Febbraio è il mese dei concordati, si sa.
E’ il 1984, sono trascorsi cinquantacinque anni dagli accordi con cui l’Italia fascista si è prostrata ai capricci vaticani, comprando a carissimo prezzo l’annullamento del Non expedit con cui Pio IX, nel lontano 1874, aveva invitato tutti i cattolici a non riconoscere il neonato Stato italiano.
La maledizione del 55. Cinquantacinque anni tra il Non expedit e i Patti Lateranensi, altri cinquantacinque tra questi ultimi e il nuovo patto che Craxi si appresta a firmare con la Santa Sede. Cinquantacinque ed una settimana, per l’esattezza. Verrebbe da chiedersi se ci si debba attendere un terzo capitolo nel 2039. Naturalmente a febbraio.
Le condizioni stipulate nel ’29 erano, in realtà, da incubo. Il Duce stesso aveva dovuto giustificarsi in Parlamento, risultando per altro ben poco convincente. Un miliardo e settecento milioni di lire di risarcimento alla Chiesa. Mica noccioline, in un periodo in cui un impiegato viveva con uno stipendio mensile di 250 lire. Non si fosse trattato di una tragedia, ci sarebbe stato quasi da ridere. L’Italia risarciva uno Stato conquistato mezzo secolo prima, nonostante i Papi succedutisi dal 1871 al 1929 avessero sempre sdegnosamente rifiutato l’indennità offerta loro dai Savoia con la loro Legge delle Guarentigie. Un’indennità non solo ormai prescritta, ma pari a un decimo di quanto Mussolini ora versava nelle tasche di Pio XI. Una follia vera e propria, che il Duce aveva incoraggiato soltanto per poter incassare, il mese successivo, il consenso di tutti i cattolici italiani in un Plebiscito che avrebbe dimostrato all’opinione pubblica internazionale che l’Italia non era sotto dittatura. Che gli italiani amavano il loro Benito e lo volevano al timone della nave.
Un miliardo e settecento milioni, accidenti. Una somma che lo Stato non aveva. Una cifra (pari circa ad attuali sei miliardi di euro), che il Duce aveva offerto in questa forma: settecento milioni in contanti e il rimanente in Titoli di Stato a scadenza ventennale, con un interesse del 5 %. Cedola annuale ogni 30 di giugno.
Dove li troveremo? Avevano chiesto in Parlamento. Ci penserà la Cassa Depositi e Prestiti, aveva risposto il Duce (non vi ricorda niente?). Tradotto: faremo fronte all’impegno con i risparmi degli italiani. E poi – aveva pensato sicuramente il lungimirante Mussolini – che ne sappiamo di cosa sarà di noi, tra vent’anni?
Ma c’era ben altro, in quel Trattato. La Convenzione finanziaria prevedeva anche la costruzione, a spese dell’Italia, di una stazione ferroviaria da regalare alla nascente Città del Vaticano. Erano previste inoltre una adeguata dotazione di acqua, la realizzazione dell’intera rete telefonica e telegrafica del nuovo Stato e, naturalmente, la riconferma della congrua, lo stipendio ai preti che l’Italia pagava già dal 1866, in risarcimento dei beni ecclesiastici requisiti a chiese e proprietà pontificie diventate man mano italiane insieme ai territori in cui si trovavano; territori via via annessi nel corso delle Guerre di Indipendenza.
Così, quell’11 febbraio, mentre Monsignor Gasparri piangeva di gioia e il Duce firmava un tantino ingrugnito, il Papa si sfregava le mani, preparandosi a istituire appositamente lo IOR per mettere il suo tesoro al sicuro. E cominciando a riflettere al modo in cui farli fruttare, quei soldi.(1)
Ma torniamo a quel 18 febbraio 1984.
Roma, Villa Madama. Il Segretario di Stato vaticano Agostino Casaroli è ricevuto con tutti gli onori dal Primo Ministro. Parola d’ordine: rinegoziare.
