lunedì 17 marzo 2025

La scuola senza storie

 “Solo l’Occidente conosce la Storia”… ed è pronto a farla finire nella guerra - Gigi Sartorelli

Hanno suscitato abbastanza scalpore le “Nuove Indicazioni 2025” per la revisione dell’insegnamento nelle scuole dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione – vale a dire elementari e medie -. L’Opposizione Studentesca di Alternativa (OSA) aveva già pre-denunciato la natura dei lavori che stava portando avanti la Commissione tecnica indicata dal ministro Valditara.

Per il problema di comprendere quale scuola (classista e infestata dagli interessi privati) per quale società (in crisi e indirizzata sul crinale della guerra) rimando perciò agli approfondimenti fatti da chi la scuola la vive. Qui mi voglio soffermare solo sul messaggio che emerge da una delle selezioni del documento appena pubblicato: quella sulla Storia.

In quanto storico, non posso fare finta di niente di fronte alle aberrazioni scritte in quelle pagine. Aberrazioni di cui innanzitutto andrebbe ricordato il più noto dei responsabili. È Ernesto Galli della Loggia il coordinatore del gruppo che si è dedicato a delineare questi primi materiali di dibattito su cosa dovrebbe essere l’insegnamento della Storia a ragazze e ragazzi, fino ai 14 anni.

Galli della Loggia è quello che a ottobre scrisse, in difesa del genocidio perpetrato da Israele sui palestinesi, che la democrazia si deve assumere la responsabilità dei più efferati crimini per affermare i suoi principi. Tra i casi da lui ricordati ve ne sono due della Seconda guerra mondiale, cioè il bombardamento di Dresda e l’uso delle atomiche: non a caso, due crimini di guerra.

Ma, appunto, per Galli della Loggia va bene tutto, finché serve ad affermare la ‘democrazia’, fatta piattamente coincidere con il dominio occidentale sul resto del mondo. Non lo ha nemmeno nascosto quando, a dicembre, ha fatto una disamina proprio di questi crimini nel diritto internazionale, in sostanza concludendo che se si deve dar retta a tali costrizioni ogni guerra è nei fatti impedita. Che è poi uno degli scopi per cui è nato il diritto internazionale…

In pratica, Galli della Loggia ci sta dicendo che l’Occidente non è possibile (non può, non vuole, ecc) condurre alcun conflitto senza lasciarsi andare a violenze efferate. Buono a sapersi. Ma soprattutto, ci dice che bisogna farla finita con queste stigmatizzazioni della guerra e delle atrocità che porta con sé: dovrebbe rivendicarsi allora come primo precursore dello spirito guerrafondaio incarnato ora da Michele Serra, Antonio Scurati e tanti altri “democratici”.

Questa è la figura che ha coordinato i lavori per elaborare quale Storia andrà raccontata a dei bambini, o poco più. Già inquietante di suo, se solo non fosse che il documento licenziato dal governo è ancora più preoccupante. Perché questo tipo di suprematismo occidentale è già messo in bella mostra nella prima frase della sezione relativa: “Solo l’Occidente conosce la Storia“. Gli altri popoli, evidentemente, brancolano tutti nel buio circa l’origine propria e degli altri…

Non dovrebbe essere nemmeno necessario spiegare come la perentorietà di questa affermazione mostra alla luce del sole un senso di “superiorità” – culturale e d’altro tipo –  tale da sfiorare il razzismo, che in genere dovrebbe sposarsi male con la pretesa di essere ‘la democrazia’. Ma questo è il segno dei tempi, in cui la crisi egemonica dell’Occidente costringe chiunque ad affermare – o negare – la separazione/contrapposizione tra ‘giardino’ e ‘giungla’.

Il discorso degli estensori del documento prova a giustificare, minimalizzandolo, tale obbrobrio. A loro avviso, “altre civiltà hanno conosciuto qualcosa che alla storia vagamente assomiglia, come compilazioni annalistiche di dinastie o di fatti eminenti succedutisi nel tempo; […] altre civiltà, altre culture, hanno assistito a un inizio di scrittura che possedeva le caratteristiche della scrittura storica“.

