lunedì 9 ottobre 2023

È morto Giulio Petrilli. Cari giudici, stavolta pentitevi voi - Frank Cimini

 

Chi era Giulio Petrilli, sbattuto in galera da innocente senza nessun risarcimento. Arrestato nel 1980 con l’accusa di aver partecipato a Prima Linea, il pm Spataro chiese per lui 11 anni di reclusione. Condannato a 8, dopo 6 anni l’assoluzione in appello poi confermata dalla Cassazione. Ma il ristoro per l’ingiusta detenzione gli fu rifiutato. Il motivo? A causare l’errore giudiziario erano state le sue “cattive frequentazioni”. Non ha mai smesso di lottare: per l’amnistia, contro il 41bis. Pochi giorni fa la morte per una embolia polmonare.


È morto Giulio Petrilli, protagonista di una incredibile vicenda giudiziaria relativa alla storia degli anni 70 e del “terrorismo”, quindi non la sola, ma molto significativa. Arrestato nel 1980 con l’accusa di aver partecipato a Prima Linea, il pm Armando Spataro chiese per lui 11 anni di reclusione, fu condannato a 8 anni. In appello arrivò l’assoluzione poi confermata dalla Cassazione. Ma dentro questa vicenda resta “esemplare” la motivazione con cui i giudici rifiutarono il risarcimento per ingiusta detenzione. L’errore contenuto nella sentenza di primo grado era stato indotto dalle sue “pessime frequentazioni”.

Furono parole pesantissime che portarono Petrilli a combattere fino al termine dei suoi giorni per un’amnistia e contro il 41bis, figlio del famigerato articolo 90 che lui aveva provato sulla sua pelle. Ma andiamo con ordine. Lasciamo la parola allo stesso Petrilli in uno scritto del primo dicembre del 2014. “Ho letto che il nuovo procuratore di Torino è l’ex pm di Milano Armando Spataro. Famoso magistrato di cui si parla sempre in positivo, ma nessuno sa che ha commesso anche gravi errori giudiziari. Lo dico avendolo vissuto sulla mia pelle. Spataro emise un mandato di cattura nei miei confronti il 23 dicembre 1980 dove mi accusò di partecipazione a banda armata con funzioni organizzative, Prima Linea – racconta Petrilli – In primo grado Spataro chiese 11 anni di carcere. La corte di assise mi condannò a 8 anni. Dopo 5 anni e 8 mesi la corte di Appello mi assolse e poi la Cassazione confermò”.

Petrilli scontò ingiustamente sei anni di carcere. “E non mi hanno risarcito perché secondo i giudici preposti a stabilire se dovevo avere il risarcimento io avevo avuto cattive frequentazioni. I magistrati come Spataro che commettono errori clamorosi vengono promossi, le persone che subiscono gravi errori giudiziari manco vengono risarcite – conclude – È giustizia o sopraffazione? Avevo fatto anche a luglio richiesta al capo del governo chiedendo danni per dieci milioni di curo per sei anni di ingiusta detenzione. Chiedevo la responsabilità civile del magistrato, non ho avuto risposta”.

Giulio Petrilli ci ha lasciato prematuramente a causa di una embolia polmonare. Ricoverato d’urgenza non ce l’ha fatta – dice Paolo Persichetti – corpo possente da vero rugbista lo ricordiamo per la sua incredibile umanità per la generosità debordante. Nel 1984 era stato anche picchiato duramente dalla polizia penitenziaria dopo una fermata all’aria di protesta fatta con i suoi compagni per denunciare le condizioni di detenzioneSi è battuto fino all’ultimo contro il 41bis

La vicenda del mancato e negato risarcimento aveva acceso dentro di lui un fuoco inesauribile, ricorda ancora Persichetti secondo il quale soltanto un terzo delle richieste di ristoro per il carcere ingiusto vengono accolte. Infatti non basta la sentenza di assoluzione e non basta nemmeno che la giustizia abbia riconosciuto l’illegittimità della misura cautelare. Chi è stato in carcere ingiustamente deve dimostrare di non aver tenuto un comportamento tale da aver tratto in inganno i magistrati con atteggiamenti omissivi o perché non si è avvalso delle funzioni difensive che restano un diritto fondamentale dell’imputato anche sotto il profilo delle frequentazioni.

In sostanza le sentenze di assoluzione valgono fino a un certo punto perché poi vengono sottoposte a un nuovo processo dove la personalità di chi è stato assolto viene giudicata a livello morale. Insomma una sorta di quarto grado di giudizio per resuscitare la colpa con tanti saluti all’assoluzione fino all’inversione dell’onore della prova. Chi viene assolto per reati avvenuti in posti dove c’è la criminalità organizzata diventa responsabile del fatto di frequentare contesti pieni di pregiudicati.

Chi viene assolto da accuse di eversione, se ha frequentato luoghi di conflitto recepito come culture antagoniste e irregolari secondo la nonna politico morale dominante, viene ritenuto responsabile di una sorta di concorso ambientale. In questo modo si arriva alla teologia giudiziaria. È una giustizia che sta nell’alto dei cieli che processa dopo il processo penale la presunta doppiezza o ambiguità dell’imputato assolto. È il meccanismo che ha stritolato Giulio Petrilli in un’epoca in cui il populismo penale dilaga sempre di più e continua a colpire a ormai mezzo secolo di distanza da quel periodo degli anni 70 con il quale la politica, a cominciare dalla sinistra, rifiuta di fare i conti.

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