Le cose non possono più continuare così. L’Italia, tramite la sua Costituzione, ha ormai dichiarato la propria a-confessionalità. E il fatto che i Patti Lateranensi siano misteriosamente finiti all’articolo 7 della stessa, che quindi esplicitamente li riconferma, è un particolare da considerarsi trascurabile. Si sa, dopotutto siamo in Italia: inciuci e contraddizioni di questo tipo costituiscono il motore del nostro ambiguo e corrotto sistema.
No, no: bisogna rinegoziare, pensa Craxi. Basta con l’insegnamento obbligatorio della religione a scuola, basta con la dipendenza della nostra nazione nei confronti della Città del Vaticano. Soprattutto, basta con la congrua.
Così, quel 18 febbraio, nasce il nuovo luccicante meccanismo dell’8 per milleelaborato da un giovane e rampante economista chiamato Giulio Tremonti. In pratica, il geniale dispositivo sancisce la fine dello stipendio italiano ai sacerdoti prevedendo che ogni contribuente possa devolvere l’8 per mille del proprio gettito fiscale alla Chiesa Cattolica – e negli anni a venire, grazie a successivi accordi con altre confessioni religiose, anche all’Assemblea di Dio, a Metodisti e Valdesi, alla Chiesa Luterana ed alle Comunità ebraiche (anche se importanti religioni come l’Islamismo restano tuttora assolutamente fuori dalla rosa di quelle “finanziabili”), mentre Buddisti, Induisti e Testimoni di Geova sono riusciti ad entrare nel giro solo nel 2014, dopo una quindicina d’anni di attesa – oppure, in alternativa, allo Stato italiano. In base a questo meccanismo, che come tutti sanno è pienamente in vigore, il contribuente può anche non esprimere alcuna scelta, ma in questo caso il suo 8 per mille verrà comunque ripartito tra le varie confessioni religiose previste, secondo la percentuale di preferenze accordate da chi ha invece effettuato la scelta.
Vediamo di capire un po’ meglio come funziona, alla luce dei dati effettivi. Qual è la percentuale dei contribuenti che ogni anno esprimono una preferenza precisa nei confronti di una certa chiesa? Più o meno il 42%. Ebbene: dato che l’89% di questi dichiara la propria volontà di devolvere il proprio 8 per mille alla Chiesa cattolica, l’89% dell’8 per mille dell’intero gettito fiscale nazionale – e quindi non solo di quel 42% – finisce in Vaticano. Indipendentemente dal fatto che esso derivi dalle tasse di atei o credenti. Di cattolici, musulmani o scintoisti. Geniale, non c’è che dire!
Questo meccanismo perverso, da molti ritenuto una truffa, lascerebbe se non altro fuori da questa ripartizione ben poco imparziale l’8 per mille di chi ha dichiarato espressamente la propria volontà di devolverlo allo Stato. Ma è del 2009 lo scoop diRepubblica secondo cui questa porzione di gettito verrebbe comunque spesa per la manutenzione degli edifici di culto cattolico(2). Inoltre, come non notare che dalla vecchia congrua al nuovo tremontiano meccanismo sia in realtà cambiato ben poco? Non sono comunque soldi pubblici a tutti gli effetti, denari che se non devoluti finirebbero nelle casse dello Stato, quelli che l’8 per mille dispensa a piene mani soprattutto alla Chiesa?
Certo, il Concordato del 1984 prevede anche che l’insegnamento della Religione Cattolica passi da obbligatorio a facoltativo, istituendo l’ora alternativa a quella di religione per tutti gli studenti interessati. Ma, a parte il fatto che tale opzione fatica ancora oggi ad essere attivata nelle scuole italiane proprio per evitare di far perdere posti di lavoro agli insegnanti IRC (acronimo che, si badi bene, sta per Insegnamento della Religione Cattolica, stando quindi a significare che il relativo programma ministeriale – per altro stabilito dalla Chiesa – prevede esclusivamente lo studio della dottrina cattolica e che, di conseguenza, i docenti di religione che decidono di includere nei loro programmi didattici anche riferimenti ad altre confessioni religiose lo facciano di propria iniziativa), va sottolineato che i circa venticinquemila docenti italiani che attualmente insegnano Religione nelle scuole, selezionati e formati dalla Chiesa, vengono comunque assunti e pagati dallo Stato italiano, su precisa indicazione delle Curie…
E’ il 1984, sono trascorsi cinquantacinque anni dagli accordi con cui l’Italia fascista si è prostrata ai capricci vaticani, comprando a carissimo prezzo l’annullamento del Non expedit con cui Pio IX, nel lontano 1874, aveva invitato tutti i cattolici a non riconoscere il neonato Stato italiano.
