La tormenta segnalata dalle sentinelle zapatiste si intensifica e
attacca. Pericoli immensi ci minacciano, le cose non torneranno alla
“normalità”, inutile aggrapparsi ai percorsi abituali. Dal 3 al 9 maggio s’è
tenuto il seminario intitolato “Il pensiero critico di fronte all’idra
capitalista”. Seminario, aveva spiegato l’Ezln, vuol dire semenzaio, il luogo
dove crescono i semi. Quello del Caracol di Oventic è stato solo l’avvio,
perché il semenzaio non è pensato per un solo luogo e un solo momento. Tornato
a Oaxaca, Gustavo Esteva ci racconta le prime impressioni: “Il compito più
urgente è moltiplicare i semenzai, perché altri semi possano crescere secondo
un proprio calendario e una propria geografia”. Gli zapatisti ci hanno tolto la
voglia e la capacità di idealizzarli, aggiunge, non dobbiamo imitarli. Portiamo
un gran peso sulle spalle ma sono spalle rinnovate e piene di coraggio
Il seminario stava per finire. In piena
cerimonia di chiusura, sabato 9 maggio, ci è arrivata la notizia della repressione sui compagni di San Quintín. Trovava conferma, nel modo
peggiore, ciò che avevamo appena analizzato. Il subcomandante Moisès lo aveva messo
in evidenza: forse non abbiamo più il tempo che credevamo di avere. La tormenta si intensifica e ci attacca. Si accumulano
le sofferenze. Non siamo ancora guariti da Ayotzinapa, siamo ancora in attesa
dei nostri 43, e già succede questo. E questo richiede una reazione immediata,
se abbiamo imparato qualcosa nel semenzaio, per trovare il modo di avvertirci,
di prenderci cura l’uno dell’altro, di … tessere le nostre storie.
Credo che a nessuno sia tremata la penna
o la parola quando si è trattato di descrivere l’orrore. Eravamo carichi di
emozione, però anche di rigore analitico e storico. Eravamo riusciti a
mostrare, senza ambiguità, molte delle teste dell’idra e anche il modo in cui
nel tagliarle se ne moltiplica il numero. Ci era anche chiaro che, nonostante
le brillanti, molteplici e solide analisi, siamo ancora molto indietro: abbiamo
appena cominciato. Per lo meno, però, è stato possibile stendere il terreno teorico e pratico nel quale
poter deporre i semi della conoscenza che abbiamo appreso, per poterlo
coltivare, ognuno a modo suo, nei vivai che possiamo aprire ovunque.
Il compito più pressante è chiaro:
tornando a casa, senza irresponsabili precipitazioni, ma con la consapevolezza
dell’urgenza, dobbiamo moltiplicare i semenzai. Quelli di noi che partecipano a collettivi, ad
assemblee, a loro spazi di riflessione, a forme autonome del pensare e
dell’agire, devono mettere in comune in esse quello che hanno appreso, sia per
avventurarsi sulle nuove strade che si sono aperte, sia per percorrere nuovamente,
con rinnovati sguardi, quelle che hanno percorso mille volte. Coloro che non
hanno di questi spazi, devono crearne, anche fosse … con due amici o amiche
prossimi.
Tra le cose più importanti del semenzaio
c’è stata la concordanza puntuale sulla gravità del momento. Dalle posizioni
più diverse, in un ampio ventaglio in cui sono state rese evidenti differenze
importanti, abbiamo riconosciuto pericoli immensi che gravano su noi tutti,
nessuno è escluso.
E si, è stato affascinante. Ma la verità
è che all’incontro siamo arrivati inquieti. Che fare di fronte a questa
situazione tanto opprimente, minacciosa, immediatamente catastrofica, una
condizione che non lascia alcuno spazio all’ottimismo e ne lascia appena un po’
alla speranza?
Continuavamo a farci e rifarci la vecchia
domanda, perché sapevamo che le vecchie risposte non funzionano più ma pesano ancora: l’immaginazione si paralizza se vengono abbandonate
radicalmente.
Non abbiamo ottenuto una
risposta. Ne abbiamo ascoltate molte. E’ questa la natura delle resistenze e delle ribellioni di oggi. Non consistono solamente nell’opporsi a qualcosa, per
resistere all’aggressione di una qualsiasi delle teste dell’idra. E’ stato
chiaro, per molte e molti dei partecipanti al semenzaio, che l’unico modo
efficace di agire è quello di moltiplicare i No, i rifiuti radicali a quello
che ci minaccia e ci opprime, e in quella stessa operazione, moltiplicare i Sì,
i diversi modi di costruire il mondo nuovo.
Credo che molte e molti di noi abbiano
imparato anche una lezione essenziale: non avvinghiarsi a una posizione su ciò
che potrebbe essere meglio.
Molte volte, nelle parole ripetute del subcomandante Moises, gli zapatisti ci hanno tolto la voglia e la capacità di idealizzarli e ci hanno fatto capire che non dobbiamo nemmeno imitarli. Era necessario sottoporci a questa operazione quasi chirurgica. L’emozione di essere nel territorio zapatista, l’impronta che la escuelita ha lasciato in tanti partecipanti, le gesta di questi 30 anni, la vitalità di un’iniziativa che sembra essere la più radicale e importante al mondo, e persino il fatto stesso che gli zapatisti ci abbiano convocato questo semenzaio con il loro tradizionale senso della opportunità politica, tutto questo portava a una perdita del senso della realtà. Anche fosse stato possibile e sensato riprodurre questa esperienza tale e quale, ciascuno nei suoi territori, non abbiamo più il tempo che hanno avuto loro.
Molte volte, nelle parole ripetute del subcomandante Moises, gli zapatisti ci hanno tolto la voglia e la capacità di idealizzarli e ci hanno fatto capire che non dobbiamo nemmeno imitarli. Era necessario sottoporci a questa operazione quasi chirurgica. L’emozione di essere nel territorio zapatista, l’impronta che la escuelita ha lasciato in tanti partecipanti, le gesta di questi 30 anni, la vitalità di un’iniziativa che sembra essere la più radicale e importante al mondo, e persino il fatto stesso che gli zapatisti ci abbiano convocato questo semenzaio con il loro tradizionale senso della opportunità politica, tutto questo portava a una perdita del senso della realtà. Anche fosse stato possibile e sensato riprodurre questa esperienza tale e quale, ciascuno nei suoi territori, non abbiamo più il tempo che hanno avuto loro.
Una delle sfide più difficili, tra le
tante che ci portiamo a casa, è quella di condividere queste riflessioni e perfino il senso dell’urgenza con
compagni e fratelli che sembrano distratti, che non percepiscono né sentono la
gravità del momento attuale, che
hanno ancora speranze che le cose tornino alla normalità e che, per questo,
possano aggrapparsi ancora ai percorsi abituali. Come trovare le parole
semplici che consentano di condividere senza offendere e di aprire al risveglio
le altre menti e gli altri cuori con i quali abbiamo bisogno di diventare
fratelli?
Portiamo un gran peso sulle spalle. Ma
sono spalle rinnovate e piene di coraggio. Possiamo camminare e persino andare
al trotto con questo nuovo peso.
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