E così il
presidente Zelensky ha deciso di abbordare la questione che è ormai diventata
ineludibile: trovare un modo per fermare la guerra, prima che l’Ucraina
tracolli dopo tre anni di coraggiosa resistenza e sacrifici enormi. E lo ha
fatto rinunciando di fatto al sogno che ha animato questa lotta, ovvero
“tornare ai confini del 1991”, quindi recuperare il Donbass e la Crimea. Niente
più Piano per la Vittoria, a dispetto dei missili a lungo gittata che ora
potrebbe usare con l’autorizzazione degli Usa, della Gran Bretagna e della Francia,
ma molto realismo. La sua proposta: l’Ucraina nella Nato subito e per i
territori occupati dalla Russia si vedrà, si tratterà. Purché si smetta di
sparare e di morire, qualunque proposta è buona. Ma l’uscita di Zelensky, e non
certo per colpa sua, mette un’infinita malinconia. Perché a questa stessa
soluzione si poteva arrivare già nel 2022, quando la guerra aveva solo pochi
giorni di vita.
Quasi tre
mesi fa, nel silenzio della stampa occidentale, le truppe russe sono
arrivate, in territorio ucraino, tanto avanti quanto lo erano nelle primissime
settimane dell’invasione del febbraio 2022. E in questi tre mesi, come
ben sappiamo, sono avanzate ancora. È piuttosto evidente, quindi, che si può
definire questa situazione drammatica: perché se si fosse data una qualche
possibilità alle trattative tra Russia e Ucraina che si erano aperte già poco
dopo l’inizio dell’invasione, per quanto fosse già allora pesante la condizione
degli ucraini e non fosse alle viste (allora) alcuna sanzione nei confronti
della Russia colpevole dell’aggressione, ci saremmo risparmiati centinaia di
migliaia di morti, distruzioni infinite soprattutto a carico dell’Ucraina,
l’escalation militarista che investe anche l’Europa, le minacce atomiche e
infinite difficoltà economiche.
È una realtà
triste ma innegabile. La gente lo ha capito bene, visto che in tutti i Paesi
coinvolti i sondaggi e le ricerche spiegano che i comuni cittadini sono per
fermare la guerra. A cominciare ovviamente da Ucraina e Russia (come
ha spiegato bene Daria Mihaylova in queste pagine), ma proseguendo con gli Stati
Uniti (il 52% chiede di
sospendere le forniture di armi all’Ucraina), la Germania, la Francia e così via. I sostenitori della guerra a ogni costo sopravvivono,
purtroppo, soprattutto nei Governi, con le conseguenze che vediamo: la
maggioranza più risicata di sempre per la Commissione Europea, crisi
profondissime per i Governi di Francia e Germania, Regno Unito e così via. E si
capisce bene perché: che fine farebbe il potere di deterrenza dell’Occidente se
questa guerra si concludesse con l’impressione di una vittoria (o anche solo di
una non sconfitta) della Russia? Quante altri potenziali Donbass e Crimee ci
sono, oltre che nell’ex Urss (Abkhazia, Ossetia del Sud, Transnistria…), in
giro per il mondo?
Come si
diceva, già nel marzo del 2022 la scelta era angosciante ma semplice: fermare
la guerra e poi cercare una “pace giusta”, oppure proseguire la guerra per
imporre una “pace giusta”. Sappiamo bene quale soluzione sia stata scelta e le
conseguenze che ha avuto. Di che cosa si discusse allora, tra russi e ucraini, lo hanno spiegato bene sulla rivista Foreign Affairs due importanti studiosi
americani, Samuel Charap e Sergey Radchenko. Dopo
un primo incontro interlocutorio il 28 febbraio 2022, in cui i russi
presentarono condizioni così dure da essere inaccettabili, nei successivi round
(cioè mentre falliva sul campo l’obiettivo del Cremlino di sbandare il
governo Zelensky e sostituirlo con un governo amico) la trattativa cominciò
a prendere senso. Il 3 e 7 marzo le delegazioni si. incontrarono ancora, e il
10 marzo, in Turchia, ci fu il colloquio tra il ministro degli Esteri ucraino
Kuleba e il suo omologo russo Lavrov. Poi i colloqui proseguirono in forma
indiretta fino al momento, poi risultato decisivo, del 29 marzo, quando a
Istanbul le delegazioni si scambiarono una bozza di accordo redatta dagli
ucraini e accettata dai russi come positiva base di discussione.
