domenica 29 agosto 2021

La demonizzazione di Durban - Richard Falk

Contesto

È in corso la demonizzazione di Durban, un’insidiosa campagna per demonizzare il patrocinio ONU dell’iniziativa anti-razzista di tenere una conferenza di un giorno alla sede ONU il 22 settembre 2021 come continuazione di quello che si è reso noto come il ‘Procedimento di Durban’, che identifica lo sforzo ventennale di attuare la Dichiarazione di Durban e il complementare Programma d’Azione adottato alla “Conferenza mondiale su Razzismo, Discriminazione Razziale, Xenofobia e Intolleranza correlata – DURBAN” tenuta a Durban, SudAfrica, 20 anni fa.

La Conferenza di Durban fu controversa già prima dell’arrivo dei delegati. Fu preannunciata come un forum al quale sarebbero stati ritratti e condannati Israele, il colonialismo, l’eredità della schiavitù, e la vittimizzazione di etnie vulnerabili. Era formalmente sotto l’egida del Consiglio ONU per i Diritti Umani, il cui Alto Commissario, Mary Robinson, fu pressata dall’Occidente affinché cancellasse l’evento. Lei rifiutò, e invece di venire elogiata per la sua indipendenza, questa ex-presidente dell’Irlanda dagli alti principi, fu privata del sostegno di Washington per la rinomina a un secondo mandato da Alto Commissario. Israele e gli Stati Uniti si ritirarono dalla conferenza e boicottarono avvenimenti minori conseguenti nel 2009 e 2011, il che spiega perché il raduno imminente sia chiamato Durban IV.

Alla conferenza del 2001, offuscata dagli attentati dell’11 settembre agli Stati Uniti giusto pochi giorni dopo la sua chiusura a Durban, ci furono molti discorsi di rappresentanti di vari governi, fra cui parecchi che criticarono Israele per le sue politiche e pratiche razziste contro i palestinesi, comprendendovi l’accusa che il sionismo fosse una forma di razzismo, come già asserito in precedenza nella Risoluzione dell’Assemblea Generale ONU – GA Res. 3379 (approvata con un voto di 72 contro 35 con 32 astensioni, A/RES/3379, 10 Nov 1975; revocata nel 1991 senza spiegazione nella GA Res. 46/96).

In aggiunta alla Conferenza intergovernativa di Durban ci fu un Forum di ONG parallelo con la stessa agenda in cui ci furono dichiarazioni e discorsi incendiari. Eppure il tema ispiratore prevalente era fornito dal successo nella lotta all’ apartheid in SudAfrica che legittimava sia l’evento stesso sia la necessità del momento di trattare l’ agenda antirazzista inconclusa da tempo.

L’esito a Durban

I principali risultati formali della Conferenza di Durban furono due testi significative e completi noti come la Dichiarazione di Durban e il Programma d’Azione di Durban. Il Procedimento di Durban successive al 2001 si è occupato più o meno esclusivamente dell’attuazione di questi due documenti formali ONU, ritratti ad ampio spettro di tutta una gamma di torti derivanti dal maltrattamento di varie categorie di persone vulnerabili al rigetto violento dell’applicazione della legge sui diritti umani e mediante vari mezzi comprensivi di istruzione e attivismo della società civile, di ONG, e perfino del settore privato.

Non esiste assolutamente alcuna base per lamentare la presa di mira critica apposita di Israele o che clausole dei documenti della conferenza possano essere onestamente letti come antisemitici o addirittura come anti-israeliani, eppure si sta svolgendo senza sosta appunto una tale campagna, come mostrato qui di seguito, per screditare tutto ciò che rappresenta Durban, quasi solo per la sua presunta partigianeria estrema contro Israele.

