giovedì 19 ottobre 2023

Soluzione finale della questione palestinese

articoli e video di Yanis Varoufakis, Norman Finkelstein, Fawzi Ismail, Giorgio Stern, Manlio Dinucci, Jesús López Almejo, Ariel Umpierrez, Alessandro Orsini, Rabbi Yisroel Dovid Weiss, Ahmed Dremly, Enrico Semprini, Pubble, Chris Hedges, Paolo Borgognone, Diego Siragusa, Larissa Sansour, Giorgio Riolo, Giuseppe Callegari

Soluzione finale della questione ebraica

La soluzione finale della questione ebraica fu un'espressione usata dai nazionalsocialisti a partire dalla fine del 1940, dapprima per definire gli spostamenti forzati e le deportazioni della popolazione ebraica che si trovava allora nei territori controllati dalla Wehrmacht, poi, dall'agosto del 1941, per riferirsi allo sterminio sistematico della stessa, che oggi viene comunemente chiamato Olocausto, o Shoah. Questo eufemismo serviva da una parte a mimetizzare il genocidio verso l'esterno, dall'altra era una giustificazione ideologica.

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Soluzione finale della questione palestinese

La soluzione finale della questione palestinese fu un'espressione usata dai governanti israeliani nazionalsocialisti a partire dalla fine del 1948, dapprima per definire gli spostamenti forzati e le deportazioni della popolazione palestinese che si trovava allora nei territori controllati da Israele, poi, dal…, per riferirsi allo sterminio sistematico della stessa, che oggi viene comunemente chiamato Nakba, pulizia etnica, sostituzione etnica, genocidio. Questo eufemismo serviva da una parte a mimetizzare il genocidio verso l'esterno, dall'altra era una giustificazione ideologica.

 

 


Norman Finkelstein: A Gaza, Israele sta commettendo “una via di mezzo tra un crimine contro l’umanità e un genocidio”

Norman Finkelstein storico e politologo statunitense non ha mai nascosto la sua simpatia per la causa palestinese. Nulla di strano, la sua empatia con i palestinesi e le loro sofferenze sotto l’occupazione israeliana acquisisce importanza e valore da momento in cui Finkelstein è ebreo e suoi genitori parteciparono alla rivolta del Ghetto di Varsavia e sono sopravvissuti dei campi di concentramento nazisti di Auschwitz.

La sua pubblicazione più conosciuta nel mondo è L'industria dell'Olocausto: Lo sfruttamento della sofferenza degli ebrei, nella quale lo storico mette in evidenza come la memoria dell’Olocausto sia servito agli scopi economici e politici dello stato di Israele. Anni fa fu emblematica una sua risposta ad una studentessa per che lo criticava per i suoi attacchi ad Israele.

In seguito allo scoppia della guerra fra Israele e la Resistenza palestinese, Al Jazeera ha intervistato Finkelstein, il quale non ha per nulla abbondonato le sue idee circa la brutalità di Israele.

Il politologo ha definito, durante l’intervista, l’operazione israeliana a Gaza come “una via di mezzo tra un crimine contro l’umanità e un genocidio secondo il diritto internazionale”, e ha ricordato che l’obiettivo dello sembra essere quello di “pulire etnicamente il settore settentrionale di Gaza e dichiararlo la nuova zona di sicurezza di Israele”. Ha aggiunto che “il taglio dell’acqua, del cibo e del carburante alla popolazione civile, tenendo presente l’affermazione di Netanyahu secondo cui questa situazione andrà avanti per un periodo di tempo prolungato, e se si collegano questi due fatti, niente cibo, niente acqua, senza elettricità per un lungo periodo di tempo, allora è difficile per chiunque ammettere che si tratti di altro che del crimine – secondo il diritto internazionale – di genocidio.”

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L'"informazione" ricorrente dice : Hamas terrorista. - Giorgio Stern

Devo ricordare ciò che accadde.

Nei primi Anni Sessanta nacque Al Fatah e, subito dopo, l'O.L.P. (l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina) rappresentata da Yasser Arafat. Questo fu il Governo Palestinese in esilio in cui si riconobbe l'intero popolo palestinese.

Israele, cercando di rompere una tale formidabile unità politica, foraggiò un nuovo partito sorto dalla costola del gruppo Fratelli Mussulmani, di osservanza politica nasseriana che a Gaza aveva un certo seguito e che si consolidò nel 1987 col nome di Hamas.

