mercoledì 26 marzo 2025

Discorso integrale di Roger Waters alle Nazioni Unite – 17 febbraio 2025

 

Il capitalismo è l’assassino - Raúl Zibechi

In modo così metodico e completo, quale altro sistema ha dichiarato guerra all’umanità? Quale altro sistema pratica sistematicamente genocidi e stermini di intere porzioni di giovani, donne e bambini? Che ruolo giocano gli Stati e i governi che li amministrano, che non possono e non vogliono fermare la violenza contro i popoli e le persone? È tempo di dare un nome a questo sistema: capitalismo. Dobbiamo capire che la violenza non ha altro obiettivo che l’accumulazione accelerata di capitale. Per fare questo spostano e sterminano quei settori che ostacolano l’arricchimento dell’uno per cento.

Non si tratta di eventi o errori isolati, ma di un disegno che si sta perfezionando negli ultimi decenni e che più recentemente abbiamo visto svolgersi in tutta la sua grandezza, nella vasta geografia che va da Gaza al Messico, come dimostrano i bombardamenti indiscriminati contro scuole e ospedali, come dimostrano i forni crematori di Teuchitlán (Messico).

Osserviamo lo stesso modello con alcune varianti in altre geografie del Medio Oriente, e in modo molto particolare nei territori delle popolazioni indigene e nere, dal Wall Mapu (storico territorio mapuche in Cile) al Chiapas. Nel sud dell’Argentina, i grandi imprenditori bruciano le foreste mentre lo Stato non le spegne, criminalizza il popolo mapuche e sfolla le comunità per trarre profitto dalle loro terre. L’alleanza tra lo Stato, la comunità imprenditoriale e le sue milizie, i media mainstream e la giustizia, è lubrificata dalla presenza dei soldati israeliani in quei territori.

La popolazione attorno alla miniera di Chicomuselo, in Chiapas, è testimone dell’alleanza tra Stato, affari, paramilitari e criminalità organizzata, con l’unico obiettivo di sfollare e controllare la popolazione che ostacola l’espansione del business di distruzione della Madre Terra, per convertire i beni comuni in merci.

Troviamo modi molto simili quando la Polizia Militare brasiliana entra nelle favelas, quando bande narcoparamilitari armate attaccano il popolo Garifuna in Honduras; i corpi repressivi che sparano da elicotteri da combattimento sulle folle mobilitate nella regione andina del Perù, e tanti altri casi impossibili da descrivere in questo spazio.

Non illudiamoci: non si tratta di eccessi o deviazioni specifiche, ma di un vasto progetto di militarizzazione a quattro mani (forze armate e di polizia, giudici, governanti e criminalità organizzata), che sostiene le imprese estrattive. Quando vediamo madri e guerrieri della ricerca usare le proprie mani perché non hanno risorse, ma sono comunque in grado di portare alla luce l’orrore, non possiamo fare a meno di capire che le autorità si sono messe al servizio di questa guerra di esproprio, garantendo l’impunità ai responsabili.

Il dolore e solo il dolore è la fonte della conoscenza. Non possiamo dimenticare quando i genitori degli studenti di Ayotzinapa lanciarono lo slogan “È stato lo Stato”, fatto con il sangue dei loro figli e con torture psicologiche sia per la loro assenza che per il modo in cui furono fatti sparire.

Ora quel dolore ci dice che siamo di fronte a una rete criminale capace delle più grandi atrocità, come ha sottolineato giorni fa il giornalista messicano Jonathan Ávila, del CEPAD (adondevanlosdesaparecidos.org).

Sappiamo che non c’è e non ci sarà la volontà politica di fermare la violenza dall’alto. Quindi la domanda è: cosa dobbiamo fare? Perché i movimenti, le persone e la società nel suo complesso facciano ciò che chi sta al vertice non vuole fare. Perché per fermare la violenza c’è una sola cosa: porre fine a questo sistema capitalista predatorio e genocida che considera gli Adelitas, i Panchos e gli Emilianos (i poveri dal basso) come suoi nemici.

Il primo punto è capire che siamo tutti nel mirino del capitale. Negli anni Settanta, se eri un guerrigliero, uno studente, un operaio o un contadino organizzato che combatteva, venivi fatto sparire. Questa logica è cambiata radicalmente. Ora, il semplice fatto di esistere, respirare e vivere come una persona dal basso verso l’alto ti rende una potenziale vittima. Ecco perché è più che mai necessario gridare: siamo tutti Ayotizinapa. Siamo tutti Gaza. Siamo tutti Teuchitlán.

Il secondo è seguire l’esempio dei ricercatori e dei guerrieri. Organizzarci. Mettiamo il corpo, le mani e il cuore. Uniti, spalla a spalla, per proteggere e salvare i nostri cari, diventando barricate collettive per fermare la barbarie, cioè i barbari. Non esiste altra via, nessuna scorciatoia, nessuna legge, nessun governante proteggerà le nostre vite nel mezzo dello sterminio.

Capisco che si tratta di lezioni molto difficili ed estreme, che implicano il superamento della paura, della solitudine, degli insulti e, cosa ancora peggiore, dell’indifferenza e dei tentativi di trarre profitto politico e materiale dal nostro dolore. Ma dobbiamo essere chiari: non possiamo aspettarci altro che i nostri sforzi collettivi, qui e ora, finché potremo.

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martedì 25 marzo 2025

Allegoria della politica – Giorgio Agamben

 

Siamo tutti all’inferno, ma alcuni sembrano pensare che non ci sia qui altro da fare che studiare e descrivere minuziosamente i diavoli, il loro orrido aspetto, i loro feroci comportamenti, le loro infide trame. Forse si illudono in questo modo di poter scampare all’inferno e non si rendono conto che ciò che li occupa interamente non è che la peggiore delle pene che i diavoli hanno escogitato per tormentarli. Come il contadino della parabola kafkiana, essi non fanno che contare le pulci sul bavero del guardiano. Va da sé che nemmeno sono nel giusto coloro che all’inferno passano invece il loro tempo a descrivere gli angeli del paradiso – anche questa è una pena, in apparenza meno crudele, ma non meno odiosa dell’altra.

