lunedì 23 luglio 2012

Un amministratore racconta il dramma della nuova povertà - Sandro Medici


Aumenta la povertà. Cresce la disoccupazione. Diminuiscono salari e stipendi. Redditi familiari ai minimi storici. Record di cassa integrazione. La precarietà del lavoro dilaga. Le rilevazioni sulla condizione sociale nel nostro paese ormai si susseguono incalzanti: sempre più allarmanti, quasi disperanti. Tutte ci restituiscono un panorama dolente di un paese piegato e stremato. Un'opacità che induce alla rassegnazione e soffoca anche la speranza.
Sono gli effetti di una crisi economica che da tempo attraversa i continenti. Ma è anche la conseguenza di scelte sciagurate, agite per contrastare le ricadute finanziarie, che però si scaricano come un flagello sulla platea sociale. Un flagello che diventa pena e sofferenza, angoscia di una condizione materiale in cui si dibattono milioni di persone impoverite e tormentate da bisogni che niente e nessuno più può soddisfare perché lo stato sociale è in via di estinzione.
Anziane e anziani, adulti e perfino minori che si ritrovano sulla soglia della sopravvivenza e che quindi si rivolgono all'amministrazione pubblica per essere aiutati, trovando quest'ultima svuotata e disarmata. Chi perde il lavoro e chi non ce l'ha, chi chiude bottega, chi s'indebita con le banche, chi non riesce a pagare le tasse; chi viene sfrattato o è senzacasa, chi non può più pagare l'affitto o il mutuo o le utenze, la luce, il gas, il telefono; chi non ce la fa a tirare avanti con la sola pensione o chi resta solo e vive nell'abbandono; chi si dibatte tra esclusione e precarietà affettiva; chi scappa da abusi e violenze e non sa dove andare, cosa fare; chi ha bisogno (e diritto) a sussidi e assistenza perché disabile o anziano fragile o malato; chi vive in strada o clandestino o variamente labile, o inesorabilmente emarginato, respinto, derelitto...

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