Parliamo di Hamas come partito politico sostenuto da Israele in opposizione all'O.L.P. di Arafat, nel quadro di una normalissima ed ovvia politica del divide et impera. Nulla dire, ciascuno cerca di ottenere il meglio politicamente.

Il lungo iter politico diplomatico detto "Processo di Pace per uno Stato di Palestina", che nel settembre 1993, con il sigillo della Casa Bianca e la stretta di mano tra Arafat ed il Primo ministro israeliano, Rabin, doveva risolvere i problemi, invece collassò quando lo stesso Rabin, il 4 novembre 1995, venne assassinato da un membro del partito di Netanyahu e lo stesso Netanyahu, che promise di affossare il "processo di pace" (pubblicamene e nel suo primo comizio elettorale del gennaio 1996), venne poi eletto al posto suo.

Il mancato conseguimento della creazione dello Stato Palestinese per via negoziale e diplomatica perseguito da Arafat condusse ad un progressivo rafforzamento politico di Hamas, che denunciava il "processo di pace" come una trappola. In questo frattempo Israele aveva tolto il sostegno al partito di Hamas del quale cominciava a diffidare, anche perché Hamas procedeva ormai per conto proprio.

Col nuovo Millennio, tramontata ormai ogni ipotesi di Stato palestinese e morto Arafat, rivelandosi l'ottenimento di uno Stato per via negoziale solo pura illusione, Hamas divenne riferimento politico diffuso fra i palestinesi, che non avevano altri a cui votarsi.

E infatti, nel 2006, alle elezioni (partecipazione 76%, presenti  osservatori internazionali, tra cui la Clinton, concordate con l'ONU ecc., ecc.) per il Consiglio Legislativo (Parlamento) i palestinesi sia a Gaza che in Cisgiordania votarono  in maggioranza per il Partito Hamas, che subito formò il Governo.

Il Governo, come formato così arrestato, arrestato e messo in galera da Israele. Ivi compresi (concomitanti furono le elezioni amministrative) i nuovi sindaci di Hamas, compresi gli indipendenti in quelle liste.

Filo conduttore: 1987 - 1996, Hamas utile a Israele; 1997 - 2004 Hamas sempre meno utile a Israele; 2006, Hamas diventa, con legittimazione internazionale, il rappresentante del popolo palestinese.... ahiaia... allora, con tutti i crismi della democrazia viene tolto di mezzo.

MESSO IN GALERA!

Perché in galera? Perchè Hamas è terrorista (come lo fu Arafat fin dalle origini).

Se non sei Come tu mi vuoi... beh

Così funziona. E chi se la beve, se la beve, spesso tutta senza fiatare... non solo, ma poi emette giudizi tanto generici e generalizzati quanto inappellabili:

I PALESTINESI?  TERRORISTI!

  

Alessandro Orsini - Himars ad Hamas e al popolo palestinese sotto occupazione?

Questa matttina guerra in Palestina.
Scusate, ma adesso quei grandissimi ipocriti di (quasi) tutti i direttori di quotidiani, speaker radiofonici e conduttori televisivi italiani, che cosa faranno? Hamas rappresenta il popolo invaso (come l'Ucraina) e Israele rappresenta il popolo invasore (come la Russia).
Quindi? Che cosa diranno quei pagliacci di (quasi) tutti i direttori di quotidiani, speaker radiofonici e conduttori televisivi italiani? E che cosa faranno Stoltenberg, Ursula von der Leyen e Paolo Gentiloni?
Invieranno Leopard, Abrams, F-16, Himars e munizioni ai palestinesi? Adesso mi aspetto che i conduttori televisivi italiani passino il loro tempo a chiedere di condannare l'invasione israeliana della Palestina. Riuscite a immaginare questi ipocriti del teleschermo mentre dicono con la vena gonfia sul collo: "Allora, professor Orsini, condanna o non condanna l'invasione israeliana della Palestina? Stia attento perché, se non condanna Israele, le strappiamo i contratti di lavoro e avviamo una gigantesca campagna diffamatoria contro di lei".

Ma che buffoni di corte che siete.

Himars ad Hamas?

Fa pure rima.

L'informazione sulla politica internazionale in Italia funziona come nelle dittature.