La vera politica sta tra queste due pene. Essa comincia innanzitutto col sapere dove ci troviamo e che non ci è dato sfuggire così facilmente alla macchina infernale che ci circonda. Dei demoni e degli angeli sappiamo quello che c’è da sapere, ma sappiamo anche che è con una fallace immaginazione del paradiso che è stato costruito l’inferno e che a ogni consolidamento delle mura dell’Eden fa riscontro un approfondimento dell’abisso della Gehenna. Del bene conosciamo poco e non è un tema che possiamo approfondire; del male sappiamo soltanto che siamo stati noi stessi a costruire la macchina infernale con cui ci tormentiamo. Forse una scienza del bene e del male non è mai esistita e comunque qui e ora non c’interessa. La vera conoscenza non è una scienza – è, piuttosto, una via di uscita. Ed è possibile che questa coincida oggi con una tenace, lucida, svelta resistenza sul posto.

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RIARMO EUROPEO: A QUALI GUERRE PENSA L'UE? - ALBERTO NEGRI

 

lunedì 24 marzo 2025

Mi chiamo Mahmoud, sono un prigioniero politico - Mahmoud Khalil

Mi chiamo Mahmoud Khalil e sono un prigioniero politico. Vi scrivo da un centro di detenzione in Louisiana, dove mi sveglio al freddo del mattino e trascorro lunghe giornate a testimoniare le silenziose ingiustizie in atto nei confronti di moltissime persone a cui è preclusa la tutela della legge.

Chi ha il diritto di avere diritti? Non sono certo gli esseri umani ammassati in queste celle. Non è l’uomo senegalese che ho incontrato e che è stato privato della sua libertà per un anno, con la sua situazione legale in un limbo e la sua famiglia a un oceano di distanza. Non è il detenuto ventunenne che ho incontrato, che ha messo piede in questo paese all’età di nove anni, per poi essere deportato senza nemmeno un’udienza.

La giustizia sfugge ai contorni delle strutture di immigrazione di questa nazione.

L’8 marzo sono stato preso da agenti del Department of Homeland Security che si sono rifiutati di fornire un mandato e hanno avvicinato me e mia moglie mentre tornavamo da una cena. Il filmato di quella notte è stato reso pubblico. Prima che mi rendessi conto di ciò che stava accadendo, gli agenti mi hanno ammanettato e costretto a salire su un’auto senza contrassegni. In quel momento, la mia unica preoccupazione era la sicurezza di [mia moglie] Noor. Non sapevo se sarebbe stata portata via anche lei, visto che gli agenti avevano minacciato di arrestarla per non avermi abbandonato. Il DHS non mi ha detto nulla per ore: non sapevo la causa del mio arresto né se rischiavo la deportazione immediata. Al 26 di Federal Plaza ho dormito sul pavimento freddo. Nelle prime ore del mattino, gli agenti mi hanno trasportato in un’altra struttura a Elizabeth, nel New Jersey. Lì ho dormito per terra e mi è stata rifiutata una coperta nonostante la mia richiesta.

Il mio arresto è stato una conseguenza diretta dell’esercizio del mio diritto alla libertà di parolamentre sostenevo la necessità di una Palestina libera e la fine del genocidio a Gaza, che è ripreso in pieno nella notte di lunedì (17 marzo). Con il cessate il fuoco di gennaio ormai infranto, i genitori di Gaza stanno di nuovo cullando sudari troppo piccoli e le famiglie sono costrette a scegliere tra fame e sfollamento e le bombe. È nostro imperativo morale continuare a lottare per la loro completa libertà.

Sono nato in un campo profughi palestinese in Siria da una famiglia sfollata dalla propria terra durante la Nakba del 1948. Ho trascorso la mia giovinezza in prossimità ma lontano dal mio paese. Ma essere palestinese è un’esperienza che trascende i confini. Vedo nelle mie circostanze analogie con l’uso da parte di Israele della detenzione amministrativa – imprigionamento senza processo o accusa – per privare i palestinesi dei loro diritti. Penso al nostro amico Omar Khatib, che è stato incarcerato senza accusa né processo da Israele mentre tornava a casa dopo un viaggio. Penso al direttore dell’ospedale di Gaza e pediatra Dr. Hussam Abu Safiya, che è stato fatto prigioniero dall’esercito israeliano il 27 dicembre e che oggi rimane in un campo di tortura israeliano. Per i palestinesi, l’imprigionamento senza un giusto processo è una prassi comune.

Ho sempre creduto che il mio dovere non sia solo quello di liberarmi dall’oppressore, ma anche di liberare i miei oppressori dall’odio e dalla paura. La mia ingiusta detenzione è indicativa del razzismo anti-palestinese che sia l’amministrazione Biden sia quella di Trump hanno dimostrato negli ultimi sedici mesi, quando gli Stati Uniti hanno continuato a fornire a Israele armi per uccidere i palestinesi e hanno impedito ogni intervento internazionale. Per decenni, il razzismo anti-palestinese ha guidato gli sforzi per espandere le leggi e le pratiche statunitensi utilizzate per reprimere violentemente i palestinesi, gli arabi americani e altre comunità. È proprio per questo che sono stato preso di mira.

Mentre attendo decisioni legali che tengono in bilico il futuro di mia moglie e di mio figlio, coloro che hanno permesso che venissi preso di mira rimangono comodamente alla Columbia University. I presidenti Shafik, Armstrong e il rettore Yarhi-Milo hanno gettato le basi perché il governo degli Stati Uniti mi prendesse di mira, disciplinando arbitrariamente gli studenti filopalestinesi e permettendo che la delazione virale – basata sul razzismo e sulla disinformazione – si svolgesse senza controllo.

La Columbia mi ha preso di mira per il mio attivismo, creando un nuovo ufficio disciplinare autoritario per aggirare il giusto processo e mettere a tacere gli studenti che criticano Israele. La Columbia si è arresa alle pressioni federali divulgando i dati di studenti e studentesse al Congresso e cedendo alle ultime minacce dell’amministrazione Trump. Il mio arresto, l’espulsione o la sospensione di almeno 22 studenti di Columbia – ad alcuni è stata tolta la laurea a poche settimane dal diploma – e l’espulsione del presidente della Student Workers of Columbia, Grant Miner, alla vigilia delle trattative contrattuali, ne sono chiari esempi.

Se non altro, la mia detenzione è una testimonianza della forza del movimento studentesco nello spostare l’opinione pubblica in favore della liberazione della Palestina. Studenti e studentesse sono stati a lungo in prima linea nel cambiamento: hanno guidato la carica contro la guerra del Vietnam, sono stati in prima linea nel movimento per i diritti civili e hanno guidato la lotta contro l’apartheid in Sudafrica. Anche oggi, sebbene l’opinione pubblica non l’abbia ancora compreso appieno, sono studenti e studentesse a guidarci verso la verità e la giustizia.