La maledizione del 55. Cinquantacinque anni tra il Non expedit e i Patti Lateranensi, altri cinquantacinque tra questi ultimi e il nuovo patto che Craxi si appresta a firmare con la Santa Sede. Cinquantacinque ed una settimana, per l’esattezza. Verrebbe da chiedersi se ci si debba attendere un terzo capitolo nel 2039. Naturalmente a febbraio.
Le condizioni stipulate nel ’29 erano, in realtà, da incubo. Il Duce stesso aveva dovuto giustificarsi in Parlamento, risultando per altro ben poco convincente. Un miliardo e settecento milioni di lire di risarcimento alla Chiesa. Mica noccioline, in un periodo in cui un impiegato viveva con uno stipendio mensile di 250 lire. Non si fosse trattato di una tragedia, ci sarebbe stato quasi da ridere. L’Italia risarciva uno Stato conquistato mezzo secolo prima, nonostante i Papi succedutisi dal 1871 al 1929 avessero sempre sdegnosamente rifiutato l’indennità offerta loro dai Savoia con la loro Legge delle Guarentigie. Un’indennità non solo ormai prescritta, ma pari a un decimo di quanto Mussolini ora versava nelle tasche di Pio XI. Una follia vera e propria, che il Duce aveva incoraggiato soltanto per poter incassare, il mese successivo, il consenso di tutti i cattolici italiani in un Plebiscito che avrebbe dimostrato all’opinione pubblica internazionale che l’Italia non era sotto dittatura. Che gli italiani amavano il loro Benito e lo volevano al timone della nave.
Un miliardo e settecento milioni, accidenti. Una somma che lo Stato non aveva. Una cifra (pari circa ad attuali sei miliardi di euro), che il Duce aveva offerto in questa forma: settecento milioni in contanti e il rimanente in Titoli di Stato a scadenza ventennale, con un interesse del 5 %. Cedola annuale ogni 30 di giugno.
Dove li troveremo? Avevano chiesto in Parlamento. Ci penserà la Cassa Depositi e Prestiti, aveva risposto il Duce (non vi ricorda niente?). Tradotto: faremo fronte all’impegno con i risparmi degli italiani. E poi – aveva pensato sicuramente il lungimirante Mussolini – che ne sappiamo di cosa sarà di noi, tra vent’anni?
Ma c’era ben altro, in quel Trattato. La Convenzione finanziaria prevedeva anche la costruzione, a spese dell’Italia, di una stazione ferroviaria da regalare alla nascente Città del Vaticano. Erano previste inoltre una adeguata dotazione di acqua, la realizzazione dell’intera rete telefonica e telegrafica del nuovo Stato e, naturalmente, la riconferma della congrua, lo stipendio ai preti che l’Italia pagava già dal 1866, in risarcimento dei beni ecclesiastici requisiti a chiese e proprietà pontificie diventate man mano italiane insieme ai territori in cui si trovavano; territori via via annessi nel corso delle Guerre di Indipendenza.
Così, quell’11 febbraio, mentre Monsignor Gasparri piangeva di gioia e il Duce firmava un tantino ingrugnito, il Papa si sfregava le mani, preparandosi a istituire appositamente lo IOR per mettere il suo tesoro al sicuro. E cominciando a riflettere al modo in cui farli fruttare, quei soldi.(1)
Ma torniamo a quel 18 febbraio 1984.
Roma, Villa Madama. Il Segretario di Stato vaticano Agostino Casaroli è ricevuto con tutti gli onori dal Primo Ministro. Parola d’ordine: rinegoziare.