*Post Facebook del 7 ottobre 2023

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“Fermate questo genocidio”: appello da Gaza sotto le bombe - Ahmed Dremly

Pubblichiamo la trascrizione di un lungo messaggio audio che la redazione del manifesto ha ricevuto dal giornalista palestinese Ahmed Dremly, in fuga dai bombardamenti israeliani insieme alla sua famiglia.

La situazione a Gaza è terribile soprattutto dopo la dichiarazione minacciosa rilasciata da Avichay Adraee, capo della “divisione media arabi” delle Forze di difesa israeliane (IDF), che invita gli abitanti di Gaza a evacuare nel sud della Striscia.

Tutti i palestinesi che vivevano ai confini di Gaza sono già fuggiti nel centro. Poco dopo i bombardamenti israeliani hanno spazzato via l’intera area di Al-Rimal, solitamente il posto più sicuro nel cuore della città.

Si tratta di un esodo di massa. I palestinesi sono bloccati per strada: alcuni con i bambini in braccio, altri portando con sé solo una misera bottiglia d’acqua vuota, molti in fuga con i loro parenti più anziani. Il numero di coloro che fuggono verso il sud della Striscia è esorbitante, un’area che è già sovrappopolata e non può accogliere tutti.

Ho una gomma dell’auto bucata. Guardandomi intorno, sono impressionato dall’enorme numero di civili bloccati. La situazione è straziante. Israele ha ucciso diversi medici, oltre ai giornalisti, e finora hanno colpito più di 12 ambulanze.

Non abbiamo internet, né energia, né elettricità. Stanno bombardando i generatori elettrici e i provider internet. Non riusciamo nemmeno a comunicare e i giornalisti sono senza connessione internet. È terribile.

Israele ha commesso decine di massacri, spazzando via intere famiglie e colpendo i civili. Stanno bombardando le case senza allertare i residenti. Oltre il 60% delle vittime sono bambini. Sono morte molte donne. Stanno commettendo un genocidio a Gaza, una pulizia etnica, proprio come nella Nakba del 1948.

Non c’è un solo posto sicuro a Gaza in questo momento. Nessuno è sicuro.

Israele sta cercando di intimidire le famiglie. Mandano annunci di evacuazione per dirgli di evacuare. Poi però non bombardano e colpiscono da un’altra parte, in zone i cui abitanti non erano stati avvertiti.

Questo è il momento più sanguinoso di sempre. La “Palestine Tower”, alta 14 piani e nella quale abitavano 82 famiglie, è stata completamente rasa al suolo. Ora queste famiglie dove dovrebbero andare?

Come giornalista sono bloccato e impossibilitato a seguire tutte le notizie e quelle che stiamo cercando di inviare non vengono ricevute.

Non posso nemmeno essere sicuro che i miei messaggi vi raggiungano e, soprattutto, non sono sicuro che sarò ancora vivo quando li riceverete.

Abbiamo appena ricevuto una telefonata da un amico che era in viaggio verso il sud della Striscia che ci detto che stanno uccidendo i palestinesi che stanno cercando di fuggire verso sud.

Qui dove mi trovo ora siamo in 50, potete sentire le voci dei bambini che piangono. Molti media stanno cercando di contattarmi senza riuscirci. Ogni palestinese di Gaza ha perso almeno una persona cara o un familiare. Le case delle mie due sorelle sono state completamente distrutte. La figlia di mio zio è stata uccisa e non abbiamo più notizie del suo fidanzato.

Dov’è l’Occidente? Dove sono questi diritti umani di cui tutti parlano? Dov’è il diritto internazionale? E le organizzazioni internazionali? Dov’è l’ONU? Qui sono in corso dei crimini di guerra ed è violato ogni diritto previsto dai trattati internazionali. Questo è un genocidio e dovrebbe essere fermato immediatamente.

Riteniamo tutti i governi arabi e occidentali responsabili per il sostegno all’occupazione e di consentire al governo di Israele di commettere atrocità contro l’umanità. Non sono sicuro che resterò qui più a lungo, questo potrebbe essere il mio ultimo messaggio vocale.

