domenica 31 maggio 2015

Articolo 9 (Competenze del dirigente scolastico): traduzione

sull'articolo 9 ddl sulla scuola (qui) approvato dalla Camera il 20 maggio 2015:

(si conferma che i commi citati sono stati approvati dalla Camera della Repubblica Italiana, non sono nei codici di Hammurabi, e neanche nei decreti feudali del Sacro Romano Impero)

comma 2:
(Il dirigente scolastico può utilizzare i docenti in classi di concorso diverse da quelle per le quali sono abilitati, purché posseggano titoli di studio validi per l'insegnamento della disciplina e percorsi formativi e competenze professionali coerenti con gli insegnamenti da impartire)
Non essendo vietato, sarà possibile che il sig. Trota, nome di fantasia, si laurei, a distanza, in Albania, faccia un master, online, in Kosovo, e possa essere chiamato a insegnare in una scuola;
l’abilitazione, anche se non più necessaria, potrà prenderla alla prestigiosa università di Tripoli.

comma 4:
(Nel conferire gli incarichi, il dirigente scolastico è tenuto a dichiarare l'assenza di cause di incompatibilità derivanti da rapporti di parentela o affinità, entro il secondo grado, con i docenti iscritti nel relativo ambito territoriale)
Sarà sempre possibile l’incrocio, un dirigente assume, coniuge, figli, e anche amante, per non scontentare, nessuno, di un altro dirigente, che non potrà non restituirgli il piacere.
E che dire delle telefonate dell’amico e del potente di turno, per assumere un protetto?
Chi avrà le palle per dire di no?

comma 5:
(L'ufficio scolastico regionale provvede alle assegnazioni nei confronti dei docenti che non abbiano ricevuto o accettato proposte e comunque in caso di inerzia del dirigente scolastico)
Gli scarti umani verranno rottamati nelle discariche dei dirigenti inerti, la cui funzione è accogliere i rifiuti.
Naturalmente tutti i nomi saranno resi pubblici, ecco la trasparenza del ciclo dei rifiuti (umani).


intanto si é aperta la discussione fra i giuristi democratici se lo jus primae noctis triennale è sottinteso, e già previsto nell’articolo 9, oppure se sia necessario un decreto delegato ad hoc, a breve sapremo qualcosa di più.


pare che il sindacato dei medici chirurghi ospedalieri, in una informativa interna, sia preoccupato per questa legge, e che a breve ai dirigenti delle Asl potrebbe essere dato il potere di fare dei contratti a tempo determinato senza alcun vincolo se non la laurea in medicina, ciascun chirurgo potrà operare qualsiasi organo o parte del corpo, è già pronto lo slogan, "la deregulescion (scritto proprio così) sanitaria per diminuire i tempi d'attesa".

Maria Elena Bostik – simbolo del Male assoluto - Tommaso Franci

Il Male assoluto non esiste perché se esistesse ci sarebbe soltanto lui e non farebbe male autonegandosi quindi come Male. Per quel può esistere tuttavia è ben rappresentato ai nostri giorni dal fenomeno Maria Elena Boschi. Ne parlo considerandola un ologramma massmediatico. Internet tv giornali radio. D’altronde non la conosco diversamente e non so se esiste diversamente. Perché il fenomeno [dal gr. ϕαινόµενον, part. sostantivato di ϕαίνοµαι «mostrarsi, apparire»] “Maria Elena Boschi” può essere considerato “simbolo del Male assoluto”? Perché è come il Bostik. Incolla Assembla Sigilla ed è 100% trasparente. INCOLLA il suo didietro alla poltrona e milioni di cittadini al suo volto ed eloquio trasognante indefesso tanto perbenistico quanto indifferente ad ogni effettivo male e bene o ad ogni effettiva differenza. Potrebbe con lo stesso tono e atteggiamento compassato leggere la formazione di una squadra di calcio o la lista dei morti torturati in un campo di sterminio. Incolla la gente al Potere. Che lo riconosce ed osanna la gente proprio per la sua indifferenza e spietatezza. Per la sua fessa ripetitività. Per la sua infaticabile convinzione ed autoindulgenza. Bugie incoerenze ingiustizie assurdità. Non sono niente. Anzi rafforzano il Potere. Indifferenza insensibilità ripetizione. È questo quello che conta. Non altro. Lo sanno bene le multinazionali. Che tirano i fili dietro internet tv giornali radio. Dietro fenomeni da internet tv giornali radio come “Maria Elena Boschi”. Che non è una politica. È un fenomeno da internet tv giornali radio. È stata scelta apposta da chi a sua volta non era un politico ma fenomeno da internet tv giornali radio … ASSEMBLA conformismo consumismo clericalismo propri dell’intero e perciò nefasto governo Renzi. Massmediaticamente la figura del Ministro per le Riforme Costituzionali del primo Governo Renzi promana con sfacciataggine inarrivabile e immarcescibile tutta quanta l’ipocrisia ignoranza ingiustizia e tutto quanto il conformismo consumismo clericalismo propri dell’intero e perciò nefastissimo governo Renzi. Il Presidente del Consiglio non poteva trovare figura più rappresentativa. L’Italia non poteva dare peggior prova di sé. Cioè non poteva fare di più per restarsene nell’infimo livello del ventennio berlusconiano. Che così viene protraendosi e perpetuandosi. Il governo autoproclamatosi e celebrato dai mass media come il governo del cambiamento più radicale e più democratico si insedia nel febbraio 2014 senza passaggio elettorale. Con il solo avvallo del Presidente della Repubblica. Il suo Primo Ministro abbandona – dopo averli trascurati per anni – i concittadini di cui era sindaco ed eleva di punto in bianco a Ministro della Repubblica figure del tutto ignote al popolo (a differenza dei cittadini del M5S ignoti ai mass media ma ben noti ai loro concittadini). Figure che paiono detenere gli unici meriti di averlo servito acriticamente e di non saper far altro in pubblico che echeggiare i suoi diktat – che poi non sono suoi ma del vero Potere … La signorina Maria Elena Boschi viene fatta assurgere dal nulla a rango di Ministro per le Riforme Costituzionali. Cioè del Ministero che si occupa nientemeno che dell’organizzazione legislativa della Repubblica. La signorina ed il Governo per quello che è retto dal sedicente Partito Democratico si autoproclamano poi e vengono celebrati dai mass media come “di sinistra”. L’ipocrisia viene così a raddoppiarsi. Conformismo consumismo clericalismo non sono di sinistra. Sono ingiustizia. E il Governo di conformismo consumismo clericalismo vive. Come si potrebbe dimostrare quotidianamente da centinaia di prove massmediatiche. SIGILLA la bocca – a me per esempio. Occupando su internet tv giornali radio tutto lo spazio lei ed il potere che troppo bene rappresenta. Sigilla il mondo del potere rendendolo inattaccabile. Quando mettete benzina quando i preti non pagano le tasse quando siete disoccupati quando si estingue una specie animale sembra incredibile perché vogliono farvelo sembrare tale ma a monte c’è “Maria Elena Boschi” cioè il Potere che essa rappresenta. Dire “Maria Elena Boschi” o “Renzi” o “Putin” è ovviamente lo stesso. Nessuno di loro esiste o ha la minima voce in capitolo. Sono soltanto 3 rappresentazioni o marionette del Potere. Banche multinazionali Consumismo e soprattutto Conformismo. Non siamo infatti conformisti perché consumisti ma consumisti perché conformisti. 100% TRASPARENTE Maria Elena Boschi ovviamente non esiste, dicevamo. Nemmeno riflette la luce del Potere. È il Potere stesso che ti appare sullo schermo – tra la bava di giornalisti anch’essi umanamente inesistenti – dandosi per comodità contingente quella forma lì. È soltanto un caso il nome e la faccia ologrammatica di Maria Elena Boschi oppure di Renzi oppure di Sarkozy o di Cameron o dei Bush e dei Clinton. (Il fallimento di Obama nella misura che c’è stato – c’è stato per non essere riuscito a non essere 100% trasparente cioè nullo rispetto al Potere di petrolieri ecc.) Purtroppo, come dicevo in esordio, il Male “assoluto” non esiste. Ci toccherà soffrire ancora per molto. Ora incollati ora scollati. Chi incollato chi scollato. E senza avere nemmeno un Caravaggio a ritrarci …

sabato 30 maggio 2015

senza dimenticare Gezi Park



grazie a Valentina per la segnalazione

Complicità – Iain Banks

Iain Banks è un grande scrittore, questo è l'ultimo che ho letto, a volte antipatico, a volte politicamente scorretto, sempre coinvolgente, anche se ti turba e non ti lascia tranquillo.
qualcuno diceva che la letteratura è pensare con la testa di un altro, anche se non sei d'accordo.
come gli altri libri di Iain Banks, anche Complicità merita molto, cercalo - franz



