mercoledì 17 febbraio 2021

Etiopia, massacri nel Tigrai: civili e preti orrendamente trucidati

 

 (ripreso da remocontro 

 

100 giorni di buio sulla guerra a nascondere cosa?

 

«I racconti dell’orrore della guerra-ombra del Tigrai squarciano il buio che li ha avvolti in questi 100 giorni esatti di blackout informativo e di isolamento», segnala Paolo Lambruschi su Avvenire. E molti testimoni confermano o crimini di guerra e le atrocità denunciate sui social o sussurrato al telefono da giornalisti, attivisti e operatori umanitari. «Confermati i massacri di civili – anziani, donne e bambini compresi – e di religiosi copti».

 

Complicità etiope ai massacri eritrei

 

Stupri di massa, uccisioni e deportazioni forzate in Eritrea dei rifugiati eritrei dei campi di Hitsats e Shimelba, distrutti e che il governo di Addis Abeba ha dichiarato di non voler più riaprire e vietati all’ Onu. «Inequivocabili le notizie forniteci da fonti cattoliche, che non citiamo per ragioni di sicurezza –scrive il quotidiano dei vescovi italiani- . Ad Irob, piana semidesertica confinante con la regione Afar e l’Eritrea, sono stati uccisi solo a gennaio 30 preti copti ortodossi che pregavano in chiesa. A Wukro, Adigrat e Kobo mancano cibo e medicinali».


La saga degli orrori

«Meglio uccidere le donne del Tigrai perché domani partoriranno i woyane» (la formazione separatista), avrebbero detto i militari eritrei a chi chiedeva il perché di tanto odio.

 

Le mogli dei Woyane

Alla fine di gennaio, sempre a Irob, etiopi ed eritrei hanno ucciso 50 «mogli dei Woyane». Uccisioni di giovanissimi sotto gli occhi dei genitori, cento solo a Irob, e le frequenti violenze sessuali su donne e ragazze anche davanti ai mariti, spesso seguite dalla spietata uccisione delle vittime.
Venerdì per la prima volta il governo etiope, con un tweet della ministra delle donne Filsan Abdullahi Ahmed, ha ammesso che una task force governativa «purtroppo ha stabilito che le violenze sessuali hanno avuto luogo con certezza e senza alcun dubbio».

 

Gli Shabia eritrei

 

Molte donne sostengono di essere state violentate dalle forze eritree, gli shabia, soldati in sandali di plastica che avrebbe ricevuto l’ordine di eliminare anche i maschi tigrini sopra i sei anni proibendone la sepoltura. Circostanziata l’accusa di ‘Human Rights Watch’ alle truppe federali e a quelle eritree: a novembre avrebbero bombardato scuole, ospedali, chiese e mercati di Humera, Macallè e Scire uccidendo 187 civili tra cui donne e bambini e ferendone oltre 300.

 

Contro i simboli religiosi

 

Non sono stati risparmiati i simboli religiosi. Testimoni parlano della chiesa ortodossa di Sant’Amanuel nel villaggio di Negash, in cima a una montagna, bombardata il 23 e 24 novembre da tank e artiglieria pesante di Isaias Afewerki.

 

Saccheggiate missioni e conventi cattolici, religiosi e religiose sono stati rapinati persino dei crocifissi portati al collo. Sul banco degli imputati l’esercito federale e soprattutto gli alleati eritrei. La loro presenza, negata dal regime di Asmara e dal governo etiope (ma ammessa da autorità locali e da comandanti federali, precisa Avvenire).
Nei giorni scorsi, Usa e Ue hanno chiesto all’Eritrea il ritiro immediato dei soldati, colpevoli di violenze indicibili, e l’istituzione di una commissione d’inchiesta indipendente che dovrà affrontare anche il dramma dei rifugiati eritrei deportati, probabilmente 10 mila.

 

Il presidente poco Nobel di Adis Abeba

 

Per la prima volta il governo di Addis Abeba riconosce le violenze sessuali avvenute nella zona dei combattimenti. L’Alto commissario Onu per i rifugiati Filippo Grandi ha denunciato la scomparsa di 20 mila rifugiati eritrei sui 96 mila sotto protezione etiope in quattro campi nel Tigrai. Shimelba, campo di 8.500 eritrei di etnia Cunama, è stato distrutto ai primi di gennaio. Fucilati i capi tigrini. Ma quando il 5 gennaio sono tornati gli eritrei, l’esercito di Isaias ha iniziato a incendiare tutto e a uccidere anche donne e bambini.

 

La sorte dei deportati

 

Che sorte è toccata in Eritrea ai deportati? La sequenza degli orrori dalle testimonianza raccolte da Paolo Lambruschi continua.
I rifugiati Cunama sono prigionieri in campi di accoglienza in attesa che passi il Covid o passino loro, denutriti da settimane. Il regime vuole spedire i giovani nei campi di addestramento per il servizio di leva a vita dal quale erano fuggiti. Gli altri, finita la pandemia, torneranno nei villaggi. Sperando esistano ancora, denuncia la Caritas Italiana che, con quella eritrea, sta raccogliendo aiuti di sopravvivenza.

da qui 

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