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Esponiamo la bandiera della Palestina - Giuseppe Callegari

Manifestare per la pace è cosa encomiabile, ma tale invocazione rischia di diventare lettera morta, un quasi inutile esercizio di stile se si evita di fare delle analisi che portano logicamente a precise prese di posizione. Il conflitto fra israeliani e palestinesi ha sicuramente una storia lunga, articolata e controversa che occorre tener presente. Tuttavia l’analisi non può essere solo un percorso che sfocia nell’equidistanza. E allora basta con le ipocrisie e gli omissis e si abbia il coraggio di gridare che il popolo palestinese è la vittima sacrificale stretta fra i finti amici di molti stati arabi e i falchi dei governi israeliani.  Da troppo tempo sono costretti a vivere come ospiti indesiderati sulla loro terra e migliaia sono state le vittime delle repressioni e delle ritorsioni da parte del governo di Israele, un popolo che ha il sacrosanto diritto di vivere su quella terra dopo la terribile esperienza dell’Olocausto, che però non può essere il lasciapassare per seminare a loro volta la morte.

Non a caso l’ebreo Moni Ovadia, all’indomani dell’attacco di Hamas, ha dichiarato: “Israele lascia marcire le cose, fingendo che il problema palestinese non esista, per cancellare la stessa idea che i palestinesi esistano e la comunità internazionale è complice. Questa è la conseguenza di una politica di una totale cecità, di occupazione e colonizzazione. La Striscia di Gaza non è un territorio libero, è una gabbia, una scatola di sardine. È vero che dentro non ci sono gli israeliani, ma loro controllano comunque i confini marittimi, l’accesso alle merci, l’energia, l’acqua.  La comunità internazionale è schifosamente complice.  Non a caso l’Onu aveva dichiarato Gaza zona non abitabile. La situazione è vessatoria, dirò di più, è infernale”.

Con il conforto delle parole di Ovadia bisogna ribadire che non si può solo gridare pace, pace, sperando in un intervento risolutore divino, ma occorre compiere gesti, anche piccoli,  che siano contrassegnati da decise prese di posizione.

E occorre partire dal presupposto che è fondamentale   e  imprescindibile  riconoscere ai palestinesi il diritto di avere uno stato libero e indipendente, senza alcuna ingerenza di Israele, ma anche da parte degli altri paesi confinanti.

Propongo quindi di esporre la bandiera palestinese o un panno con la scritta “Una patria per il popolo palestinese”, un gesto che non deve essere inteso come sostitutivo della bandiera della Pace, ma che esprime l’elementare consapevolezza che questa non ci sarà mai fino a quando i palestinesi non avranno uno stato sovrano.

 


NON SIAMO UN ENTE CERTIFICATORE - Enrico Semprini

Non so come, non so se ne avrei avuto il coraggio e la forza, ma se fossi un palestinese,

se avessi visto la mia casa distrutta perché mio fratello è parte di una organizzazione armata e contro i palestinesi la punizione è la distruzione della casa e la confisca della terra dei parenti, se avessi visto la mia casa distrutta, perché la sorella del mio vicino dicono faccia parte di una organizzazione armata;

se avessi visto la mia sorellina e il fratellino uccisi dai militari di uno stato che non è il mio perché erano nel posto sbagliato nel momento sbagliato;

se avessi visto mio padre, mia madre e mia sorella picchiati da un colono israeliano sotto gli occhi divertiti della polizia israeliana;

se avessi visto gli uliveti che coltivava la mia famiglia distrutti e fatti morire perché doveva passare una strada israeliana sulla quale io come palestinese non posso passare;

se avessi visto mio zio, pescatore, tornare a casa ferito perché una nave della marina militare israeliana ha deciso che non poteva allontanarsi di oltre cinque chilometri dalla costa del mare di Gaza, perché non possono uscire verso il mare;

non possono uscire dal muro che li circonda tutto intorno; non possono uscire dalla frontiera con l’Egitto;

sono sicuro che, se avessi avuto il coraggio, mi sarei ribellato perché trovo giusto ribellarsi quando si subisce una ingiustizia.

Non so come mi sarei ribellato e sono convinto di non essere un ente certificatore: non sono in condizione di giudicare il modo “giusto” di ribellarsi.

So come mi ribello qui e so che qui ci vuole molto meno coraggio e certo dico che qui quando mi ribello cerco di far fare un passo avanti alle classi sociali nelle quali mi riconosco, che difendo e di cui desidero il riscatto.

 

So però che quando sono in carcere, chi è più forte di me dovrebbe avere la responsabilità di prendersi cura di me, di permettermi di vivere in modo dignitoso.

