“Solo l’Occidente conosce la Storia”… ed è pronto a farla finire nella guerra - Gigi Sartorelli
Hanno
suscitato abbastanza scalpore le “Nuove Indicazioni 2025” per la
revisione dell’insegnamento nelle scuole dell’infanzia e del primo ciclo di
istruzione – vale a dire elementari e medie -. L’Opposizione Studentesca
di Alternativa (OSA) aveva già pre-denunciato la
natura dei lavori che stava portando avanti la Commissione tecnica indicata dal
ministro Valditara.
Per il
problema di comprendere quale scuola (classista e infestata dagli interessi
privati) per quale società (in crisi e indirizzata sul crinale della guerra)
rimando perciò agli approfondimenti fatti da chi la scuola la vive. Qui mi
voglio soffermare solo sul messaggio che emerge da una delle selezioni del
documento appena pubblicato: quella sulla Storia.
In quanto
storico, non posso fare finta di niente di fronte alle aberrazioni scritte in
quelle pagine. Aberrazioni di cui innanzitutto andrebbe ricordato il più noto
dei responsabili. È Ernesto Galli della Loggia il coordinatore del gruppo che
si è dedicato a delineare questi primi materiali di dibattito su cosa dovrebbe
essere l’insegnamento della Storia a ragazze e ragazzi, fino ai 14 anni.
Galli della Loggia
è quello che a ottobre scrisse,
in difesa del genocidio perpetrato da Israele sui palestinesi, che la
democrazia si deve assumere la responsabilità dei più efferati crimini per
affermare i suoi principi. Tra i casi da lui ricordati ve ne sono due della
Seconda guerra mondiale, cioè il bombardamento di Dresda e l’uso delle
atomiche: non a caso, due crimini di guerra.
Ma, appunto,
per Galli della Loggia va bene tutto, finché serve ad affermare la
‘democrazia’, fatta piattamente coincidere con il dominio occidentale sul resto
del mondo. Non lo ha nemmeno nascosto quando, a dicembre,
ha fatto una disamina proprio di questi crimini nel diritto internazionale, in
sostanza concludendo che se si deve dar retta a tali costrizioni ogni guerra è
nei fatti impedita. Che è poi uno degli scopi per cui è nato il diritto
internazionale…
In pratica,
Galli della Loggia ci sta dicendo che l’Occidente non è possibile (non può, non
vuole, ecc) condurre alcun conflitto senza lasciarsi andare a violenze
efferate. Buono a sapersi. Ma soprattutto, ci dice che bisogna farla finita con
queste stigmatizzazioni della guerra e delle atrocità che porta con sé:
dovrebbe rivendicarsi allora come primo precursore dello spirito guerrafondaio
incarnato ora da Michele Serra, Antonio Scurati e tanti altri “democratici”.
Questa è la
figura che ha coordinato i lavori per elaborare quale Storia
andrà raccontata a dei bambini, o poco più. Già inquietante di suo, se solo non
fosse che il documento licenziato dal governo è ancora più preoccupante. Perché
questo tipo di suprematismo occidentale è già messo in bella mostra nella prima
frase della sezione relativa: “Solo l’Occidente conosce la Storia“. Gli
altri popoli, evidentemente, brancolano tutti nel buio circa l’origine propria
e degli altri…
Non dovrebbe
essere nemmeno necessario spiegare come la perentorietà di questa affermazione
mostra alla luce del sole un senso di “superiorità” – culturale e d’altro tipo
– tale da sfiorare il razzismo, che in genere dovrebbe sposarsi male con
la pretesa di essere ‘la democrazia’. Ma questo è il segno dei tempi, in cui la
crisi egemonica dell’Occidente costringe chiunque ad affermare – o negare – la
separazione/contrapposizione tra ‘giardino’ e ‘giungla’.
Il discorso
degli estensori del documento prova a giustificare, minimalizzandolo, tale
obbrobrio. A loro avviso, “altre civiltà hanno conosciuto qualcosa che alla
storia vagamente assomiglia, come compilazioni annalistiche di dinastie o di
fatti eminenti succedutisi nel tempo; […] altre civiltà, altre
culture, hanno assistito a un inizio di scrittura che possedeva le
caratteristiche della scrittura storica“.
