Mariah la tratta benissimo, a volte anche troppo.
Lucy vuole l'indipendenza, odia il suo passato, la madre, la famiglia, cerca la sua strada.
e poi inizia a scrivere, su un quaderno che le ha regalato Mariah.
leggetelo, non è perfetto, ma un libro così arrabbiato e amaro non capita spesso - franz
…Un romanzo forte, privo di qualsiasi
consolazione e proprio per questo bello, illuminante, scritto nello stile
asciutto e deciso a cui la Kincaid ci ha abituati. Lucy viene da un'isola delle
Antille, paradiso per i turisti ma inferno per lei, che la vede come residuo
coloniale ostaggio del sole e della siccità. Lucy vuol fuggire:
dall'isola-prigione, da una madre possessiva che lei critica per le scelte che
ha fatto, da un padre indifferente e infedele che condiziona la sua visione
dell'universo maschile…
…Si ribella al sistema britannico che le fa imparare poesie su fiori
che non ha mai visto, si rifiuta di canzare le canzoni che celebrano il dominio
dell’Inghilterra ma, soprattutto, si avvicina al sesso quasi come a voler fare
uno sgarbo a sua madre che, da fervente cristiana, ha dedicato tutti i suoi
sforzi a evitare che sua figlia “diventasse una zoccola”.
Vorrei
amare qualcuno tanto da morirne
scrive Lucy sul quaderno che le ha regalato Mariah, sua amica
ed ex datrice di lavoro. O forse non riesce ad amare nessuno con la stessa
forza con cui ama/odia la madre?
…Lucy appare
come un lampo individualista, meno mediato dal pensiero e più concentrato sul
fluire delle emozioni. Non potrebbe essere altrimenti: Lucy è un’adolescente
che reclama il suo diritto a esistere e la sua libertà, persino la libertà di
essere il prodotto di una storia tragica o anche solo la libertà di essere
spaesata senza che ciò la riduca alla mera occorrenza di un destino collettivo.
Quando ostenta indifferenza verso i valori condivisi o manifesta un sentire
rovesciato, o sfrutta la relatività dei punti di vista etnici e sociali per
sconvolgere le certezze di chi le sta di fronte, la sua non è ancora una
polemica contro una concezione della realtà che non condivide: è una questione
personale, una lotta per l’affermazione di sé che, al suo acme, troverà una
chiave di volta nel ricordo, indistinguibile da un sogno, di una discussione
sul suo nome avuta con la madre, figura ormai cresciuta nella mente della
ragazza fino a divenire un dio immenso dalla sostanza del quale sembra
impossibile uscire: Lucy sta per Lucifero, e se da un lato ciò dà un senso al
passato e al presente della ragazza, a ogni sua cattiveria, indifferenza,
ritrosia di fronte all’altro, facendone elementi di una rivelazione rovesciata
da cui scaturisce un sì alla vita come possibilità del male che preannuncia il
motivo – centrale in Autobiografia di mia madre – della superiorità del valore della conoscenza
del male sulla felicità, d’altro canto offre a Lucy la possibilità di sradicare
un condizionamento asfissiante, e l’acerbo nichilismo adolescenziale comincia a
vacillare.
Lucy si lascerà indietro la vecchia famiglia di Antigua e la nuova di New York. “Sono sola al mondo. Non è un risultato di poco conto”, considererà amaramente dal cuore del suo esanime mondo di valori trasvalutati – ridotto ormai all’appendere tende dai motivi tropicali alle finestre della sua nuova casa immersa nel gelo – prima di gettare definitivamente la maschera.
Lucy si lascerà indietro la vecchia famiglia di Antigua e la nuova di New York. “Sono sola al mondo. Non è un risultato di poco conto”, considererà amaramente dal cuore del suo esanime mondo di valori trasvalutati – ridotto ormai all’appendere tende dai motivi tropicali alle finestre della sua nuova casa immersa nel gelo – prima di gettare definitivamente la maschera.
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