L’amministrazione Trump mi sta prendendo di mira come parte di una strategia più ampia per reprimere il dissenso. I titolari di un visto, i titolari di una green card e i cittadini saranno tutti presi di mira per le loro convinzioni politiche. Nelle prossime settimane, studenti, sostenitori e funzionari eletti devono unirsi per difendere il diritto di protestare per la Palestina. In gioco non ci sono solo le nostre voci, ma le libertà civili fondamentali di tutti.

Sapendo che questo momento trascende le mie circostanze individuali, spero comunque di essere libero di assistere alla nascita del mio primo figlio.


Questa lettera è stata dettata per telefono dal centro di detenzione ICE (l’agenzia federale per il controllo dell’immigrazione e delle dogane) in Louisiana, da Mahmoud Khalil, dove si trova dopo l’arresto dell’8 marzo. Khalil, nato in Siria da rifugiati palestinesi, è stato figura chiave nelle proteste alla Columbia University contro la guerra a Gaza nella primavera del 2024. Traduzione di Connessioniprecarie (che ringraziamo).

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Genocidio inarrestato

L’Ultimo Capitolo del Genocidio - Chris Hedges


Israele ha iniziato la fase finale del suo Genocidio. I palestinesi saranno costretti a scegliere tra la morte o la deportazione. Non ci sono altre opzioni.


Questo è l’ultimo capitolo del Genocidio. È l’ultima, sanguinosa spinta per cacciare i palestinesi da Gaza. Niente cibo. Niente medicine. Niente riparo. Niente acqua pulita. Niente elettricità. Israele sta rapidamente trasformando Gaza in un Girone dantesco di miseria umana dove i palestinesi vengono uccisi a centinaia e velocemente, di nuovo, a migliaia e decine di migliaia, o saranno costretti ad andarsene per non tornare mai più.

L’ultimo capitolo segna la fine delle bugie israeliane. La bugia della Soluzione dei Due Stati. La bugia che Israele rispetta le leggi di guerra che proteggono i civili. La bugia che Israele bombarda ospedali e scuole solo perché vengono usati come rifugi da Hamas. La bugia che Hamas usa i civili come scudi umani, mentre Israele costringe sistematicamente i palestinesi prigionieri a entrare in tunnel e edifici potenzialmente pieni di trappole prima delle truppe israeliane. La bugia che Hamas o la Jihad Islamica Palestinese sono responsabili (l’accusa è spesso quella di lancio di razzi) della distruzione di ospedali, edifici delle Nazioni Unite o Uccisione di Massa di palestinesi. La bugia che gli aiuti umanitari a Gaza sono bloccati perché Hamas sta dirottando i camion o contrabbandando armi e materiale bellico. La bugia che i bambini israeliani vengono decapitati o che i palestinesi hanno compiuto stupri di massa di donne israeliane. La bugia che il 75% delle decine di migliaia di persone uccise a Gaza erano “terroristi” di Hamas. La bugia che Hamas, poiché si presumeva stesse riarmando e reclutando nuovi combattenti, è responsabile della rottura dell’accordo di cessate il fuoco.

Il volto Genocida di Israele è a nudo. Ha ordinato l’evacuazione della parte settentrionale di Gaza dove palestinesi disperati sono accampati tra le macerie delle loro case. Ciò che sta per arrivare è una Carestia di Massa: l’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Impiego dei Rifugiati Palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA) ha dichiarato il 21 marzo di avere ancora sei giorni di scorte di farina, morti per malattie causate da acqua e cibo contaminati, decine di morti e feriti ogni giorno sotto l’implacabile assalto di bombe, missili, fuoco di carri armati e proiettili di artiglieria. Niente funzionerà, panetterie, impianti di trattamento delle acque e fognature, ospedali (Israele ha fatto saltare in aria l’Ospedale Turco-Palestinese danneggiandolo il 21 marzo), scuole, centri di distribuzione degli aiuti o cliniche. Meno della metà dei 53 veicoli di emergenza gestiti dalla Mezzaluna Rossa Palestinese sono funzionanti a causa della carenza di carburante. Presto non ce ne sarà più nessuno.

Il messaggio di Israele è inequivocabile: Gaza sarà inabitabile. Andatevene o morite.

Da martedì, quando Israele ha rotto il cessate il fuoco con pesanti bombardamenti, sono stati uccisi oltre 700 palestinesi, tra cui 200 bambini. In un periodo di 24 ore sono stati uccisi 400 palestinesi. Questo è solo l’inizio. Nessuna potenza occidentale, compresi gli Stati Uniti, che forniscono le armi per il Genocidio, intende fermarlo. Le immagini da Gaza durante i quasi sedici mesi di attacchi incessanti erano orribili. Ma ciò che sta arrivando ora sarà peggio. Rivaleggerà con i Crimini di Guerra più atroci del ventesimo secolo, tra cui la Carestia di Massa, il Massacro, e la distruzione del Ghetto di Varsavia nel 1943 da parte dei Nazisti.

Il 7 ottobre ha segnato la linea di demarcazione tra una politica israeliana che sosteneva la Brutalizzazione e la Sottomissione dei palestinesi e una politica che ne richiedeva lo Sterminio e l’allontanamento dalla Palestina Storica. Ciò a cui stiamo assistendo è l’equivalente storico del momento innescato dall’annientamento di circa 200 soldati guidati da George Armstrong Custer nel giugno 1876 nella Battaglia di Little Bighorn. Dopo quella sconfitta umiliante, i nativi americani erano destinati a essere uccisi e i superstiti costretti nei campi di prigionia, in seguito denominati Riserve, dove migliaia di persone morirono di malattia, vissero sotto lo sguardo spietato dei loro occupanti armati e caddero in una vita di miseria e disperazione. Aspettatevi lo stesso per i palestinesi di Gaza, abbandonati, sospetto, in uno degli inferni del mondo e dimenticati.

“Abitanti di Gaza, questo è il vostro ultimo avvertimento”, ha minacciato il Ministro della Difesa israeliano Israel Katz:

La prima guerra del Sinwar distrusse Gaza e la seconda guerra del Sinwar la distruggerà completamente. Gli attacchi dell’Aviazione Militare contro i terroristi di Hamas sono stati solo il primo passo. Diventerà molto più difficile e ne pagheranno il prezzo per intero. L’evacuazione della popolazione dalle zone di combattimento ricomincerà presto. Restituite gli ostaggi e rimuovete Hamas e altre opzioni si apriranno per voi, inclusa la partenza per altri posti nel mondo per coloro che lo desiderano. L’alternativa è la distruzione assoluta”.

