venerdì 20 ottobre 2023

Pensiero unico alla Farnesina - Elena Basile

 

Il Ministero Affari Esteri ha una rassegna stampa. Tutti immagineremmo che in essa siano inclusi gli articoli di politica internazionale presenti su vari giornali indipendentemente dalla loro collocazione politica. Se Borrel giustifica la censura dei media russi con l’incredibile affermazione di voler tutelare i cittadini, poveri sprovveduti, dalle fake news, concepire una tale giustificazione per la censura al Ministero degli Esteri appare paradossale. I diplomatici dovrebbero essere in grado di discernere la propaganda dalla verità e ascoltare pensieri e posizioni differenti senza timore alcuno. Ho fatto presente al più alto dirigente della Farnesina che mi sembrava strano la rassegna riproducesse tranne poche eccezioni soltanto gli interventi in grado di rafforzare la narrazione NATO e UE degli accadimenti odierni.

Pensavo di trovare un interlocutore, che tra l’altro conosco da trent’anni, incline ad accettare osservazioni che potevano migliorare un servizio offerto ai dipendenti del Ministero. Purtroppo il collega si è molto risentito e ha opposto un muro invalicabile.

I diplomatici non hanno il diritto di leggere gli articoli riprodotti sulla stampa di Mearsheimer o di Jacques Baud? Di Alberto Negri o di Tommaso di Francesco? Del Generale Mini e del professore Orsini? La sottoscritta in effetti è stata qualche volta inclusa nella mitica rassegna ma sempre di rado. Mi dispiace per i giovani. Le migliori intelligenze e competenze entrano alla Farnesina ma in un clima del genere imparano presto a ottundere il cervello e il senso critico. Del resto ricordo che eravamo 28 giovani volontari diplomatici, due donne e 26 uomini e seguivamo il primo anno come da prassi le lezioni all’Istituto diplomatico. Nel dibattito che si aveva dopo le lezioni c’erano di solito due gruppi. L’uno composto di giovani brillanti, curiosi e pronti alla discussione dei temi di politica internazionale, gli altri altrettanto brillanti per carità, ma silenziosi e perspicaci. Ascoltavano con poco interesse, persino annoiati, discussioni che non li coinvolgevano affatto. Avevano compreso che la carriera non aveva molto da condividere con la profondità dell’esame delle relazioni internazionali.

Erano naturalmente inclini a obbedire e ad assorbire le indicazioni superiori. Indovinate chi ha fatto carriera dei due gruppi? Eppure non è stato sempre così. Ricordo un grande Direttore Generale, Luigi Vittorio Ferraris, un Ambasciatore purtroppo scomparso in grado di marcare con la sua personalità la storia della Farnesina. Era uno studioso di relazioni internazionali, un fine analista, scrittore di libri, conciliava accademia e carriera. L’ho conosciuto personalmente e lo cito per primo. Vi potrebbero essere tanti altri esempi di grandi diplomatici in grado di riconciliare il sapere, la serietà degli studi e la carriera. Bisogna andare tuttavia indietro negli anni. Emerge come un gigante Alberto Bradanini, Ambasciatore di grado, l’ultima sua sede Pechino, un uomo colto e integro che con la sua usuale trasparenza e generosità è intervenuto più volte in mio soccorso. Un altro grande diplomatico, Umberto Vattani, già Segretario Generale, una personalità che ha influito grandemente sulle vicende del Ministero, ha sempre messo cultura e intelligenza al servizio della carriera diplomatica. E’ stato così aperto di vedute da presentare al circolo degli esteri il mio ultimo romanzo “Un Insolito trio”, che è anche un romanzo civile, di critica alla burocrazia del Ministero. E che dire di Sergio Romano che si è dimesso arrivando allo scontro col potere politico, uno storico, uno scrittore in grado di affermare che la NATO avrebbe dovuto sciogliersi quando si è sciolto il patto di Varsavia? La sola ragione per cui è rimasta in piedi è per dare lavoro a una burocrazia ingorda di privilegi e capace di fabbricare un nemico nuovo da unire ai vecchi per poter far sopravvivere un sistema obsoleto. Bene se guardiamo alla situazione in Europa direi che le previsioni di Sergio Romano si sono avverate. La burocrazia della NATO è viva e vegeta, il nemico la Russia inferocito e baldanzoso, la corsa agli armamenti in una escalation senza limiti.

