dopo
“Drown” (qui)
e “La breve favolosa vita di Oscar Wao“ (qui), è arrivato “È così che la perdi”, un libro di racconti, come il
primo, e con i personaggi che si riaffacciano nelle pagine di tutti i suoi
libri, non ci vogliono lasciare (per fortuna).
Junot
Diaz sa scrivere, però questo è solo un libro da nove, un libro migliore di
Oscar Wao è praticamente impossibile per Junot Diaz; ma un libro da nove è un libro bellissimo,
e se qualcuno non lo sa è meglio che si dia una mossa.
questi
emigrati domenicani, come tutti gli emigrati del mondo, hanno le nostre facce,
i nostri pensieri, le nostre preoccupazioni, le nostre speranze, sono stati bambini come noi, per questo li
conosciamo così bene, e gli vogliamo così bene.
c’è
la vita dentro questo libro, come in tutti i bei libri, e si racconta e ci
racconta.
chi
leggerà i libri di Junot Diaz non sarà mai dispiaciuto di averlo fatto,
ma se non va in biblioteca, o in libreria, se non trova chi glieli regala o glieli presta, è così che se li perde - franz
ps:
le parole inglesi e spanglish sono di Junot Diaz, quelle italiane di Silvia
Pareschi (lo sapevate?)
Come tutti i grandi libri, È così che la perdi ti mette voglia di fare pulizia. Vuoi
correre ai tuoi scaffali e tirar giù tutti i romanzi che hai comprato per
sbaglio. La raccolta di racconti di Junot Díaz è così tagliente, così
esplicita, così cruda nelle emozioni, così radicata nel linguaggio e nei ritmi
della vita della classe operaia dei latinoamericani immigrati negli Stati Uniti
che in confronto molta altra letteratura sembra irrimediabilmente povera. Il
libro è ingannevolmente piccolo, fatto di racconti per lo più ambientati nel
New Jersey, dove figura un giovane domenicano di nome Yunior, già presente
negli altri due libri dell’autore. È un mondo di uomini ossessionati dal sesso
e di donne sotto pressione che sognano un rifugio sicuro. Il linguaggio è la
chiave di tutto. Díaz è al tempo stesso un minimalista che riduce la sua prosa
all’essenziale e un massimalista capace di cambiare codici, di passare dal
colloquiale al letterario, creando un minestrone lessicale fatto di frasi
caraibiche, gergo dei neri americani, slang di strada. I corpi sono ovunque in
questa raccolta. In Otravida, otravez, un racconto di tranquilla bellezza sulla
relazione tra un’addetta alla lavanderia di un ospedale e un dominicano
sposato, tutto quel che riguarda le vite dei personaggi – i loro lavori umili,
la loro paura della stasi, la loro capacità di tenerezza – è inscritta nella
loro carne. Quasi tutti i personaggi di Díaz sono alle prese con il tempo. I
loro ricordi dei coniugi, dei figli o dei fratelli rimasti nella Repubblica
Dominicana svaniscono un po’ ogni anno che passa. E nel New Jersey si cresce
rapidamente, troppo rapidamente. Díaz ha la capacità non solo di farti ridere,
ma anche di farti sussultare di dolore, proiettando i suoi raggi X su mondi
troppo spesso ignorati dai mezzi d’informazione.
Sukhdev Sandhu, The Daily Telegraph
Sukhdev Sandhu, The Daily Telegraph
Otravida, otravez è il mio preferito. Magnifico racconto. Grazie della menzione :-)
RispondiEliminaOscar Wao mi manca, ma Yunior sa il fatto suo.
RispondiEliminaqualche racconto è bello gli altri bellissimi, il libro mio sa già girando, ma il racconto dei bambini con la neve mi ha colpito molto.