Una lettura equa di entrambi i documenti concluderebbe anzi che a Israele sia stata risparmiata una critica giustificabile, molto probabilmente a causa di pressioni esercitate sia sull’ONU sia sui media prima e durante la conferenza. Guardando i testi ne traiamo l’impressione che le sensibilità israeliane siano state capite e rispettate. Apartheid e genocidio vi erano condannati in termini generali, ma senza alcun riferimento negativo a Israele, e di fatto includendo Israele in modo che avrebbe dovuto essere ben accolto: al paragrafo 58 della Dichiarazione troviamo: “.. teniamo presente che l’Olocausto non dev’essere mai dimenticato”; e il paragrafo 61 prende nota con “profonda preoccupazione l’aumento di antisemitismo e islamofobia in varie parti del mondo, nonché l’emergere di violenti movimenti etnici basati sul razzismo e idee discriminatorie contro le comunità ebraiche, musulmane, arabe”. Sembra proprio perverso screditare la Dichiarazione di Durban come una diatriba contro gli ebrei.

Fra i 122 paragrafi della Dichiarazione la situazione Israele/Palestina è menzionata solo al § 63, e in un modo neutrale che pare trascurare la vittimizzazione deliberata dei palestinesi – eccolo: “Siamo preoccupati per le cattive condizioni del popolo palestinese sotto occupazione straniera. Riconosciamo il diritto inalienabile del popolo palestinese all’autodeterminazione e all’istituzione di uno stato indipendente e riconosciamo il diritto alla sicurezza per tutti gli stati della regione, compreso Israele, e chiediamo a tutti gli stati di sostenere il processo di pace e portarlo presto a conclusione”. Che ci può mai essere di offensive anche per il più ardente sostenitore israeliano in tale espressione, persa in una dichiarazione di 30 pagine in una lingua che non punta dita accusatorie a Israele?

La campagna israeliana anti-Durban

Eppure, la realtà di Durban, la violenza del linguaggio usato per denunciare questi documenti e il Procedimento di Durban sembra estrema, ed emanare da fonti note per seguire da vicino la linea ufficiale disseminata da Tel Aviv. Il colonnello britannico Richard Kemp che scrive sul sito web notoriamente di destra dell’Istituto Gladstone Institute è di rado battuto nel suo sostegno all’uso della forza da parte di Israele contro l’indifesa Gaza. Kemp bolla il Procedimento di Durban “come l’infame ventennale pezzo d’esposizione ONU vendetta contro Israele” e pronuncia la sua sentenza che “Durban IV rienergizzerà questo vergognoso procedimento”. [“Combattere l’influsso malefico di Durban”, 29 luglio 2021]. Kemp è a suo agio invocando il linguaggio iperbolico di UN Watch che etichetta assurdamente Durban come “..la peggior manifestazione internazionale di antisemitismo del periodo postbellico”.

UN Watch ha espresso separatamente la propria opinione velenosa del Procedimento di Durban un mese prima in un comunicato stampa con il titolo grevemente fuorviante “Durban IV: fatti chiave” del 24 maggio 2021, compendiato nell’espressione “perversione dei principii dell’anti-razzismo”; caratterizzazione resa più concreta affermando che faccia “…asserzioni prive di fondamento contro il popolo ebraico”, che sia solito “promuovere il razzismo, l’intolleranza, l’antisemitismo e la negazione dell’Olocausto … ed erodere il diritto all’esistenza d’Israele”. Questo Bisognerebbe confrontare questo linguaggio calunniosamente falso di UN Watch con i testi della Dichiarazione e del Programma d’azione di Durban, la cui attuazione è l’obiettivo di primaria importanza del Procedimento di Durban, per acquisire qualche sprazzo di comprensione nelle oscure motivazioni di queste critiche israeliane mirate.

