lunedì 23 agosto 2021

Afghanistan: un trilione di motivi - Miguel Martinez

Leggo un’interessante discussione che parte dalle straordinarie notizie in arrivo dall’Afghanistan.

Ugo Bardi ha recentemente pubblicato un articolo su Resilience, in cui fa alcune interessantissime riflessioni sui destini degli imperi.

Quasi tra parentesi, si chiede quale sia stato il motivo che ha indotti gli Stati Uniti a impelagarsi in Afghanistan, e mette tra le ipotesi, il petrolio, o meglio il controllo delle vie centroasiatiche del petrolio.

L’ipotesi petrolio viene criticata, tra i commenti al mio blog, da Roberto, che dice invece:

resto convinto che si sia trattato piuttosto di un mix composto da

messianesimo (dobbiamo salvare le donne e i bambini e impiantare la democrazia e solo noi possiamo farlo)

volontà politica di esercitare il ruolo di polizia mondiale

necessità politica di “fare qualcosa” dopo l’11/9

volontà di stabilire nella regione una pax americana del tipo “costruiamo uno stato alleato così si comprano le nostre lavatrici come in Europa dopo il 45, e magari vedendo come siamo belli pure i vicini iraniani e compagnia si convincono”

Forse entrambe le ipotesi – quella di Ugo Bardi e quella di Roberto – sono in buona parte giuste.

Ma entrambe forse implicano l’idea di un impero che fa una guerra per conquistare qualcosa, ma sbaglia clamorosamente e fallisce nell’impresa, perdendo peraltro una quantità enorme di soldi.

Io ho un’altra idea.

Pensiamo all’Italia, dove da anni si fanno immensi e costosissimi lavori pubblici, come la TAV Lione-Torino. Sono definite opere strategiche, cose che dovrebbero rendere sempre più forte l’Italia nel mondo insomma. Proprio come le guerre.

Poi qualcuno può pensare che la strategia sia buona o che sia cattiva, ma sempre una strategia sarebbe.

Però alcuni anni fa lessi Il sistema TAV, di Ivan Cecconi, che dimostra con vaste conoscenze anche tecniche come lo scopo di quella particolare opera (ma anche di tante altre) non sia la sua realizzazione. E infatti non si realizza da decenni, e forse non si realizzerà mai.

Lo scopo è dare lavoro alle grandi imprese italiane; e più a lungo dura senza essere completata, più a lungo passano i soldi dallo Stato alle imprese.

Se capiamo questo, capiamo anche che le discussioni sul tipo, “farà aumentare o diminuire l’inquinamento?” diventano fuorvianti.

Ora, si dice che la guerra in Afghanistan sia costata mille miliardi di dollari, ciò che gli americani chiamano un “trilione“.

“Costato” fa pensare a soldi che escono, che il popolo americano ci abbia rimesso in qualche modo.

Ma i soldi non finiscono nel mare: finiscono nelle tasche di qualcuno. Sono entrate, in altre parole, come aveva capito benissimo Keynes.

Grazie alla guerra in Afghanistan, un trilione di dollari sono finiti ai grandi fabbricanti di armi, che fanno facilmente la figura dei cattivi.

Ma sono finiti anche:

nella ricerca tecnologica aziendale che ha permesso il lancio di tanti nuovi prodotti;

nelle mani di fornitori di uniformi e di cibo e dei loro lavoratori;

nelle mani delle migliaia e migliaia di soldati che si sono dati il cambio in questi due decenni;

nelle mani delle donne che operano droni all’altro capo del mondo dalle loro vittime, e che hanno così potuto finire di pagarsi il mutuo;

nelle mani delle innumerevoli università che conducono ricerca per conto del sistema militare…

Un trilione di motivi perfettamente ragionevoli per continuare una guerra per vent’anni.

La guerra dovrà essere immediatamente sostituita da qualcosa che abbia la stessa funzione – nuove autostrade, emergenze mediche, un’altra guerra, staremo a vedere.

da qui

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