aveva formulato la sua proposta politica di austerità nel gennaio 1977: quando già la cultura dello spreco prendeva piede, poco avvertita, la nostra nazionale orchestrina Titanic cominciava a suonare e il disastro, verso il quale scivolavamo dolcemente, era anche politico – o addirittura antropologico. Sicché quella proposta risultava certo tempestiva, perché non esisteva altro rimedio a quanto ci stava capitando e poi si sarebbe aggravato; ma insieme era una proposta controtempo, rappresentando l’opposto di quello che noi – sempre più viziati dai consumi – ormai chiedevamo dalla vita. Quando dico noi intendo tutti: anche le masse che votavano comunista; anche le schiere di compagni che dalle periferie al centro erano le strutture portanti e attive del partito, dentro le sezioni, i comitati cittadini, federali, regionali – e oltre: fino ai vertici.
Berlinguer allora fece la sua parte di leader che riesce a leggere la verità della storia, nell’essere e nel divenire; e il conflitto fra quella sua parte di leader, dalla vista troppo acuta e lunga, con lo spirito dei tempi e persino con l’anima del partito – come stava mutando, fino a perdersi – era un rischio professionale. Era un prezzo da pagare secondo le logiche, rettamente intese, del mestiere di guida politica; ma un prezzo assai alto, giacché poteva coincidere col destino minoritario del profeta. E ai profeti capita spesso di non essere compresi (anzi Gerusalemme li lapida e li crocefigge).
Berlinguer però non faceva di mestiere il profeta. Non era un impolitico e disarmato profeta: era invece il segretario nazionale del Pci. Sulla via politica dell’austerità doveva portare il suo partito e l’intero suo paese; se possibile dentro dinamiche internazionali congrue. E il cammino non era breve né poco accidentato: sono operazioni che hanno bisogno di tempo.
Questo tempo Berlinguer non lo ebbe, lo sappiamo. La partita era in corso quando lui uscì dalla gara per un ictus. Dunque nessuno può parlare d’un suo fallimento. Anche se poi avere successo in quell’impresa, sia pure nei modi incompleti e contaminati del possibile, era davvero arduo: dato che la necessità vitale dell’austerità veniva proprio dall’opposta piega delle inclinazioni collettive e degli approdi reali. L’esperienza di quegli anni dice che la proposta si scontrò con un’udienza refrattaria anche dentro il partito. Dove restava ancora un’abitudine alla disciplina, o addirittura al conformismo; ma le quotidiane lusinghe consumistiche già si mescolavano alle identità, nell’ascolto di mille sirene congeniali, specialmente mediatiche: ed erano ovviamente lusinghe molto forti...

martedì 3 luglio 2012

Il Padre fantasma - Barry Gifford

i ricordi di un padre nelle parole del figlio ragazzino. 
non importa se il padre è un delinquente, per il bambino è un mito.
e la lettura merita - franz 



Un padre fantasma. Un padre assente. Un padre di cui si raccontano brandelli di vita che sembrano piccole leggende. Forse è stato un gangster. Probabilmente un uomo che ha commesso qualcosa di nascosto, di irriferibile. Con la passione sincera di un ragazzo che vuole conoscere le sue origini, Gifford ricostruisce la storia della sua famiglia e della Chicago degli anni Cinquanta e Sessanta.

L'oblio che saremo - Héctor Abad Faciolince


Hermann Kafka avrebbe dato tutto perché il figlio avesse scritto di lui come fa Héctor col padre. Un amore così non lo leggi quasi mai, è più che commovente, emoziona nel profondo, ti riempie così tanto che dormire mica è facile, come dice anche Manuel Rivas. - franz



Fra gli autori che il festival di Mantova ci consentirà di scoprire Héctor Abad Faciolince merita la speciale attenzione che si riserva agli idealisti. Non che lo scrittore colombiano si sia rivelato per il tramite di dichiarazioni o proclami - la sua maturità letteraria è sufficiente a tenerlo lontano da simili ingenuità - ma tra le righe del suo ultimo libro, l'Oblio che saremo (Einaudi), tutto parla di un uomo profondamente attratto da ideali civili e politici, che la vita gli ha consentito di incontrare, innanzi tutto, nella figura del padre, al quale il suo memoir è dedicato.
Sono dovuti passare quasi vent'anni prima che Héctor Abad fosse capace di tenere a bada la commozione e raccontare la meravigliosa storia di Abad Gómez, assassinato nel 1987 da un gruppo di paramilitari colombiani per quella sua condotta di vita che in giovinezza gli aveva guadagnato la fama di «marxista più incallito della città». In realtà, non aveva mai letto Marx e confondeva Engels con Hegel, ma tra le sue ossessioni aveva quella di portare l'acqua potabile nei quartieri più poveri, e assicurare una degna assistenza sanitaria per tutti, lui che era medico e rinunciò all'incarico che gli avevano proposto al Ministero della Salute per non rendersi complice di un regime reazionario responsabile del massacro di quattrocentomila attivisti dell'estrema sinistra, alla fine degli anni '80…