L’accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hamas è stato progettato per essere implementato in tre fasi. La prima fase, della durata di 42 giorni, avrebbe visto la fine delle ostilità. Hamas avrebbe rilasciato 33 ostaggi israeliani catturati il ​​7 ottobre 2023, tra cui donne, persone di età superiore ai 50 anni e persone malate, in cambio di oltre 2.000 uomini, donne e bambini palestinesi imprigionati da Israele (circa 1.900 prigionieri palestinesi sono stati rilasciati da Israele al 18 marzo). Hamas ha rilasciato un totale di 147 ostaggi, di cui otto morti. Israele afferma che ci sono 59 israeliani ancora trattenuti da Hamas, 35 dei quali Israele ritiene siano deceduti.

L’esercito israeliano si avrebbe dovuto ritirarsi dalle aree popolate di Gaza il primo giorno del cessate il fuoco. Il settimo giorno, ai palestinesi sfollati sarebbe stato consentito di tornare nel Nord di Gaza. Israele avrebbe consentito a 600 camion di aiuti con cibo e forniture mediche di entrare a Gaza ogni giorno.

La seconda fase, che si prevedeva sarebbe stata negoziata il sedicesimo giorno del cessate il fuoco, contemplava il rilascio degli ostaggi israeliani rimanenti. Israele si sarebbe ritirato da Gaza mantenendo una presenza in alcune parti del Corridoio Filadelfia, che si estende lungo il confine di otto miglia tra Gaza ed Egitto, rinunciando al suo controllo del valico di frontiera di Rafah verso l’Egitto.

Nella terza fase si sarebbero avviati negoziati per una fine permanente della guerra e la ricostruzione di Gaza.

Israele firma abitualmente accordi, tra cui gli Accordi di Camp David e gli Accordi di pace di Oslo, con calendari e fasi. Ottiene ciò che vuole, in questo caso il rilascio degli ostaggi, nella prima fase e poi viola le fasi successive. Questo schema non è mai stato interrotto.

Israele ha rifiutato di onorare la seconda fase dell’accordo. Ha bloccato gli aiuti umanitari a Gaza due settimane fa, violando l’accordo. Ha anche ucciso almeno 137 palestinesi durante la prima fase del cessate il fuoco, tra cui nove persone, tre delle quali giornalisti, quando i droni israeliani hanno attaccato una squadra di soccorso il 15 marzo a Beit Lahiya nel Nord di Gaza

I pesanti attacchi di bombardamento di Gaza da parte di Israele sono ripresi il 18 marzo mentre la maggior parte dei palestinesi dormiva o preparava il suhoor, il pasto consumato prima dell’alba durante il mese sacro del Ramadan. Israele non fermerà i suoi attacchi ora, anche se gli ostaggi rimanenti verranno liberati, presunta ragione di Israele per la ripresa dei bombardamenti e dell’assedio di Gaza.

La Casa Bianca di Trump applaude al Massacro. Attaccano i critici del Genocidio come “antisemiti” che dovrebbero essere messi a tacere, criminalizzati o deportati mentre incanalano miliardi di dollari in armi verso Israele.

L’assalto Genocida di Israele a Gaza è l’inevitabile epilogo del suo Progetto Coloniale di Coloni e dello Stato di Apartheid. La conquista di tutta la Palestina Storica, con la Cisgiordania che presto, mi aspetto, sarà annessa da Israele, e lo sfollamento di tutti i palestinesi è sempre stato l’obiettivo Sionista.

I peggiori eccessi di Israele si sono verificati durante le guerre del 1948 e del 1967, quando vaste parti della Palestina Storica furono conquistate, migliaia di palestinesi uccisi e centinaia di migliaia furono sottoposti a Pulizia Etnica. Tra queste guerre, il furto di terre progressivo, gli assalti omicidi e la costante Pulizia Etnica in Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est, sono continuati.

Quella danza calibrata è finita. Questa è la fine. Ciò a cui stiamo assistendo eclissa tutti gli attacchi storici ai palestinesi. Il folle Sogno Genocida di Israele, un incubo palestinese, sta per realizzarsi. Distruggerà per sempre il mito che noi, o qualsiasi nazione occidentale, rispettiamo lo Stato di Diritto o siamo i protettori dei Diritti Umani, della Democrazia e delle cosiddette “virtù” della civiltà occidentale. La Barbarie di Israele è la nostra Barbarie. Potremmo non capirlo, ma il resto del mondo sì.

 

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

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Genocidio lento - Enrico Campofreda

Israele, non Netanyahu, ne ammazza quattrocento in un colpo solo. Non gliene bastavano cinquantamila, che invece sono molti di più, perché di tanti i cadaveri non sono conteggiati. Si stanno decomponendo sotto i pilastri di cemento abbattuti coi supercolpi, simili a quello di stanotte. Armi letali, armi bestiali come chi le usa, chi le comanda, chi le giustifica, chi a casa nostra e nel mondo - fra le anime belle del politicamente corretto e oggettivamente corrotto - ha venduto l’anima all’unico Dio riconosciuto: lo sterminio. Parlano degli attuali demoni della geopolitica i Soloni della comunicazione, omettendo, tralasciando, dimenticando volontariamente l’infinita scia di sangue dietro cui si parano tanti ‘incorporati’ della notizia. Scrivendo e descrivendo tutto il bene della Civiltà e tutto il male del Terrore. Categorie che stanno fra i civili d’Israele, parenti delle vittime del raid del 7 ottobre e fra i civili della Striscia resi incivili da chi decide per loro di combattere, tenendoli bloccati fra le macerie, rendendoli presto cadaveri. Le bombe piovono sui diseredati di Gaza: la colpa è di Hamas che non restituisce i prigionieri. Davanti a una telecamera un padre, né giovane né vecchio, urla: Ci stanno massacrando, cosa fa il mondo? E’ un già sentito, un già vissuto. Il mondo non vuole fare nulla, chi è debole deve soccombere. Non ha speranze. Con l’ipocrisia che gli appartiene, il mondo che comanda il mondo decide dove spegnere le bocche di fuoco, chi salvare e quando, dopo aver bruciato vite per un po’. In quella fetta di Terra ch’era la Palestina, questa formula non vale. Si vuole continuare a sterminare, non c’è America rossa o blu a differenziare. C’è il nero d’Israele, da ottant’anni padrone di buio e lutti.

