Forugh Farrokhzad nasce nel 1935 a Teheran. Il padre è un
militare, la madre si occupa di lei e dei suoi sei fratelli. Smette di studiare
a quattordici anni per imparare a cucire e a disegnare come si addice a una
donna, si sposa a sedici anni contro la volontà dei genitori e diventa madre a
diciassette. Smette di essere madre per potere scrivere le sue poesie, inizia a
litigare con il marito; a diciannove anni è già divorziata, viene ripudiata
dalla famiglia e le viene tolta la custodia del figlio che rimpiangerà sempre.
Pubblica il suo primo libro di poesie, The
captive, nel 1955, ed è subito scandalo. I suoi libri vengono bruciati.
Parte per l’Europa e studia cinematografia, impara la possibilità di una vita
diversa ma sceglie di tornare in Iran. A ventuno anni tenta il suicidio in
seguito a una forte depressione. Nel 1962 gira The house is black, un
documentario di circa venti minuti sulla vita dei malati in un lebbrosario
vicino a Tabriz, nel nord dell’Iran. Accompagna le immagini con la sua voce che
recita passi della Bibbia e del Corano, versi delle sue poesie; ci mostra le
persone dietro le maschere della malattia, la loro normalità. Insegna la
possibilità di una cura e incanta, si fa carico dei peccati non commessi da chi
si trova, comunque, a doverli espiare in vita con la morte. Nei dodici giorni
di riprese si affeziona a Hossein Mansouri, il figlio di due lebbrosi, lo
adotta due anni più tardi. Nel 1963 pubblica Another
birth, che la consacra come una delle voci più interessanti della poesia
iraniana. Muore a soli trentadue anni in un incidente stradale, lasciando come
testamento il poema Let us
believe in the beginning of the cold season.
QUI Forough
Farrokhzad racconta di un viaggio in Italia, a 22 anni
La mia morte
verrà un giorno
Un giorno di primavera, luminoso e bello
un giorno di inverno, distante polveroso,
un vuoto giorno di autunno, privo di gioia.
La terra mi invita nel suo abbraccio,
La gente mi raccoglie e mi
seppellisce là
Forse a mezzanotte i miei ammiratori
Poseranno sopra di me corone con
tante rose.
Dono
Io parlo
dagli abissi della notte.
Dagli abissi dell’oscurità io parlo
Dal profondo della notte.
Dagli abissi dell’oscurità io parlo
Dal profondo della notte.
O amico,
se vieni a casa, porta per me una luce
E unna piccola finestra,
da cui guardare la gente del vicolo felice.
E unna piccola finestra,
da cui guardare la gente del vicolo felice.
Il peccato
Ho
peccato, un peccato tutto riempito di piacere
avvolta in un abbraccio, caldo e ardente,
ho peccato tra due braccia
che erano piene di vita, virile, violente.
avvolta in un abbraccio, caldo e ardente,
ho peccato tra due braccia
che erano piene di vita, virile, violente.
Nel
luogo debole e silenzioso dell’isolamento
ho guardato nei suoi occhi che erano pieni di mistero
il mio cuore ha palpitato nel mio petto anche troppo fremente
per il desiderio che ardeva nei suoi occhi.
ho guardato nei suoi occhi che erano pieni di mistero
il mio cuore ha palpitato nel mio petto anche troppo fremente
per il desiderio che ardeva nei suoi occhi.
Nel
luogo debole e silenzioso dell’isolamento
come mi sono seduta accanto a lui tutto l’interno in agitazione
le sue labbra si sono posate sulle mie labbra
ed io ho lasciato cadere i dispiaceri del mio cuore.
come mi sono seduta accanto a lui tutto l’interno in agitazione
le sue labbra si sono posate sulle mie labbra
ed io ho lasciato cadere i dispiaceri del mio cuore.
Ho
sussurrato nel suo orecchio queste parole di amore:
Ti voglio, amico della mia anima
voglio che tu mi stringa tra le tue braccia
voglio che tu ti stringa a me, che sono folle damore per te.
Ti voglio, amico della mia anima
voglio che tu mi stringa tra le tue braccia
voglio che tu ti stringa a me, che sono folle damore per te.
Il
desiderio è sgorgato nei suoi occhi
come del vino rosso sgorgato da una coppa
il mio corpo ha volato sopra al suo
nella morbidezza del letto soffice.
come del vino rosso sgorgato da una coppa
il mio corpo ha volato sopra al suo
nella morbidezza del letto soffice.
Ho
peccato, un peccato tutto riempito di piacere
accanto a un corpo ora debole e languido,
sono consapevole di quello che ho fatto
nel luogo indistinto e silenzioso dell’isolamento.
accanto a un corpo ora debole e languido,
sono consapevole di quello che ho fatto
nel luogo indistinto e silenzioso dell’isolamento.
