sabato 18 dicembre 2021

La sorellanza è ancora potente - bell hooks

 

Un testo tratto da Il femminismo è per tutti. Una politica appassionata di Bell Hooks (tamu ed.)

Quando lo slogan «la sorellanza è potente» venne usato per la prima volta, fu fantastico. La mia piena partecipazione al movimento femminista cominciò durante il mio secondo anno di college. Dal momento che prima di trasferirmi alla Stanford University avevo frequentato per un anno un college femminile, sapevo per esperienza diretta quanto siano diverse l’autostima e l’autoaffermazione femminili nelle aule scolastiche per sole donne rispetto a quelle in cui sono presenti dei maschi. A Stanford i maschi la facevano da padroni in ogni classe. Le ragazze parlavano meno, prendevano meno l’iniziativa e spesso, quando parlavano, si faceva fatica a sentire quel che dicevano. Le loro voci mancavano di vigore e di sicurezza. E, a peggiorare le cose, i professori di sesso maschile continuavano a dirci che non eravamo intelligenti come i maschi, che non potevamo essere «grandi» pensatrici, scrittrici, e via dicendo. Questi atteggiamenti mi sconvolgevano, perché venivo da un ambiente tutto al femminile nel quale la nostra dignità e il nostro valore intellettuale erano costantemente confermati dallo standard di eccellenza accademica fissato per noi e per loro dai nostri insegnanti, perlopiù di sesso femminile.

 

Di fatto ero in debito con la mia docente preferita, insegnante di inglese e bianca, la quale pensava che nel nostro college femminile io non stessi ricevendo l’orientamento accademico di cui avevo bisogno, perché non avevano un corso di scrittura approfondito. Mi incoraggiò a frequentare Stanford. Era convinta che un giorno sarei diventata una pensatrice e scrittrice importante. A Stanford le mie capacità venivano messe costantemente in discussione. Cominciai a dubitare di me stessa. Poi il movimento femminista scosse il campus. Studentesse e professoresse imposero che le discriminazioni basate sul genere finissero, dentro e fuori dall’aula scolastica. Fu davvero un momento intenso e fantastico. Lì, seguii il mio primo corso di women’s studies con la scrittrice Tillie Olsen, che costringeva i suoi studenti a pensare innanzitutto al destino delle donne provenienti dalla classe operaia. Lì, nel corso di una lezione sulla poesia contemporanea, Diane Middlebrook, studiosa e futura biografa di Anne Sexton, distribuì una delle mie poesie e, senza dire chi ne fosse autore, ci chiese di identificare se si trattasse di un maschio o di una femmina, un esperimento che ci fece riflettere in modo critico sul fatto di giudicare il valore di un testo sulla base di pregiudizi di genere. Lì, a diciannove anni, comincio a scrivere il mio primo libro, Aint’ I a Woman: Black Women and Feminism. Nessuna di queste incredibili trasformazioni sarebbe avvenuta se il movimento femminista non avesse gettato le basi per la solidarietà tra donne.

Tali basi poggiavano sulla nostra critica di quello che all’epoca chiamavamo «il nemico interno», riferendoci al nostro sessismo interiorizzato. Tutte noi sapevamo per esperienza che, in quanto femmine, eravamo state socializzate dal pensiero patriarcale a considerarci inferiori agli uomini, a vederci sempre e soltanto in concorrenza tra noi per l’approvazione patriarcale, a guardarci l’un l’altra con gelosia, paura e ostilità. Il pensiero sessista faceva sì che ci giudicassimo a vicenda senza compassione e che ci punissimo con durezza. Il pensiero femminista ci aiutò a disimparare il disprezzo femminile verso sé stesse. Ci consentì di liberarci dalla presa che il pensiero patriarcale aveva sulla nostra coscienza.

La solidarietà maschile era un aspetto accettato e dichiarato della cultura patriarcale. Si presumeva semplicemente che gli uomini in gruppo sarebbero rimasti uniti, si sarebbero sostenuti a vicenda, avrebbero fatto gioco di squadra, anteposto il bene del gruppo al tornaconto e al riconoscimento individuali. La solidarietà femminile non era possibile in seno al patriarcato: era un atto di tradimento. Il movimento femminista ha creato le condizioni per la solidarietà femminile. Non ci siamo unite contro gli uomini, ci siamo unite per proteggere i nostri interessi come donne. Quando contestavamo i professori che nelle loro lezioni non facevano riferimento a un solo libro scritto da donne, non era perché quei professori non ci piacessero (spesso era vero il contrario): giustamente, volevamo sbarazzarci dei pregiudizi di genere sia in classe sia nel piano di studi.

Agli inizi degli anni ’70 le trasformazioni femministe che si stavano verificando nel nostro college misto stavano avvenendo anche nel mondo della casa e del lavoro. Innanzitutto il movimento femminista ci sollecitava a non vedere più noi stesse e il nostro corpo come proprietà degli uomini. Per esigere il controllo della nostra sessualità, misure contraccettive e diritti riproduttivi effettivi, la cessazione di stupri e molestie sessuali, era necessario essere solidali. Perché le donne riuscissero a rimuovere la discriminazione sul lavoro, dovevamo fare pressione come gruppo per cambiare la politica pubblica. La contestazione e il mutamento del pensiero sessista femminile furono il primo passo verso la creazione della potente sorellanza che alla fine avrebbe scosso il nostro paese

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