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I vampiri di Tel Aviv e la loro (miserabile) corte - Patrizia Cecconi


A Gaza è strage indifferenziata di uomini donne vecchi e bambini, cosa che ricorda le stragi di Marzabotto o di Sant’Anna di Stazzema che i nazisti commisero in Italia. Ma a dirlo ci vuole onestà intellettuale, quella che manca alla miserabile corte di politici e operatori mediatici proni allo 0,04% che governa il mondo e che calpesta, fino a distruggerlo, il Diritto internazionale.

 

Cinque giorni fa ricevevo dalla tendopoli di Al Mawasi un brevissimo video, dieci secondi di allegra, vitale euforia infantile che solo chi ha passato molto tempo tra la gente di Gaza è in grado di capire che quei secondi di risate, volteggi e passi di danza in mezzo alla devastazione non sono incoscienza infantile, ma la rappresentazione più vicina allo spirito dei gazawi, adulti compresi. Quell’incredibile, addirittura folle capacità di trovare vita in mezzo alla morte e guizzi di allegria in mezzo al dolore. I bimbi che uscivano ballando dalla tenda andavano all’iftar, il pasto che durante il mese sacro del Ramadan si fa dopo il tramonto e chiude il digiuno diurno.

Poi, sempre durante il Ramadan, prima dell’alba si fa una colazione il più possibile abbondante e poi più nulla, né acqua, né cibo e neanche fumo fino al successivo tramonto. Quella notte, mentre i bambini dormivano prima di essere svegliati per la colazione, sono entrati in azione i vampiri di Tel Aviv e, forti dell’autorizzazione del criminale che siede alla Casa Bianca e che ha sostituito con fiero bullismo il criminale che lo ha preceduto, in poche ore hanno assassinato 412 palestinesi tra cui 130 bambini ai quali si sarebbero aggiunti altri circa 400 martiri di ogni età nei giorni successivi.


L’intesa tra mostri ha funzionato e la Striscia di Gaza si è impregnata di altro sangue palestinese.

Via libera anche alla totale demolizione dell’unico ospedale oncologico ancora parzialmente funzionante e via libera all’operazione di terra, locuzione ipocrita la cui traduzione è “strage indifferenziata di uomini donne vecchi e bambini”, cosa che ricorda le stragi di Marzabotto o di Sant’Anna di Stazzema che i nazisti commisero in Italia. Ma a dirlo ci vuole onestà intellettuale, quella che manca alla miserabile corte di politici e operatori mediatici proni allo 0,04% che governa il mondo e che calpesta, fino a distruggerlo, il Diritto internazionale.

Tace o addirittura approva, la corte dei potenti, come del resto si addice a ogni fedele cortigiano. Chiunque sia in grado di intendere sa che lo Stato terrorista guidato dalla banda Netanyahu, senza l’enorme quantitativo di micidiali armi degli USA e dei suoi vassalli, non avrebbe potuto compiere il genocidio di Gaza e sa anche che senza il placet USA di poche notti fa il vampiro di Tel Aviv sarebbe stato costretto a fingere di rispettare la tregua e limitarsi solo a qualche assassinio quotidiano che i suoi supporter mediatici e politici neanche hanno degnato di attenzione perché tanto il sangue palestinese fa notizia – relativa, s’intende – solo quando scorre a fiumi. 


Quindi, quando il bullo della Casa bianca, assecondando le lobby sioniste che indirizzano la politica USA in senso pro Israele, ha dato il nulla osta al nuovo sterminio, l’esercito più accanito del mondo si è scatenato su adulti e bambini ancora addormentati tempestandoli vigliaccamente di bombe dal cielo, senza correre neanche il rischio di sporcarsi l’uniforme.

Dei tre bambini che ridevano e ballavano nel video di poche ore prima dell’infame raid non c’è più traccia. I media nostrani asserviti a Israele, cioè quasi tutti tranne  rare e pregevoli eccezioni, usano tattiche diverse per ridurre o addirittura nascondere l’essenza terroristica, disumana, illegale, razzista e coloniale dell’entità sionista cui offrono i loro servigi. Alcuni scelgono la via del silenzio totale tipico degli omertosi; altri quella del silenzio degli infami, cioè tacere una parte dell’accaduto e amplificarne un’altra spacciando in tal modo per verità una menzogna ben costruita. 

Altri ancora, soprattutto tra i media televisivi, scelgono la tattica della notizia asettica per di più non citata tra i titoli e relegata dopo l’ultimo caso di cronaca. La notizia asettica non crea empatia, per cui 50.000 morti palestinesi sono solo un numero, figuriamoci 500! mentre nel servizio di pochi minuti prima 2 morti ucraini creavano commozione almeno quanto il racconto del tormento dei familiari di 59 ostaggi israeliani verso  i quali i vari inviati, scegliendo avverbi, aggettivi e toni tutt’altro che asettici, creano ben più empatia dello sterminio di intere famiglie palestinesi di 10, 15 o più persone schiacciate durante il sonno o durante l’ennesima evacuazione imposta con sadismo e crudeltà dai vampiri di Tel Aviv.


E’ ben più che doppio standard questa abituale tecnica comunicativa, è la manifestazione di un male oscuro difficile da ammettere da parte di chi ne è portatore, ma indiscutibilmente chiaro ad un’osservazione minimamente attenta. Non è neanche solo servilismo, è miserabile razzismo.  

Lo stesso razzismo che a politici di cui non andar fieri, come ad esempio il ministro Tajani, fa dire di essere sempre e comunque dalla parte di Israele (ma perché?) o che non fa percepire al presidente Mattarella l’indecenza di accogliere con tutti gli onori il presidente israeliano Herzog, quello che firmava orgogliosamente i missili destinati a smembrare adulti e bambini palestinesi. Lo stesso Mattarella che, evidentemente privo del senso del ridicolo, mentre non ha nulla da eccepire rispetto a orrendi crimini e continue violazioni della legalità internazionale commessi dall’entità sionista, rivolgendosi alla Russia esclama con solenne severità: “la Russia rispetti il diritto internazionale!” Lo stesso razzismo che impedisce a politici e giornalisti di vedere i segni delle torture sui corpi dei prigionieri politici palestinesi, ma che induce gli stessi a stringersi intorno a Israele “sconvolto” per la magrezza di alcuni degli ostaggi rilasciati, senza però  sconvolgersi della morte per fame di bimbi palestinesi causata consapevolmente e scientemente da Israele. Lo stesso razzismo che si palesa nel silenzio che accompagna le violazioni dei luoghi di culto palestinesi, sia cristiani sia, soprattutto, musulmani distrutti per disprezzo e per umiliare un popolo fin nel suo credo religioso. Lo stesso razzismo che fa accettare a questa miserabile corte il suprematismo israeliano e che fino a poco tempo fa gli faceva disprezzare gli ebrei non sentendoli come membri a tutti gli effetti dell’occidente.


