mercoledì 18 agosto 2021

Lotta nonviolenta al G8 di Genova 2001: come mai vi siete dimenticati di noi? - Giorgio Barazza

 

 

Interessanti le interviste realizzate da “BACK TO THE G8” con diversi protagonisti dell’esperienza di lotta nonviolenta al G8 di Genova 2001.

In particolare, quella con Carlo Schenone, che fino all’inizio delle giornate promosse dal Genova Social Forum è stato coordinatore dei gruppi di azione diretta nonviolenta che si stavano preparando per affrontare l’evento.

Dall’intervista emerge che già dal gennaio 2001 era iniziata la preparazione (training) attraverso simulazioni di quello che sarebbe potuto succedere (e che poi è successo). L’obiettivo era di fare ‘vivere’ attraverso queste simulazioni le situazioni che si sarebbero potuto incontrare.

Due erano le principali tematiche che sono state oggetto della formazione-preparazione:

  • gestire situazioni di tensione e scontri;
  • utilizzare processi decisionali (partecipati, consensuali).

Durante i giorni di mobilitazione promossi dal Genova Social Forum c’è stato un grosso successo, (oscurato dai media), il BLOCCO REALE del varco di piazza Portello, dove

  • non ci sono stati scontri con le forze dell’ordine;
  • manifestanti hanno fatto da schermo, intermediazione, tra la polizia e i black block quando questi hanno tentato di attaccare.

Se dovessi riflettere su cosa ho appreso da questa esperienza Carlo Schenone si sofferma sul fatto che una lotta nonviolenta va preparata correttamente va investito tempo e risorse e organizzata in modo coerente (mezzi e fini non sono separabili) Le pratiche di nonviolenza possono arrivare anche alla coercizione. Le persone che vi partecipano debbono fare delle scelte circa le cose che si: possono fare (es. violare una legge quando è ingiusta);è disposti a fare (accettare i rischi, come ad esempio farsi arrestare).

Di seguito una descrizione degli accadimenti in piazza Portello e in piazza Marsala, come raccontata in Genova nome per nome. Le violenze, i responsabili, le ragioni: inchiesta sui giorni e i fatti del G8 (pag 200-205)di Carlo Gubitosaedizioni Altraeconomia, pubblicato nel 2011.

Azione nonviolenta in piazza Portello

gruppi di azione diretta nonviolenta si radunano attorno alle 11 del mattino davanti a un varco utilizzato dai residenti come punto di passaggio per entrare e uscire dalla zona rossa. Il luogo dell’azione è piazza del Portello, una piazza che non rientra nell’elenco dei luoghi autorizzati dalla Questura per lo svolgimento di manifestazioni stanziali.

Dopo aver effettuato i loro “training” di allenamento nei giorni precedenti, un gruppo di circa 200 persone è pronto per un sit-in basato su regole chiare e precise, che mi vengono descritte la sera prima dell’azione: il blocco vale per tutti (tranne che per i mezzi di soccorso), due portavoce hanno il compito di spiegare l’azione e le sue modalità di svolgimento alle forze dell’ordine presenti in piazza, se la polizia vuole trascinare via qualcuno non bisogna trattenere i compagni, né reagire o fare resistenza, se arrivano gruppi con intenzioni aggressive bisogna affrontarli a mani alzate per far capire che «che non siamo il loro scudo e non vogliamo essere strumentalizzati» [1].

Marco Forlani, un membro dell’associazione milanese “Pace e dintorni”, ha diffuso in rete un dettagliato resoconto del sit-in nonviolento di piazza Portello, dove si descrive «un’esperienza ‘fantasma’ che nessuna testata giornalistica si è degnata di citare: non un articolo (nemmeno un trafiletto), non una foto, non un’immagine in TV. Lo sappiamo bene: fanno notizia gli scontri, la violenza, il sangue, ma la nonviolenza no, non è roba da audience».