Le cose non possono più continuare così. L’Italia, tramite la sua Costituzione, ha ormai dichiarato la propria a-confessionalità. E il fatto che i Patti Lateranensi siano misteriosamente finiti all’articolo 7 della stessa, che quindi esplicitamente li riconferma, è un particolare da considerarsi trascurabile. Si sa, dopotutto siamo in Italia: inciuci e contraddizioni di questo tipo costituiscono il motore del nostro ambiguo e corrotto sistema.
No, no: bisogna rinegoziare, pensa Craxi. Basta con l’insegnamento obbligatorio della religione a scuola, basta con la dipendenza della nostra nazione nei confronti della Città del Vaticano. Soprattutto, basta con la congrua.
Così, quel 18 febbraio, nasce il nuovo luccicante meccanismo dell’8 per milleelaborato da un giovane e rampante economista chiamato Giulio Tremonti. In pratica, il geniale dispositivo sancisce la fine dello stipendio italiano ai sacerdoti prevedendo che ogni contribuente possa devolvere l’8 per mille del proprio gettito fiscale alla Chiesa Cattolica – e negli anni a venire, grazie a successivi accordi con altre confessioni religiose, anche all’Assemblea di Dio, a Metodisti e Valdesi, alla Chiesa Luterana ed alle Comunità ebraiche (anche se importanti religioni come l’Islamismo restano tuttora assolutamente fuori dalla rosa di quelle “finanziabili”), mentre Buddisti, Induisti e Testimoni di Geova sono riusciti ad entrare nel giro solo nel 2014, dopo una quindicina d’anni di attesa – oppure, in alternativa, allo Stato italiano. In base a questo meccanismo, che come tutti sanno è pienamente in vigore, il contribuente può anche non esprimere alcuna scelta, ma in questo caso il suo 8 per mille verrà comunque ripartito tra le varie confessioni religiose previste, secondo la percentuale di preferenze accordate da chi ha invece effettuato la scelta.
Vediamo di capire un po’ meglio come funziona, alla luce dei dati effettivi. Qual è la percentuale dei contribuenti che ogni anno esprimono una preferenza precisa nei confronti di una certa chiesa? Più o meno il 42%. Ebbene: dato che l’89% di questi dichiara la propria volontà di devolvere il proprio 8 per mille alla Chiesa cattolica, l’89% dell’8 per mille dell’intero gettito fiscale nazionale – e quindi non solo di quel 42% – finisce in Vaticano. Indipendentemente dal fatto che esso derivi dalle tasse di atei o credenti. Di cattolici, musulmani o scintoisti. Geniale, non c’è che dire!
Questo meccanismo perverso, da molti ritenuto una truffa, lascerebbe se non altro fuori da questa ripartizione ben poco imparziale l’8 per mille di chi ha dichiarato espressamente la propria volontà di devolverlo allo Stato. Ma è del 2009 lo scoop diRepubblica secondo cui questa porzione di gettito verrebbe comunque spesa per la manutenzione degli edifici di culto cattolico(2). Inoltre, come non notare che dalla vecchia congrua al nuovo tremontiano meccanismo sia in realtà cambiato ben poco? Non sono comunque soldi pubblici a tutti gli effetti, denari che se non devoluti finirebbero nelle casse dello Stato, quelli che l’8 per mille dispensa a piene mani soprattutto alla Chiesa?
Certo, il Concordato del 1984 prevede anche che l’insegnamento della Religione Cattolica passi da obbligatorio a facoltativo, istituendo l’ora alternativa a quella di religione per tutti gli studenti interessati. Ma, a parte il fatto che tale opzione fatica ancora oggi ad essere attivata nelle scuole italiane proprio per evitare di far perdere posti di lavoro agli insegnanti IRC (acronimo che, si badi bene, sta per Insegnamento della Religione Cattolica, stando quindi a significare che il relativo programma ministeriale – per altro stabilito dalla Chiesa – prevede esclusivamente lo studio della dottrina cattolica e che, di conseguenza, i docenti di religione che decidono di includere nei loro programmi didattici anche riferimenti ad altre confessioni religiose lo facciano di propria iniziativa), va sottolineato che i circa venticinquemila docenti italiani che attualmente insegnano Religione nelle scuole, selezionati e formati dalla Chiesa, vengono comunque assunti e pagati dallo Stato italiano, su precisa indicazione delle Curie…
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