2021- Israele e l’apartheid

E’ ben vero che giunti al 2021 non ci sarebbe modo di evitare l’ipotesi che le ‘cattive condizioni del popolo palestinese’ siano un risultato diretto dell’apartheid israeliano, non solo condannato dal procedimento di Durban, ma fermamente riconosciuto come crimine contro l’umanità sia nella Convenzione Internazionale del 1974 sulla Repressione e Punizione del Crimine di Apartheid sia all’articolo 7 dello Statuto di Roma che governa le attività del Tribunale Penale Internazionale. Non è più ragionevole respingere le accuse di apartheid israeliano come estremiste, tanto meno come manifestazioni di antisemitismo. Eppure poiché Israele, col sostegno USA, controlla ancora il discorso mainstream in Occidente, i media fissano le varie prove nude e crude in insensibile silenzio, nonostante la prolungata sofferenza del popolo palestinese — convincente conferma che dove confliggano geopolitica e moralità/legalità, prevale la geopolitica.

Riscatto del Procedimento di Durban 

Ci sono due serie di osservazioni che rendono vergognosi e svergognati questi attacchi a un lodevole sforzo ONU, mediante Durban, di evidenziare le molte facce del razzismo e della discriminazione razziale. Il Ptocedimento di Durban è diventato il nucleo di una campagna mondiale sui diritti umani per aumentare la consapevolezza pubblica suscitando preoccupazione in ambito ONU per le molte varietà di criminalità razzista, sottolineando altresì la responsabilità dei governi e i potenziali contributi dell’attivismo della società civile.

È rilevante che nella Dichiarazione e nel Programma d’Azione di Durban si dia molta meno attenzione a Israele e al suo comportamento che ad altre tematiche quali l’abuso di popoli indigeni dei Rom, dei migranti e dei profughi. In effetti, alla luce di sviluppi più recenti che confermano preoccupazioni precedenti sulla vittimizzazione dei palestinesi, il Procedimento di Durban, caso mai può essere accusato di contestualizzare il razzismo d’Israele cadendo nella trappola hasbara [~giustificatoria] d’imporre responsabilità simmetrica all’oppressore come alla vittima, biasimandoli entrambi, apposta per sventare al crescente tendenza del sostegno organizzato israeliano a giocare la carta antisemitica come tattica per deviare l’attenzione pubblica dal crescente consenso che Israele agisce da stato d’apartheid.

Forse, nell’atmosfera del 2001 era politicamente provocatorio accusare Israele di razzismo e apartheid, benché, come ho cercato di mostrare, tali accuse dirette a Israele nel dibattito aperto a Durban non ebbero mai un seguito nell’esito formale della Conferenza di Durban. E, come reso chiaro dai suoi proponenti, il Procedimento di Durban è in primo luogo interessato all’attuazione della Dichiarazione e del Programma d’Azione di Durban.

Nel 2021, quel che era provocatorio venti anni fa si è confermato in modo molteplice da valutazioni dettagliate affidabili e attendibili, e indirettamente avallate dalla Legge Basilare Israeliana posta in atto dalla Knesset nel 2018. I punti salient di tale dinamica hanno avuto luogo nel corso degli ultimi cinque anni: – la pubblicazione nel marzo 2017 di uno studio accademico indipendente sponsorizzato dalla ESCWA –Commissione Economica e Sociale ONU per la West-Asia che concludeva che le politiche e le prassi d’Israele costituivano conferma schiacciante delle accuse di apartheid [“Le pratiche di Israele verso il popolo Palestinese e la questione dell’apartheid”; – il rapporto della ONG israeliana per i diritti umani B’Tselem, “Un regime di supremazia ebraica dal fiume Giordano al mar Mediterraneo: questo è apartheid”, 12 gennaio 2021; – il Rapporto Human Rights “Attraver-sata una soglia: le autorità Israeliane e i crimini di apartheid e persecuzione, 27 aprile 2021.

Non è più plausibile asserire che obiettare al trattamento israeliano del popolo palestinese sia  anti-semitico. Come ebreo io stesso, consider le giustificazioni israeliane per il proprio comportamento verso la Palestina come l’incarnazione di un comportamento antisemitico, che reca discredito al popolo ebraico.

da qui

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