un giorno, forse, queste cose saranno sui libri di storia, adesso non stanno neanche nei giornali e nelle tv - franz
Il patto Isil-Usa in una foto - Franco Fracassi
La pistola fumante è una foto. È stata scattata il 27 maggio 2013 a Idleb,
nel nord della Siria. Ritrae Mohammad
Nour, Salem Idriss, Abu Mosa, John McCain e Ibrahim al Badri. Il primo è il portavoce
del Fronte al Nusra (Al Qaida in Siria). Il secondo è il capo dell’Esercito
siriano libero (responsabile in Siria di raccapriccianti massacri). Il terzo è
il portavoce dell’Isil, il quarto è un senatore degli Stati Uniti, nonché ex
candidato alla Casa Bianca, nonché ambasciatore ombra del Dipartimento di Stato.
L’ultimo è noto anche come Abu Du’a, figura nella lista dei cinque terroristi
più ricercati dagli Stati Uniti (dieci milioni di dollari di ricompensa) e come
nome di battaglia ha preso quello di Abu Bakr al Baghdadi, il capo
dell’Esercito islamico dell’Iraq e del Levante (Isil).
Particolare importante è che al momento di quello scatto al Baghdadi già
era stato iscritto (il 4 ottobre 2011) dall’Fbi nella speciale lista dei
terroristi ricercati del mondo, e sia l’Isil che il Fronte al Nusra erano stati
inseriti dalle Nazioni Unite nella lista nera delle organizzazioni
terroristiche da combattere.
Altro particolare importante, McCain non è un politico qualsiasi. Da
vent’anni è a capo dell’International Republican Institute (Iri), il ramo
repubblicano di un’organizzazione governativa (il Ned) parallela alla Cia.
L’Iri è un’agenzia inter-governativa, Il cui budget viene annualmente approvato
dal Congresso, in un capitolo di bilancio che fa capo alla Segreteria di Stato.
È stato McCain la mente della rivoluzione che ha detronizzato Slobodan
Milosevic dalla presidenza della Serbia, colui che ha cercato più volte di
rovesciare il governo di Hugo Chavez in Venezuela, l’ideatore della rivoluzione
arancione in Ucraina nel 2004 e di Maidan nel 2013, il grande manovratore della
Primavera araba e di tutte le sue rivoluzioni (Iran, Tunisia, Egitto, Libia,
Siria).
Popoff ha rivelato l’esistenza di documenti (resi pubblici dall’ex agente
della National Security Agency Edward Snowden) che dimostrano come siano state
la Cia e il Mossad ad addestrare e ad armare l’Isil. Un’operazione segreta nome
in codice “Nido dei calabroni”. «L’unica soluzione per proteggere lo Stato
ebraico è quella di creare un nemico alle sue frontiere, ma indirizzarlo
contro gli Stati islamici che si oppongono alla sua presenza», si legge su un
documento della Cia. Al Bagdadi è stato prigioniero a Guantanamo tra
il 2004 e il 2009. In quel periodo Cia e Mossad lo avrebbero
reclutato per fondare un gruppo capace di attrarre jihadisti di vari Paesi in
un unico luogo. E tenerli così lontani da Israele. L’obiettivo era quello
di creare un esercito in grado di spodestare il presidente siriano Bashar al
Assad.
Nel giugno di quest’anno l’Isil (sempre supportato dagli Usa) ha tracimato
nel nord dell’Iraq, sbaragliando le truppe governative irachene e massacrando
musulmani sciiti, ebrei e, soprattutto, cristiani.
«È stato un fallimento. Abbiamo fallito nel voler creare una guerriglia
anti Assad credibile. Era formata da islamisti, da secolaristi, da gente nel
mezzo. Il fallimento di questo progetto ha portato all’orrore a cui stiamo
assistendo oggi in Iraq». Ha dichiarato l’ex segretario di Stato Usa Hillary
Rodham Clinton nel corso di un’intervista rilasciata a Jeffrey Goldberg del
giornale web “The Atlantic”. «In un’intervista che risale allo scorso febbraio
il presidente Obama mi disse: “Quando hai un esercito di professionisti che
combatte contro contadini, falegnami e ingegneri che iniziano una protesta devi
fare qualcosa. Purtroppo modificare l’equazione delle forze in campo è
difficile, e quasi mai ci si riesce. All’epoca non capii. Oggi mi è tutto chiaro»,
scrive Goldberg.
È stato veramente l’ennesimo fallimento della politica estera statunitense?
Per dare una risposta bisogna tornare indietro e raccontare la storia
dall’inizio.