Come a dire,
le comunità del passato erano poco più che primitivi con sassi e clave, che a
malapena riuscivano a concepire e registrare, figuriamoci a problematizzare, lo
scorrere del tempo e il legame tra gli eventi del passato con quelli del
presente. Da questo discorso è escluso, guarda caso, l’Occidente, che da due
mila anni invece spadroneggia intellettualmente sul resto del mondo. Scrivono
proprio questo:
È attraverso
questa disposizione d’animo e gli strumenti d’indagine da essa prodotti che la
cultura occidentale è stata in grado di farsi innanzi tutto intellettualmente
padrona del mondo, di conoscerlo, di conquistarlo per secoli e di modellarlo.
Ripeto: non
stanno nemmeno più nascondendo il suprematismo razzista,
e anzi ci dicono che bisogna insegnarlo a dei bambini. E lo fanno inoltre con
una manipolazione culturale sinceramente vomitevole. Ma non starò qui a
elencare tutti gli errori in quel che è scritto nelle “indicazioni” della
Commissione del ministro Valditara.
Anche io,
nelle righe qui sopra, ho chiaramente semplificato dei nodi molto complessi, e
perciò finirei col dover scrivere più un trattato di metodologia e storia della
storiografia piuttosto che un articolo, e naturalmente non mi sembra il caso.
Ma due parole debbono esser dette sulla volgare strumentalizzazione di Marc
Bloch.
Bloch – tra
molti capolavori della storiografia moderna – è l’autore di un saggio
incompiuto, su cui ha lavorato durante la Seconda guerra mondiale: l’Apologia
della storia o Mestiere di storico. Un saggio che ancora oggi rappresenta
le fondamenta della metodologia per tutti gli storici, e perciò citare Bloch è
come voler conferire una sorta di alone di autorità indiscutibile a quel che si
dice per affermare tutt’altro.
La citazione
estrapolata da quel testo sembra quasi voler istituire una sorta di filo
conduttore tra gli antichi greci, l’Impero Romano e il cristianesimo, in un
gioco di continuità tra i fasti di Roma e la religione cattolica che, peraltro,
ritorna in tante parti del documento. E che ha un chiaro sapore di nostalgia
del Ventennio.
Ma, al di là
di questo, usare una frase in maniera così decontestualizzata è una vera e
propria violenza contro il lavoro di Bloch, che era appunto un
lavoro di attenta problematizzazione del ruolo dello storico e della
ricostruzione storiografica…
Oltre la storia occidentale - Renata Pepicelli(*)
Le «Nuove
linee guida» del ministro dell’istruzione Valditara mostrano un dichiarato
impianto
eurocentrico con gerarchie culturali e rimandi che elogiano il passato
coloniale
Dopo essere
state annunciate dal ministro Valditara all’inizio di febbraio, le «Nuove indicazioni
nazionali per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione»
(che comprende quelle che un tempo si chiamavano scuole elementari e
medie) sono state pubblicate nella forma di bozza.
Dalla lettura di
queste linee guida si evince che l’insegnamento della storia dovrà rivestire un
ruolo centrale nei curricula scolastici. Alla base della proposta del
ministero dell’Istruzione e del merito c’è l’idea di un’indiscutibile
superiorità della storia dell’Occidente sulla storia degli altri popoli. Un
Occidente, definito in termini vaghi, i cui confini non sono chiaramente
delimitati e che è associato a concetti quali “cristianità”, “laicità” e
supremazia culturale. A pagina 69 si legge: «Solo l’Occidente conosce la Storia
. Altre culture, altre civiltà hanno conosciuto qualcosa che alla storia
vagamente assomiglia. È attraverso questa disposizione d’animo e gli strumenti
d’indagine da essa prodotti che la cultura occidentale è stata in grado di
farsi innanzi tutto intellettualmente padrona del mondo, di conoscerlo, di
conquistarlo per secoli e di modellarlo».
Si tratta di affermazioni di impianto dichiaratamente eurocentrico, che
propongono gerarchie culturali e rimandi elogiativi al passato coloniale.