...scritto da Silvia Treves per Complicità (2004):
Con una prosa nitida, discreta e priva di compiacimenti Banks induce il lettore a condividere i malesseri di Cameron e a divenire complice riluttante di un giustiziere animato da un’etica distorta, velleitaria e disperata, che si sostituisce alla società dopo aver sperato in essa, dopo aver atteso invano che il governo liberista o l’opposizione di sinistra offrissero una prospettiva di riscatto, di cambiamento.
da qui

“I have cancer”. Semplice e lapidario l’annuncio che Iain Banks fece lo scorso 3 aprile sul suo blog personale. “It’s extremely unlikely I'll live beyond a year”, e così in effetti è stato. Il famoso scrittore scozzese si è spento ieri ad appena 59 anni (6 giugno 2013), poco più di due mesi dopo il triste annuncio della malattia.
Nell’epoca di Twitter, Facebook e social network vari in cui si ammassano messaggi urlati più o meno ricchi di contenuti, il post di Banks si differenzia per la disarmante semplicità e moderazione con cui annuncia la sua tragedia personale. E, in questo suo saluto agli amici e fan, non rinuncia ad inserire un pizzico di humour nero, spiegando di aver proposto alla sua compagna Adele “di farmi l’onore di diventare la mia vedova”.


Perché sostengo il boicottaggio culturale di Israele - Iain Banks

Sostengo la campagna per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) perché, soprattutto nel nostro mondo connesso istantaneamente, un’ingiustizia commessa contro uno, o contro un gruppo di persone, è un'ingiustizia contro tutti, contro ogni uno di noi, una ferita collettiva.
Il motivo per cui, in particolare, partecipo al boicottaggio culturale di Israele è che, prima di tutto, lo posso fare. Sono uno scrittore, un romanziere, e creo opere che sono, di norma, presentate al mercato internazionale. Questo mi dà un piccolo grado di potere in più su ciò che ho come cittadino (del Regno Unito) e come consumatore. In secondo luogo, se possibile, quando si cerca di puntare su qualcosa, si deve essere precisi, e colpire dove fa più male. Il boicottaggio sportivo del Sud Africa quando era ancora sotto il regime razzista dell'Apartheid ha contribuito a portare il paese alla ragione perché la minoranza dominante Afrikaaner ci teneva così tanto alle loro prodezze sportive. Il Rugby e il cricket, in particolare, erano profondamente importanti per loro, e la posizione generalmente alta delle loro squadre nelle classifiche delle leghe internazionali era una questione di considerevole orgoglio. Quando alla fine sono stati isolati dal boicottaggio sportivo - come parte del più ampio boicottaggio culturale e commerciale - sono stati costretti in modo molto più persuasivo ad affrontare il proprio stato da fuorilegge nel mondo.
Un boicottaggio sportivo di Israele inciderebbe relativamente poco sull'autostima degli israeliani rispetto al Sud Africa; mentre il boicottaggio intellettuale e culturale potrebbe contribuire a fare la differenza, soprattutto ora che gli eventi della primavera araba e le ripercussioni continue dell’attacco al convoglio della pace della flottiglia per Gaza hanno minacciato sia la capacità di Israele di fare affidamento sulla collusione dell'Egitto nel contenimento di Gaza sia la volontà della Turchia di impegnarsi con simpatia con il regime israeliano in qualsiasi modo. Sentendosi sempre più isolato, Israele è tanto più vulnerabile ad ulteriori prove che esso, a sua volta, come il regime razzista del Sud Africa, il quale una volta sosteneva e con il quale collaborava, è sempre più considerato uno stato fuorilegge.
Sono riuscito a giocare un ruolo piccolissimo nel boicottaggio culturale del Sud Africa, assicurando che - una volta che mi sono accorto che potevo farlo - i miei romanzi non vi fossero in vendita (mentre ero costretto da un precedente contratto, sotto i cui termini i libri venivano venduti in Sud Africa, ho fatto un calcolo approssimativo delle royalties guadagnate ogni anno e ho versato tale importo all’African National Congress). Dal momento dell'attacco del 2010 in acque internazionali sul convoglio per Gaza guidato da una nave turca, ho istruito il mio agente di non vendere più i diritti dei miei romanzi agli editori israeliani. Non compro prodotti o cibo provenienti da Israele, e con la mia compagna cerchiamo di sostenere i prodotti palestinesi, ove possibile.
Non sembra un granché, e non sono del tutto felice di fare ciò; a volte può sembrare di prendere parte ad una punizione collettiva (anche se il BDS è, per definizione, rivolto direttamente allo stato e non al popolo), e questo è una delle accuse più dannose che possono essere mosse contro Israele stesso: che impone una punizione collettiva al popolo palestinese all'interno di Israele e nei territori occupati, vale a dire la Cisgiordania e - in particolare - il vasto campo di prigionia che è Gaza. Il problema è che l'impegno costruttivo e la ragionata argomentazione hanno palesemente fallito, e l'arma, relativamente grezza, del boicottaggio è più o meno tutto quello che resta. (Alla domanda: "Che ne dici del boicottaggio dell’Arabia Saudita?" - Tutto quello che posso affermare è che tagliare il mio consumo della sua esportazione più redditizia è stato un motivo periferico per la mia rinuncia alcuni anni fa alle auto di grossa cilindrata che un tempo guidavo e al viaggiare in aereo. Di certo non avrebbe permesso che un mio libro fosse pubblicato neanche lì, anche se - ovviamente, date alcune delle cose che ho detto su questa scusa barbara per un paese, per non parlare dei contenuti dei libri stessi - la questione non è mai sorta, e non lo farà mai mentre è al potere qualcosa di lontanamente simile all'attuale regime.)
Come persona che ha sempre rispettato e ammirato le conquiste del popolo ebraico - hanno probabilmente contribuito ancora di più alla civiltà mondiale che gli scozzesi, e noi Caledoni non siamo timidi nel promuovere la nostra piccola-ma-influente storia - e che ha provato compassione per le sofferenze che ha vissuto, soprattutto negli anni precedenti e poi durante la seconda guerra mondiale e l'Olocausto, mi sentirei a disagio a prendere parte in una qualsiasi azione che - anche se solo grazie agli sforzi della macchina di propaganda israeliana - possa essere sostenuta da alcuni come azione che li prende di mira, nonostante il fatto che lo Stato di Israele e il popolo ebraico non sono sinonimi. Israele e i suoi apologeti non possono, però, avere entrambe le cose: se vogliono fare l’affermazione piuttosto isterica che ogni e qualsiasi critica della politica interna o estera di Israele è antisemitismo, devono anche accettare il fatto che questo presunta, se speciosa, indivisibilità offre l'opportunità per quello che pretendono sia la censura di uno a funzionare come la condanna dell’altro.
La tragedia particolare del trattamento di Israele del popolo palestinese è che nessuno sembra aver imparato nulla. Israele stesso è stato creato in parte come un tentativo tardivo e colpevole da parte della comunità mondiale per contribuire a compensare la sua complicità, o almeno la sua incapacità di prevenire, il catastrofico crimine dell'Olocausto. Di tutti i popoli, quello ebraico dovrebbe sapere come ci si sente ad essere perseguitato in massa, punito collettivamente e trattato come meno che un essere umano. Per lo stato di Israele e il collettivo di spesso improbabili difensori in tutto il mondo che lo sostengono ciecamente nel perseguire e mantenere il trattamento disumano del popolo palestinese – forzato così brutalmente a lasciare le sue terre nel 1948 e ancora oggi sotto attacco – l’essere così ciechi all'idea che l'ingiustizia è l’ingiustizia, a prescindere non solo da chi la subisce, ma pure da chi la commette, è una delle iniquità che definisce la nostra epoca, e implica con forza un limite vergognosamente basso sul grado di intelligenza morale della nostra specie.
La soluzione all'esproprio e alla persecuzione di un popolo non può essere mai quella di espropriare e perseguitarne un altro. Quando facciamo questo, o partecipiamo a questo, o anche solo permettiamo che ciò accada senza criticarlo o porre resistenza, non facciamo altro che garantire ulteriori atti di ingiustizia, oppressione, intolleranza, crudeltà e violenza in futuro.
Può essere che ci vediamo come molte tribù, ma siamo una sola specie, e nel mancare di alzare la voce contro le ingiustizie inflitte ad alcuni di noi e di fare quello che possiamo per combatterle senza accumulare ulteriori ingiustizie su quelle precedenti, imponiamo effettivamente una punizione collettiva a noi stessi.
La campagna BDS per la giustizia per il popolo palestinese è una campagna che spero qualsiasi bava persona aperta sosterrebbe. Gentili o ebrei, conservatori o di sinistra, non importa chi siete o come vi vedete, queste persone sono la nostra gente, e collettivamente abbiamo voltato le spalle alla loro sofferenza per troppo tempo.