La caduta del Muro di Berlino rappresentò per le grandi multinazionali
(principalmente quelle statunitensi) una grande opportunità commerciale. C’era
una fetta di mondo, però, che fino ad allora era rimasta impermeabile al
business made in Usa e non dava alcun accenno di voler abbassare la guardia: il
Medio Oriente. Quattro i Paesi chiave: l’Egitto per tutta l’area era (ed è)
quello che gli Stati Uniti rappresentano per l’Occidente, la guida commerciale
e dei costumi; la Libia, la Siria e l’Iraq tre potenti nazioni che avevano
eretto una barriera totale all’espansionismo di Washington.
Il piano era quello di rovesciare i vari regimi al potere e di instaurare
sistemi di potere più sensibili al richiamo del dollaro e dei prodotti che
arrivavano da oltre oceano. Un po’ che avveniva già da tempo nelle monarchie
del Golfo Persico.
Il Paese chiave era l’Iraq e il suo sanguinario (nonché seguitissimo dalle
masse arabe) leader Saddam Hussein. Come hanno dimostrato migliaia di
documenti, di filmati, di testimonianze e di foto, un ottimo amico di
Washington, ma troppo furbo per cadere nella trappola economica.
E così nel 1990 l’ambasciatrice Usa a Baghdad convinse Saddam a invadere il
Kuwait (come ha raccontato lei stessa più volte), per poi sfruttare a proprio
vantaggio quell’episodio e dichiarare guerra all’Iraq (gennaio 1991).
Il primo conflitto iracheno non risolse la questione. Saddam era ancora al
potere. Il Paese venne messo sotto embargo per dodici anni, con la speranza che
il popolo esasperato si rivoltasse. Non accadde nulla. Allora (nel marzo 2003)
approfittando dell’11 settembre l’allora Amministrazione Bush invase per la
seconda volta l’Iraq. Saddam venne deposto. Ma il Paese continuava a sfuggire
al controllo di Washington. Troppo numerosa la fazione sciita, troppo potente
il vicino Iran. Venne allora avanzata la proposta di dividere l’Iraq in tre
Stati: a nord-est i curdi, a nord-ovest i sunniti, al centro e al sud gli
sciiti. Ma dovettero rinunciare di fronte alla resistenza della popolazione.
Tentarono di nuovo nel 2007, ma ancora una volta fallirono. Serviva una nuova
strategia, utilizzando un attore non statale, un’entità come un fantomatico
Esercito islamico dell’Iraq e del Levante.
Nel frattempo veniva portata avanti la strategia nel resto del Medio
Oriente. Il 18 dicembre 2010 la Tunisia insorse a cacciò il corrotto presidente
Ben Alì. Il 25 gennaio 2011 si sollevò l’Egitto (il presidente Hosni Mubarak
venne arrestato).
Il 4 febbraio 2011 la Nato organizzò al Cairo una riunione per lanciare la
“Primavera araba” in Libia e in Siria. Secondo un documento (di cui Popoff è
entrato in possesso), la riunione era presieduta da John McCain. Il rapporto
specificava la lista dei partecipanti libici, la cui delegazione era guidata
dal numero due del governo dell’epoca, Mahmoud Jibril, il quale aveva
bruscamente cambiato schieramento all’inizio della riunione per diventare il
capo dell’opposizione a Gheddafi in esilio. Il rapporto cita tra i delegati
francesi presenti in quell’occasione Bernard-Henry Lévy. All’incontro
parteciparono molte altre personalità, tra cui una folta delegazione di siriani
che vivevano all’estero.
In esito alla riunione, il misterioso account di Facebook Rivoluzione siriana
2011 lanciò l’appello a manifestare davanti al Consiglio del Popolo (il
parlamento) a Damasco l’11 febbraio. Nonostante questo account ostentasse
all’epoca più di quarantamila followers, soltanto una dozzina di persone
risposero all’appello davanti ai flash dei fotografi e a centinaia di
poliziotti. La dimostrazione si disperse pacificamente e gli scontri non
iniziarono che un mese più tardi, a Deraa.
Il 16 febbraio, una manifestazione in corso a Bengasi degenerò in
sparatoria. Il giorno dopo, degenerò in sparatoria una seconda manifestazione.
Nello stesso momento, membri del Gruppo islamico combattente in Libia, venuti
dall’Egitto e coordinati da individui incappucciati e non identificati,
attaccarono simultaneamente quattro basi militari in quattro diverse città.
Dopo tre giorni di combattimenti e di atrocità, i ribelli lanciarono la rivolta
della Cirenaica contro la Tripolitania e contro il dittatore Muhammar Gheddafi.
Il 22 febbraio dello stesso anno McCain era in Libano. Là incontrò alcuni
membri della Corrente del Futuro, e li incaricò di sorvegliare il trasferimento
di armi in Siria. Poi, lasciando Beirut, il senatore ispezionò il confine
siriano e scelse i villaggi (specialmente Ersal) che dovevano servire come base
d’appoggio ai mercenari durante la guerra che sarebbe iniziata di lì a poco.
