martedì 27 settembre 2016

Mia figlia follia - Savina Dolores Massa

Maddalenina è sola, e inutile, abbandonata da tutti.
forse puzza, disturba, dice fesserie, la scema del villaggio, sopportata.
vive nei suoi pensieri, e quello che fa, pensa e immagina è vero, per lei.
una storia tragica, quella di Maddalenina, tutti pensano che sia pazza, Savina Dolores Massa no, non la abbandona e non pensa che sia pazza, solo diversa.
Maddalenina ha vissuto, se prendete il libro e leggete la sua storia la conoscerete.
buona lettura - franz





inizia così:

Ho deciso che le bambole e le persone sono diverse. Le mancavano i capelli da una parte, forse glieli aveva mangiati un cane. Gli occhi sembravano come i miei quando li apro molto molto per farci stare più cose. I suoi occhi erano azzurri. Non credere, figlia mia, che gli occhi azzurri sono più belli di quelli neri. Gli occhi decidono il colore: se si nasce di notte sono neri, se di giorno azzurri. Chi ha gli occhi verdi è perché non voleva nascere né di giorno né di notte, ma è nato per forza e quelli si è trovato.


…L’ho scoperta leggendo “Mia figlia follia”, romanzo in cui i personaggi si muovono annusando e interpretando l’aria come si faceva un tempo da bambini, quando scendevamo giù al fiume a inseguire lucertole e formiche, in pomeriggi estivi di salsedine e sudore, terra arida nuvole e sole. Questa l’atmosfera in cui dispiega le sue ali Maddalenina, una cinquantenne bambina che: “prova ad avere un mondo nel cuore e non riesce a esprimerlo con le parole, (mentre) la luce del giorno si divide la piazza tra un villaggio che ride e lo scemo, che passa, e neppure la notte (la) lascia da sola / gli altri sognan se stessi e (lei) sogna di loro”. Così forse l’ avrebbe cantata F. De Andrè. Le fa da specchio Maria Carta, l’aggiusta ossa, una sorta di madre elettiva, che la ascolta divenendo cassa di risonanza dei suoi pensieri. La loro lingua ricama la vita strampalata che si dipana intorno al cortile, e se è amorevolmente strasbagliata, è incredibilmente umana e incisiva: lingua impastata con dosi perfette di italiano e dialetto; capace di dipanarsi secondo il ritmo sincopato di un “susino secco”, che forse non è secco, mentre si sviluppa l’epopea di una piccola città, metafora del mondo intero. "Qualcuno, potrebbe chiedermi: «Ma, tu, non fai altro che parlare del villaggio?». Bene, gli risponderò che Tolstoj, Leone Tolstoj, mi ha detto all’orecchio: «Descrivi il tuo villaggio e diventerai universale; se cerchi di descrivere Parigi, diventerai provinciale». Così Francesco Masala, spiegava la sue scelta di raccontare la vita di Arasolè, in appendice al suo romanzo “Quelli dalle labbra bianche”.
Allo stesso modo non è provinciale l’umanità che si dispiega fra le pagine di “Mia figlia follia”, dove creature ricche di sentimenti, ma anche tignose e fragili, rappresentano uomini e donne che lottano per la sopravvivenza in un arcano mondo che ondeggia fra l’onirico e il concreto, personaggi che si definiscono attraverso pezzi di vite altrui. Briciole di pane che, passando di bocca in bocca, anzichè consumarsi divengono pagnotta grassa e fumante. Così L’amore fatto di illusione e rimpianti si affastella in un particolare universale che, sa di magico Il tanto necessario a far intuire fantasmi di Janas. Tutto questo in un Ballo tondo che chiude il cerchio entro cui si agita la vita.