Già all’indomani
delle anticipazioni giornalistiche di febbraio, si era sviluppato un grande
dibattito in relazione all’indicazione ministeriale di dare (ulteriore)
centralità alla storia dell’Occidente e d’Italia. Dodici società scientifiche
di storia avevano sottoscritto un documento molto critico verso l’idea di un
insegnamento della storia che non prende in considerazione «le contaminazioni
culturali e religiose, i conflitti politici ed economici, gli scambi
commerciali che di questo mondo costituiscono le radici», mentre invece viene
enfatizzata la storia dell’Occidente come motore della storia stessa.
Una prospettiva
di egemonia intellettuale che fa piazza pulita di un dibattito storiografico
che ormai da decenni mostra l’importanza dei percorsi storici e storiografici
dei popoli non-occidentali e la necessità di leggere le singole storie
nazionali all’interno di una più ampia storia globale, che tenga conto di
scambi e influenze reciproche tra le diverse aree del mondo.
Di fronte a un
passato e un presente costituiti da interconnessioni continue e plasmati da
pluralità di centri di produzione culturale disseminati nel mondo, con figure
di storici di grande rilievo, come i cinesi Sima Qian (145–86 a.C) e Ban Gu
(32–92) o gli arabi Al-Tabari (839-923) e Ibn Khaldun (1332-1406), anziché dare
ulteriore centralità alla storia dell’Occidente ci sarebbe invece bisogno di
«provincializzarla», per dirla con le parole dello storico indiano Dipesh
Chakrabarty, nel senso di ridimensionare la centralità che ha sempre dato di se
stesso il mondo occidentale rispetto alla narrazione di altre storie.
D’altronde già all’inizio del secolo scorso Antonio Gramsci, nei «Quaderni
dal carcere», sosteneva l’esigenza – per essere al passo con le
trasformazioni in corso – di sprovincializzare l’Italia, nel senso
di metterla in contatto con la storia e le culture internazionali.
Piuttosto che di
più Occidente nei programmi scolastici, c’è bisogno di meno Occidente, a favore
di un allargamento degli studi alla storia degli altri popoli e di una
comprensione della storia d’Italia all’interno di una prospettiva globale. Oggi
le categorie monolitiche e contrapposte di Occidente e di Oriente – che non
sono realtà oggettive, ma costrutti culturali, storici e politici – risultano
inefficaci a descrivere la realtà in cui viviamo.
Inoltre, esse
sono messe in discussione dalla storia stessa, che ha dato prova nel passato
come nel presente di continui mescolamenti e ibridazioni tra i popoli, in
seguito alla mobilità di persone, merci, culture, religioni, capitali.
Allargare lo
sguardo ad altre storie appare poi necessario anche in virtù del fatto che la
platea scolastica a cui si rivolgono le “Nuove linee guida” è sempre più
composta da studenti con un’esperienza diasporica alle spalle.
Secondo i dati
riportati sul sito dello stesso ministero dell’Istruzione e del
merito relativamente all’anno scolastico 2022/23, gli alunni con
cittadinanza non italiana rappresentano l’11,2% della popolazione
studentesca e di anno in anno la loro percentuale cresce. Non si può continuare
a ignorare la storia dei Paesi da cui loro e i genitori provengono e le ragioni
(colonialismo, guerre, crisi economiche, ambientali, discriminazioni…) che
fanno sì che oggi vivano in Italia.
A ben vedere,
hanno ragione gli estensori delle nuove linee guida quando sostengono che sul
terreno dell’insegnamento della storia si gioca una partita fondamentale, vale
a dire quella relativa alla nostra idea non solo di passato e di presente ma
anche di futuro. Esse indicano non solo chi siamo stati e chi siamo ma anche
chi saremo.
Pertanto, anche
facendo riferimento a quanto indicato nelle stesse indicazioni ministeriali,
definite come «materiali per il dibattito pubblico», è necessario rendere la
discussione sull’insegnamento della storia un elemento centrale del confronto
intellettuale e politico dei prossimi mesi.
(*) docente di
Storia del mondo arabo contemporaneo e autrice di «Né Oriente né Occidente.
Vivere in un mondo nuovo» (Il Mulino 2025). Questo articolo è apparso anche sul
quotidiano «il manifesto».
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