giovedì 7 maggio 2015

Lucy - Jamaica Kincaid

Lucy è molto arrabbiata, voleva fuggire dall'isola natale, arriva  New York, in una famiglia che non poteva essere meglio, quattro bambine e una coppia, sembra, perfetta. 
Mariah la tratta benissimo, a volte anche troppo.
Lucy vuole l'indipendenza, odia il suo passato, la madre, la famiglia, cerca la sua strada.
e poi inizia a scrivere, su un quaderno che le ha regalato Mariah.
leggetelo, non è perfetto, ma un libro così arrabbiato e amaro non capita spesso - franz






Un romanzo forte, privo di qualsiasi consolazione e proprio per questo bello, illuminante, scritto nello stile asciutto e deciso a cui la Kincaid ci ha abituati. Lucy viene da un'isola delle Antille, paradiso per i turisti ma inferno per lei, che la vede come residuo coloniale ostaggio del sole e della siccità. Lucy vuol fuggire: dall'isola-prigione, da una madre possessiva che lei critica per le scelte che ha fatto, da un padre indifferente e infedele che condiziona la sua visione dell'universo maschile…

…Si ribella al sistema britannico che le fa imparare poesie su fiori che non ha mai visto, si rifiuta di canzare le canzoni che celebrano il dominio dell’Inghilterra ma, soprattutto, si avvicina al sesso quasi come a voler fare uno sgarbo a sua madre che, da fervente cristiana, ha dedicato tutti i suoi sforzi a evitare che sua figlia “diventasse una zoccola”.
Vorrei amare qualcuno tanto da morirne
scrive Lucy sul quaderno che le ha regalato Mariah, sua amica ed ex datrice di lavoro. O forse non riesce ad amare nessuno con la stessa forza con cui ama/odia la madre?

Lucy appare come un lampo individualista, meno mediato dal pensiero e più concentrato sul fluire delle emozioni. Non potrebbe essere altrimenti: Lucy è un’adolescente che reclama il suo diritto a esistere e la sua libertà, persino la libertà di essere il prodotto di una storia tragica o anche solo la libertà di essere spaesata senza che ciò la riduca alla mera occorrenza di un destino collettivo. Quando ostenta indifferenza verso i valori condivisi o manifesta un sentire rovesciato, o sfrutta la relatività dei punti di vista etnici e sociali per sconvolgere le certezze di chi le sta di fronte, la sua non è ancora una polemica contro una concezione della realtà che non condivide: è una questione personale, una lotta per l’affermazione di sé che, al suo acme, troverà una chiave di volta nel ricordo, indistinguibile da un sogno, di una discussione sul suo nome avuta con la madre, figura ormai cresciuta nella mente della ragazza fino a divenire un dio immenso dalla sostanza del quale sembra impossibile uscire: Lucy sta per Lucifero, e se da un lato ciò dà un senso al passato e al presente della ragazza, a ogni sua cattiveria, indifferenza, ritrosia di fronte all’altro, facendone elementi di una rivelazione rovesciata da cui scaturisce un sì alla vita come possibilità del male che preannuncia il motivo –  centrale in Autobiografia di mia madre – della superiorità del valore della conoscenza del male sulla felicità, d’altro canto offre a Lucy la possibilità di sradicare un condizionamento asfissiante, e l’acerbo nichilismo adolescenziale comincia a vacillare. 
Lucy si lascerà indietro la vecchia famiglia di Antigua e la nuova di New York. “Sono sola al mondo. Non è un risultato di poco conto”, considererà amaramente dal cuore del suo esanime mondo di valori trasvalutati – ridotto ormai all’appendere tende dai motivi tropicali alle finestre della sua nuova casa immersa nel gelo – prima di gettare definitivamente la maschera.

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