Estratto da “Our People” di Iain Banks, di Generation Palestine: Voices from the Boycott, Divestment and Sanctions Movement, a cura di Rich Wiles, pubblicato da Pluto Press.

Fonte: The Guardian 
Traduzione di BDS Italia

Solo l'Europa può salvare Israele - Rogel Alpher

La finestra   per una soluzione a due stati ancora aperta? Si sta chiudendo , di sicuro. Ogni minuto che passa DIVENTA più difficile. Arriverà  il momento dopo il quale sarà impossibile rimuovere un bambino di 3 anni dalla colonia cisgiordana di Kfar Tapuah,istituita  dal suo bisnonno. 
I palestinesi credono nella possibilità della creazione di uno Stato palestinese? Non proprio. Sono in preda alla disperazione. La loro campagna diplomatica sta vacillando.
Se uno stato palestinese non viene creato  che ne sarà di Israele? Molti credono che i palestinesi saranno d'accordo a vivere in esso come  residenti senza diritto di voto. Il loro pensiero è che i palestinesi faranno acquisti presso i centri commerciali e si cureranno negli ospedali , ma non  andranno ai seggi elettorali. Ciò costituirà una forma raffinata di apartheid,

Quali sono quelli di noi che credono che uno stato binazionale  sarà un disastro razzista e violento, un luogo   dove non vogliamo crescere i nostri figli  ? Il tempo sta finendo. Quanto tempo abbiamo? cosa dovremmo fare?
Alcuni sperano che il presidente sionista Unione Isaac Herzog sarà il nuovo ministro degli Esteri. Egli non ci porterà via dai territori, né porterà la pace o evacuerà l'insediamento di Ofra. Egli, però, convincerà i suoi colleghi europei  a concedergli un periodo di grazia, al fine di perseguire un processo senza senso che farà   perdere tempo. +
Alcuni sostengono che dobbiamo credere nella sanità del pubblico israeliano e al suo desiderio di pace e tranquillità e nella nostra capacità di convincerlo a sostenere una politica che attivamente ed efficacemente determini la soluzione a due Stati ,  l'evacuazione dei coloni da tutta la Cisgiordania,  la divisione di Gerusalemme.
Queste persone credono che dobbiamo riporre la nostra fiducia nel processo democratico di Israele e scrollarci di dosso i nostri spiriti disfattisti.
Questo potrebbe funzionare se avessimo altri 50 anni. Tuttavia, la possibilità di convincere una maggioranza significativa degli israeliani a cambiare le loro opinioni nel corso di un breve lasso di tempo non è realistico.
I palestinesi, come già detto, hanno rinunciato. Fanno  ricorsi alla Corte Penale Internazionale a L'Aia e  alla FIFA.
Il pubblico in Europa, d'altra parte, è un partner. Abbiamo  la possibilità di convincere i governi europei a promuovere una risoluzione al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per il riconoscimento di uno Stato palestinese e accettarlo come un membro delle Nazioni Unite a tutti gli effetti. Solo questo costringerà Israele a porre fine all'occupazione.
Si tratta di una mossa democratica da parte nostra? Si  dal momento che uno stato binazionale sarà non democratico. L'unico modo per garantire la democrazia israeliana è da stabilire uno stato palestinese. L'unico modo per raggiungere questo obiettivo è quello di fare appello all' Europa. Quando gli europei vedono i leader israeliani di sinistra rifiutarsi di collaborare con loro contro il governo di Israele, si indebolisce la loro determinazione.Quando la sinistra insiste sul fatto che si tratta di una questione interna israeliana, l'Europa è meno determinata.
Non c'è altro modo , abbiamo bisogno di aiuto.

giovedì 28 maggio 2015

Al mondo - Andrea Zanzotto

Mondo, sii, e buono;
esisti buonamente,
fa’ che, cerca di, tendi a, dimmi tutto,
ed ecco che io ribaltavo eludevo
e ogni inclusione era fattiva
non meno che ogni esclusione;
su bravo, esisti,
non accartocciarti in te stesso in me stesso.

Io pensavo che il mondo così concepito
 con questo super-cadere super-morire

il mondo così fatturato
fosse soltanto un io male sbozzolato
fossi io indigesto male fantasticante
male fantasticato mal pagato
 e non tu, bello, non tu «santo» e «santificato»
un po’ più in là, da lato, da lato.

Fa’ di (ex-de-ob etc.)-sistere
e oltre tutte le preposizioni note e ignote,
abbi qualche chance,
 fa’ buonamente un po’;
il congegno abbia gioco.
Su, bello, su.
Su, munchhausen.

Lettere dal fronte

Gianni Stuparich, ufficiale volontario nell'esercito italiano, scrisse queste pagine sulla base di appunti e osservazioni fatti nel corso della guerra e raccontati in stile letterario nel libro Guerra del '15, pubblicato nel 1931.

