martedì 12 novembre 2024

Muoia l’Occidente - Miguel Martinez

 

E’ un periodo in cui vedo una carica di odio profondo tra persone diverse che spesso mi stanno individualmente simpatiche.

Anzi, l’eliminazione del Nemico diventa motivo stesso di impegno: recentemente, avevo pensato di aprire una mail con un bel server volontario e libero, poi ho rinunciato quando ho visto che per farlo, dovevo soddisfare tre condizioni: essere antifascista, antirazzista e antisessista. Pro qualcosa no, eh?

Ovviamente è lo stesso dall’altra parte; anzi dalle mille altre parti. Perché nulla unisce la maggioranza che non è di sinistra, se non l’antipatia per chi rappresenta la Sinistra.

Eppure ovunque ci sarebbero timide idee interessanti, umanità vive, esperienze immediatamente calpestati sotto gli stivaloni dei reciproci insulti.

Per cui è stato con grande sollievo che ho letto questa riflessione di Paul Kingsnorth, storico attivista ambientalista inglese, poeta, saggista, contadino, studioso di mitologia e mille altre cose.

Che esprime molto meglio di me, ciò che provo.

Muoia l’Occidente

di Paul Kingsnorth

Oltre la rivoluzione


La mattina uscii presto a pregare sotto gli alberi. La luce del sole scendeva attraverso le betulle. Gli insetti erano impegnati da ore. Faceva ancora freddo. Tutte le preghiere dovrebbero essere così. Come per la poesia, qui non si crea nulla. Qualcosa arriva, se si è fortunati, e qualcosa viene offerto. Si vaga nel freddo sole del mattino e anche questa è la vita, forse una buona descrizione. A volte, i saggi possono sorvolare sull’inciampo e sul vagabondaggio. Mi sembra che tutto il nostro mondo sia stato costruito per evitare che si possa inciampare o vagare. Nessuno vuole perdersi. Impedire che ci si perda è lo scopo della Macchina. È per questo che ci piace. È per questo che, pezzo dopo pezzo, giorno dopo giorno, parola dopo parola, ci sta uccidendo lentamente.

Scambiare il significato con il controllo: questo era il patto. Scambiare la bellezza con l’utilità, le radici con le ali, il tutto con le parti, la perdita, il vagabondaggio e l’inciampo con la marcia dritta verso la meta. Questo era il patto. Si è scoperto che era una trappola, e ora guardateci. Guardate tutto quello che sappiamo e quanto poco riusciamo a vedere. Guardateci qui, mentre ci dimeniamo, annaspiamo, ansimiamo mentre affondiamo nei numeri e nelle parole.

Come ne usciremo?

Uno dei motivi per cui ho iniziato questi saggi, due anni fa, era che volevo capire cosa stesse succedendo con le “guerre culturali” che imperversavano in tutto l’Occidente. Essendo stato coinvolto anch’io nel fuoco incrociato, volevo sapere perché queste lotte stavano avvenendo, da dove provenivano le divisioni, perché le cose sembravano frammentarsi così velocemente. Da quando ho iniziato a scrivere, la frammentazione è diventata più rapida, ma continuo a pensare quello che pensavo allora: che le guerre culturali siano una manifestazione superficiale di una spaccatura molto più profonda nella psiche dell’Occidente moderno. Si ha una guerra culturale solo quando non si ha più una cultura.

Ma le guerre culturali continuano, e allora come oggi i campi sono ben definiti. Da un lato, la tribù “woke” – quel curioso agglomerato di capitale internazionale e di élite progressiste che si spaccia per una rivolta dal basso – lavora per invertire la cultura e si scaglia contro tutto ciò che il luogo è sempre stato o ha rappresentato. In risposta, la tribù “basata” si solleva per “difendere l’Occidente”, ma non riesce mai a mettersi d’accordo su cosa stia difendendo. Che cos’è questo “Occidente”, dopo tutto? È una patria etnica, una religione, un insieme di principi, un particolare modello economico o sociale, o qualche altro modo di vedere o di essere? Nessuno sembra essere d’accordo.