E mentre Israele bombarda ovunque voglia, dal Libano alla Siria, da Gaza alla Cisgiordania forte del consenso, della complicità e delle armi fornitegli dai suoi protettori e dai suoi valletti, le famiglie degli ostaggi manifestano contro le decisioni governative sapendo bene che ogni bomba è una possibilità di morte anche per i loro cari. Ma Bibi il vampiro sa che a mantenerlo vivo sul suo scranno è solo il sangue palestinese e quindi ordina al suo lugubre esercito di procedere col genocidio intensificandolo con operazioni di terra, tanto l’esercito mediatico internazionale seguiterà a sostenerlo senza vergogna, al pari dei politici eticamente corrotti che gli assicurano fedeltà e che non si scompongono neanche davanti alle minacce del criminale ministro Katz di distruggere ogni forma di vita gazawa se non gli verranno consegnati insieme agli ultimi ostaggi anche i membri di Hamas.

Quanti italiani – e non solo – sono morti durante l’occupazione nazi-fascista per non aver consegnato i partigiani al nemico? E quanti ne sono morti per aver nascosto gli ebrei allora perseguitati da quello stesso nemico? Inutile ricordarlo ai vigliacchi e agli opportunisti che si riempiono la bocca di “antifascismo” e intanto sostengono il fascismo sionista. Direbbero che non è paragone pertinente. Inutile anche ricordare loro che i combattenti per la libertà sono sempre stati sviliti dal nemico con l’attribuzione dell’appellativo di banditi o di terroristi per evitare che l’opinione pubblica li consideri per quel che realmente sono: resistenti da onorare per la loro lotta contro l’occupazione.


Ma ai cortigiani non importa neanche che i dati ufficiali dell’ONU abbiano rilevato che in Cisgiordania in quest’ultimo periodo siano stati assassinati circa 1.000 palestinesi, feriti oltre 7.000, rapiti e tratti in arresto senz’altra accusa che quella di essere palestinesi, centinaia e centinaia di inermi di ogni età, né  che ne siano stati forzatamente evacuati circa 40.000 per soddisfare le mire annessionistiche di “Eretz Israel”. All’entità sionista tutto è concesso e se c’è un colpevole, per i cortigiani, non è certo l’IDF, non è certo Netanyahu che viene accolto con tutti gli onori ignorando il mandato d’arresto della Corte Penale Internazionale;  non è nemmeno il fascista Smotrich o il neonazi Ben Gvir. Il colpevole, ci dicono perfino le sedicenti femministe di Trieste, è uno solo. Ha un nome astratto che però sciocchi, opportunisti e cortigiani non pronunciano: “resistenza”, e un nome proprio che viene regolarmente seguito o preceduto dall’aggettivo “terrorista”: Hamas. E la coazione a ripetere funziona: ometti da bar dello sport e donnine da “la politica è una cosa sporca” fanno l’eco ai cortigiani che appaiono in Tv e per la logica del gregge va bene così.


Ma se si è fuori dal gregge e soprattutto fuori dalla sua logica, la resistenza palestinese la si vede  per quel che è, e le sue azioni, comprese quelle armate, vanno contestualizzate e analizzate senza invertire i tempi tra azione e reazione. Erano azioni di resistenza armata quelle compiute dal braccio militare di Fatah o dal Fronte popolare quando Hamas era ancora un’associazione benefica che si occupava di asili e di ospedali, così come lo sono quelle compiute in seguito dal braccio armato di Hamas. Si potrebbero citare pensatori religiosi cristiani oltre che pensatori laici per ricordare che amare la giustizia comporta combattere l’ingiustizia, e cos’è se non l’essenza dell’ingiustizia l’occupazione israeliana della Palestina con tutto il corollario di crimini che si susseguono da quasi un secolo? Di conseguenza, chiedere ad Hamas di consegnare le armi equivale a chiedergli di consegnare Gaza a Israele. O direttamente o per interposta persona, come invita a fare il partito di Abu Mazen che intima ad Hamas di cedere il potere e abbandonarsi all’occupante. Saranno le capacità e i rapporti di forza tra i  palestinesi a stabilire cosa fare per avere una possibilità, sebbene remota, di vittoria e di riscatto del popolo palestinese, ma di certo la divisione tra le due forze maggiormente rappresentative fa gioco all’oppressore, ce lo insegna la storia. Dalle antiche guerre tra greci e persiani fino ad oggi l’unico dato immutabile è stato il divide et impera, e chi impera – o direttamente o con un re fantoccio –  è sempre chi ha diviso e non chi si è lasciato dividere. Lo sanno sia i vampiri di Tel Aviv che i loro finanziatori e i loro cortigiani e le leadership palestinesi non possono davvero ignorarlo.

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domenica 23 marzo 2025

Smontare la narrazione di regime. La mafia è una componente organica del Paese - Roberto Scarpinato

 

Riarmo, recessione, debito: la sceneggiata e il gioco al massacro - Fabio Vighi

  

Per comprendere le ragioni della sceneggiata napoletana andata in onda nella sala ovale della Casa Bianca il 28 febbraio scorso, conviene guardare a quanto successo in Germania solo qualche ora più tardi: Friedrich Merz, cancelliere in pectore ed ex dirigente BlackRock, annunciava un pacchetto da 900 miliardi – il doppio del bilancio federale annuale – per difesa e infrastrutture. (In un bollettino del 24 febbraio, la stessa BlackRock prevedeva che il voto tedesco avrebbe consentito un aumento della spesa). Pochi giorni dopo, Merz confermava proposte “radicali” (la più grande revisione di politica monetaria dai tempi della riunificazione del paese, con annessa riforma costituzionale) mirate ad allentare le regole sull’accumulo di debito al fine di consentire una maggiore spesa per la difesa e rilanciare l’economia – in barba al rigore fiscale imposto more teutonico a tutti i paesi della UE negli ultimi 20 anni, con particolare riferimento all’accanimento sadistico sulla Grecia.  