…Ma è umiliante aggirarsi intorno ai ricoveri, per cercar qualche cosa: da per tutto si pesta nella merda, che sprigiona un puzzo insopportabile. Non ci sono latrine, ognuno evacua all'aperto, quanto più può vicino al suo o al ricovero degli altri; la fretta, per la paura d'esser colpiti, elimina ogni altro riguardo. E così questa collina rivestita di teneri pini e profumata d'erbe e di resina, questa collina su cui si viene a morire, si spoglia a poco a poco e diventa un letamaio. [...]
I ricoveri son sempre quelli: tronchi, sassi, terra; buche ombrose come tane. Le prime volte odoravano di pino tagliato di fresco, ora sanno, ogni volta più, di marciume. Il silenzio dell'artiglieria fa un effetto ancora più strano quassù, sembra innaturale e ci mette una sottile inquietudine nei nervi. L'ora della sera, con le ombre che salgono, è molto malinconica. Non resta che sdraiarsi e approfittare della tregua per dormire. Non so se sia per la fatica fisica o per la stanchezza dei nervi, o forse per le due ragioni assieme, che si dormirebbe sempre, a tutte le ore. La posta che arriva su, ci sveglia, ci travolge con gli altri in un'ondata di contentezza, perché nessuno se l'aspettava; anche noi ne riceviamo tanta: tutte Le Voci arretrate che abbiamo chieste, giornali, lettere d'amici. C'è ancora un po' di luce nell'aria tanta da permetterci di decifrare gli scritti che più ci stanno a cuore. [...]
Piove, piove. Siamo tutti rannicchiati nel fango; le fossette sono piene d'acqua. E non la smette. Mi sono coperto col telo da tenda, sono tutto dolorante, rigido, bagnato, in questa mia tomba umida, stanco. M'addormento per la stanchezza, con la testa su una pietra liscia, percorsa da rivoletti d'acqua; fuori, l'acqua viene giù a torrenti. Verso sera la pioggia cessa; breve tregua, perché il cielo è ancora tutto nuvoloso; il sole, vicino a tramontare, rompe le nubi. Usciamo dalle nostre tane a sgranchirci le membra, ad asciugare almeno un poco la roba, a goderci di questi pochi sprazzi di sole che ci sono concessi. [...] Viene il rancio, ma se ne deve sospendere, per il momento, la distribuzione, perché gli austriaci ci hanno visti e ci bombardano. È da ventiquattro ore che non mangiamo. Mi accorgo d'aver molta fame e, quando riesco con cautela a farmi riempire anch'io la gavetta di brodo, v'inzuppo quasi mezza pagnotta e mangio con avidità e con gusto. La divisione alla nostra sinistra è in pieno combattimento: monte Cosich fuma tempestato di colpi. Anche il nostro settore promette poca calma. Difatti gli austriaci, dopo una breve pausa che ci ha permesso di mangiare, riprendono a tirare sulle nostre trincee. Il tenente Sampietro che stava sorvegliando la distribuzione del rancio, è rimasto illeso per un vero miracolo: proprio sopra la sua testa, a pochi centimetri, è scoppiato uno shrapnel ed egli s'è trovato di qua dal cono, sotto un fiocco di fumo bianco; qualche centimetro più in là, sarebbe stato crivellato dalle schegge. Così avviene spesso, e nessuno più se ne meraviglia; io penso al limite così fragile e incerto che divide la morte dalla vita. Sampietro s'è appena riparato, che s'ode, nel silenzio più pauroso, arrivare un altro proiettile. Lo scoppio è tremendo; prima che si richiuda su questo il tetro silenzio, una voce angosciosa scandisce nell'aria un appello disperato: "por-ta-fe-ri-ti!". Giunge un terzo proiettile: questo è proprio per me e per i miei vicini; la trincea trema, le schegge picchiano come tempesta sulle tavole e sui sacchetti, polvere acre e terra m'investono e m'entrano negli occhi e nel naso.
Stuparich - Guerra del '15 (Dal taccuino d'un volontario), Garzanti, Milano 1940

Non si creda agli atti di valore dei soldati, non si dia retta alle altre fandonie del giornale, sono menzogne. Non combattono, no, con orgoglio, né con ardore; essi vanno al macello perché sono guidati e perché temono la fucilazione. Se avessi per le mani il capo del governo, o meglio dei briganti, lo strozzerei”.
(B.N. anni 25, soldato; condannato a 4 anni di reclusione per lettera denigratoria,1916)


“Sono ritornato dalla più dura prova che abbia mai sopportato: quattro giorni e quattro notti, 96 ore, le ultime due immerso nel fango ghiacciato, sotto un terribile bombardamento, senza altro riparo che la strettezza della trincea, che sembrava persino troppo ampia. I tedeschi non attaccavano, naturalmente, sarebbe stato troppo stupido. Era molto più conveniente effettuare una bella esercitazione a fuoco su di noi; risultato: sono arrivato là con 175 uomini, sono ritornato con 34, parecchi quasi impazziti”.


Dal fronte occidentale, 1916
“Ma ancora un fatto le voglio raccontare: un giorno ci hanno messo tutti in riga perché hanno detto che ci facevano la decimazione, per via che molti erano disfattisti… “Soldati – ha gridato il colonnello – sarete fucilati uno ogni dieci, se non dite i nomi di quei vigliacchi che fanno i disfattisti, mettendo in grave pericolo la patria” e subito hanno incominciato a contare, fuori uno ogni dieci. Però, neanche un soldato ha fatto la spia e, alla fine, non hanno fucilato nessuno, avevano fatto solo per dare un avvertimento; ma, a guardare, disfattisti eravamo tutti, perché in trincea si sentivano solo lamentele, bestemmie contro il governo e contro i comandi, ostie continue contro la guerra e quelli che l’avevano voluta..”


Paolo Caccia Dominioni, diario di guerra:
 “La 4° (sezione lanciafiamme) ha al suo attivo, tra gli altri, un famoso turno a Quota 126 del Vippacco. Andarono su in settanta, e poi, chissà per quali strane successioni di passaggi da una dipendenza all’altra vennero dimenticati. Dopo novantadue giorni di trincea, in pieno inverno, si trovò chi poteva assumere la responsabilità di conceder loro il riposo: e calarono giù i dieci superstiti, veri scheletri ricoperti di fango, deboli macchine senza volontà…calarono giù, e dopo poco li rispedirono a quota 89 di Monfalcone”
 “…La pioggia continua snida dal terreno il puzzo della vecchia orina; e in certi posti si è costretti a strisciare a terra, mettendo le mani sopra ogni genere di roba, magari su qualche decomposto pezzo di soldato.”
“La qualifica di trincea, sulla nostra destra, è un po’ eccessiva: gli uomini hanno come tutto riparo un muretto di pietre accostate alto un palmo e ci stanno dietro supini o stesi sul ventre. I fianchi sono protetti da traverse perpendicolari, alte come il muretto. Muoversi di giorno, una pazzia: e il cambio non si può fare che di notte”.
“Tiro di sbarramento su di noi. Grossi calibri piovono fitti sul nostro povero sistema difensivo. Un enorme 420, inesploso, si è coricato attraverso il camminamento. Ecco, stavolta non è possibile cavarsela, questa è una grandinata feroce che distrugge tutto, solleva immense colonne di terra, ferro, rocce, uomini. Se almeno questa orrenda agonia potesse finire presto.”. 
“Trincea! Abominevole carnaio di putredine e di feci, che la terra si rifiuta di assorbire, che l’aria infuocato non riesce a dissolvere. Lì tanfo di cadavere lo ingoiamo col caffè, col pane, col brodo”.


Scritta in trincea dal soldato Frederick W. Heath

"Come potevamo resistere dall’augurarci buon Natale, anche se subito dopo ci saremmo di nuovo saltati alla gola? Così è cominciato un fitto dialogo con i tedeschi, le mani sempre pronte sui fucili. Sangue e pace, odio e fratellanza: il più strano paradosso della guerra. La notte si vestiva d’alba –
una notte allietata dai canti dei tedeschi, dal cinguettio degli ottavini e risate e canti di Natale dalle nostre linee. Non è stato sparato un colpo, eccetto giù alla nostra destra, dov’era al lavoro l’artiglieria francese."

Il regalo più bello

"Non c’era più smania di uccidere, ma solo il desiderio di un pugno di semplici soldati (e nessuno è tanto semplice quanto un soldato) che nel giorno di Natale, a ogni costo, si arrivasse a un cessate il fuoco. Ci siamo passati sigarette e scambiati una quantità di piccoli oggetti. Abbiamo scritto i nostri nomi e indirizzi sulle cartoline di servizio, per poi scambiarle con quelle dei tedeschi. Abbiamo strappato i bottoni delle nostre giubbe e avuto in cambio quelli dell’armata imperiale tedesca. Ma il regalo più bello è stato il pudding di Natale. Al sol vederlo gli occhi dei tedeschi si sono spalancati in bramosa meraviglia, e dopo il primo morso erano nostri amici per la vita. Se avessimo avuto abbastanza pudding di Natale, ogni tedesco nelle trincee di fonte a noi si sarebbe arreso."

L’assalto
“Se la trincea era dura, l’assalto era un incubo”: la vita in trincea era dura, rischiosa ma, a confronto dell’assalto, accettabile. Ti proponiamo alcune brevi considerazioni tratte dall'opera "Isonzo 1917" di Mario Silvestri:
“Uscire dalla protezione della trincea e lanciarsi nel vuoto, verso le armi che sputavano fuocosecondo uno schema studiato da mesi; la sopravvivenza determinata da un fatto puramente statistico: il non trovarsi sul percorso di una pallottola; una decimazione ripetuta tante volte, che alla fine di una serie di attacchi solo un piccolo gruppo di superstiti si guardava smarrito e terrorizzato: questo toccava il limite delle possibilità di sopportazione dell’uomo normale.
Ogni volta che un essere umano era sottoposto ad una simile prova, perdeva una parte della sua personalità, una parte della capacità di intendere e di volere. Dopo un certo numero di queste esperienze il giovane combattente era trasformato in un essere psichicamente malato.
Si diedero casi di suicidio, per la paura di dover andare all’assalto. La pazzia improvvisa era tutt’altro che infrequente."