La storia si svolge in un tempo e in un luogo indefiniti, ma non del tutto, per chi conosce luoghi e personaggi dei luoghi. Il racconto è percorso da un dialogo costante con Maria Carta, un’anziana guaritrice, muta: dunque, non propriamente un dialogo ma l’interlocuzione con un’alterità che potrebbe definirsi memoria comunitaria, che si dipana lentamente compattando una sorta di tessuto connettivo della storia. O meglio, delle storie, robustamente descritte che s’intrecciano esplodendo, da ultimo, come bengala nella nera notte dell’epilogo imprevisto del romanzo, di cui non diremo.
Una storia, come in Undici – precedente romanzo dell’autrice – che non racconta di un’umanità baciata dalla fortuna e del successo, ma di quella ai margini, miserabile, imperfetta e respingente. Deandreianamente, del resto, è “dal letame (che) nascono i fiori”. Eppure proprio quel fondo creaturale che tutti accomuna, negli istinti (“E’ possibile che l’istinto sia l’unico sentimento sincero, fra i tanti esistenti?”) e nei sentimenti, sa renderci partecipi delle vite e dei destini dei protagonisti, della loro sofferenza e disillusione, dell’immancabile declino della parabola esistenziale.
La scrittura è uno dei punti di forza di questo romanzo, con la sua affabulazione giocosa e godibile, la fluidità del dettato, l’originalità e forza descrittiva; ne avvertiamo la distanza da certo immaginario scontato e prevedibile, dalla povertà sintattica che contraddistingue molta narrativa seriale. Uno stile maturo e sicuro, insomma, anche nell’azzardo inventivo.