Basta dunque unire i puntini, e prendere sul serio l’assunto per cui tutto ciò che accade oggi, soprattutto ma non solo in materia di geopolitica, dev’essere ricondotto al primum movens del capitalismo contemporaneo: il debito. Zelensky litiga con Trump a favore di telecamera (“questo sarà perfetto per la TV”, si lascia scappare the Donald). Passano poche ore e l’ex cabarettista torna in Europa per buttarsi (sempre a favore di telecamera) tra le braccia della “coalizione dei volenterosi” (sic!): un’ammucchiata di funerei governanti per l’occasione capitanata dal britannico Keir Starmer. Nel frattempo, come un cane di Pavlov, scatta l’indignazione (molto mediatica) dell’Europa progressista contro il tradimento dell’America illiberale, cialtrona, e populista di Trump e Vance. E, approfittando del clamore generale, in Germania si allentano i cordoni fiscali e si oliano le stampanti: più debito für uns und für alle! Come ai tempi del Covid non ci sono alternative, perché il nemico è alle porte.  

Mentre a Berlino si pensa a uno stimolo di quasi un trilione di euro, a Bruxelles Ursula von der Leyen estrae dal cilindro il progetto Re-Arm Europe. In sintonia, dunque, i cinici funzionari del capitalismo di crisi propongono di eliminare le restrizioni alla spesa in deficit se questa spesa viene utilizzata per la difesa. Re-Arm Europe, annuncia von der Leyen, potrebbe mobilitare qualcosa come 840 miliardi di euro per la nostra sicurezza, perché non si può abbandonare l’Ucraina nell’ora più buia (e che importa se la guerra è già persa, con inutile massacro di centinaia di migliaia di ucraini, e accordo tra le parti in dirittura d’arrivo); e non si può aspettare che Putin invada il Portogallo. (Si badi, questa non è ironia: sono, purtroppo, le idiozie con cui ci bombardano da tre anni a questa parte. Al netto dell’affaire Ucraina, su cui è inutile tornare a dilungarsi, basterebbe una domandina semplice semplice: perché mai i russi ambirebbero a invadere l’Europa, se è vero com’è vero che di terra e risorse da amministrare ne hanno già fin troppe?) A questo punto, se proprio vorranno riarmarsi, gli europei dovranno da una parte ridimensionare ulteriormente le spese per il welfare trasformandole in spese per il warfare (come ammonisce persino il Financial Times); e, dall’altra, comprare più armi dagli USA. Ricordiamo, per la cronaca, che già durante l’amministrazione Biden l’importo di armi USA in UE è salito del 35%.  

Si tratta insomma di dare una doppia passata di vernice verde-militare a un’economia europea con l’acqua alla gola, facendo pagare il nobile sacrificio ai soliti poveracci (visto che i soldi del riarmo verranno sottratti allo stato sociale: educazione, infrastrutture, sanità, pensioni, ecc.). Avrete notato la nonchalance con cui si è passati dall’impegno per la sostenibilità ambientale (investimenti ESG) alla retorica guerrafondaia sul potenziamento del complesso militare-industriale. Costruiranno forse armi eco-sostenibili? Evidentemente, green è un significante ambiguo, fluido, perfettamente adattabile alle esigenze di mercato, buono sia per l’ambiente che per i cannoni. Detto diversamente, siamo di fronte a un’altra irresistibile emergenza (la minaccia russa), un alibi il cui scopo improrogabile è far sì che il mercato prezzi un bazooka di debito comune che dia garanzie di rifinanziamento a tutta l’infrastruttura speculativa grondante di criticità. A meno che non vogliamo continuare a farci prendere per i fondelli da Ursula e compagnia cantante. Perché la vera emergenza, puntualmente rimossa, è una sola: il mostro a due teste chiamato stagflazione strutturale. È questo mostro – non il fantasma dei cosacchi a San Pietro – che spinge i maestri pupari a giocare col fuoco per generare, dal nulla economico, montagne di credito da far piovere su un ingranaggio rotto, ma tenuto in vita artificiale dal “polmone finanziario” cui appunto i pupari rispondono. Si grida all’armi, si lanciano anatemi come fossero coriandoli, e lo si fa, sostanzialmente, per creare altro debito quale “sano ricostituente” per Stati membri debilitati, Germania in primis; magari in vista della dissoluzione dell’eurozona.

Poi c’è la Gran Bretagna, che, come di consueto, trama nella penombra. Poiché le finanze britanniche versano in uno stato particolarmente pietoso, anche Londra è alla disperata ricerca non solo di un casus belli per pompare debito nel suo comparto militare-industriale, ma anche di collaterale attraverso cui garantire la credibilità di un nuovo ciclo creditizio. È probabile che, senza le risorse dell’Ucraina – con la quale ha firmato un partenariato di 100 anni il 16 gennaio scorso (quattro giorni prima dell’inaugurazione di Donald Trump), che non è un atto caritatevole ma la continuazione di un investimento economico che avrebbe al suo centro proprio un accordo segreto sulle terre rare – il ricorso alle stampanti rischi di provocare una fiammata inflattiva immediata, potenzialmente letale per la sterlina.

Piuttosto che riflettere sulle ragioni profonde del declino, l’Europa dei tecnocrati gioca dunque la carta delirante della sfida geopolitica collegata alla spesa in deficit. La verità è che l’occidente non ha più “miracoli economici” da spendere. I tassi di crescita sono da tempo stagnanti, il lavoro è precario, il denaro fiat si svaluta, l’indebitamento è strutturale, e le bolle finanziarie che ne derivano si “gestiscono”, appunto, attraverso il surreale ricorso al binomio guerra-debito. Siamo di fronte a dispositivi emergenziali ideati per amministrare dall’alto l’accelerata implosiva. In questo senso, la corsa al riarmo puzza di ultima spiaggia, oltre a confermare il carattere elitario e antidemocratico della leadership europea. Si tratta peraltro di un azzardo che potrebbe innescare, qualora non producesse risultati, un assalto all’euro di dimensioni epocali – eventualità tutt’altro che remota se consideriamo che, da uomo BlackRock, Merz è fedele soprattutto alle lobby del capitale finanziario transnazionale. Se i rendimenti del debito europeo dovessero esplodere – come per i Bund tedeschi nella giornata di mercoledì 5 marzo, ma soprattutto per qualche Stato membro considerato a rischio (tipo l’Italia) – la deriva difficilmente verrebbe arginata. E la mobilitazione bellica non sarebbe più solo un volano propagandistico per prolungare la credito-dipendenza di sistema, ma un vero e proprio gioco al massacro. 