(Traduzione dall’inglese in
italiano di Cristina
Contilli)
Nell’ansia di
sperimentazione che mescola senza confine arte e esistenza, dal 1958 Forough si
dedica con passione al cinema collaborando con la casa di produzione
cinematografica di Ebrahim Golestan, autorevole scrittore, regista e
produttore, al quale sarà legata fino alla morte da un rapporto di intima
amicizia. Nel 1960 Forough recitò e collaborò alla produzione del film Il rito
del matrimonio in Iran. L’anno successivo realizzò la colonna sonora per il
documentario di Ebrahim Golestan Mawj o marjan o khara (Onda, corallo e roccia)
e il montaggio di Yek atash (Un fuoco) un documentario girato nel 1959 vicino
Ahvaz durante l'incendio di un pozzo petrolifero che brucia per due mesi prima
che intervengano i pompieri americani a spegnerlo. Nel 1962 il film ottiene un
premio al Festival del cinema di Venezia. L’impegno di Forough nel cinema la
porta prima nel 1959 e poi nel 1961 a viaggiare in Inghilterra per studiare
produzione cinematografica. Nel 1962 Forough scrive, dirige ed edita Khane
siyah ast (La casa è nera), girato nel lebbrosario di Tabriz. La Farrokhzad ne
scrive la sceneggiatura adattando versi della Torah e del Corano. Il film,
commissionato dalla Associazione per i malati di lebbra, vince il premio come
miglior documentario al Festival di Oberhausen nel 1963. Nella primavera del
1962 Forough si era recata nell’istituto per preparare la produzione del film
che la consacrerà cineasta di punta della nuova cinematografia iraniana
d’autore. Forough si immerse con grande coinvolgimento emotivo nella vita
quotidiana dei lebbrosi dell’istituto, cercando di instaurare con loro un
rapporto di fiducia e rispetto. Nell’autunno dello stesso anno Forough tornerà
a Tabriz con un operatore e due fonici per iniziare le riprese del film che
dureranno dodici giorni. Dalle numerose testimonianze della regista su questa
forte esperienza umana, prima che professionale, si è appreso che alcuni rapporti
instaurati nell’istituto continueranno anche dopo la fine delle riprese (in
questa occasione Forough adotterà un bambino dell’istituto e, con il consenso
dei genitori, lo porterà con sé a Teheran)
In La casa è
nera, la macchina da presa entra in un istituto dove vivono nascosti al resto
del mondo uomini, donne e bambini di cui Forough ci restituisce con umana
pietas straziati volti, corpi e sorrisi. La regista non risparmia particolari
raccapriccianti, senza mai indulgere, grazie ad una fotografia in B&N a
luce naturale e ad un montaggio sapiente, nel voyeurismo. Il lebbrosario
diventa microcosmo in cui guardare i lati oscuri di una società e il buio
dell’esistenza umana senza misérabilisme. «Il mio film si apre con l’immagine
di una donna che si guarda allo specchio. Questa donna simboleggia in realtà
l’essere umano che osserva la sua vita allo specchio, qualsiasi sia questo
specchio» . La casa è nera è un film su una comunità di lebbrosi reclusi in un
istituto, ma non solo: è anche un film su quanti si ritrovano imprigionati in
una vita da cui non possono sfuggire. «Credo che uno dei motivi per cui gli
uomini si dedicano all’arte è l’inconscia necessità di affrontare, resistere
alla decadenza»
Jonathan
Rosenbaum, sguardo autorevole della critica americana, individua nel percorso
artistico di Forough l'origine di quella che sarà la cosiddetta Nouvelle Vague
del cinema iraniano, in particolare della produzione di Abbas Kiarostami.
Questi ha reso omaggio a Forough dando ad un film il titolo di una sua poesia
(Il vento ci porterà via) e facendo recitare ai suoi personaggi le odi della
poetessa.
È ormai
acclarato che l’unico film diretto dalla Farrokhzad, vincitore di numerosi
riconoscimenti internazionali, sia una pietra miliare nella storia del cinema
iraniano e abbia fatto scuola per qualità artistica e rilevanza sociale. Una
conferma in tale senso viene dalle parole del noto regista iraniano Mohsen
Makhmalbaf, il quale afferma: «La casa è nera è il miglior film iraniano ad
aver influenzato il cinema iraniano»
ecco
il suo film:
https://archive.org/details/khanehsiahastthehouseisblack1963
non conosco questo autore, ma più mi informo sull'Iran, più scopro un panorama culturale enorme
RispondiEliminaè una poetessa straordinaria, morta a soli 32 anni.
Eliminaa me capita che più cose "scopro" ancora di più crescono quelle che ignoro.
un bel paradosso:)
ma questo è tipico, credo lo dicesse anche Goethe che l'ignoranza cresce con la conoscenza.
Eliminae Pasolini ribadiva che "la cultura media è corruttrice"
ottima compagnia:)
EliminaPotentissimo...fotografia,montaggio,i volti,la poesia. Mi fa pensare a certo cinema sovietico, però il risultato è originalissimo. Straordinario.
RispondiEliminaper sfortuna non ha fatto altro, peccato.
Eliminaa me ha ricordato Artur Aristakisjan, lo conosci?