In un’ora qualunque del principio dell’anno che scorre, ricevetti una telefonata. Signora Massa?, Sì, risposi, un po’ stranita e preoccupata. Mi chiamano tutti Savina quelli che mi telefonano. La voce d’uomo proseguì, Sarebbe disposta a partecipare ad una Rassegna Letteraria che sto organizzando nella provincia di Olbia?, Volentieri, fu la mia risposta, Bene, le comunicherò più avanti i dettagli.
Questo avvenne.
L’anno continuò a scorrere tra laboratori, presentazioni dei miei romanzi, spettacoli teatrali, preparazione di copioni, desideri di ricci, baci appassionati al mio cane Gnu, caminetto spento per assenza di legna da ardere, letture di libri, telefonate con chi mi chiama Savina, insomma, tutte quelle cose che fanno le persone. Comprese, quando è possibile, le pennichelle del pomeriggio. Da una di queste ultime fui risvegliata malamente dallo squillo del telefono, a marzo. Signora Massa? Sì, risposi, un po’ stranita, attaccata all’ultimo malosogno e preoccupata: mi chiamano tutti Savina quelli che mi telefonano. Sono Massimetti. Dunque dunque, era il mio pensiero agitato, Chi sarà mai questo signor Massimetti. Dormivo ancora, la voce impastata simile a quella della mia tartaruga d’acquaquando si risveglia dal letargo e chiede, Gamberi. Ma si ricorda di me?, dice il signor Massimetti, Le chiesi di fare una presentazione del suo romanzo nella provincia di Olbia. Mentre cerco di risvegliare la memoria, immagino la faccia di Massimetti stizzita perché evidentemente non lo ricordo e prima di rispondere un cortese bugiardo, Sì, ho il tempo di associarla, la sua faccia, a quella della mia tartaruga d’acqua quando si risveglia dal letargo e chiede, Gamberi, e io le rispondo, Non ce n’é. Provo con astuzia a condurre il signor Massimetti verso la concretezza della questione, così che io possa concedergli risposte assennate. Ricorda?, mi dice ancora. Sì sì, rispondo e intanto provo a farmi una sigaretta necessaria ogni qual volta mi telefona un estraneo. Che non mi chiama Savina e quindi mi mette in allarme. Lui prosegue, La Rassegna prevede una serie di incontri con gli autori nelle scuole superiori della provincia di Olbia. La sua presenza con il romanzo Mia figlia follia è prevista per il 14 aprile in un Liceo di Arzachena. Con il cordless tenuto tra orecchio e clavicola, con cartina filtro e tabacco in una mano, la testa del mio cane che non mi abbandona mai nell’altra, io mi sposto verso il calendario per verificare se il giorno 14 di aprile io non possa essere in qualche altro angolino e, Va bene, sono libera. Ormai sono sveglia e lucida quanto basta per fissare un impegno. È possibile che lui, all’altro capo del telefono, abbia udito suoni di antri pitici e guaiti di cane e urla di tartaruga che in quei giorni ancora dormiva ma che, seppure in sogno, chiedeva distintamente, Gamberi! Insomma, per non farla lunga, visto che lunga la farò più avanti, il signor Massimetti direttore artistico della Rassegna Letteraria “Sfogliare con classe” mi domanda l’indirizzo e-mail perché tutto sia chiaro per iscritto, perché probabilmente ha creduto che una che intitola un romanzo Mia figlia follia, qualche rotella l’ha perduta di sicuro. Conclude la telefonata dicendomi, Signora Massa, guardi che la nostra è una Rassegna seria, se conferma la sua presenza non può mancare. Signor Massimetti caro signor Massimetti, io sono una persona seria, ecco che cosa dissi nel salutarlo. Pensai anche di chiedergli se gli piacevano i gamberi, ma non lo feci.
Nei giorni successivi io e il signor Massimetti ci scambiammo le promesse di fedeltà tramite posta elettronica. A onor del vero devo anche confessare che chiesi al Direttore Artistico un rimborso benzina, non lo faccio mai, ma Arzachena dista dalla mia città ben 197 Km, e non è questo periodo di vacche grasse. Mi rispose, Certamente, avrà un rimborso di 30 euro. Accettai abbastanza umiliata. Forse con 30 euro di benzina sarei riuscita a raggiungere Arzachena, e dico forse. Certamente non sarei potuta tornare, ma è possibile che questo ai direttori artistici e a chi promuove Rassegne non importi. Né importerà di sicuro che la mia tartaruga d’acqua potrebbe essere più felice, potesse mangiare gamberi di tanto in tanto.
Perché vi sto raccontando tutto questo? Perché amo narrare storie, io. E non ho il dono della sintesi. La sorte mi ha donato molte parole in testa, e ringrazio. La sorte mi ha donato anche la lingua, e fino a quando ci sarà libertà d’espressione in questo nostro Paese in disuso, la userò. In data 6 aprile il signor Massimetti mi telefona “mortificato” (lo riconosco subito), e mi dice, L’Assessore alla Cultura della Provincia di Olbia, Giovanni Pileri, che avrebbe dovuto presentarla con il sottoscritto, ha chiesto la sua esclusione dalla Rassegna in quanto reputa “osceno e pericoloso per le menti dei ragazzi della scuola” il suo romanzo Mia figlia follia. Alla mia domanda, Quali sarebbero le parti pericolose?, il signor Massimetti “afflitto” risponde, La scena di un incontro carnale omosessuale.
Bene, il mio carattere mi ha spinta inizialmente ad un fragoroso scoppio di risa. Poi. Poi ho sentito qualcosa mordicchiarmi il fegato. Sembravano dentini di topo. Poi ho annusato nell’aria un, e questo davvero osceno, tanfo di censura, di offesa, di focherello su un romanzo e di intervento improprio su una scelta letteraria compiuta da altri (il signor Massimetti – direttore artistico).  Con denaro pubblico. 
Come verrà giustificata la mia assenza pubblicizzata in locandina? La signora Massa è stata colpita dalla lebbra? È improvvisamente deceduta mentre faceva orripilanti giochi erotici con un Cero? Incornata da un toro? Divorata da locuste affamate? Affogata da una torta ai pinoli? 
O scomparirò come una brutta malattia dalla locandina?
Il mio romanzo può piacere o meno: su questo nulla da dire. Ma nel momento in cui la mia scrittura è stata scelta, ritengo indecente un intervento “dall’alto” per farmi tacere. Per far tacere qualunque espressione letteraria, anche quando è piccola come la mia. Tutto qui. Sono arrabbiata? Molto. E non per la mia persona che, fortunatamente, ha ancora cento spazi per esprimersi, ma per il gesto poco nobile verso la libertà del linguaggio nella letteratura e non solo. Sono arrabbiata quando penso “alle menti dei giovani” deliberatamente tenute distanti dalle verità della vita. Deliberatamente fatte immergere in ben altri “osceni” contesti di finzioni. 
Per chi non ha voluto comprenderlo, aggiungo che il sincero significato del mio romanzo è la denuncia verso qualunque forma discriminatoria, assieme alla protezione delle differenze. Ciò che ha vissuto Mia figlia follia è un piccolo esempio di quanto ancora ci sia da parlare. Se, si potrà parlare. 
Questo mio intervento lo dovevo a Maddalenina, protagonista del romanzo, donna scacciata da una parola di moda in questi tempi, Vattene.


Nessun commento:

Posta un commento