Il testo prosegue con una cronaca dettagliata degli eventi:

in prossimità di piazza Portello i due portavoce incaricati intavolano un dialogo con le forze dell’ordine, comunicando l’intenzione pacifica e determinata di bloccare il varco [2], senza alcuna azione di impedimento attivo, solo con l’interposizione dei loro corpi. All’arrivo del gruppo il varco è ancora utilizzato: passano macchine, motorini, passanti. Dopo una breve riunione del “consiglio degli speaker” i manifestanti si dispongono in un sit-in ordinato. La polizia sembra capire, c’è un clima disteso, vengono intonati canti con le mani alzate dipinte di bianco, mentre arrivano notizie di scontri più a monte; elicotteri che passano veloci, cellulari che squillano. Proseguono intanto le riunioni del “consiglio degli speaker”: 15-20 persone che rappresentano i vari gruppi di affinità presenti.

La prima decisione è quella di coprire anche la parte del varco che dà su un vicolo laterale dal quale arrivano alcuni passanti: lentamente viene effettuato lo spostamento. Il blocco ora è veramente totale. […] Due “addetti stampa” gestiscono i rapporti con i giornalisti presenti per spiegare le motivazioni e le modalità del blocco, mentre un’altra persona ha il compito di intervenire nel caso in cui gruppi estranei arrivino nella piazza.

Intanto arrivano i primi civili che hanno bisogno di oltrepassare il varco, poiché abitano o lavorano di là. La polizia è attenta, pronta a cogliere un gesto di trattenimento fisico. Un ragazzo con borsone scavalca allegramente i corpi, senza rabbia, e quando un manifestante gli trattiene furbescamente il manico della borsa, lo speaker lo richiama, lui smette, il ragazzo raggiunge il varco, grande applauso, allegria. Parecchi passanti tenteranno di entrare in zona rossa, ma diversi di loro dopo qualche tentativo rinunceranno, convinti dai manifestanti che instaurano con loro una dinamica scherzosa (es. slogan ritmati: “con noi, con noi, con noi”; gli offrono da bere, ecc.). Qualcuno addirittura si siederà con gli altri del sit-in. Qualcuno si arrabbierà e se ne andrà.

Nel pomeriggio iniziano i cambi della guardia del presidio di polizia. Il colonnello fa presente la necessità che il blocco si apra per far passare i militari. Il consiglio degli speaker si riunisce; la risposta è: il blocco, sempre nonviolento, è totale, riguarda anche i poliziotti. Un agente particolarmente arrabbiato s’infila i guanti, tira giù la visiera, impugna il manganello, gli altri lo fermano. La prima squadra di poliziotti sfila via, attenta a non calpestare i manifestanti, quelli che subentrano sono invece più duri e arrabbiati. Solo alcuni di loro evitano di fare del male ai manifestanti.

Due addirittura battono i piedi a passo di marcia mentre passano tra le persone sedute per terra. Intanto la tensione cresce, da sopra via Caffaro arrivano le notizie delle staffette: un gruppo di 200 black bloc si sta avvicinando, infilano la via in discesa. I poliziotti si preparano alla battaglia: si chiudono i guanti, tirano giù la visiera, impugnano i manganelli e chiedono di aprire un varco per farli passare. Uno furbescamente dice che i black bloc hanno le molotov e che senz’altro stanno per apprestarsi a tirarle contro le persone del sit-in.

Per un attimo regna l’incertezza: una parte del sit-in crea un varco convinta che i poliziotti siano là per difenderci, mentre l’altra parte – la maggioranza – urla agli altri di chiudere il varco: bisogna fare interposizione tra black bloc e Polizia. […] La polizia approfitta del momento di confusione e passa. Il presidio laterale di polizia lancia alcuni lacrimogeni, dà il via a una carica correndo in salita per via Caffaro e li disperde. […]

Verso le 17 arrivano le notizie delle violenze incredibili, delle cariche continue, della morte di Carlo Giuliani. Il Genova Social Forum (GSF) chiede di sospendere le diverse azioni e di convergere in piazzale Kennedy per un’assemblea. Si riunisce il consiglio degli speaker che decide di anticipare alle 18 la chiusura del blocco (si era previsto di continuare fino alle 20). La proposta è quella di concludere con un’azione simbolica: appendiamo alla rete gli striscioni, le mutande, le magliette colorate, tra canzoni e slogan. Alla fine il blocco si scioglie ordinatamente.