Ma quando c’è stata la pandemia la terra di Gaza è stata il luogo dove si è registrato il più alto numero di contagi e so che non hanno potuto ricevere cure, se non piccole cose donate da qualcuno: il governo di un altro paese, quello di Israele, può decidere se si possono curare o no, perché controllano le frontiere e i parenti residenti all’estero non possono andare in Palestina se sono di origine palestinese anche se ormai hanno un altro passaporto ed un’altra cittadinanza, non sanno se si possono lavare o no, perché controllano la loro acqua, se possono mangiare o no, perché controllano il cibo che arriva, se possono lavorare o no, perché non possono fare industrie ma solo vendere la loro forza lavoro o fare qualche tipo di manufatto che poi non possono esportare se non in minima parte.

 

So che la libertà di organizzazione politica prevede che si possa eleggere chi si crede e che se molti palestinesi hanno scelto Hamas in qualche elezione, devono essere rispettati e che se si vuole parlare con qualcuno che li rappresenta, bisogna parlare anche con Hamas. Per essere precisi non ci sono state elezioni che certifichino la forza di Hamas a Gaza quando ha preso il potere lì e forse solo delle stime potrebbero chiarire quale parte della popolazione sia effettivamente rappresentata da Hamas.

Ma Hamas è considerata una organizzazione terroristica fin dal principio, perché non riconosce lo stato di Israele: dunque nessuno parla ufficialmente con questi rappresentanti di quel popolo, dunque che possibilità di confronto politico ci può essere se non si accetta l’esistenza di un certo soggetto politico?

 

Cosa significa dunque Israele vuole distruggere Hamas? Chi ne fa parte attiva, chi la ha votata, chi se la è trovata e non si è opposto? Chi poteva votare nel 2006 o anche tutte e tutti coloro che non hanno potuto fare quella scelta perché non erano in età di votare o non erano ancora nati o non ci sono state elezioni in cui esprimere la propria preferenza?

E chi non la ha votata neppure quando è stato nella possibilità di farlo?

Gli israeliani mentre bombardano dal cielo o entrano con i carrarmati, chiedono ai presenti la tessera del partito politico?

 

Perchè i palestinesi dovrebbero abbandonare la loro terra? Solo perché Israele approfitta della soverchiante forza militare per rubare altro territorio ai palestinesi?

 

Una cosa la so: i palestinesi sono nel pieno diritto di ribellarsi, gli israeliani non hanno mai avuto il diritto di fare una politica di Apartheid, come ha certificato più volte anche la Onu.

Il 27 ottobre del 2022 il rapporto dell’Onu diceva così:

 

Il Rapporto denuncia l’impressionante quadro di illegalità in cui si attua la progressiva espansione territoriale israeliana con la confisca di terre ai palestinesi e l’istituzione di proprie colonie in Cisgiordania in un contesto di dominio militare, violento e doloroso, che annulla il diritto del popolo palestinese alla propria autodeterminazione.

 

 

Un’altra cosa so: che Israele ha risposto alla presa di potere di Hamas con un blocco su Gaza, limitando la circolazione di persone e merci all'interno e all'esterno del territorio, con la motivazione di voler impedire al gruppo di veicolare armi.

Il blocco ha devastato l'economia di Gaza e i palestinesi accusano i governi israeliani di indebita punizione collettiva, di aver cioè creato miseria, fame, privazione di prospettive e lutti.

 

Un’ultima cosa so: che chi non rispetta il diritto internazionale, non può invocare il diritto internazionale ed in particolare non può essere l’ente che decide se è lecito il modo in cui chi subisce deve ribellarsi. Non esiste nessun soggetto terzo che venga riconosciuto e in assenza di ogni punto di riferimento avviene tutto ed il contrario di tutto, ma certamente il più forte è il vero e maggiore responsabile.

 

E noi europei, noi di sinistra tra gli europei, noi che diciamo da anni di voler difendere i palestinesi, noi antirazzisti possiamo indicare una sola colpa: quella di non essere stati in grado di far rispettare in nessun modo i diritti delle donne e degli uomini palestinesi e di assistere impotenti all’ennesimo crimine coloniale che da sempre caratterizza il pensiero e l’azione dei potenti di occidente nel mondo.

 

So anche, guardandomi indietro che non siamo riusciti, qui a Modena, qui in Italia, qui in Europa, a garantire che le leggi razziali fasciste e naziste non producessero l’annientamento di intere famiglie, la maggior parte delle quali di religione ebraica, ma non solo, attraverso la chiusura di negozi, il licenziamento dai pubblici uffici e la deportazione nei campi di concentramento e la morte.