Per il momento, agitare l’ennesimo fantasma geopolitico per proteggere a suon di debito la “vera democrazia” permette al regime cleptocratico-finanziario di rifiatare, anche rispolverando slogan desueti e imbarazzanti sull’unità del mondo dei giusti minacciato da dittatori incarogniti. Inutile aggiungere, hegelianamente, che il male è lo sguardo stesso che vede il male ovunque attorno a sé. È molto probabile che arriveremo alla barbarie senza averci capito nulla: il declino di una civiltà si evince soprattutto dalla sua avversione all’introspezione. L’inadeguatezza dei pupari al potere non è un’eccezione, ma la corretta espressione della fase storica in cui Homo economicus giunge al collasso per overdose di sé stesso. Perché l’implosione delle leggi oggettive di sistema che ci determinano – in primis, la rottura del contratto sociale tra lavoro e capitale su cui si fonda il moderno ordine liberale – non può che generare campioni di cinismo istituzionale. E non c’è nulla di più ideologico che scambiare questo effetto per la causa del nostro male. Se ci limitiamo a inorridire dinanzi a una classe politico-manageriale psicopatica, probabilmente lo facciamo per non raggelare di horror vacui dinanzi al fallimento di un’intera civiltà.  

Per prima cosa, dovremmo aver un minimo di memoria storica. Partire, cioè, dal cambio di paradigma di fine anni ’80 del secolo scorso, quando la globalizzazione decretò la vittoria di un capitalismo fondato sul modello occidentale di economia di mercato ad alta composizione finanziaria. Ci fu detto che stavamo entrando nell’era del dividendo di pace e della prosperità globale, che molti ritennero non dovesse finire mai. Ma quella pallida utopia è durata la miseria di una decina d’anni. A inizio millennio è infatti riemerso, puntuale, tutto il rimosso, ovvero la realtà di un ecosistema socioeconomico cresciuto su una solida base di violenza, saccheggio, e manipolazione. Eppure l’ottimismo ideologico dei sostenitori del “capitalismo per sempre”, sia a destra che a sinistra di sovrastrutture politiche obsolete, preferì ignorare tanto le nuove zone di povertà di massa prodotte dall’impulso alla globalizzazione, quanto le guerre con cui l’occidente telecomandato dagli USA s’insigniva del ruolo di paladino dell’ordine planetario. La fase terminale della civiltà capitalistica è in effetti iniziata con il ritorno in pompa magna del bellicismo occidentale (la “guerra al terrore”), accompagnato da sempre più frequenti convulsioni finanziarie (dot.com nel 2000, subprime nel 2007-08) che ora vengono apertamente manipolate (come ha dimostrato, per chi ha ancora un centesimo di pensiero critico da spendere, il recente colpo di stato finanziario globale passato alla storia come “pandemia”). Il modo di produzione capitalistico si è da tempo palesato per ciò che da sempre è: un modo di distruzione

Siamo ora di fronte a una gestione caotica delle fragilità dell’impianto finanziario del capitalismo senile, indebitato fino al collo perché strutturalmente obsoleto, incapace di creare legame sociale attraverso l’estrazione di valore dal lavoro (come scrisse Don DeLillo in Cosmopolis, ‘il denaro ha perso la sua qualità narrativa’). Nel frattempo, il progetto di globalizzazione a guida USA è fallito. Nella competizione interplanetaria, l’occidente perde ormai su tutti i fronti: economico, militare, politico-diplomatico. La stessa politica estera americana, ora basata su una retorica ostile all’universalismo progressista, nasce dalla consapevolezza che gli ormai insostenibili livelli d’indebitamento vanificano qualsiasi pretesa di egemonia globale, che gli ultimi governi USA ancora cercavano stancamente di perseguire. Con l’elezione di Trump (effetto, non causa del cambio di direzione), si è deciso di passare dal presunto monopolio della forza economica e militare, travestita da missione universalista, alla gestione di una crisi debitoria interna potenzialmente devastante. Ciò presuppone abbracciare il principio di realtà: accettare il ridimensionamento USA all’interno di una costellazione multicentrica in cui la caratteristica comune è il declino. 

Negli Stati Uniti, la principale urgenza è ridurre i rendimenti dei Treasury (certificati di debito pubblico) in modo che l’aumento dei loro prezzi li renda nuovamente appetibili. Ricordiamo che entro la fine del 2025 zio Sam dovrà rifinanziare la bellezza di 9.2mila miliardi di debito in scadenza, emesso quando il rendimento del decennale era poco sopra il 2%, circa la metà di quello attuale. Considerando l’onere debitorio complessivo di 36mila miliardi abbondanti, e in continuo aumento, appare del tutto evidente che, oltreoceano, l’unica reale priorità è trovare il modo di abbassare rapidamente i rendimenti così da fornire almeno una parvenza di sostenibilità al debito pubblico. E quale maniera migliore di ottenere tale risultato che forzare la mano della banca centrale (Federal Reserve) alimentando il fantasma di un crash finanziario accompagnato da violenta recessione? Fantasma che, in effetti, già aleggia un po’ ovunque. Una recessione conclamata, e giustificata creativamente, potrebbe rivelarsi il meccanismo di gran lunga più efficace per alleggerire il peso del debito.

L’Europa, nel frattempo, non sembra saper far altro che nascondere la propria debolezza dietro una grottesca e anacronistica corsa alle armi mirata a supportare le bolle di capitale finanziario. Sono questi gli ultimi atti di una lunga stagione di mistificazioni, iniziata con la fuga in avanti della finanziarizzazione neoliberista, che a fine secolo scorso ha sì fornito uno stimolo al potere d’acquisto, soprattutto negli USA e in Europa, ma senza alcun valore reale sottostante. Ora la coperta sempre più corta del capitalismo a trazione finanziario-speculativa ci sta presentando il conto. Gli eventi geo/biopolitici degli ultimi anni non hanno alcun potenziale causativo: sono semplicemente sintomi morbosi di un collasso di civiltà che colpisce per primo l’occidente iper-indebitato e improduttivo.  

Se, in qualunque forma, il risultato delle politiche di gestione della crisi non può che continuare a essere la svalutazione monetaria (inflattiva o deflattiva che sia), forse dovremmo partire proprio dalla sconfitta del feticcio-denaro per provare finalmente a guardare oltre il moderno sistema produttore di merci. Tutte le tradizionali politiche di riforma, inclusi i contorsionismi della sinistra, sono sempre più assurde e socialmente repressive a fronte della tossicodipendenza da debito che disintegra le valute. L’unica speranza sembrerebbe essere la nascita di un movimento di resistenza e transizione, magari fondato sul ripudio della guerra, che sappia sviluppare una nuova consapevolezza delle ingestibili contraddizioni che determinano le condizioni di vita sotto il capitalismo – e che cerchi di superarle.

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