“Non avevo mai visto tanta rovina”
Mamma carissima, pochi minuti prima di andare all’assalto ti invio il mio pensiero affettuosissimo. Un fuoco infernale di artiglieria e di bombarde sconvolge nel momento che ti scrivo tutto il terreno intorno a noi... 
Non avevo mai visto tanta rovina. È terribile, sembra che tutto debba essere inghiottito da un’immensa fornace. Eppure, col tuo aiuto, coll’aiuto di Dio, da te fervidamente pregato, il mio animo è sereno. Farò il mio dovere fino all’ultimo.

mercoledì 27 maggio 2015

Richard Galliano (Tangaria Quartet) in concerto

Parolin usa certe parolon

Il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, ha detto delle nozze gay: Credo che non si può parlare solo di una sconfitta dei principi cristiani ma di una sconfitta dell'umanità.

Torturare e bruciare Giordano Bruno, la Santa Inquisizione, bruciare gli indios non cattolici è stata una vittoria dell’umanità?

(Dopo che lo ebbero legato al palo, appena prima di accendere il fuoco, un sacerdote spagnolo offrì al leader Indiano Hatuey la grazia spirituale. Avrebbe voluto garantirsi l’ingresso dell’anima in paradiso, convertendosi al Cristianesimo?

Hatuey ragionò sulla proposta. “In paradiso, ci sono persone come lei?” chiese. Quando il prete lo rassicurò che sì, avrebbe trovato persone come lui, Hatuey rispose che preferiva andare all’inferno, dove non avrebbe trovato uomini tanto crudeli…da qui)


lunedì 25 maggio 2015

dice José Saramago


In nessun momento della Storia, in nessun luogo del pianeta, le religioni sono servite per far avvicinare gli esseri umani gli uni agli altri. Al contrario. sono servite solo per dividere, per bruciare, per torturare. Non credo in dio, non mi serve, e lo stesso sono una brava persona.


Filosofía y Psicología, intervista con Michel Foucault



La Buona scuola e il vero significato delle parole - Lello Voce


A costo di diventar noioso, torno a parlare di scuola. Da poeta stavolta, non da insegnante.
Non lo faccio per intervenire su questo, o quell’aspetto della cosiddetta “buona scuola” renziana, ma, più modestamente, per riflettere sul significato di due parole (di due espressioni, se preferite) che vengono usate spessissimo a proposito di scuola.
Intanto, a parere di molti, almeno a parere di quasi tutti quelli che di scuola parlano e scrivono sui media mainstream, la scuola sarebbe un’azienda.
Proprio qualche mattina fa l’ennesimo economista chiamato a dare il suo parere sulla scuola durante un servizio di RaiNews24 (ma perché occorrerebbe chiedere il parere di un economista sulla scuola? a me pare che sia come se si chiedesse a un poeta, o a un chimico, un parere sulla prossima riforma fiscale, o sui mutuisubprime) sosteneva che la scuola fosse un’azienda che eroga servizi.
Davvero? A me non risulta.
A me risulta, piuttosto che, come sosteneva Calamandrei, la scuola, per la nostra Carta costituzionale, sia un’istituzione.
Pubblicità
Un’istituzione non eroga servizi, piuttosto realizza diritti. Il suo fine non è quello di accumulare profitti, ma promuovere conoscenze e ‘competenze’.
Nel caso della scuola si tratta di diritti, conoscenze e ‘competenze’ basilari: quelli degli allievi di imparare a essere, prima di tutto, cittadini coscienti e responsabili, tanto dei propri diritti, quanto dei propri doveri e quelli degli insegnanti di professare la propria disciplina in piena libertà, per realizzare il fine di garantire alla società la formazione di quei futuri cittadini di cui sopra, educati al difficilissimo compito di esercitare la libertà.
Trasformare la scuola in un’azienda (e i suoi insegnanti in operai alla catena di produzione di qualcosa che non è più possibile chiamare ‘cultura’ e meno che mai ‘cultura dei diritti’, o i suoi allievi in ‘clienti’ di un market dove possono scegliere il prodotto più conveniente, o alla moda) significa colpire alla base le fondamenta di una società democratica, dividere diritti civili e diritti politici alla maniera del Bonaparte.
Chiamare azienda la scuola, insomma, non è soltanto un’espressione irragionevole, priva di senso comune, ma anche l’ultimo segnale, devastante, di una società in cui la dimensione economica pretende di sovrastare ogni altro ambito della vita umana. Fino a imporre al linguaggio che le uniche metafore legittime siano quelle che a essa rimandano.
Fin la famiglia è oggi un’azienda, si sa, e, soprattutto, ogni azienda è una famiglia: peccato che i genitori di codesta famiglia (una volta si diceva: i padroni) si comportino poi come Chronos e divorino i propri figli…
Tutto ciò, da umile operaio delle parole quale sono, mi inquieta e mi inquieta ancora di più che a parlare per prima della scuola-azienda, spacciandola per una trovata avanzata e ‘moderna’, sia stata laSinistra.
Ma ricordarlo mi aiuta a non stupirmi più di tanto che sia proprio essa a concludere, oggi, un lavoro appaltato per qualche decennio alla Destra.
Da Berlinguer a Renzi: tout se tient nella cosiddetta, sinistra, Sinistra italiota.
Un altro dei cavalli di battaglia di questo nuovo tentativo di riformare la scuola italiana a forza di decreti è poi l’idea del cosiddetto preside-sindaco.
Il preside-sindaco giunge infine a sostituire l’ormai stanco e liso preside-manager.
Difficile, peraltro, convincere qualcuno che il suo lavoro sia quello di manager, se ciò che si trova ad amministrare sono solo pochi spiccioli stenterelli, raschiati dal fondo del barile. Meglio, allora, dirgli che sarà un sindaco, altrettanto povero, magari, ma almeno in condizione di prendere decisioni.
Un sindaco è figura più amichevole e più autorevole di un manager.
Ma un sindaco non viene nominato, viene eletto. Almeno da quando l’Italia è una Repubblica. Un sindaco, se svolge male il suo compito, difficilmente potrà essere scelto dai suoi cittadini per un altro mandato.
Dunque, invece di rimandare al mittente la proposta del preside-sindaco, imho, i docenti italiani dovrebbero accettarla e farla propria.
A patto, però, che davvero di un preside-sindaco si tratti, a patto, cioè, che il Governo faccia davvero ciò che dice di voler fare e non pretenda di cambiare addirittura il significato corrente delle parole.
Un preside-sindaco sarà, a lume di ragione, eletto dai suoi cittadini-insegnanti (e magari da genitori e allievi), dovrà rendere loro conto della sua amministrazione, sarà la realizzazione massima della ‘collegialità’, non la sua negazione.
Altrimenti, a norma di vocabolario, meglio chiamarlo sindaco-prefetto, o sindaco-federale: avrà meno appeal, ma almeno avremo usato le parole per far fare loro ciò che devono fare: descrivere e conoscere la realtà, non mascherarla.

domenica 24 maggio 2015

scrive Marco Lodoli, e risponde Elisabetta

scrive Marco Lodoli:

È la mattina del 5 maggio e nella mia scuola a Torre Maura, a Roma, succursale dell’Istituto professionale Falcone-Pertini, ci siamo solo io e la preside, arrivata dalla centrale per aprire il portone e garantire agli studenti le ore di lezione. Ma di studenti nemmeno l’ombra.
Sono tutti in sciopero insieme agli insegnanti. La preside ci tiene a mostrare una certa serenità, da ammiraglio che non perde la calma, anche quando la nave sembra paurosamente inclinata. Vago per i corridoi deserti con le mani dietro la schiena e penso che qualcosa in questa riforma non è andato come doveva, visto che i miei colleghi sono compattamente, convintamente ostili. Mi sento ancora più dispiaciuto perché ho partecipato a tante riunioni al ministero della Pubblica Istruzione, ormai un anno fa, per progettare la Buona Scuola.