Nel comunicato stampa diramato dalla “Comunità Papa Giovanni XXIII” alla fine del vertice, i volontari di questa associazione cattolica presenti alle manifestazioni di Genova invitano a «ricordare come segno di speranza l’immagine di Luca, un uomo in sedia a rotelle, che durante il sit-in nonviolento in piazza Portello riceve la bandana da un commosso poliziotto che ci ringrazia per la testimonianza». In piazza del Portello c’è anche Maria Serafina Corbascio, un vicequestore aggiunto della Polizia di Stato impiegata presso la Questura di Padova, che il 9 agosto redige una relazione di servizio in cui è documentata la sua esperienza. Maria Serafina racconta che il 20 luglio

[…] veniva impegnata, con ordinanza scritta di cui non ricorda il numero di protocollo, non possedendone attualmente copia, in un servizio di Ordine Pubblico presso piazza del Portello, con turno 6.00 – fine, ove erano stati istituiti due varchi di accesso alla zona rossa, già presidiata all’interno da personale del Reparto Mobile e dell’Arma dei Carabinieri e dove era previsto il transito della manifestazione del GSF. La forza impiegata era costituita, complessivamente, da n. 50 unità appartenenti ai Reparti Mobili di Napoli e Firenze. Intorno alle 10.00, giungevano in piazza del Portello circa un centinaio di Manifestanti con intenzioni asseritamente pacifiche, i quali organizzava- no un sit-in davanti al varco delimitante la zona rossa.

Dalla circostanza, tuttavia, non scaturiva alcuna problematica di Ordine Pubblico. Intorno alle 16.30, mentre era ancora in corso la suddetta manifestazione, la scrivente, avendo udito, via radio, notizie allarmanti circa gli scontri avvenuti tra le forze dell’ordine e i cd. Brackloch in altre zone della città, anche vicine a piazza del Portello, contattava la Centrale Operativa, al fine di richiedere l’avvicinamento alla zona interessata dal servizio di una pattuglia della Digos, allo scopo di reperire informazioni circa un eventuale rischio di transito in quel luogo di gruppetti sparsi di anarchici. La richiesta, tuttavia, non veniva soddisfatta, verosimilmente per il sovraccarico di impegni sostenuti, in quel particolare frangente, dal personale Digos.

Nel frattempo, tra l’altro, la scrivente era stata contattata dal portavoce del gruppo dei manifestanti pacifici, presenti in quella piazza, il quale aveva espresso motivi di preoccupazione circa alcune notizie, già diffuse dagli organi di stampa, sulla presenza di manifestanti violenti che, per le vie di Genova, avevano già saccheggiato esercizi commerciali e incendiato diverse autovetture. La stessa provvedeva, pertanto, a tranquillizzare l’interlocutore, sottolineando che la presenza delle forze dell’ordine in quel luogo era stata prevista non solo per ragioni di sicurezza inerenti il presidio della zona rossa, bensì anche allo scopo di salvaguardare l’incolumità dei manifestanti contro eventuali atti violenti operati da frange estremiste, presenti all’interno dell’organizzazione del GSF.

Intorno alle 17,00, un gruppo di circa 50 individui travisati e armati di spranghe di ferro e bastoni, iniziava la marcia verso piazza del Portello, partendo da una traversa della stessa, che, essendo in di- scesa, consentiva alla banda di facinorosi il lancio all’indirizzo della Polizia di cassonetti con, all’interno, materiale incendiato. Pertanto, allo scopo di respingere l’attacco violento dei manifestanti, palesemente intenzionati a procedere senza mezzi termini verso il varco della zona rossa, si rendeva necessario effettuare un lancio di gas lacrimogeni, anche allo scopo di proteggere l’incolumità dei manifestanti pacifici (tra cui figuravano anche persone anziane e bambini), ancora presenti sul posto.

La scrivente ritiene opportuno sottolineare che non vi è stato alcun contatto fisico tra forze dell’ordine e facinorosi, i quali si sono dispersi nel giro di pochi minuti, dopo aver intentato una breve sassaiola contro lo schieramento del Reparto Mobile. Tuttavia, nel corso dell’operazione, veniva bloccato e accompagnato in Questura un individuo travisato, di nazionalità straniera, intento a lanciare contro la Polizia un cassonetto incendiato. Cessata la situazione di allarme la manifestazione pacifica riprendeva in tutta tranquillità terminando intorno alle 20,00. Il tutto si riferisce per dovere d’ufficio.