So che il considerare normale il ritorno al potere anche qui in Italia di un gruppo che guarda con simpatia al fascismo storico, significa un potenziamento delle caratteristiche razziste presenti da tempo nel nostro ordinamento e fare finta che tutto questo non sia esistito;

 

So che lo stato di Israele è parte integrante della tradizione razzista e colonialista che da tempo immemore caratterizza la classi dominanti dell’Europa e successivamente degli Stati Uniti e che, in maniera perversa, il razzismo antisemita e specificamente antiebraico fornisce il più potente alibi proprio a sostegno dello stato israeliano.

 

Nel mettere seriamente in discussione il disegno della Grande Israele che corrisponde, come minimo, all’occupazione dell’intera Palestina di cui l’attuale massacro è parte del progetto, noi vecchi dominatori del mondo dovremmo contemporaneamente mettere in discussione tutti i secoli durante i quali siamo stati colonizzatori e durante i quali andavamo a compiere grandi massacri innome della civilizzazione e magari della conversione al credo cristiano; dovremmo mettere in discussione quel grande filone della nostra cultura cattolica mentre affiancava le potenze coloniali e da secoli prendeva di mira il credo ebraico ed anche quello musulmano, caratterizzandosi, sul piano storico, come la religione più intollerante tra le tre religioni del libro.

 

Nessuno è innocente.

 

L’ignorare che il terrore dello sviluppo economico di carattere coloniale che caratterizza l’azione dell’occidente nel mondo in tutte le guerre attive, fa si che Israele come partner commerciale anche del nostro governo, con le collaborazioni senza critica con l’università di Modena e con la accademia militare di questa ultima città, si caratterizzi per aver ucciso

  • almeno 200 palestinesi di cui molti minorenni fino a giugno del 2023 mentre dall’altra parte morivano 30 israeliani;
  • almeno 220 morti palestinesi nel 2022;
  • almeno 319 palestinesi nel 2021, di cui almeno 71 i minorenni e almeno 43 le donne. Sempre nel 2021, dall’altra parte erano morti nove israeliani e tre cittadini

 

Che soddisfazione c’è dunque a dare patenti di terrorismo a questo e a quello?

Da un punto di vista cinicamente militare è difficile capire il senso strategico della azione di Hamas. In un regime di apartheid i dominatori schiacciano i più deboli e la carneficina, il crimine contro l’umanità a cui stiamo assistendo e che lo stato di Israele sta commettendo con il plauso e la complicità di molti paesi occidentali, era ed è nelle loro corde, nelle corde dei dominatori.

 

La nostra responsabilità come antirazzisti e come sinistra è di non avere da tempo strategie di riscossa contro un sistema capitalista che è ormai al capolinea e che sta moltiplicando la distruzione del mondo e degli esseri umani in carne ed ossa, ben sapendo che da sempre il commercio delle armi e la guerra è la sua risorsa estrema.

 

NO AL MASSACRO DEL POPOLO PALESTINESE!

 

 

 





 


 Israele, la questione palestinese e l’immane ipocrisia dell’Occidente. Il ruolo degli intellettuali e dei mezzi di comunicazione di massa - Giorgio Riolo

Una prima considerazione di metodo. “Il presente come storia” è il problema per i nostri dominanti, in Italia e nel mondo. Le guerre per loro, e per i loro intellettuali e per i loro giornalisti, sono quello che si vede in superficie. Così come per ogni fenomeno della realtà contemporanea. Non bisogna guardare i processi storici, non occorre vedere il retroterra storico da cui guerre e realtà contemporanea originano.

Le guerre sono stato d’eccezione e fungono da perfetto catalizzatore per capire a che punto siamo con la retorica, almeno qui in Occidente, sulla democrazia, sui diritti umani, sui “valori europei e occidentali” ecc. Retorica ributtante, manipolazione delle coscienze, due pesi e due misure e via discriminando. Liberali e democratici a parole. Censura, caccia alle streghe, mettere a tacere, licenziamenti ecc. nella pratica reale con chi non “ulula con i lupi”, non si adegua al pensiero unico e alla informazione unica. Così è avvenuto e avviene nella guerra in Ucraina e così nell’attuale guerra in Palestina (i media arruolati dicono “guerra in Israele”).