risponde Elisabetta:

Caro Marco,
Ebbene sì, anch’io quel 5 maggio ero a scioperare e ho contribuito a costruire quel profondo senso di solitudine di cui parli sulle pagine di Repubblica.
Nel leggerti mi è venuto in mente l’immagine di un giocatore che si lamenta di non trovare i propri compagni negli spogliatoi, mentre loro sono già sul campo a giocare la finale…
Caro Marco il tempo stringe… e non si può stare mani in mano a vagare per i corridoi. Ne va della nostra professione, ne va dei nostri ragazzi, ne va del nostro sistema scolastico.Stanno attaccando la scuola pubblica!
Tu, che ti sei sforzato così tanto di fare bella figura e noi, stupidi e arrabbiati, non abbiamo compreso le vostre intenzioni, le vostre serie e buone intenzioni. Lo sai qual è il problema? È proprio quest’aria buonista che nasconde invece l’arroganza di chi erge un muro e una distanza siderale fra voi della scuola “buona” e noi, della scuola “normale”.
Voi della scuola buona avete capito tutto e tutti, sapete come fare, animati dal sano ottimismo e dall’energia del fare. Noi della scuola normale invece siamo duri a capire, disfattisti e pessimisti sappiamo solo lamentarci e non vediamo la grandezza di una riforma epocale come la vostra. Siamo troppo arrabbiati e delusi, abbiamo le menti offuscate da anni di malaffare e di mal governo e prendiamo lucciole per lanterne additando voi, proprio voi, che vi siete rimboccati le maniche per risolvere gli annosi problemi della scuola italiana!
Non voglio e non posso credere che uno come te, che insegna da anni, che scrive libri, che ha partecipato alla ideazione di questa riforma, possa davvero credere che i veri e i grandi punti di forza del Ddl siano i 500 euro annui da spendere per la propria formazione culturale e l’assunzione dei precari. Nessuna parola che entri nel merito della riforma: e i soldi dati alle scuole private? E le modalità  di assunzione dei precari storici? E le modalità dell’alternanza scuola-lavoro? E l’autonomia delle scuole gestita dal preside, “primus inter pares”? Nessuna parola inoltre sulle materie da insegnare, sul monte ore da distribuire, sulla relazione insegnante – allievo.
È inutile nascondersi dietro le semplificazioni e gli stereotipi della “professoressa tacco 12″ o del “professore marxista leninista”. Queste possono andare bene per una sceneggiatura dell’ennesimo film scadente sulla scuola, ma non per convincerci che vi siete spiegati male. Non è un problema di come dite le cose, ma delle cose che dite.
Chi ti scrive “festeggia” quest’anno il suo undicesimo anno di precariato: ho attraversato tutti i ministri, tutte le riforme che si sono susseguite nel nostro paese in quest’ultimo decennio, ho visto ogni anno una scuola diversa, conosciuto centinaia di studenti e decine e decine di insegnanti, ma raramente ho incontrato questa semplificazione, questa fatuità disarmante con cui presentate il vostro progetto. Dietro un’idea di scuola, c’è un’idea di essere umano, di società, di politica. E la vostra idea di essere umano, di società, di politica non ci piace per niente. Voi dividete gli esseri umani in “chi è fatto per studiare” e “chi per lavorare”, la vostra è la società del merito di avere i soldi. Acuite le disuguaglianze, elargite fior di euro alle scuole cattoliche.
Eppure basterebbe fare classi di venti alunni al massimo, rendere le scuole private senza oneri per lo stato e investire in quelle pubbliche. Tu che insegni non puoi negare di quanto possa migliorare una lezione in un’aula ben attrezzata con un massimo di 20 alunni.
Caro Marco,
dal tuo pezzo, così come dalla lettera che Matteo Renzi ha inviato a tutti noi docenti,emerge una freddezza e una presunzione che nascondono soltanto il disprezzo per coloro che quella scuola la vivono davvero.  Senza i 500 euro i professori non si formerebbero! Ahimè caro Marco io quest’anno ne spendo “solo” 2500 ( pari a poco meno di due mensilità) per prendere un’altra abilitazione e non ti aggiungo quelli che spendo per i libri, per il cinema, il teatro, i convegni e le mostre che vado a vedere nella mia e in altre città italiane. I 500 euro sono la solita ovvietà elargita come se fosse una grazia scesa dal cielo. Ma come?!? Mi lamento proprio io che forse il prossimo anno verrò assunta? Vogliamo innanzitutto sapere i numeri precisi di queste assunzioni, ma soprattutto come e dove saremo assunti. Nessuno, ad oggi, è ancora in grado di spiegarcelo!
Inoltre quella cosa che si chiama Contratto nazionale avrà ancora una sua validità o sarà scavalcato dalle decisioni del governo?
Qui si tratta di difendere un’idea di scuola pubblica, di stato sociale, di laicità e di uguaglianza!
Qui si tratta di interesse vero per gli altri esseri umani, in particolare per quelle nuove generazioni che saranno i cittadini di domani.
Qui si tratta di difendere una professione dalle basse logiche del mercato e della competizione.
Qui si tratta di formare i giovani nel pensiero critico, nella propria autonomia.
Qui si tratta di fare bene e amare la propria professione.
Qui si tratta di difendere uno dei pochi luoghi di lavoro e di formazione in cui vigono l’onesta e la trasparenza.
Non potete farlo voi che girate da soli per i corridoi e guardate dall’alto in basso.
Tu e Matteo Renzi vi lamentate di non essere stati capiti. Come farebbe un bravo insegnante quando la maggior parte dei suoi alunni non arriva alla sufficienza. Il buon insegnante è quello che ammette di non essersi spiegato bene.
C’è una piccola differenza: che voi non siete i “maestri della nazione” e noi non siamo i vostri alunni.

sabato 23 maggio 2015

Tango italiano – Rino Genovese

ho iniziato a leggerlo per caso, il tango non c'entra niente, Maradona neanche, c'entrano l'Argentina e l'Italia.
Rino Genovese fa un viaggio, realtà e sogno spesso di confondono, la dittatura è sempre presente, troppo recente per essere dimenticata.
un bel libro, senza risposte, merita la lettura, fra Napoli e Buenos Aires - franz





Non è un libro sul tango, ma è un libro introspettivo, malinconico come un tango.
Man mano che lo leggi e ti addentri nella storia, ti senti come se stessi ballando un tango, uno di quelli struggenti, uno di quelli che ti entra dentro e che ti parla all’anima, uno di quelli che capisci che tu, il tango, lo hai sempre avuto dentro.
Non so se questo sia dovuto al tipo di scrittura che usa l’autore, o piuttosto alle emozioni vissute dal protagonista e descritte con atmosfere veramente da “sogno”.
La “tanghitudine” (per dirla alla Meri Lao) emerge da ogni pagina, forse per i luoghi descritti, forse per le persone che ruotano attorno al protagonista, forse per il clima e il traffico della città, o per la storia di un amore inespresso; forse sono i discorsi sulla politica, nostalgici e evocativi di tempi e luoghi andati ma che a volte ritornano; forse per la questione dei desaparecidos…
Il libro inizia così:
Di ritorno da Buenos Aires, mi pare di non esserci ancora stato, di averla solo intravista in un inquieto dormiveglia, questa città letteraria e terribile con i suoi marciapiedi pieni di buche, i cieli di smalto e la coscienza popolata di morti. Eppure non più tardi di quarantotto ore fa, mi portavo appresso fra il Richmond e il Tortoni la mia tristezza morbida come un guanciale…
un viaggio a Buenos Aires in cui, nel paragone costante con l’Italia, avrei dovuto cercare di cogliere il nucleo emotivo di quel paese lontano e insieme così vicino al nostro. Nel mio viaggio trovai un’Argentina che mostrava le piaghe della tragedia vissuta sotto la dittatura militare e follemente proiettata verso quel crac cui il neoliberismo, anche questo in salsa peronista, di lì a qualche anno l’avrebbe condotta. Dal punto di vista letterario la strategia dell’autofinzione era ancora più accentuata, con il personaggio autobiografico che fin dalle prime pagine dichiara di chiamarsi proprio come me; il viaggio sarebbe stato più che vissuto rivissuto in una specie di trance, grazie all’apporto stilistico di una narrazione all’imperfetto proustiano e, tematicamente, mediante un io narrante in costante stato di semiubriachezza. Il tutto avrebbe dovuto rendere la grande malinconia argentina, connaturata al paese in quanto terra d’immigrazione, e rafforzata da ultimo dalla fitta popolazione di morti desaparecidos

