martedì 30 marzo 2021

100 anni fa nasceva Laura Conti

ecco il film di Gianni Serra ispirato al romanzo di Laura Conti




qualche comune dedica una strada a Laura Conti

Udine  –  via Laura Conti

Bolzano – Via Laura Conti

Corsico – Via Laura Conti

Ravenna Via Laura Conti

da qui

 

dice Laura Conti:

L’ecologia si serve delle scienze sperimentali ma non è una scienza sperimentale: è una scienza di esperienza e non di esperimento, perché non può lavorare su modelli della realtà ma può soltanto osservare la realtà. […] Ciò la induce ad affidarsi, spesso, ai pregiudizi. Per gli scienziati sperimentali i pregiudizi sono cose orride e nefaste, da liquidare senza pietà. Invece, nella cultura dei movimenti ecologisti il “pregiudizio” è la convinzione a priori che le soluzioni affermatesi nel corso dell’evoluzione biologica, essendo state collaudate per tempi lunghissimi, abbiano maggiori probabilità di essere affidabili di quante ne abbiano le soluzioni escogitate dagli scienziati, collaudate solo per tempi brevissimi. (da l’Unità, 13 giugno 1992; citato in Laura Centemeri, Ritorno a Seveso: il danno ambientale, il suo riconoscimento e la sua riparazione, Bruno Mondadori, 2006, cap. 3.2.3, p. 121)

da qui

 

Laura Conti: una scienziata ecologista – Chiara Zamboni

Vorrei parlare di Laura Conti, perché la penso come la figura più importante dell’ecologia in Italia dagli anni Ottanta del Novecento. Considero essenziale riconoscere il sapere, l’impegno politico ed esistenziale di quella che potremmo chiamare una “madre di tutti noi”. Studiandola, leggendola, considerando la sua passione politica, si può comprendere ora dove ci collochiamo e qual è l’insegnamento che possiamo riprendere da ciò che ci ha lasciato in eredità.

Non è stata femminista in senso stretto in un periodo in cui il femminismo era diffuso, seguendo la sua seconda ondata. Ma ha avuto, come medica e scienziata, grande attenzione per la salute delle donne e la vita delle donne essendo una donna. E di questo aveva grande consapevolezza. Per me questo basta. Essere una donna e assumerlo orientandosi nella realtà, è il primo e più importante passo politico, se si parla di politica delle donne.

Prima però di parlare direttamente di lei, ricostruendo una genealogia che ci è necessaria, vorrei riprendere alcuni elementi della differenza sessuale. Potrebbe sembrare inutile e ripetitivo, ma altrimenti, mi sembra, perdiamo la misura di fronte alla miriade frammentata di temi, di questioni, di conoscenze, di informazioni, che la questione della natura e il dibattito ecologico portano con sé. È come camminare su sabbie mobili, tanto le posizioni si uniscono o si contrappongono, o si modificano. Quindi tenere ben stretto il filo della differenza sessuale ci aiuta a non sperderci. Ad orientarci nel grande mare di temi, informazioni, conoscenze, questioni che l’inquietudine per la natura, e l’attenzione all’ecologia suscitano.

In prima battuta quello che propongo è un’ermeneutica sessuata di queste questioni. Il che significa che noi leggiamo e patiamo questi temi a partire da una incarnazione sessuata. Ho visto quanto questa posizione sia facilmente travisata e ridotta ad una semplice simmetria tra il femminile e il maschile, le donne e gli uomini, un genere e l’altro. In definitiva, parlare di genere femminile e maschile riduce il tutto ad uno sguardo neutro e di sorvolo che da fuori e dall’alto vede la simmetria dei due generi distendersi nel mondo sotto di sé. Come ogni sguardo neutro, anche questo facilita un ragionare scorrevole e senza intoppi e l’azione politica diviene come pattinare su di una superficie liscia, su cui si può agire come su di una scacchiera, muovendo le pedine. Allo stesso tempo si ritiene che con leggi, decreti, consigli istituzionali, si possa cambiare la realtà dei generi o cancellarli.

Ma la prospettiva da cui si muove il pensiero della differenza è che essere una donna significa avere consapevolezza costitutiva dell’altro, che è l’uomo, e questo si accompagna allora alla consapevolezza degli altri esseri, del mondo.

Un’ermeneutica sessuata dell’altro, degli altri, del mondo implica un esserci, un patire la propria presenza in rapporto all’altro, indicarla a chi ci ascolta, sentirla, dargli parola senza uscire dal cerchio della relazione. Una donna trova in questo il proprio modo di fare teoria nel cerchio della relazione e così fa vedere cose che altrimenti non potremmo vedere. Senza uscirne. Esattamente qui e ora.