Piazza Marsala

Durante gli scontri tra violenti e poliziotti, in piazza Marsala si verifica un interessante episodio di collaborazione tra un gruppo di manifestanti pacifici e una squadra di poliziotti, una pagina di civiltà dimenticata già a pochi giorni di distanza dal vertice di Genova. Il Questore Colucci dichiara al Comitato parlamentare d’indagine che

quando, in circostanze diverse, si è trattato di intervenire su gruppi violenti frammisti ad altri gruppi, ci siamo sempre trovati di fronte ad una totale non collaborazione. […] Non mi risulta che il Genoa Social Forum abbia mai collaborato con le forze dell’ordine per isolare i gruppi che entravano e uscivano dai cortei per le loro azioni di guerriglia, né mi risulta che i partecipanti non violenti abbiano mai denunciato qualcuno dei componenti dei gruppi organizzati di guerriglia.

Una nota di agenzia dell’Ansa e un articolo pubblicato dal regista Davide Ferrario, dal titolo Quando i celerini si sono arresi smentiscono il questore, poiché almeno in una circostanza i cittadini pacifici e i poliziotti animati di buona volontà sono riusciti ad abbandonare i loro ruoli di assedianti e guardiani per fare fronte comune all’emergenza in corso. In quell’episodio non c’è stata una “resa” o una sconfitta dei “celerini”, ma un utilizzo intelligente del dialogo e della collaborazione tra cittadini e polizia in una delicata situazione di ordine pubblico.

Questo esperimento “istintivo” e improvvisato sul campo andrebbe studiato e assimilato dalle istituzioni, per completare la professionalità delle forze dell’ordine con quelle conoscenze di psicologia e di dinamiche relazionali che a volte si possono rivelare più efficaci di un lancio di lacrimogeni per disperdere un gruppo di violenti senza coinvolgere i manifestanti pacifici. Ecco il testo diramato dall’Ansa:

«Devo ringraziare quei quindici che si sono messi in ginocchio e ci hanno salvato». A parlare è un poliziotto. Esprime gratitudine nei confronti di un gruppo di pacifisti che, all’arrivo del corteo degli anarchici, si sono inginocchiati in fondo a via Palestro, davanti allo schieramento dei poliziotti, invitando il gruppo a fermarsi. Si era appena conclusa la manifestazione pacifica e colorata degli ambientalisti e della Rete Lilliput partita da piazza Manin.

Il corteo si era sciolto, dopo le azioni simboliche davanti alla grata di protezione alla zona rossa di via Assarotti, e una parte dei manifestanti si era riversata su piazza Marsala per un sit-in. «Toglietevi il casco» ripetevano i giovani all’ indirizzo dei poliziotti in assetto antisommossa. Gianluca, 21 anni, ha raccolto l’invito e subito dopo tutti gli altri lo hanno seguito. A quel punto una ragazza entusiasta si è alzata ed è andata ad abbracciare il poliziotto«Noi ci siamo tolti il casco – dice un altro poliziotto – e loro ci hanno dimostrato solidarietà». Gli anarchici di fronte a loro hanno desistito.

Il regista Davide Ferrario descrive la situazione ancora più dettagliatamente:

venerdì 20 luglio ore 15,30 circa, Genova, Piazza Marsala. Il corteo dei pacifisti sta assediando la zona rossa. C’è stato qualche momento di tensione e una carica della polizia con lancio di lacrimogeni. Ma la folla non si è dispersa e i manifestanti cominciano a riaffacciarsi sulla piazza. I poliziotti si sono attestati un centinaio di metri indietro. Il megafono gracchia l’annuncio regolamentare (l’unico che mi ricordi di aver sentito in 48 ore di scontri): «sgombrate la piazza». C’è un momento di perplessità, poi qualcuno avanza a mani alzate. Con grande coraggio un paio dei leader pacifisti vanno verso i poliziotti e sfilano davanti a loro con le braccia ben sollevate. Gli altri, qualche centinaio, si siedono a terra. Una donna si sdraia davanti a una camionetta. Altri, molti altri seguono il loro esempio.

Parte un unico coro, non minaccioso: «via il casco, via il casco». I poliziotti sono visibilmente presi in contropiede. Sembrano quasi essere contenti di essere oggetto del lancio di una bottiglia piena d’acqua, ma il lanciatore viene subito neutralizzato dai suoi compagni. Si sente fisicamente la tensione smontare di fronte alla reazione pacifica della piazza.

