mercoledì 16 ottobre 2013

Sulle prove INVALSI e gli effetti dei bambini migranti nelle classi - Renato Foschi

Le prove Invalsi, applicate per valutare il funzionamento delle scuole, non hanno nulla di scientifico, sia per il metodo che per i contenuti. Sono altri i criteri del «buon apprendere». Per esempio, mescolare nelle classi alunni con diverse abilità e con un background culturale differente
(da il manifesto del 16-10-2013)


È di questi giorni una notizia lanciata dal Corriere della Sera con un articolo di Andrea Ichino dal titolo Scuola operazione verità. Per ogni straniero in aula gli italiani calano nei test e da Radio 24 nel cui sito si ascolta un'intervista ad Ichino per cui «la multietnicità nella scuola è una ricchezza, ma è inutile negare che, quando si inserisce nelle elementari un bambino che non parla italiano, l'insegnante deve distogliere le attenzioni dal programma normale per occuparsi del nuovo arrivo. È ovvio che questo abbia degli effetti negativi sul buon funzionamento della classe». 
Tutto nasce da una ricerca pubblicata da M. Ballatore, M. Fort e dallo stesso A. Ichino, The Tower of Babel in the Classroom? Immigrants and Natives in Italian Schools (Torre di Babele in classe? Immigrati e italiani nelle scuole). Gli autori prendono le mosse dalla convinzione che la presenza di immigrati abbia un effetto sfavorevole sull'apprendimento. I loro modelli statistici vorrebbero, quindi, verificare questa ipotesi, tentando di controllare le altre variabili in gioco. Le analisi sono condotte mediante il database dell'Invalsi e mostrano i seguenti risultati fondamentali: in seconda elementare la presenza di immigrati in classe produce un peggioramento dei punteggi in italiano e in matematica rispettivamente del 12% e del 7%. Gli stessi dati rivelano, però, che in quinta elementare tali differenze svaniscono.
Nella ricerca gli autori, per giunta, «scoprono» che in Italia si formano classi e scuole a maggioranza di immigrati (sebbene il numero assoluto di immigrati nelle scuole sia una piccola percentuale). La situazione di tale sperequazione è definita da Ichino stesso come «sconcertante». Ma quale sarebbe la soluzione dei problemi evidenziati? Ichino sul Corriere prosegue «...molto meglio sarebbe costruire (le classi) senza ipocrisie sulla base delle informazioni disponibili riguardo alle caratteristiche degli studenti. Ma la soluzione peggiore, e davvero eticamente inaccettabile, è quella di concentrare insieme stranieri e italiani con background familiare meno favorevole»….

…Un dato è certo, gli svantaggiati - per fascia economica o culturale o intellettiva - se allontanati dagli altri si ritroverebbero isolati e peggiorerebbero le proprie prestazioni perché da un canto più difficili da educare in gruppo e perché non avrebbero gli «altri compagni» come modello con cui interagire. I ragazzi più fortunati, d'altro canto, non avrebbero molto da perdere perché gli stessi dati non mostrano per loro particolari controindicazioni. Nelle classi «miste» si potrebbero, inoltre, sviluppare modelli di interazione migliorativa per tutti i partecipanti. Come abbiamo visto dalla stessa ricerca italiana i gap, se pure ci fossero stati in seconda elementare, si sarebbero chiusi in quinta.
Dai dati Invalsi non possiamo poi capire se lo scambio interculturale abbia prodotto o meno un incremento di altre caratteristiche (socializzazione, apertura mentale, ecc...). Per giunta, come evidenziato dagli stessi dati Pisa sembra probabile che l'arricchimento culturale in classi miste fornisca al singolo individuo maggiori possibilità di riuscita accademica. 
Ciò detto, un dato su tutti dovrebbe far riflettere. Un numero di studi mostra che formare classi in cui interagiscono bambini differenti porta i più problematici a manifestare minori comportamenti a rischio. È questo il grande tema dell'apprendimento cognitivo ed emotivo mediante il confronto con i pari, proprio con quelle «differenze» che si vorrebbero forse confinare. 


grazie a Daniele per la segnalazione.

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