Allora. In alcune testate Usa giornalisti e giornaliste sono in questi giorni “fired”, licenziati, perché la pensano diversamente o dicono qualcosa di dissonante a proposito di Palestina e di Israele. Addirittura la giornalista Emily Wilder della Associated Press è stata costretta alle dimissioni poiché nei suoi anni da giovane studentessa del college era stata attivista pro Palestina.

La scrittrice palestinese Adania Shibli, la quale doveva ricevere un premio presso la Fiera del Libro di Francoforte, si è vista cancellato l’evento. Con il solito ipocrita tentativo di conciliazione con il parallelo invito ad avere scrittori israeliani alla Fiera. Patrick Zaki, il ricercatore egiziano di Bologna, solo per aver difeso la causa palestinese e criticato Netanyahu, è stato censurato da quel campione “democratico” che è Fabio Fazio e si è vista cancellata dalla sindaca “democratica” di centrosinistra Castelletti la presentazione del suo libro a Brescia. Moni Ovadia, critico da sempre del comportamento di Israele nei confronti dei palestinesi, è stato costretto a dare le dimissioni da direttore del Teatro di Ferrara.

Negli annali dell’imbecillità servile italiota il modello rimane comunque la cancellazione delle conferenze su Dostoevskij, a cura del mite e profondo conoscitore di letteratura russa Paolo Nori, all’Università Bicocca di Milano, appena scoppiata la guerra in Ucraina.

 

I.

In questi giorni quello a cui assistiamo suscita forti emozioni e forti sentimenti. Ma anche tante riflessioni, tanto pensiero, del passato e del presente. Si impongono oggi a chi abbia un minimo di senso critico e di impegno civile e politico. I dominanti mondiali prediligono, hanno bisogno della guerra di religione, della guerra santa, della tifoseria, acritica per definizione. Hanno bisogno delle chiusure identitarie. Bene e male, noi e loro. Altro che masse fanatiche e irrazionali, mosse solo da passioni sfrenate. I nostri dominanti europei e occidentali usano vecchi arnesi, vecchie pratiche dell’infame colonialismo. Divide et impera, dividi e domina. Gli inglesi e poi gli Usa maestri in ciò.

Nell’apartheid creato in Palestina, Israele ha favorito in origine Hamas, la deriva islamista, proprio per spodestare ed eliminare il pericoloso progetto politico laico dell’Olp. Al cui interno c’erano sicuramente varie correnti e vari movimenti, alcuni moderati e altri più radicali. Con annesso verosimile finale avvelenamento di Yasser Arafat. Oggi Abu Mazen e l’Autorità Nazionale Palestinese ridotti a simulacri del glorioso progetto politico dell’Olp.

Il sonno della ragione produce sempre mostri. Violenza per violenza, orrore per orrore. Ma con la netta differenza che i bambini palestinesi squartati sotto le bombe israeliane sono considerati formichine. Al pari delle formichine vietnamite, afghane, irachene, siriane, libiche, yemenite ecc. ecc. Non sono come i morti e i bambini uccisi, con tanto di nome e cognome, israeliani e occidentali in generale. Immane ipocrisia dell’Occidente. Israele è un pezzo di Occidente piazzato in quella terra martoriata da 75 anni a questa parte.

 

II.

Il giornalismo coraggioso nella “anglosfera”, nel mondo anglosassone, soprattutto negli Stati Uniti, esiste, c'è. Giornalisti e analisti di grande valore, a parte il venerando Noam Chomsky, come Seymour Hersh, John Pilger, Robert Fisk, Chris Hedges, Caitlin Johnstone e tanti altri fanno onore a un'attività così importante come l'informazione. Non come avviene nell'enorme sistema massmediatico assoldato e allineato, molto in Europa e soprattutto in Italia.

Così come esistono in Israele movimenti e persone, a partire da Peace Now e dal compianto Uri Avnery, coscienze critiche, giornalisti, storici (Ilan Pappé, Zeev Sternhell ecc.), intellettuali, scrittori ecc. che cercano di pensare lucidamente e che non si allineano. Che non si abbandonano all'isteria guerresca dilagante e che rivendicano da sempre la soluzione, improntata a giustizia e al diritto internazionale, della questione palestinese. Improntata al diritto umano, ancestrale, non scritto. Non quello della immensa ipocrisia dei "valori occidentali", dei "valori europei", dei "valori democratici e umani" a marca Usa ecc.