Il pensiero della differenza dà una impronta, che mi sembra inaggirabile, all’ecologia. Non si tratta infatti semplicemente di dire che il mondo è relazionale. L’ecologia mostra che tutto il cosmo è relazione. Questo è ancora uno sguardo neutro che si pone fuori dal cosmo e guarda dall’alto che tutto è relazione. Io parlo, piuttosto, a partire da una relazione incarnata e da lì posso dire qualcosa di vero che riguarda anche altri, il cosmo. Ma non posso mettermi dall’alto e guardare come se ne fossi all’esterno. Come se fossi sulla Luna a guardare la Terra. Sono qui e ora, sono una donna che parla all’interno di relazioni. Ciò che caratterizza questo gesto è una dimensione asimmetrica, squilibrata. Non sono un soggetto onnisciente. La posizione neutra è la posizione di chi si pone al posto di Dio, non dal punto di vista di chi patisce dall’interno una certa situazione.

Dove Laura Conti ha mostrato l’incarnazione della differenza sessuale, questo essere in una relazione incarnata? Asimmetrica. Dove e come ha mostrato di fare un discorso teorico mettendosi in gioco personalmente e non semplicemente di dare una conoscenza oggettiva, per cui lei dunque supera l’opposizione soggetto-oggetto? Lo ha mostrato quando ha parlato dell’amore per la Terra come leva fondamentale che l’ha portata all’ecologia. Ad occuparsi politicamente del nostro pianeta. È il suo punto incandescente in cui si nota più fortemente l’asimmetria. Non necessariamente per tutte è questa la via della differenza, ma questa donna offre qualcosa di vivente al processo di verità quando tocca questo punto asimmetrico vivente, fertile, generatore.

Vorrei spiegarmi, riprendendo alcune linee del pensiero di Laura Conti, per mostrare il modo di darsi di questo punto di incandescenza sessuato, che è nel suo percorso l’amore per la Terra. La sua affermazione, che si sente impegnata soggettivamente per la salute e il benessere di tutte le creature umane e non umane e per il pianeta e che fonda questo impegno nella conoscenza scientifica, rende la conoscenza scientifica non neutra. È non neutra perché inserisce i processi di sapere all’interno del campo più vasto del sentire soggettivo che impegnano più di qualsiasi scelta etica. Ed è anche non neutra perché dire che è l’amore che la spinge verso il conoscere il pianeta per renderne migliori le condizioni è qualcosa che per lo più sono le donne a dire nella nostra contemporaneità.

Molte sono le testimonianze di giovani scienziate, che dichiarano di aver iniziato studi lenti e faticosi di biologia, medicina, fisica ecc., in quanto guidate da amore per il mondo e la natura. Succede che poi non sanno esprimerlo all’interno della loro disciplina, prese dallo studio così come viene veicolato in paradigmi disciplinari. In questo senso c’è una loro differenza femminile che si esprime in questo e che viene avvertita come fuori posto dallo sguardo degli altri; loro stesse finiscono per autocensurarsi su questo tema con l’andare del tempo.

Laura Conti invece lo esprime, lo scrive. Come lo scrive anche Evelyn Fox Keller quando riporta la posizione di Barbara McClintoch, la genetista che parlava di amore per la singolarità del gene del grano che stava studiando. È il passaggio da un’episteme fondata sulla contrapposizione soggetto-oggetto ad una nuova episteme legata alla relazione amorosa nella ricerca scientifica. Un’area di discorso che viene censurata accuratamente negli studi di allora. Come di oggi. Considerata superflua…

continua qui

 