Osservando la continua demolizione dei pilastri della mia cultura, a volte, nei miei momenti peggiori, sono tentato di unirmi ai difensori dell’Occidente nel loro lavoro. Ma quando mi calmo, mi ricordo che quei pilastri sono comunque per lo più marci e che anche coloro che li attaccano, per quanto possano essere talvolta ripugnanti, non hanno del tutto torto. Qualcosa è andato storto in questo “Occidente”, e coloro che ne sottolineano i crimini del passato stanno cercando di raggiungere qualcosa che forse nemmeno loro riescono a mettere a fuoco.

Come i saggisti che cercano di andare al nocciolo della questione, o i poeti che si affannano a togliere il dettato, a volte si ha l’impressione che tutti gli scontenti della nostra disgregazione in corso, da qualunque parte pensino di stare, siano motivati dallo stesso senso di perdita o di confusione che la modernità della Macchina ha creato strappandoci tutti dai nostri ormeggi. I populisti di destra che si ribellano agli insetti e ai baccelli, e quelli di sinistra di Extinction Rebellion che fermano il traffico perché vogliono fermare la Macchina, vengono abitualmente presentati come opposti, ma a me sembrano manifestazioni della stessa frustrazione. I progressisti che inveiscono contro la “bianchezza” e i tradizionalisti che rifiutano di essere imprigionati in una città di quindici minuti stanno prendendo una posizione stranamente consonante contro la stessa cosa: un futuro razionalizzato, profittatore e disumano che sentono chiudersi su di loro senza alcuna via di fuga.

Quindi, se mi chiedete di aiutare a “difendere l’Occidente” ora, vi risponderò che, sebbene questo luogo sia la mia casa e la casa dei miei antenati, non posso evitare la realtà che questo “Occidente” ha partorito la Macchina e sta costruendo quel futuro disumano. Qualcosa nel nostro modo di vedere conteneva un seme che ha disfatto il mondo. Sono due anni che esamino questo seme. Voglio che cresca? No, voglio sradicarlo. Voglio dire che questo “Occidente” non è una cosa da “conservare”: non ora. È una cosa da superare. È un albatros intorno al nostro collo. Ostacola la nostra visione. Ci appesantisce.

A volte bisogna sapere quando lasciarlo andare.

L’Occidente è diventato un idolo, una sorta di immagine statica di un passato che forse è stato, ma che ora è abitato da una nuova forza: la Macchina. L’Occidente oggi pensa con i numeri e le parole, ma non sa scrivere poesie per salvarsi la vita. L’Occidente è il regno di Mammona. L’Occidente mangia il mondo e mangia se stesso per continuare a “crescere”. L’Occidente conosce il prezzo di tutto e il valore di niente. L’Occidente è esausto e vuoto.

Forse, allora, solo forse, dobbiamo lasciare che “l’Occidente” muoia.

Lasciarlo morire perché noi possiamo vivere.

Forse dobbiamo lasciare che questo concetto cada. Lasciarlo crollare per poter vedere cosa c’è sotto. Smettere di “lottare” per preservare qualcosa che nessuno sa nemmeno definire, che ha perso da tempo il suo cuore e la sua anima. Smettere di aggrapparsi alla fiancata dello scafo che affonda mentre la banda suona. Abbiamo colpito l’iceberg molto tempo fa; deve essere giunto il momento, finalmente, di smettere di aggrapparsi al metallo mutevole. Lasciarsi andare e iniziare a nuotare, verso il luogo in cui la luce gioca sull’acqua. Proprio là fuori. Lo vedete? Al di là, proprio al di là. C’è qualcosa che ti aspetta là fuori, ma devi muoverti per raggiungerlo. Bisogna lasciarsi andare.

da qui

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