Quando il primo poliziotto si toglie il casco, scrollando la testa rassegnato, è un’ovazione. Presto anche gli altri lo imitano. Segue una scena che avevo visto solo in qualche film sugli scioperi delle mondine, quando i soldati si rifiutano di sparare sui manifestanti. I poliziotti – che senza la mascheratura del casco sono tornati a essere uomini, spesso molto giovani – sono coperti di abbracci e di offerte di acqua e focaccia. «Perché ci picchiate? Siamo dalla vostra parte!» dicono i ragazzi. Il graduato comincia a lamentarsi del costo della vita. «Sapete quanto costa una confezione di latte in polvere?», protesta.

Chiudendo inconsapevolmente e paradossalmente il circolo vizioso sulla globalizzazione iniziato con il boicottaggio della Nestlè… Mezz’ora dopo arriveranno i black bloc e ricominceranno a parlare, indiscriminatamente, i manganelli.

Non molti, sotto il diluvio di immagini dure provenienti da Genova, hanno prestato attenzione a questo episodio. Che è in realtà uno dei pochi in cui la piazza intorno alla zona rossa è stata davvero “conquistata”. Lo ricordo qui, come testimone diretto, per raccogliere l’invito a cominciare a pensare al “dopo Genova” dal punto di vista delle tattiche di disobbedienza. Non sono, ideologicamente, un pacifista a priori. Ma mi resta molto forte la convinzione che se quella di Piazza Marsala fosse stata la tattica unanimamente adottata, la vittoria del movimento anti-G8 sarebbe stata totale.

Non perché? i mezzi sono più “buoni”, ma perché – davanti a uno schieramento poliziesco e mediatico come quello in opera a Genova – sono più efficaci. Ancora alla vigilia del G8 avevo difeso in un acceso dibattito la scelta delle Tute Bianche di tentare di sfondare la zona rossa. Credevo molto che quell’odioso simbolo dovesse essere violato (le donne che mi contestavano leggevano in questo una chiara metafora maschilista).

Ma visto il modo in cui la polizia, durante la notte, aveva spostato il campo di battaglia, penso che sia stata una scelta perdente quella di accettare lo scontro in mezzo alla città. Perché? lì non c’era nessun simbolo da conquistare, ma solo una serie di cariche e contro-cariche che hanno offerto alle forze dell’ordine (e anche a molti manifestanti) la possibilità di offrire il peggio di sé.

So benissimo che il corteo è stato attaccato quando ancora non era volata una pietra: ma da lì in poi lo scontro è stato accettato fino in fondo. Certo, anch’io sono rimasto impressionato dal coraggio e dalla spontanea voglia di combattere di molti: ma mi chiedo che diversi effetti avrebbe sortito se fossero stati impiegati in altro modo. Affrontare i celerini a mani nude implica un coraggio molto maggiore che non con la protezione di mezzi rudimentali (ed è inutile negare che nella bagarre è stato utilizzato tutto ciò che si trovava a portata di mano, automobili e cassonetti compresi).

 

Note

[1] La frase riportata tra virgolette è contenuta in un testo che è stato fatto circolare all’interno dei “gruppi di affinità per l’azione diretta nonviolenta” poche ore prima dell’azione in piazza Portello.

[2] Le due persone che entrano in contatto con le forze dell’ordine sono Norma Bertullacelli, del Centro Ligure di Documentazione per la Pace, e Sergio Tedeschi, un esponente della “Rete Contro G8” che si avvicina alle forze dell’ordine schierate davanti al varco, e con la dolcezza dei suoi capelli bianchi sorride ai poliziotti dicendo semplicemente «se vi spostate leggermente stiamo tutti più comodi». E come per miracolo, i poliziotti si fanno da parte e i gruppi di affinità nonviolenti possono sedersi davanti al varco. Il tutto è documentato nel film Se vi spostate leggermente stiamo tutti più comodi, di Cristiano Palozzi e Antonella Sica

[3] Tra tutti con sottotitoli in italiano sono disponibili: il colonialismo inglese (1930, India), segregazione razziale (Nashville, 1960, Alabama, USA), apartheid (1985, Sudafrica), dittatura militare (1983, Cile), occupazione militare tedesca (1940, Danimarca), governi autoritari (Solidarnosc, 1980, Polonia)

da qui

 

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