Come a dire, le comunità del passato erano poco più che primitivi con sassi e clave, che a malapena riuscivano a concepire e registrare, figuriamoci a problematizzare, lo scorrere del tempo e il legame tra gli eventi del passato con quelli del presente. Da questo discorso è escluso, guarda caso, l’Occidente, che da due mila anni invece spadroneggia intellettualmente sul resto del mondo. Scrivono proprio questo:

È attraverso questa disposizione d’animo e gli strumenti d’indagine da essa prodotti che la cultura occidentale è stata in grado di farsi innanzi tutto intellettualmente padrona del mondo, di conoscerlo, di conquistarlo per secoli e di modellarlo.

Ripeto: non stanno nemmeno più nascondendo il suprematismo razzista, e anzi ci dicono che bisogna insegnarlo a dei bambini. E lo fanno inoltre con una manipolazione culturale sinceramente vomitevole. Ma non starò qui a elencare tutti gli errori in quel che è scritto nelle “indicazioni” della Commissione del ministro Valditara.

Anche io, nelle righe qui sopra, ho chiaramente semplificato dei nodi molto complessi, e perciò finirei col dover scrivere più un trattato di metodologia e storia della storiografia piuttosto che un articolo, e naturalmente non mi sembra il caso. Ma due parole debbono esser dette sulla volgare strumentalizzazione di Marc Bloch.

Bloch – tra molti capolavori della storiografia moderna – è l’autore di un saggio incompiuto, su cui ha lavorato durante la Seconda guerra mondiale: l’Apologia della storia o Mestiere di storico. Un saggio che ancora oggi rappresenta le fondamenta della metodologia per tutti gli storici, e perciò citare Bloch è come voler conferire una sorta di alone di autorità indiscutibile a quel che si dice per affermare tutt’altro.

La citazione estrapolata da quel testo sembra quasi voler istituire una sorta di filo conduttore tra gli antichi greci, l’Impero Romano e il cristianesimo, in un gioco di continuità tra i fasti di Roma e la religione cattolica che, peraltro, ritorna in tante parti del documento. E che ha un chiaro sapore di nostalgia del Ventennio.

Ma, al di là di questo, usare una frase in maniera così decontestualizzata è una vera e propria violenza contro il lavoro di Bloch, che era appunto un lavoro di attenta problematizzazione del ruolo dello storico e della ricostruzione storiografica…

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Oltre la storia occidentale - Renata Pepicelli(*)

Le «Nuove linee guida» del ministro dell’istruzione Valditara mostrano un dichiarato

impianto eurocentrico con gerarchie culturali e rimandi che elogiano il passato coloniale

Dopo essere state annunciate dal ministro Valditara all’inizio di febbraio, le «Nuove indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione» (che comprende quelle che un tempo si chiamavano scuole elementari e medie) sono state pubblicate nella forma di bozza.

Dalla lettura di queste linee guida si evince che l’insegnamento della storia dovrà rivestire un ruolo centrale nei curricula scolastici. Alla base della proposta del ministero dell’Istruzione e del merito c’è l’idea di un’indiscutibile superiorità della storia dell’Occidente sulla storia degli altri popoli. Un Occidente, definito in termini vaghi, i cui confini non sono chiaramente delimitati e che è associato a concetti quali “cristianità”, “laicità” e supremazia culturale. A pagina 69 si legge: «Solo l’Occidente conosce la Storia . Altre culture, altre civiltà hanno conosciuto qualcosa che alla storia vagamente assomiglia. È attraverso questa disposizione d’animo e gli strumenti d’indagine da essa prodotti che la cultura occidentale è stata in grado di farsi innanzi tutto intellettualmente padrona del mondo, di conoscerlo, di conquistarlo per secoli e di modellarlo».
Si tratta di affermazioni di impianto dichiaratamente eurocentrico, che propongono gerarchie culturali e rimandi elogiativi al passato coloniale.