Il succo era
questo: l’Ucraina sarebbe diventata un Paese permanentemente neutrale e
avrebbe rinunciato all’adesione alla Nato, ma avrebbe potuto liberamente
entrare nella Ue (al contrario di quanto voleva la Russia nel
2013-2014, quando il ripensamento del presidente Janukovich sulla Ue scatenò
l’Euromaidan). I russi chiedevano che l’esercito ucraino (molto rinforzato
durante la presidenza Poroshenko) venisse ridotto a una forza poco più che
simbolica (85 mila uomini, qualche centinaio di carri armati e missili a
gittata ridotta). L’Ucraina chiedeva ai Paesi occidentali (in primo luogo Usa e
Gran Bretagna, ma anche Canada, Germania, Israele, Italia, Polonia e Turchia)
di impegnarsi a soccorrerla in caso di nuova aggressione: l’equivalente
dell’ingresso nella Nato ora ipotizzato.
La soluzione
pacifica del problema Crimea veniva rimandata, dando alle parti 15 anni per
trovare un accordo: una “concessione” della Russia, che mai prima aveva messo
in discussione il proprio controllo sulla penisola. Le più immediate questioni
territoriali (ovvero il Donbass) venivano lasciate a trattative dirette tra
Zelensky e Putin. Proprio come adesso si ipotizza.
Le cose,
poi, nel 2022 andarono come ben sappiamo. Colpa di Zelensky, convinto di poter
vincere la guerra? Colpa di Boris Johnson e Joe Biden, che gli promisero aiuti
sufficienti a sventare i piani del Cremlino? Colpa dei Paesi che dovevano fare
da garanti e non se la sentirono di assumersi un simile obbligo? Colpa dei
russi? Non lo sapremo mai. Ma la domanda vera è un’altra: sarebbe
stata, quella, una “pace giusta”? Considerato che l’Ucraina era stata
aggredita, no. Ma la pace giusta è quella possibile. La pace impossibile è
sempre ingiusta. E anche la soluzione ora proposta da Zelensky lo è.
Facciamo
l’ipotesi che molti danno per scontata, ovvero che Donald Trump cercherà di “imporre”
una trattativa. Qualcuno pensa che l’ingresso dell’Ucraina nella Nato e nella
Ue sia più vicino di quanto lo fosse nel 2022? Che Zelensky potrà
sedersi a un tavolo con Putin e discutere della Crimea? Che il Donbass
tornerà sotto il pieno controllo di Kiev? Che Usa, Gran Bretagna e gli altri
Paesi siano oggi più disponibili a fornire all’Ucraina quelle garanzie che non
fornirono nel 2022?
La risposta
è sempre e solo una: spingere sul pedale della guerra è stato un clamoroso
errore, la scelta di una strategia fallimentare di cui stanno facendo le
spese, ovviamente, soprattutto gli ucraini. Un errore clamoroso soprattutto per
chi ritiene, giustamente, che quella russa sia stata (qualunque motivazione
possa addurre il Cremlino, a volte anche con ragione) un’aggressione. La cosa
fondamentale era fermare l’aggressione. Convincere l’aggredito (magari già
convinto di suo: la ricerca Gallupp del marzo 2022 diceva che il 73% degli
ucraini si pronunciava per l’idea di combattere) di poter ottenere la rivincita
ha prodotto il risultato che vediamo ogni giorno. Chi se ne prenderà la
responsabilità?
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