La Libia cadde come era accaduto prima alla Tunisia e all’Egitto, ma il
regime di Bashar al Assad restò al suo posto. Ed ecco riapparire McCain. Era il
27 maggio 2013. Il giorno delle foto incriminanti. Il senatore dell’Arizona si
recò illegalmente vicino a Idleb, in Siria, attraverso la Turchia, per
incontrare alcuni leader della «opposizione armata». Il suo viaggio non fu reso
pubblico che al suo ritorno a Washington dal direttore della comunicazione del
suo staff Brian Rogers.
Un viaggio curioso, perché organizzato dalla Syrian Emergency Task Force,
un’organizzazione diretta da un palestinese (Mouaz Moustafa) dipendente
dell’Aipac, la più potente lobby ebraica negli Stati Uniti.
Ma torniamo alla nostra storia. La riunione mise in moto l’operazione “Nido
dei calabroni”. Settemila jihadisti, provenienti da tutto il mondo, vennero
addestrati in Turchia, altri cinquemila in Libia (sempre a spese dell’emiro del
Qatar). Tutte nuove leve dell’Isil.
L’Esercito islamico era una cosa completamente nuova, l’organizzazione
capace finalmente di sparigliare le carte. A differenza dei gruppi jihadisti
che avevano combattuto in Afghanistan, in Bosnia-Erzegovina e in Cecenia al
seguito di Osama Bin Laden, esso non costituiva una forza collaterale, ma
piuttosto un esercito a sé. A differenza dei gruppi precedenti in Iraq, in
Libia e in Siria, al seguito del principe Bandar bin Sultan, essi disponevano
di sofisticati servizi di comunicazione integrata che esortavano ad arruolarsi,
nonché di funzionari civili, formati nelle grandi scuole occidentali, capaci di
prendere in carico immediatamente l’amministrazione di un territorio.
Quest’anno due episodi che hanno portato finalmente agli eventi di questa
estate e ai massacri iracheni da parte dell’Isil. L’agenzia britannica Reuters
ha pubblicato un articolo nel gennaio di quest’anno in cui si legge: «Il
Congresso degli Stati Uniti si è riunito segretamente per votare il
finanziamento e l’armamento dei ribelli in Siria fino al 30 settembre 2014». A
fine febbraio, grazie anche al lavoro di McCain, in Ucraina una sorta di colpo
di Stato è andato a buon fine. Uno dei primi atti del nuovo governo è stato
siglare un accordo commerciale con l’Arabia Saudita per la vendita di un
ingente quantitativo di armi (anche cannoni e carri armati) alla jihad di al
Baghdadi. In base al contratto (di cui Popoff ha parlato in un precedente
articolo) le armi in questione sarebbero state a disposizione «a partire dal
primo giugno 2014», per essere trasferite all’Isil in Siria, via Turchia.
Quattro giorni dopo è iniziato l’attacco congiunto dell’Iraq da parte
dell’Isil e del governo regionale del Kurdistan (totalmente controllato da
Washington).
L’Emirato islamico si è impadronito della parte sunnita del Paese, mentre
il governo regionale del Kurdistan ha ampliato il proprio territorio di oltre
il quaranta per cento. Fuggendo le atrocità degli jihadisti, le minoranze
religiose hanno lasciato la zona sunnita, aprendo così la strada alla
spartizione del Paese in tre.
Violando l’accordo difensivo iracheno-statunitense, il Pentagono non è
intervenuto e ha permesso all’Isil di continuare la sua conquista e i suoi
massacri. Un mese dopo, quando i peshmerga del governo regionale curdo si erano
ritirati senza dare battaglia, e quando l’emozione dell’opinione pubblica
mondiale era diventata ormai troppo forte, il presidente Barak Obama ha dato
l’ordine di bombardare alcune postazioni dell’Emirato islamico. Tuttavia,
secondo il generale statunitense William Mayville, direttore delle operazioni
presso lo stato maggiore, «queste incursioni hanno poca probabilità di
intaccare le capacità globali dell’Emirato islamico o le sue attività in altre
zone dell’Iraq o della Siria. Con ogni evidenza, esse non mirano a distruggere
l’esercito jihadista, ma unicamente a garantire che nessuno degli attori
convolti fuoriesca dal territorio che gli è stato assegnato».
Ciò che ha realmente fermato l’avanzata dell’Isil e ha aperto un corridoio
umanitario, permettendo ai civili di sfuggire al massacro, è stato l’intervento
dei curdi del Pkk turco e siriano, nemici giurati della Turchia, della Nato e
degli Stati Uniti.
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