scrive Marco Lodoli:
È la mattina del 5 maggio e nella mia scuola a Torre Maura,
a Roma, succursale dell’Istituto professionale Falcone-Pertini, ci siamo solo
io e la preside, arrivata dalla centrale per aprire il portone e garantire agli
studenti le ore di lezione. Ma di studenti nemmeno l’ombra.
Sono tutti in sciopero insieme agli insegnanti. La preside
ci tiene a mostrare una certa serenità, da ammiraglio che non perde la calma,
anche quando la nave sembra paurosamente inclinata. Vago per i corridoi deserti
con le mani dietro la schiena e penso che qualcosa in questa riforma non è
andato come doveva, visto che i miei colleghi sono compattamente, convintamente
ostili. Mi sento ancora più dispiaciuto perché ho partecipato a tante riunioni
al ministero della Pubblica Istruzione, ormai un anno fa, per progettare la
Buona Scuola.
risponde Elisabetta:
Caro Marco,
Ebbene sì, anch’io quel 5 maggio ero a scioperare e
ho contribuito a costruire quel profondo senso di solitudine di cui parli sulle
pagine di Repubblica.
Nel leggerti
mi è venuto in mente l’immagine di
un giocatore che si lamenta di non trovare i propri compagni negli spogliatoi,
mentre loro sono già sul campo a giocare la finale…
Caro Marco il tempo stringe… e non si può stare mani in mano a vagare per i
corridoi. Ne va della nostra professione, ne va dei nostri ragazzi, ne va del
nostro sistema scolastico.Stanno
attaccando la scuola pubblica!
Tu, che ti
sei sforzato così tanto di fare bella figura e noi, stupidi e arrabbiati, non
abbiamo compreso le vostre intenzioni, le vostre serie e buone intenzioni. Lo
sai qual è il problema? È proprio
quest’aria buonista che nasconde invece l’arroganza di chi erge un
muro e una distanza siderale fra voi della scuola “buona” e noi, della scuola
“normale”.
Voi della
scuola buona avete capito tutto e tutti, sapete come fare, animati dal sano
ottimismo e dall’energia del fare. Noi
della scuola normale invece siamo duri a capire, disfattisti e
pessimisti sappiamo solo lamentarci e non vediamo la grandezza di una riforma
epocale come la vostra. Siamo troppo arrabbiati e delusi, abbiamo le menti
offuscate da anni di malaffare e di mal governo e prendiamo lucciole per
lanterne additando voi, proprio voi, che vi siete rimboccati le maniche per
risolvere gli annosi problemi della scuola italiana!
Non voglio e
non posso credere che uno come te, che insegna da anni, che scrive libri, che
ha partecipato alla ideazione di questa riforma, possa davvero credere che i
veri e i grandi punti di forza del Ddl siano i 500 euro annui da spendere
per la propria formazione culturale e l’assunzione dei precari. Nessuna parola che entri nel merito della
riforma: e i soldi dati alle scuole private? E le modalità di
assunzione dei precari storici? E le modalità dell’alternanza scuola-lavoro? E
l’autonomia delle scuole gestita dal preside, “primus inter pares”? Nessuna
parola inoltre sulle materie da insegnare, sul monte ore da distribuire, sulla
relazione insegnante – allievo.
È inutile nascondersi dietro le semplificazioni e gli stereotipi della “professoressa tacco 12″
o del “professore marxista leninista”. Queste possono andare bene per una
sceneggiatura dell’ennesimo film scadente sulla scuola, ma non per convincerci
che vi siete spiegati male. Non è un problema di come dite le cose, ma delle
cose che dite.
Chi ti
scrive “festeggia” quest’anno il suo undicesimo anno di precariato: ho attraversato tutti i ministri, tutte le
riforme che si sono susseguite nel nostro paese in quest’ultimo
decennio, ho visto ogni anno una scuola diversa, conosciuto centinaia di
studenti e decine e decine di insegnanti, ma raramente ho incontrato questa
semplificazione, questa fatuità disarmante con cui presentate il vostro
progetto. Dietro un’idea di
scuola, c’è un’idea di essere umano, di società, di politica. E la
vostra idea di essere umano, di società, di politica non ci piace per niente.
Voi dividete gli esseri umani in “chi è fatto per studiare” e “chi per
lavorare”, la vostra è la società del merito di avere i soldi. Acuite le
disuguaglianze, elargite fior di euro alle scuole cattoliche.
Eppure basterebbe
fare classi di venti alunni al massimo, rendere le scuole private senza oneri per lo stato e investire in quelle
pubbliche. Tu che insegni non puoi negare di quanto possa migliorare una
lezione in un’aula ben attrezzata con un massimo di 20 alunni.
Caro Marco,
dal tuo
pezzo, così come dalla lettera che Matteo Renzi ha inviato a tutti noi docenti,emerge una freddezza e una presunzione che
nascondono soltanto il disprezzo per coloro che quella scuola la vivono davvero.
Senza i 500 euro i professori non si formerebbero! Ahimè caro Marco io
quest’anno ne spendo “solo” 2500 ( pari a poco meno di due mensilità) per
prendere un’altra abilitazione e non ti aggiungo quelli che spendo per i libri,
per il cinema, il teatro, i convegni e le mostre che vado a vedere nella mia e
in altre città italiane. I 500 euro sono la solita ovvietà elargita come se
fosse una grazia scesa dal cielo. Ma come?!? Mi lamento proprio io che forse il
prossimo anno verrò assunta? Vogliamo
innanzitutto sapere i numeri precisi di queste assunzioni, ma
soprattutto come e dove saremo assunti. Nessuno, ad oggi, è ancora in grado di
spiegarcelo!
Inoltre
quella cosa che si chiama Contratto
nazionale avrà ancora una sua validità o sarà scavalcato dalle
decisioni del governo?
Qui si
tratta di difendere un’idea di
scuola pubblica, di stato sociale, di laicità e di uguaglianza!
Qui si
tratta di interesse vero per gli
altri esseri umani, in particolare per quelle nuove generazioni che
saranno i cittadini di domani.
Qui si
tratta di difendere una
professione dalle basse logiche del mercato e della competizione.
Qui si
tratta di formare i giovani nel
pensiero critico, nella propria autonomia.
Qui si
tratta di fare bene e amare la
propria professione.
Qui si
tratta di difendere uno dei pochi
luoghi di lavoro e di formazione in cui vigono l’onesta e la
trasparenza.
Non potete farlo voi che girate da soli per i corridoi e guardate dall’alto in basso.
Tu e Matteo
Renzi vi lamentate di non essere stati capiti. Come farebbe un bravo insegnante
quando la maggior parte dei suoi alunni non arriva alla sufficienza. Il buon insegnante è quello che ammette
di non essersi spiegato bene.
C’è una
piccola differenza: che voi non
siete i “maestri della nazione” e noi non siamo i vostri alunni.
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