Razzismo, suprematismo bianco, a questo si riducono tutte quelle belle parole. I popoli oppressi delle periferie del mondo ne hanno avuta, nel passato e oggi, tragica esperienza.

In breve, colonialismo, apartheid, razzismo, ancora sono in essere. Non sono cose del passato. "Decolonizzare la mente" è il sempiterno compito antropologico, culturale, politico di noi europei e occidentali. Compresi gli israeliani, va da sé.

 

III.

In origine questo articolo era stato pensato per ricordare importanti intellettuali italiani recentemente scomparsi. Si tratta di Gianni Vattimo e di Domenico De Masi. Sui quali si dovrebbero dire molte cose, anche critiche. Ma qui ci limitiamo a ricordare che sono stati studiosi seri, preparati, rigorosi, formatisi in pieno Novecento. Prima dello spartiacque, tra 1989 e 1991, del trionfo definitivo del neoliberismo e del pensiero unico. Prima che molto mondo intellettuale, molto mondo dei mass media e molto mondo politico venissero investiti dal vento omologante e neoliberista dell’opportunismo e dell’arruolamento. Ruolo subalterno, omologazione, nicodemismo comodo e ben pagato. Con le dovute e lodevoli eccezioni, naturalmente. A distinguersi, per contrasto e per protervia, politici, intellettuali e giornalisti un tempo nel campo della sinistra. Un tempo a fianco dei lavoratori, degli studenti, delle classi subalterne e poi passati allegramente al campo opposto. Quelli che danno del putiniano a chi denuncia Usa e Nato all’origine della guerra in Ucraina e dell’antisemita a chi denuncia l’apartheid messo in atto da Israele. I nomi sono legione.

Prima dello spartiacque, e prima del decennio di preparazione di tale svolta negli anni ottanta, l’Italia ebbe la grande stagione scaturita dalla Resistenza e dalla vittoria sul nazifascismo del secondo dopoguerra. La grande stagione di movimenti e di partiti della sinistra, di avanzate, di conquiste sociali, sindacali e politiche. Parallelamente a ciò, come solido retroterra, una grande stagione si dispiegava, di fervore intellettuale, di cultura, di giornalismo indipendente. Dando anima e corpo a tali conquiste.

Una stagione così ricca e così feconda di coscienze critiche, di intellettuali, di scrittori e scrittrici e di giornalisti e giornaliste. I quali/le quali, tra le altre cose, hanno contribuito a vedere chiaro nella stagione oscura della guerra fredda e a contrastare la subalternità dell’Italia al dominio Usa e Nato e pertanto, per quello che qui ci interessa, ad avere visione lucida sul ruolo di Israele e sui destini dell’oppresso popolo palestinese.

 

IV.

Perché ci odiano? Così, nel passato e oggi, si domandavano e si domandano molti statunitensi a causa delle nefandezze compiute nei quattro angoli del mondo da parte dei loro governi e dei loro apparati, palesi e occulti. Così occorre domandarsi sempre, europei e occidentali, con annessi israeliani. L’odio di molta parte dei popoli del Medioriente, del mondo arabo-islamico, dei popoli delle periferie del mondo è stato alimentato e viene costantemente alimentato dal terrorismo di Stato e dai comportamenti quotidiani di distruzione delle case dei palestinesi, di uccisioni da parte di coloni armati e protetti dai soldati israeliani e via opprimendo. Gaza è solo il  terribile atto ultimo di questa serie.

E la chiamata alla mobilitazione e all’allineamento contro il terrorismo islamico in Italia, in Europa e in Occidente, la strategia della paura e della diversione di massa nell’additamento del nemico da colpire ecc. serve solo a chi non ha orizzonte e respiro. A chi pensa, come il governo italiano, con questi mezzucci di dare soluzione a problemi così gravi per il futuro dell’umanità intera.

 

 

 

Il (bel) film Promesse, di Justine Arlin, Carlos Bolado, B. Z. Goldberg, fu girato fra il 1995 e il 2000 e mostra il conflitto israelo-palestinese dalla prospettiva di sette ragazzi che vivono nella comunità palestina della West Bank e nei dintorni israeliani di Gerusalemme.

Una o due volte è stato trasmesso dalla RAI.

 

 

A space exodus - Larissa Sansour


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