certe volte bastano poche
parole per capire tante cose – franz
Il 28 luglio 1999 Yaguine Koïta, 15
anni, e Fodé Tounkara, 14 anni, hanno viaggiato da Conakry, la capitale della
Guinea, a Bruxelles, nascosti nel vano del carrello di atterraggio di un Airbus
A 330-300 della compagnia belga Sabena.
Vestiti con diverse paia di pantaloni infilati l’uno sull’altro,
maglioni, giacche e cappelli, ma con dei semplici sandali ai piedi, sono
scivolati sotto l’ala, nel piccolo vano delle ruote. Il viaggio si è concluso
tragicamente: Yaguine e Fodé sono morti. Di freddo, sicuramente: all’altitudine
di crociera di un aereo, la temperatura oscilla tra i -50 e i -55 gradi. O
forse di anossia, e cioè a causa del calo di ossigeno distribuito dal sangue
nei tessuti, provocato dall’assenza di pressurizzazione in questa parte
dell’apparecchio. I corpi sono stati ritrovati all’aeroporto di Bruxelles solo
qualche giorno dopo. Oggi di loro resta solo una lettera, custodita nella tasca
di uno dei due ragazzi, indirizzata alle “loro eccellenze i signori membri e
responsabili dell’Europa”.
Questo è il testo della lettera scritta da Yaguine e Fodé:
Loro
eccellenze i signori membri e responsabili dell’Europa. Abbiamo l’onorevole
piacere e la grande fiducia di scrivervi questa lettera per parlarvi dello
scopo del nostro viaggio e della sofferenza di noi bambini e giovani
dell’Africa. Ma prima di tutto, vi presentiamo i nostri saluti più squisiti,
adorabili e rispettosi. A tale fine, siate il nostro sostegno e il nostro
aiuto, siatelo per noi in Africa, voi ai quali bisogna chiedere soccorso: ve ne
supplichiamo per l’amore del vostro bel continente, per il vostro sentimento
verso i vostri popoli, le vostre famiglie e soprattutto per l’amore per i
vostri figli che voi amate come la vita. Inoltre per l’amore e la timidezza del
nostro creatore “Dio” onnipotente che vi ha dato tutte le buone esperienze, la
ricchezza e il potere per costruire e organizzare bene il vostro continente e
farlo diventare il più bello e ammirevole tra gli altri. Signori membri e
responsabili dell’Europa, è alla vostra solidarietà e alla vostra gentilezza
che noi gridiamo aiuto in Africa. Aiutateci, soffriamo enormemente in Africa,
aiutateci, abbiamo dei problemi e i bambini non hanno diritti. Al livello dei
problemi, abbiamo: la guerra, la malattia, il cibo, eccetera. Quanto ai diritti
dei bambini, in Africa, e soprattutto in Guinea, abbiamo molte scuole ma una
grande mancanza di istruzione e d’insegnamento, salvo nelle scuole private dove
si può avere una buona istruzione e un buon insegnamento, ma ci vogliono molti
soldi, e i nostri genitori sono poveri, in media ci danno da mangiare. E poi
non abbiamo scuole di sport come il calcio, il basket, il tennis, eccetera.
Dunque in questo caso noi africani, e soprattutto noi bambini e giovani
africani, vi chiediamo di fare una grande organizzazione utile per l’Africa
perché progredisca. Dunque se vedete che ci sacrifichiamo e rischiamo la vita,
è perché soffriamo troppo in Africa e abbiamo bisogno di voi per lottare contro
la povertà e mettere fine alla guerra in Africa. Ciò nonostante noi vogliamo
studiare, e noi vi chiediamo di aiutarci a studiare per essere come voi in
Africa. Infine: vi supplichiamo di scusarci moltissimo di avere osato scrivervi
questa lettera in quanto voi siete degli adulti a cui noi dobbiamo molto
rispetto. E non dimenticate che è con voi che noi dobbiamo lamentare la
debolezza della nostra forza in Africa.
Scritto da due bambini guineani. Yaguine Koïta e Fodé Tounkara.
da qui
Scritto da due bambini guineani. Yaguine Koïta e Fodé Tounkara.
da qui
C’è Zerit, biologo marino eritreo di 28 anni, che in mare ha
perso suo fratello e c’è Costantino, che con la sua barchetta “Nika” ha salvato
11 disperati e c’è pure Vito, che ne ha tirati su finché la sua barca ha
iniziato a ondeggiare e ora i profughi lo chiamano papà. Ci sono i
sopravvissuti e i soccorritori, gli africani e gli isolani, uniti dal ricordo
di quel nero 3 ottobre, quando quasi quattrocento persone, tra uomini, donne e
bambini, sono rimaste inghiottite dalle acque di Lampedusa. E ci sono le loro
lettere, il loro pizzini digitali affidati ora alla rete, per dire: «Non
provate mai a dimenticarci»…
QUI i
pizzini di Sciabica
Sono un ragazzo di 19 anni, nato in Romania, italiano per legge
solo dal 2012. Dopo la strage di Lampedusa, costata la vita a centinaia di
uomini, donne e bambini, è stato osservato un minuto di silenzio in tutte le
scuole. Ho voluto osservare quel minuto di silenzio pensando alle ragioni che
hanno portato queste persone a rischiare – e a perdere – la vita per venire in
un paese che, diciamocelo, sta andando a rotoli. Anche i miei genitori hanno
rischiato venendo qui: certo, non hanno rischiato la vita, ma hanno rischiato,
perché hanno lasciato i loro figli con i nonni e sono venuti qui solo per darci
il meglio. Sono venuti senza avere un lavoro sicuro, armati solo di speranza.
Quella speranza oggi è realtà: ora abitiamo qui, tutti insieme, conducendo una
vita più che normale a Roncaglia.
Credo che i morti di Lampedusa desiderassero “solo” questo. Gli
immigrati vengono in Italia perché credono nel nostro Paese mentre noi, che
siamo qui, non abbiamo nemmeno più un briciolo di speranza. Vorrei tanto che i
miei coetanei si immedesimassero in quelle persone che si sono salvate, vorrei
che vedessero con i loro occhi. Certi commenti – sentiti di persona, o letti
sui social network – mi hanno atterrito. Come si sentirebbero i miei coetanei
se altri dicessero di loro: «Sono morti in troppo pochi», o «Così imparano a
stare a casa loro» o, ancora, «Gli servirebbe di peggio»?…
Certe notizie sono un pugno nello stomaco. Ma sono necessarie per digerire la realtà. Speriamo che per ragazzi che oggi,come Yaguine e Fodé nel 1999, cercano disperatamente una vita migliore, il 2014 porti qualcosa di buono. Dipenderà anche da come si inteneriranno i cuori di noi benestanti.
RispondiEliminanon avrei aspettative sui cuori, purtroppo.
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