mercoledì 17 aprile 2024

Musk all’attacco di Telecom - Andrea Muratore

 

Nelle scorse giornate ha fatto discutere la querelle tra Starlink, la società di Elon Musk che offre servizi di connessione internet via satellite con il sistema omonimo, e Telecom Italia, attaccata in forma diretta dal conglomerato del magnate americano di origini sudafricana. Il motivo? Starlink, controllata da Musk tramite SpaceX ha presentato una querela contro Telecom perché ostacolerebbe lo sdoganamento dei servizi internet veloci nella Penisola.

“Dalla società guidata da Elon Musk, sostengono che Telecom Italia non abbia rispettato per mesi le norme che le imponevano di condividere i dati dello spettro per evitare interferenze di frequenza con le sue apparecchiature”, nota Il Sole 24 Ore, aggiungendo che secondo il gruppo di imprese di Musk “la mancanza di accesso ai dati sta rallentando fortemente l’installazione di nuove apparecchiature di proprietà di Starlink”.

Al di là del caso giudiziario, su cui non si hanno elementi per giudicare ampiamente la questione, è interessante sottolineare la querelle politica che sottende alla sfida tra Musk e Telecom. Ovvero un rilancio dell’attenzione per le infrastrutture di telecomunicazione italiane nel pieno del braccio di ferro per la conclusione del deal Telecom-Kkr per la vendita della rete primaria e secondaria della telco italiana e del grande gioco su Sparkle, il “gioiello della corona” dell’ex monopolista di rete. L’azienda che gestisce l’impero dei cavi sottomarini costruito nei decenni a partire dall’ex Stet, oggi titolare di oltre mezzo milione di chilometri di cavi in fibra ottica nel mondo, non sarà per ora venduta da Telecom, il cui Ceo Pietro Labriola ha di recente rifiutato assieme al Cda l’offerta del fondo spagnolo Asterion e del Ministero dell’Economia e delle Finanze per il 100% di Sparkle.

Il prossimo 23 aprile l’assemblea dei soci di Telecom si riunirà dunque in un quadro di grande incertezza per rinnovare le cariche del gruppo. Il gruppo di Via Negri a Milano si trova in mezzo, ad oggi, a tre partite che riguardano da vicino la sfida per l’egemonia sulle reti di telecomunicazioni italiane. Innanzitutto, il derby franco-americano sulla vendita della rete, su cui il primo azionista Vivendi da tempo storce il naso; in secondo luogo, la sfida su Sparkle con l’interesse predominante di Asterion e il Mef che intende replicare l’operazione di spalleggiamento fatta sul deal NetCo. Infine, la partita aperta da Musk e Starlink con un tempismo che colpisce vista la vicinanza del rinnovo delle cariche. Labriola ha dato via libera alla vendita degli asset di rete tradizionali a NetCo ma non ha alcuna intenzione di trasformare Telecom in un guscio vuoto. E anche sulla sua linea di bilanciamento tra gli azionisti italiani, francesi e anglosassoni sparsi nel lungo elenco dei soci Telecom si giocherà la sua riconferma. Tutto questo mentre un altro tema caldo va tenuto sotto osservazione: il legame tra gli affari delle reti e il nodo della supervisione del decisore pubblico.

Il fatto che per negare i ponti radio a Starlink avrebbe addotto ragioni di sicurezza apre un grande tema. Quello, cioè, della priorità delle scelte d’interesse nazionale riguardanti asset strategici come le reti di telecomunicazioni. Che, in un’epoca sempre più competitive, spettano al governo di un Paese, chiamato a tirare le file tra scelte complesse. Musk ha sicuramente ben colto la finestra d’opportunità che il mercato spaziale e tecnologico italiano offrono alle sue aziende. E si è inserito a capofitto nel gran gioco delle reti ben sapendo che a dirimere il dubbio posto da Telecom potrà essere solo l’esecutivo di Giorgia Meloni, che tramite il Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha lanciato un tavolo di mediazione tra Telecom e Starlink esteso al garante delle comunicazioni (Agcom).

La destra italiana che ama Elon Musk quasi quanto ama i discorsi sulla sovranità nazionale è chiamata a una partita decisiva per gli assetti delle reti: spingerà Telecom alla convergenza forzata con Starlink, aprendo dunque a una nuova espansione americana nel business di una società di cui, comunque, l’Italia vuole mantener il controllo e di cui vuole blindare l’asset più chiave per le reti, ovvero quella Sparkle che costruendo i cavi in fibra ottica dà vita al vero contendente all’Internet via satellite? Oppure prescriverà a Starlink una condotta orientata a garanzie funzionali per l’attore pubblico nel guardare come i flussi dati sono gestiti da un attore esterno, dunque di fatto aprendo a un caso di applicazione del golden power su un attore di un Paese amico come gli Usa? Oppure ancora prenderà tempo mentre mercato e sfide geopolitiche si sommano nel plasmare la corsa agli asset strategici dell’Italia?

Il dilemma è netto e si inserisce nel quadro di un sistema che vede la Penisola centrale nella corsa alle telecomunicazioni di domani. Gli Usa, con Kkr, lo hanno dimostrato sulla telefonia. Sparkle gestisce la costruzione e manutenzione degli strategici cavi sottomarini cruciali per i flussi d’informazioni securitarie, economiche e strategiche nel mondo moderno; Starlink vuole l’Italia come ponte per l’Europa meridionale e il Mediterraneo. Servirebbe una vera agenda governativa per capire come Roma possa giocare a suo favore questo fermento. L’alternativa è essere soggetto, prima che oggetto, di queste dinamiche. E rispondere a ruota a mosse pensate da giocatori esterni.

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