Laura Conti – Renata Borgato

«Obiettività scientifica e partecipazione affettuosa, lucidità di analisi e impegno militante»[1].La storia di Laura Conti racconta con la molteplicità del suo impegno l’unità di una visione attenta e partecipe in cui non hanno molto significato le separazioni tra privato e politico, poesia e scienza, individuo e ambiente, natura e cultura. La concretezza con cui ha lavorato ne fanno un riferimento politico ed etico utile e necessario ai nostri tempi.
Laura Conti da piccola visse a Trieste, poi a Verona e infine a Milano, che considerò sempre la sua città. I suoi genitori erano stati costretti ad abbandonare Trieste in seguito all’impegno antifascista dei genitori, che avevano perso la propria azienda commerciale. A Milano la famiglia avrebbe avuto una vita dura, isolata, senza contatti: «la mia divenne una famiglia che si opponeva al mondo, disperata e molto sola» [2].
Sulla sua educazione resta una sua testimonianza diretta: «in casa non si occupavano di spiegarmi le cose: avevo tutti i libri a mia disposizione, non avevo che da attingere agli scaffali, liberamente, prima ancora di andare a scuola». Ma probabilmente fu proprio questa modalità ad abituarla alla ricerca autonoma, alla riflessione, alla libertà.
Come molte donne, nella prima giovinezza Laura costruì la propria immagine per differenza, ripensando alle scelte di sua madre: «mia madre era maestra e rinunciò al suo lavoro adattandosi al modello di mio padre che, coraggioso e onesto intellettualmente, era tuttavia un tiranno della peggior specie. Lei era una meridionale succuba del modo tradizionale di concepire la famiglia. Però soffriva e io lo avvertivo…»
Proprio per questo Laura si rese molto presto conto che i ragazzi avevano diversi modelli cui ispirarsi, ma che quello proposto alle donne era prevalentemente quello della casalinga-madre, che a lei risultava estraneo. Forse per questo ebbe una vita ricca di amicizie, intellettualmente, professionalmente e affettivamente importanti, ma non costruì una famiglia, probabilmente anche per il dolore seguito alla perdita di Armando Sacchetta, divenuto suo compagno nel lager di Bolzano e morto pochi giorni dopo la Liberazione in seguito all’emorragia seguita a un intervento chirurgico effettuato nel tentativo di arrestare una cancrena.
D’altra parte lei stessa aveva scritto: «pensavo che mi sarei fatta una vita mia, eventualmente con dei figli, ma priva dei legami coniugali che mi facevano orrore. Così è stato e se i figli non sono venuti, non si è trattato di una mia scelta».
Quando a scuola le regalarono una biografia di Maria Curie, pensò di aver trovato un modello che le si adattava meglio: «non è escluso che anche di qui sia nata la mia passione per le scienze».
Laura si iscrisse alla facoltà di medicina e nel 1944 entrò nelle file della Resistenza, aderendo al Fronte della gioventù per l’indipendenza nazionale e per la libertà. Ebbe il rischioso incarico di fare propaganda presso le caserme. «Avevo molta paura ma al contempo avevo la sensazione che il mondo fosse troppo piccolo per albergare i nazisti e me, che fosse persino necessario morire, perché se i nazisti avessero trionfato, il mondo non avrebbe più avuto attrattive». Venne arrestata già nello stesso 1944 e, dopo una breve detenzione nel carcere di San Vittore a Milano, fu trasferita nel Campo di transito di Bolzano, dove rimase fino alla fine della guerra.
Questa esperienza le avrebbe suggerito un’opera narrativa, La condizione sperimentale, scritta nel 1965 in cui ripercorre la sua esperienza nella Resistenza e nel Campo di transito di Bolzano.
L’esperienza fatta l’avrebbe indotta anche a riprendere la riflessione sul ruolo femminile, dopo aver constatato la subalternità al modello tradizionale di molte delle donne che avevano condiviso la sua esperienza di detenzione. Donne che avevano scelto di lottare per un mondo nel quale gli uomini vivessero un rapporto democratico, senza che ciò trasformasse la subalternità delle donne.
La scrittura sarà un altro dei tratti costanti della vita di Laura Conti. Prima di La condizione sperimentale aveva già scritto Cecilia e le streghe, sua opera prima, con cui nel 1963 aveva vinto il premio Pozzale. Il romanzo, quasi un thriller scritto con grande finezza per le ambientazione e gli stati d’animo di cui restituisce la potenza, soprattutto nei vuoti impossibili da descrivere, prende le mosse da un misterioso incontro fra due donne, nelle strade deserte di Milano in una sera di mezz’agosto e affronta con toni poetici i temi della malattia, della morte, del dolore, della fede e dell’eutanasia, affrontando pienamente le pieghe del rapporto fra medico e paziente…

continua qui

 

 

è appena uscito – ne riparleremo presto – per Fandangolibri, “Laura non c’è di Barbara Bonomi Romagnoli e Marina Turi. Ecco la presentazione.

 

Laura Conti non c’è. È morta il 25 maggio 1993, ma se fosse ancora viva avrebbe 100 anni, ed è così che la immaginano le autrici Barbara Bonomi Romagnoli e Marina Turi.

Una donna pungente, divertente e con ancora tante cose da dire al mondo. Perché nonostante Laura Conti sia scomparsa dai grandi discorsi ambientalisti ed ecologisti della sinistra italiana degli ultimi trent’anni, le sue parole, il suo pensiero e le sue riflessioni sono ancora qui, a disposizione di tutte e tutti.

Un libro fatto di dialoghi impossibili che diventano reali grazie alla forza della narrativa e dell’immaginazione.

Sette incontri con altrettante donne con le quali affrontare i temi a lei cari: la pandemia e il lavoro, i disastri ambientali, la vita e la salute delle donne, l’ecologia, la caccia e l’aborto.

Un libro che ci permette di conoscere una delle pensatrici più importanti del nostro paese, considerata a ragione la fondatrice dell’ambientalismo scientifico in Italia che per ragioni incomprensibili non ha trovato posto nei libri di storia e nel nostro patrimonio culturale.

 

Laura Conti in bottega

 

da qui

Nessun commento:

Posta un commento