Disincanto che è pure l'angolo prospettico da cui Genovese, nel suo vagabondare da "flaneur" solo all'apparenza svagato, raffigura situazioni e persone con una felicità di scrittura che maschera una prosa sorvegliatissima e calibrata nel dosaggio di scampoli di Storia e vita, cui si alternano gli intervalli d'una accidia tutta letteraria che, se favorisce la disamina interiore, s'accompagna pur sempre al peregrinare attraverso i luoghi d'una leggenda (la città labirinto di Borges, appunto).Questi sono a loro volta scaltri pretesti per commenti, note didascaliche e riflessioni tra il politico e il sociologico, talvolta un po' forzate all'interno di un testo narrativo. Il progetto di misurarsi col passato per poter meglio fronteggiare l'oggi - cioè fare storia strappando "brandelli di possibilità alla pesante trama dell'esistente" - viene però frustrato dall'opacità e dallo stallo di un presente in cui Genovese non riesce a cogliere segni di rinnovamento.
Ma "Tango italiano", di là dalle tentazioni saggistiche, si può anche leggere come un racconto d'amore irrisolto non solo per l'enigmatica Eva (o l'Argentina), ma anche per l'Italia. Meglio, come la narrazione di pluri-mi rapporti d'amore-odio.Ritornato dall'America al luogo di partenza e appartenenza, Genovese conclude che, se la vita e la storia ci paiono "un girare a vuoto e un movimento immobile", ciò non comporta la necessità di ridurle senz'altro alla rappresentazione intellettuale di un labirinto senza sbocchi.
Così il protagonista, in un ritorno di fiamma d'entusiasmo, nella pagina finale che reinnesca in modo simpatico l'avvio del libro, opterà per la non facile decisione di testimoniare la propria crisi mediante un "diario", assai più pubblico che privato, alla scoperta della realtà contemporanea, assumendo coraggiosamente su di sé la mai lieve responsabilità "del dire e dello scrivere".
da qui

Il patto Isil (Isis) - Usa in una foto - Franco Fracassi

un giorno, forse, queste cose saranno sui libri di storia, adesso non stanno neanche nei giornali e nelle tv - franz


Il patto Isil-Usa in una foto - Franco Fracassi

La pistola fumante è una foto. È stata scattata il 27 maggio 2013 a Idleb, nel nord della Siria. Ritrae Mohammad Nour, Salem Idriss, Abu Mosa, John McCain e Ibrahim al Badri. Il primo è il portavoce del Fronte al Nusra (Al Qaida in Siria). Il secondo è il capo dell’Esercito siriano libero (responsabile in Siria di raccapriccianti massacri). Il terzo è il portavoce dell’Isil, il quarto è un senatore degli Stati Uniti, nonché ex candidato alla Casa Bianca, nonché ambasciatore ombra del Dipartimento di Stato. L’ultimo è noto anche come Abu Du’a, figura nella lista dei cinque terroristi più ricercati dagli Stati Uniti (dieci milioni di dollari di ricompensa) e come nome di battaglia ha preso quello di Abu Bakr al Baghdadi, il capo dell’Esercito islamico dell’Iraq e del Levante (Isil).

Particolare importante è che al momento di quello scatto al Baghdadi già era stato iscritto (il 4 ottobre 2011) dall’Fbi nella speciale lista dei terroristi ricercati del mondo, e sia l’Isil che il Fronte al Nusra erano stati inseriti dalle Nazioni Unite nella lista nera delle organizzazioni terroristiche da combattere.

Altro particolare importante, McCain non è un politico qualsiasi. Da vent’anni è a capo dell’International Republican Institute (Iri), il ramo repubblicano di un’organizzazione governativa (il Ned) parallela alla Cia. L’Iri è un’agenzia inter-governativa, Il cui budget viene annualmente approvato dal Congresso, in un capitolo di bilancio che fa capo alla Segreteria di Stato. È stato McCain la mente della rivoluzione che ha detronizzato Slobodan Milosevic dalla presidenza della Serbia, colui che ha cercato più volte di rovesciare il governo di Hugo Chavez in Venezuela, l’ideatore della rivoluzione arancione in Ucraina nel 2004 e di Maidan nel 2013, il grande manovratore della Primavera araba e di tutte le sue rivoluzioni (Iran, Tunisia, Egitto, Libia, Siria).
Popoff ha rivelato l’esistenza di documenti (resi pubblici dall’ex agente della National Security Agency Edward Snowden) che dimostrano come siano state la Cia e il Mossad ad addestrare e ad armare l’Isil. Un’operazione segreta nome in codice “Nido dei calabroni”. «L’unica soluzione per proteggere lo Stato ebraico è quella di creare un nemico alle sue frontiere, ma indirizzarlo contro gli Stati islamici che si oppongono alla sua presenza», si legge su un documento della Cia. Al Bagdadi è stato prigioniero a Guantanamo tra il 2004 e il 2009. In quel periodo Cia e Mossad lo avrebbero reclutato per fondare un gruppo capace di attrarre jihadisti di vari Paesi in un unico luogo. E tenerli così lontani da Israele. L’obiettivo era quello di creare un esercito in grado di spodestare il presidente siriano Bashar al Assad.

Nel giugno di quest’anno l’Isil (sempre supportato dagli Usa) ha tracimato nel nord dell’Iraq, sbaragliando le truppe governative irachene e massacrando musulmani sciiti, ebrei e, soprattutto, cristiani.

«È stato un fallimento. Abbiamo fallito nel voler creare una guerriglia anti Assad credibile. Era formata da islamisti, da secolaristi, da gente nel mezzo. Il fallimento di questo progetto ha portato all’orrore a cui stiamo assistendo oggi in Iraq». Ha dichiarato l’ex segretario di Stato Usa Hillary Rodham Clinton nel corso di un’intervista rilasciata a Jeffrey Goldberg del giornale web “The Atlantic”. «In un’intervista che risale allo scorso febbraio il presidente Obama mi disse: “Quando hai un esercito di professionisti che combatte contro contadini, falegnami e ingegneri che iniziano una protesta devi fare qualcosa. Purtroppo modificare l’equazione delle forze in campo è difficile, e quasi mai ci si riesce. All’epoca non capii. Oggi mi è tutto chiaro», scrive Goldberg.

È stato veramente l’ennesimo fallimento della politica estera statunitense? Per dare una risposta bisogna tornare indietro e raccontare la storia dall’inizio.

La caduta del Muro di Berlino rappresentò per le grandi multinazionali (principalmente quelle statunitensi) una grande opportunità commerciale. C’era una fetta di mondo, però, che fino ad allora era rimasta impermeabile al business made in Usa e non dava alcun accenno di voler abbassare la guardia: il Medio Oriente. Quattro i Paesi chiave: l’Egitto per tutta l’area era (ed è) quello che gli Stati Uniti rappresentano per l’Occidente, la guida commerciale e dei costumi; la Libia, la Siria e l’Iraq tre potenti nazioni che avevano eretto una barriera totale all’espansionismo di Washington.

Il piano era quello di rovesciare i vari regimi al potere e di instaurare sistemi di potere più sensibili al richiamo del dollaro e dei prodotti che arrivavano da oltre oceano. Un po’ che avveniva già da tempo nelle monarchie del Golfo Persico.

Il Paese chiave era l’Iraq e il suo sanguinario (nonché seguitissimo dalle masse arabe) leader Saddam Hussein. Come hanno dimostrato migliaia di documenti, di filmati, di testimonianze e di foto, un ottimo amico di Washington, ma troppo furbo per cadere nella trappola economica.

