venerdì 12 marzo 2021

Se Berlinguer non fosse morto, Napolitano si sarebbe dimesso - Adriana Stazio

In questi giorni è ricorso il trentunesimo anniversario della tragica morte di Enrico Berlinguer. Era l’11 giugno 1984 quando il leader del partito comunista si spense in seguito all’ictus che lo aveva colpito quattro giorni prima durante un comizio elettorale a Padova. Il 13 ebbero luogo i funerali oceanici. Alle successive elezioni europee del 17 giugno il PCI stravinse le elezioni, arrivando al 33.33% e conquistando più voti e seggi della DC. Un terzo degli elettori italiani votava comunista.

Poi iniziò la discesa, fino alla svolta della Bolognina, il cambio di nome e la seconda Repubblica che iniziò con la stretta di mano in Parlamento tra il neo premier Silvio Berlusconi e Giorgio Napolitano che aveva appena deposto le armi del suo partito che contestava la legittimità del neo premier promettendo a nome del suo gruppo al cavaliere un’opposizione all’inglese. Il cavaliere commosso scese dal banco del governo e andò a stringergli la mano. Un episodio chiave ma ingiustamente poco ricordato. Eppure oggi, alla luce di quanto emerso sulla trattativa Stato-mafia, il tutto assume una forma ancora più chiara. Anche il perché proprio Giorgio Napolitano, insieme a Luciano Violante e Massimo D’Alema furono i protagonisti di quella stagione. Mentre ad Achille Occhetto, estraneo a determinate logiche, non restava che dimettersi dopo la sconfitta su tutta la linea della sua “gioiosa macchina da guerra”. Prima della scelta da parte dei circoli di potere americani ed italiani del nuovo soggetto Forza Italia quale nuovo referente dopo il crollo della DC, D’Alema aveva provato ad accreditarsi presso i mercati finanziari internazionali, ma l’America non poteva fidarsi del partito ex comunista affidandogli il posto che era stato della DC: ancora non c’era stata la totale mutazione genetica avvenuta prima con Walter Veltroni che fondò il PD fondendo i DS di provenienza PCI con parte della DC confluita nella Margherita, poi completata dall’ex democristiano Matteo Renzi. Il PdS però fu l’unico partito a non dover essere spazzato via, come era successo con gli altri, i vecchi referenti, DC e PSI in primis, a suon di bombe (Lima, Falcone, etc) e di avvisi di garanzia e manette. Dopo il crollo dei vecchi partiti il PdS era rimasto solo, alle comunali dell’autunno ’93 stravinse, stava cominciando anche a raccogliere il sostegno di ambienti del capitalismo italiano ed internazionale che di certo – nel vuoto causato dalla scomparsa del centro – non potevano dare il loro sostegno a forze troppo estremiste come la Lega Nord o l’MSI-AN di Fini. Sembrava destinato a vincere le elezioni politiche del 1994 fosse altro per mancanza di avversari. Ma a gennaio del 1994 ecco la discesa in campo di Berlusconi“L’Italia è il Paese che amo”. E le bombe d’incanto cessarono. L’Italia uscì da un incubo che durava da due anni per entrare in un altro.

Ma torniamo a Enrico Berlinguer. Si sta discutendo molto del film di Walter Veltroni “Quando c’era Berlinguer”. Confesso di non averlo ancora visto, né ho molta curiosità di farlo. Ma ho visto il passaggio dell’intervista a Giorgio Napolitano, in cui l’ex leader della corrente migliorista, piange ricordando il “compagno Enrico”:

«Ho scritto qualche parola dicendo che il mio stato d’animo fu non solo quello del dolore personale – qui la voce si incrina per la commozione – ma quello del senso del declino del partito e del movimento con cui avevamo entrambi (parola sottolineata con il tono della voce sempre più rotta dal pianto soffocato) identificato la nostra vita.»

Che scenetta commovente per chi non ricorda o non conosce la storia del PCI! Difficilmente abbiamo assistito a tanta ipocrisia. E’ noto che Napolitano da ragazzo avrebbe voluto darsi al teatro, credo che anche lì avrebbe avuto un futuro. Dopotutto ha finto per decenni di essere comunista e qualcuno gli ha pure creduto. Chi ha un po’ di memoria ricorda la contrapposizione alla linea di Berlinguer sulla “questione morale” dell’ala migliorista che flirtava con Craxi contraria alla denuncia del segretario comunista. Napolitano lo attaccò apertamente.

Proprio negli ultimi anni lo scontro si era inasprito. Il PCI aveva rotto con il presidente del Consiglio, nonché segretario del PSI, Bettino Craxi sulla questione della scala mobile e, proprio mentre Napolitano si affannava a trattare in Parlamento sul provvedimento contro i lavoratori, in quei primi giorni del giugno 1984 il Partito aveva annunciato il referendum.

Nel 2005 sul Riformista, ricordando quei giorni, Emanuele Macaluso, migliorista e amico intimo di Napolitano, scrive: “Napolitano allora era capogruppo alla Camera e con Formica, capogruppo dei socialisti, aveva trovato un’intesa per rendere il testo accettabile anche per i comunisti. Intesa che poi venne mandata all’aria da entrambe le parti. Ma in quel momento Berlinguer comincia a vedere di cattivo occhio sia Napolitano sia Nilde Iotti, allora presidente della Camera. A Nilde Iotti sembra rimproverare di tutelare più il governo che il suo partito, mentre su Napolitano pesa il sospetto di morbidezza per via della sua nota contrarietà alla linea scelta in quella fase dal Pci, durante la dura battaglia parlamentare che precedette il referendum. Da lì in avanti i rapporti si inasprirono a tal punto che quando Berlinguer morì Napolitano aveva già in tasca la lettera di dimissioni da capogruppo. Una lettera mai recapitata, in quel funesto 7 giugno 1984.”

Evidentemente quella tragica morte improvvisa di Enrico Berlinguer fu provvidenziale per qualcuno, che oggi piange finte lacrime.

da qui

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