venerdì 9 settembre 2016

Gli zapatisti, l’etica e la dignità - Raúl Zibechi

 

Una delle prime tecniche che abbiamo imparato nella militanza è stata come “dirigere” le assemblee. Come manipolarle, in realtà. In piena adolescenza, noi studenti eravamo già in grado di imporre quello che consideravamo adatto per “la causa” senza che ci importasse troppo se gli altri lo condividevano. Eravamo l’avanguardia, punto.
Una delle principali correnti politiche di quel periodo aveva un modo di agire nelle assemblee che consisteva nel far parlare i propri quadri per ore e ore, fino a quando i presenti si stancavano e iniziavano ad andarsene. Ponevano i propri militanti alle porte delle sale per convincere i loro a non andarsene ancora equando erano sicuri di essere in maggioranza, chiedevano il voto. E vincevano quasi sempre. Quelli che cercavano di tagliare discorsi tanto lunghi, erano accusati di violare la libertà di espressione.
Quando questo non funzionava, facevano ricorso ai gruppi di scontro, cosa che anche il nostro movimento faceva. Quando alcuni giovani militanti ci chiedono se, quasi cinquant’anni fa, gli scontri con la polizia erano molto duri, dobbiamo essere sinceri e riconoscere che dedicavamo una parte sostanziale delle energie allo scontro fisico e dialettico con i giovani dei partiti di sinistra. E viceversa. Li accusavamo di essere stalinisti ma, da una strategia “rivoluzionaria”, cadevamo nello stesso atteggiamento.
Per questa lunga e penosa esperienza, il comunicato dell’Ezln del 21 luglio, “Lettera aperta sull’aggressione al movimento popolare a San Cristóbal de las Casas, Chiapas”, è un esempio di etica e dignità nel rapporto degli zapatisti con i movimenti popolari, i sindacati, i partiti e qualsiasi organizzazione sociale.
Dopo una prima parte, dove fissano la loro posizione sull’attacco all’accampamento di resistenza popolare da parte di gruppi armati e avvertono di “non giocare con il fuoco a San Juan Chamula”, un lucido presagio di quello che sarebbe avvenuto,dedicano la parte finale al tema dei rapporti con quelli che lottano, con il sottotitolo “A chi di dovere”.
Anzitutto [il comunicato] sottolinea che “si devono rispettare le decisioni, strategiche e tattiche, del movimento” e aggiunge: “Non è legittimo voler cavalcare un movimento per cercare di portarlo da una parte, al di fuori della sua logica interna. Né per frenarlo, né per farlo accelerare.”
Su questo punto prendono le distanze da quelli che propongono strategie elettorali ma anche da quelli che difendono posizioni rivoluzionarie e chiariscono che qualsiasi azione che compiranno riguardo all’attuale movimento, lo faranno sapere pubblicamente e in anticipo mettendolo a grandi lettere, maiuscole, affinché nessuno si possa dire ingannato.
Poiché sono convinto, per esperienza, che questa è una posizione molto rara tra i movimenti che lottano contro il capitalismo, mi sembra necessario evidenziarla, apprezzarla e difenderla perché ci insegna un altro modo di fare, rigorosamente unito all’etica e alla dignità, che sono indivisibili. Chi difende la propria dignità, valorizza quella degli altri, e pertanto li rispetta, anche se, come dice il comunicato, non è d’accordo sui loro tempi e modi.
A partire dal comunicato, possiamo aprire un dibattito con una domanda: come influire, allora, sul corso delle lotte se non cavalchiamo i movimenti? Che è quasi lo stesso che interrogarsi sul rapporto che vogliamo avere con le popolazioni, i quartieri, i sindacati, eccetera.
Credo che lo zapatismo stesso, nel corso della sua storia, ci dia alcuni indizi. Il primo, e fondamentale, è qualcosa come dare l’esempio. Organizzarci e fare. Che gli altri vedano, quindi, che sì, si può; che se gli zapatisti possono, anche gli altri possono. Diciamo che questo effetto dimostrativo è fondamentale perché punta sul mettere in gioco l’autostima delle comunità.
In questa forma del fare politica, una nuova cultura politica, la chiamano, c’è una rinuncia a giocare il ruolo di avanguardia, a essere un gruppo che va avanti e si porta dietro le popolazioni; a proclamarsi le guide che indicano la strada alle maggioranze che non la conoscono. Sono altrove. Non sono avanguardia; forse sono una specie di organizzatori di popolazioni. In questa logica, non c’è né direzione né base, che è quanto i movimenti anticapitalisti stanno invece praticando da oltre un secolo. Con questo modo di fare non c’è modo di manipolare, perché non si tratta di vincere assemblee né di tirare le “masse” per i capelli, o da qualsiasi altra parte vogliamo trascinarle. È mandar obedeciendo (comandare ubbidendo).
Il comunicato è una doppia lezione. Di etica, perché i popoli e le persone non devono essere manipolati, manovrati, le loro azioni non vanno deviate per fini che non sono stati definiti da loro stessi, nemmeno per buone ragioni rivoluzionarie.
Di dignità, perché l’Ezln crede nell’autonomia dei popoli e degli esseri umani e rifiuta il concetto implicito in certe correnti politiche che agiscono come se alcuni (l’avanguardia) fossero i tesorieri della dignità e dell’autonomia, mentre ai popoli e alle persone non resta altro che seguire i loro consigli.
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Articolo pubblicato su Desinformemonos  con il titolo “Ética y dignidad zapatistas”.
Traduzione per Comune: Daniela Cavallo


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