E così nel 1990 l’ambasciatrice Usa a Baghdad convinse Saddam a invadere il Kuwait (come ha raccontato lei stessa più volte), per poi sfruttare a proprio vantaggio quell’episodio e dichiarare guerra all’Iraq (gennaio 1991).

Il primo conflitto iracheno non risolse la questione. Saddam era ancora al potere. Il Paese venne messo sotto embargo per dodici anni, con la speranza che il popolo esasperato si rivoltasse. Non accadde nulla. Allora (nel marzo 2003) approfittando dell’11 settembre l’allora Amministrazione Bush invase per la seconda volta l’Iraq. Saddam venne deposto. Ma il Paese continuava a sfuggire al controllo di Washington. Troppo numerosa la fazione sciita, troppo potente il vicino Iran. Venne allora avanzata la proposta di dividere l’Iraq in tre Stati: a nord-est i curdi, a nord-ovest i sunniti, al centro e al sud gli sciiti. Ma dovettero rinunciare di fronte alla resistenza della popolazione. Tentarono di nuovo nel 2007, ma ancora una volta fallirono. Serviva una nuova strategia, utilizzando un attore non statale, un’entità come un fantomatico Esercito islamico dell’Iraq e del Levante.
Nel frattempo veniva portata avanti la strategia nel resto del Medio Oriente. Il 18 dicembre 2010 la Tunisia insorse a cacciò il corrotto presidente Ben Alì. Il 25 gennaio 2011 si sollevò l’Egitto (il presidente Hosni Mubarak venne arrestato).

Il 4 febbraio 2011 la Nato organizzò al Cairo una riunione per lanciare la “Primavera araba” in Libia e in Siria. Secondo un documento (di cui Popoff è entrato in possesso), la riunione era presieduta da John McCain. Il rapporto specificava la lista dei partecipanti libici, la cui delegazione era guidata dal numero due del governo dell’epoca, Mahmoud Jibril, il quale aveva bruscamente cambiato schieramento all’inizio della riunione per diventare il capo dell’opposizione a Gheddafi in esilio. Il rapporto cita tra i delegati francesi presenti in quell’occasione Bernard-Henry Lévy. All’incontro parteciparono molte altre personalità, tra cui una folta delegazione di siriani che vivevano all’estero.

In esito alla riunione, il misterioso account di Facebook Rivoluzione siriana 2011 lanciò l’appello a manifestare davanti al Consiglio del Popolo (il parlamento) a Damasco l’11 febbraio. Nonostante questo account ostentasse all’epoca più di quarantamila followers, soltanto una dozzina di persone risposero all’appello davanti ai flash dei fotografi e a centinaia di poliziotti. La dimostrazione si disperse pacificamente e gli scontri non iniziarono che un mese più tardi, a Deraa.

Il 16 febbraio, una manifestazione in corso a Bengasi degenerò in sparatoria. Il giorno dopo, degenerò in sparatoria una seconda manifestazione. Nello stesso momento, membri del Gruppo islamico combattente in Libia, venuti dall’Egitto e coordinati da individui incappucciati e non identificati, attaccarono simultaneamente quattro basi militari in quattro diverse città. Dopo tre giorni di combattimenti e di atrocità, i ribelli lanciarono la rivolta della Cirenaica contro la Tripolitania e contro il dittatore Muhammar Gheddafi.

Il 22 febbraio dello stesso anno McCain era in Libano. Là incontrò alcuni membri della Corrente del Futuro, e li incaricò di sorvegliare il trasferimento di armi in Siria. Poi, lasciando Beirut, il senatore ispezionò il confine siriano e scelse i villaggi (specialmente Ersal) che dovevano servire come base d’appoggio ai mercenari durante la guerra che sarebbe iniziata di lì a poco.
La Libia cadde come era accaduto prima alla Tunisia e all’Egitto, ma il regime di Bashar al Assad restò al suo posto. Ed ecco riapparire McCain. Era il 27 maggio 2013. Il giorno delle foto incriminanti. Il senatore dell’Arizona si recò illegalmente vicino a Idleb, in Siria, attraverso la Turchia, per incontrare alcuni leader della «opposizione armata». Il suo viaggio non fu reso pubblico che al suo ritorno a Washington dal direttore della comunicazione del suo staff Brian Rogers.

Un viaggio curioso, perché organizzato dalla Syrian Emergency Task Force, un’organizzazione diretta da un palestinese (Mouaz Moustafa) dipendente dell’Aipac, la più potente lobby ebraica negli Stati Uniti.

Ma torniamo alla nostra storia. La riunione mise in moto l’operazione “Nido dei calabroni”. Settemila jihadisti, provenienti da tutto il mondo, vennero addestrati in Turchia, altri cinquemila in Libia (sempre a spese dell’emiro del Qatar). Tutte nuove leve dell’Isil.
L’Esercito islamico era una cosa completamente nuova, l’organizzazione capace finalmente di sparigliare le carte. A differenza dei gruppi jihadisti che avevano combattuto in Afghanistan, in Bosnia-Erzegovina e in Cecenia al seguito di Osama Bin Laden, esso non costituiva una forza collaterale, ma piuttosto un esercito a sé. A differenza dei gruppi precedenti in Iraq, in Libia e in Siria, al seguito del principe Bandar bin Sultan, essi disponevano di sofisticati servizi di comunicazione integrata che esortavano ad arruolarsi, nonché di funzionari civili, formati nelle grandi scuole occidentali, capaci di prendere in carico immediatamente l’amministrazione di un territorio.

Quest’anno due episodi che hanno portato finalmente agli eventi di questa estate e ai massacri iracheni da parte dell’Isil. L’agenzia britannica Reuters ha pubblicato un articolo nel gennaio di quest’anno in cui si legge: «Il Congresso degli Stati Uniti si è riunito segretamente per votare il finanziamento e l’armamento dei ribelli in Siria fino al 30 settembre 2014». A fine febbraio, grazie anche al lavoro di McCain, in Ucraina una sorta di colpo di Stato è andato a buon fine. Uno dei primi atti del nuovo governo è stato siglare un accordo commerciale con l’Arabia Saudita per la vendita di un ingente quantitativo di armi (anche cannoni e carri armati) alla jihad di al Baghdadi. In base al contratto (di cui Popoff ha parlato in un precedente articolo) le armi in questione sarebbero state a disposizione «a partire dal primo giugno 2014», per essere trasferite all’Isil in Siria, via Turchia.
Quattro giorni dopo è iniziato l’attacco congiunto dell’Iraq da parte dell’Isil e del governo regionale del Kurdistan (totalmente controllato da Washington).

L’Emirato islamico si è impadronito della parte sunnita del Paese, mentre il governo regionale del Kurdistan ha ampliato il proprio territorio di oltre il quaranta per cento. Fuggendo le atrocità degli jihadisti, le minoranze religiose hanno lasciato la zona sunnita, aprendo così la strada alla spartizione del Paese in tre.

Violando l’accordo difensivo iracheno-statunitense, il Pentagono non è intervenuto e ha permesso all’Isil di continuare la sua conquista e i suoi massacri. Un mese dopo, quando i peshmerga del governo regionale curdo si erano ritirati senza dare battaglia, e quando l’emozione dell’opinione pubblica mondiale era diventata ormai troppo forte, il presidente Barak Obama ha dato l’ordine di bombardare alcune postazioni dell’Emirato islamico. Tuttavia, secondo il generale statunitense William Mayville, direttore delle operazioni presso lo stato maggiore, «queste incursioni hanno poca probabilità di intaccare le capacità globali dell’Emirato islamico o le sue attività in altre zone dell’Iraq o della Siria. Con ogni evidenza, esse non mirano a distruggere l’esercito jihadista, ma unicamente a garantire che nessuno degli attori convolti fuoriesca dal territorio che gli è stato assegnato».

Ciò che ha realmente fermato l’avanzata dell’Isil e ha aperto un corridoio umanitario, permettendo ai civili di sfuggire al massacro, è stato l’intervento dei curdi del Pkk turco e siriano, nemici giurati della Turchia, della Nato e degli Stati Uniti.