Già all’indomani delle anticipazioni giornalistiche di febbraio, si era sviluppato un grande dibattito in relazione all’indicazione ministeriale di dare (ulteriore) centralità alla storia dell’Occidente e d’Italia. Dodici società scientifiche di storia avevano sottoscritto un documento molto critico verso l’idea di un insegnamento della storia che non prende in considerazione «le contaminazioni culturali e religiose, i conflitti politici ed economici, gli scambi commerciali che di questo mondo costituiscono le radici», mentre invece viene enfatizzata la storia dell’Occidente come motore della storia stessa.

Una prospettiva di egemonia intellettuale che fa piazza pulita di un dibattito storiografico che ormai da decenni mostra l’importanza dei percorsi storici e storiografici dei popoli non-occidentali e la necessità di leggere le singole storie nazionali all’interno di una più ampia storia globale, che tenga conto di scambi e influenze reciproche tra le diverse aree del mondo.

Di fronte a un passato e un presente costituiti da interconnessioni continue e plasmati da pluralità di centri di produzione culturale disseminati nel mondo, con figure di storici di grande rilievo, come i cinesi Sima Qian (145–86 a.C) e Ban Gu (32–92) o gli arabi Al-Tabari (839-923) e Ibn Khaldun (1332-1406), anziché dare ulteriore centralità alla storia dell’Occidente ci sarebbe invece bisogno di «provincializzarla», per dirla con le parole dello storico indiano Dipesh Chakrabarty, nel senso di ridimensionare la centralità che ha sempre dato di se stesso il mondo occidentale rispetto alla narrazione di altre storie. D’altronde già all’inizio del secolo scorso Antonio Gramsci, nei «Quaderni dal carcere», sosteneva l’esigenza – per essere al passo con le trasformazioni in corso – di sprovincializzare l’Italia, nel senso di metterla in contatto con la storia e le culture internazionali.

Piuttosto che di più Occidente nei programmi scolastici, c’è bisogno di meno Occidente, a favore di un allargamento degli studi alla storia degli altri popoli e di una comprensione della storia d’Italia all’interno di una prospettiva globale. Oggi le categorie monolitiche e contrapposte di Occidente e di Oriente – che non sono realtà oggettive, ma costrutti culturali, storici e politici – risultano inefficaci a descrivere la realtà in cui viviamo.

Inoltre, esse sono messe in discussione dalla storia stessa, che ha dato prova nel passato come nel presente di continui mescolamenti e ibridazioni tra i popoli, in seguito alla mobilità di persone, merci, culture, religioni, capitali.

Allargare lo sguardo ad altre storie appare poi necessario anche in virtù del fatto che la platea scolastica a cui si rivolgono le “Nuove linee guida” è sempre più composta da studenti con un’esperienza diasporica alle spalle.

Secondo i dati riportati sul sito dello stesso ministero dell’Istruzione e del merito relativamente all’anno scolastico 2022/23, gli alunni con cittadinanza non italiana rappresentano l’11,2% della popolazione studentesca e di anno in anno la loro percentuale cresce. Non si può continuare a ignorare la storia dei Paesi da cui loro e i genitori provengono e le ragioni (colonialismo, guerre, crisi economiche, ambientali, discriminazioni…) che fanno sì che oggi vivano in Italia.

A ben vedere, hanno ragione gli estensori delle nuove linee guida quando sostengono che sul terreno dell’insegnamento della storia si gioca una partita fondamentale, vale a dire quella relativa alla nostra idea non solo di passato e di presente ma anche di futuro. Esse indicano non solo chi siamo stati e chi siamo ma anche chi saremo.

Pertanto, anche facendo riferimento a quanto indicato nelle stesse indicazioni ministeriali, definite come «materiali per il dibattito pubblico», è necessario rendere la discussione sull’insegnamento della storia un elemento centrale del confronto intellettuale e politico dei prossimi mesi.

 

(*) docente di Storia del mondo arabo contemporaneo e autrice di «Né Oriente né Occidente. Vivere in un mondo nuovo» (Il Mulino 2025). Questo articolo è apparso anche sul quotidiano «il manifesto».

 



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