A principios de este año, en Colombia, me interesé por una obra tituladaTratado de culinaria para mujeres tristes, pero la librera deslizó en mis manos otro libro diferente. No era triste, la librera, aunque sí de ojos muy grandes, de una sensualidad kafkiana, con su río Moldava y todo. "Mejor lea ahora éste, del mismo autor". Y lo tomé como una orden fraternal y clandestina. Una cosa es que te recomienden un libro y otra que te lo deslicen. Un libro deslizado pesa lo que una implicación. Emite un rumor. Se agita en la bolsa como un verderón inmigrante, de los que se guían por la polar, atrapado en el día. No sé si un libro puede cambiar la vida, pero sí que puede alterar tu reloj biológico. El olvido que seremos, de Héctor Abad Faciolince, me mantuvo en vigilia toda la noche. Habría que hacer un canon de los libros que no te dejan dormir…

ripropongo una bellissima poesia di Hector Gagliardi, "El padre", che parla dell'amore del padre


lunedì 2 luglio 2012

Beethoven tra le vacche - Rukun Advani

Beethoven è il collante delle storie di due fratelli, con episodi a volte divertenti, a volte tristi (l'orso), a volte bisogna sapere molto dell'India per capire di più.
di sicuro è un'evasione dai soliti libri - franz




Un giorno d'inverno nell'anno in cui la Cina invade l'India, una vacca ben poco sacra batte alla porta della casa di due fratelli, i protagonisti del libro. Trent'anni dopo, gli stessi due fratelli attraversano l'India per andare a visitare il Taj Mahal, ma il loro viaggio viene interrotto da un'altra vacca. Tra questi due episodi i fratelli si inventano con la fantasia un'India molto particolare, insolita, lontana dall'iconografia consueta e dai luoghi comuni.
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domenica 1 luglio 2012

intanto in Mexico hanno votato


Avvocato, 45 anni, ex governatore dello Stato di Mexico, cinque figli, vicino all'Opus Dei e candidato, oltre che del Pri, di Televisa, il maggior network tv del paese, Enrique Peña Nieto è il nuovo presidente del Messico.

Secondo le stime preliminari dell'Istituto federale elettorale, l'uomo che è riuscito a riportare al potere dopo 12 anni d'opposizione il vecchio Partito Rivoluzionario Istituzionale (Pri), che governò il paese per 71 anni di seguito (1929-2000) guadagnandosi la definizione di "dittatura perfetta" (il copyright è di Mario Vargas Llosa), ha ottenuto circa il 38% dei voti. Staccato al secondo posto il candidato della sinistra (Prd) Andrés Manuel Lopez Obrador, già battuto sei anni fa da Calderòn, che ha avuto circa il 31% dei voti. Al terzo posto la candidata del governo uscente, quello del Pan di Calderòn, Josefina Vázquez Mota poco oltre il 25%...

…Finché intrattenimento e informazione in Messico saranno monopolio di Televisa (e del suo gemello Tv Azteca) non sarà possibile un’evoluzione democratica delle mentalità. Da anni, quotidianamente, goccia a goccia, Televisa costruisce senza contraddittorio la propria idea di modernità neoliberale, i propri valori oggi incarnati da Peña Nieto, e demolisce con l’infamia di una quotidiana calunnia la candidatura progressista di Andrés Manuel López Obrador, AMLO che, come sei anni fa, ha battuto palmo a palmo il grande paese a parlare di un altro Messico possibile venendo costantemente ignorato dai media ufficiali che preferivano disegnare una plebiscitaria cavalcata solitaria del candidato priista piuttosto che la sfida democratica tra due diverse idee di paese.
Per anni Televisa ha continuato a presentare AMLO come un pericoloso sovversivo in un Messico avviato verso la pace e la ricchezza della modernità neoliberale, oppure come un velleitario incapace di avvicinare nei sondaggi il principe ereditario, la figlia adolescente del quale apostrofa i critici del padre con un rivelatore: “sono solo dei proletari”. In un contesto così civilmente triste Peña Nieto si avvierà a trionfare e da domani cominceremo a riparlare di brogli, anche come succedaneo a spiegazioni più profonde e necessarie. Come nell’88, quando Cuauhtémoc Cárdenas fu privato di una vittoria sicura, come nel 2006 con AMLO, come sempre in questo Messico che fa male.

Clovis Trouille




"E 'vero che non ho mai lavorato per ottenere un gran premio ad una qualsivoglia Biennale di Venezia, ma piuttosto per meritarmi dieci anni di galera e questo mi sembra più interessante."

"Sono sempre stato contro l'impostura delle religioni. E'dipingendo la cattedrale di Amiens che ho preso coscienza di tutti i music-hall?”