Il declino della odierna diplomazia italiana va di pari passo con lo stato caotico delle nostre relazioni internazionali. Sarà una coincidenza. E’ innegabile tuttavia che lede alla nostra democrazia non avere un corpo diplomatico colto e propositivo (tranne le solite eccezioni che non fanno la differenza), in grado di interagire con la classe politica, temperandone cinismo e inesperienza, e di perseguire gli interessi dello Stato, che si identificano con il bene comune del Paese e non con il beneficio del potere politico contingente.

Il simpatico Direttore della Repubblica Molinari scrive sul suo giornale che la guerra in Ucraina difende l’architettura di sicurezza uscita dalla guerra fredda. Nessuno lo contraddice. I diplomatici abbassano la testa e ogni giorno contribuiscono a riscrivere la storia con rappresentazioni poco veritiere. L’architettura di sicurezza uscita dalla guerra fredda è incarnata dall’OSCE, l’unica Organizzazione nella quale la Russia sedeva con i suoi vicini allo stesso tavolo con Usa, UE e membri NATO. La carta dell’OSCE sanciva l’indivisibilità della sicurezza. Nessuna alleanza può aumentare la propria sicurezza a spese di un altro Stato. La NATO ha contraddetto la carta OSCE. La guerra della NATO alla Russia fino all’ultimo ucraino vi sembra dunque stia difendendo l’Architettura di sicurezza Europea? L’invasore non è l’unico colpevole di una guerra provocata e preparata dagli anglosassoni, come il norvegese Stoltenberg ha affermato davanti al PE, addestrando l’esercito ucraino sin dal 2014.

I diplomatici queste cose non possono non saperle. Temo che se il pensiero critico sarà spazzato via, se l’adesione alla verità fabbricata e indicata dai potenti di turno continuerà a diffondersi come avviene oggi, altre catastrofi e lutti e distruzioni come quelle vissute nel secolo ventesimo avranno luogo. Il sonno della ragione non è mai inoffensivo.

Il Professore Fabbrini, che quando ero Ambasciatrice seguivo in modo particolare perché eccellente esperto di Affari Europei, in un articolo in cui perora 4 cerchie di membri dell’UE, illustrando un rapporto franco-tedesco, scrive che è evidente che bisogna continuare ad armare l’Ucraina contro l’imperialismo russo. Caro professore, ma cosa c’è di così evidente in una strategia che ha distrutto l’Ucraina e ha portato allo stallo militare sul campo? Mi può per cortesia fornire le prove dell’imperialismo russo, paragonando le basi militari russe all’estero a quelle statunitensi, comparando la potenza economica, militare e culturale russa rispetto a quella NATO? Professore non mi deluda! Lei è un fine analista di dinamiche europee come può non sapere che l’accerchiamento NATO della Russia costituisce una minaccia alla sicurezza di Mosca e questo ha spinto lo zar a una guerra preventiva, trasformatasi oggi, nell’orrore degli ucraini, in una escalation che vede contrapposti NATO e Russia. Gentile professore, lei ha nipoti? Ogni qualvolta afferma che è evidente e inevitabile una politica bellicistica non sa di mettere a repentaglio la vita delle generazioni più giovani? Lei che è un esperto di Affari Europei come può non vedere che il primo e principale scopo della costruzione UE, la pace, sia continuamente rinnegato?

Lasciamo rispondere i diplomatici abituati al pensiero unico della rassegna stampa.

N.d.R.: L’articolo è una versione estesa di quello uscito sul cartaceo de “Il Fatto Quotidiano”.

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