domenica 8 agosto 2021

Vax, no vax, la bio-politica e il ritorno dei corpi - Guy Van Stratten

 

“Datemi dunque un corpo”: è la formula del capovolgimento filosofico. Il corpo non è più l’ostacolo che separa il pensiero da se stesso, ciò che il pensiero deve superare per arrivare a pensare. Al contrario è ciò in cui esso affonda o deve affondare, per raggiungere l’impensato, cioè la vita.

Gilles Deleuze, Cinéma 2. L’image-temps

Per cominciare, vorrei evitare di usare le parole “vax” e “no vax”, ormai diffusissime su tutti i media all’insegna di una spettacolarizzazione ostentata e diffusa. Esse, infatti, come altre parole introdotte dall’emergenza Covid (cfr. Covid e linguaggio. Le nuove parole come ambigui strumenti del potere) fanno parte di un sistema di discorsi che si diramano da una maglia fittissima di poteri (in questo caso viene risemantizzato un termine utilizzato in passato prevalentemente per indicare chi era contrario ai vaccini sui bambini). Non si tratta di un solo, fantomatico ‘potere centrale’ ma, appunto di una relazione fra diversi poteri. Come ci insegna Michel Foucault ne L’ordine del discorso, esistono svariati discorsi che isolano, emarginano, escludono.

Tali parole, in questi giorni, sono vere e proprie protagoniste sui media e sui social, spettacolarizzate in modo iperbolico, all’interno di quella “immensa accumulazione di spettacoli” che è diventata la società attuale, come aveva lucidamente preconizzato Guy Debord. Per questo, le vorrei lasciare ai media, ai giornali servi della borghesia e agli intellettualini borghesi che su quegli stessi giornali scrivono; le vorrei lasciare ai social e a quella fogna a cielo aperto che è Facebook dove quelli che erano puri sfoghi spettacolari e individualistici si sono trasformati in diktat che vorrebbero avere anche un significato sociale e politico.

Sui social, in questi giorni, tali discorsi che si intrecciano, si separano e si estendono come le radici arboree e che escludono credendo di unire, riguardano in modo prepotente i corpi degli individui. Quella tra favorevoli e contrari al vaccino anti-Covid è una discussione che investe direttamente i corpi di tutti. Non intendo adesso schierarmi dall’una o dall’altra parte ma soltanto offrire una descrizione di quello che sta avvenendo all’interno di questo fittissimo intreccio di svariati poteri. Come ricorda Foucault, “una società non è un corpo unitario in cui si esercita soltanto un potere; in realtà, è una giustapposizione, un legame, una connessione, anche una gerarchia di differenti poteri, che però conservano le loro specificità” (M. Foucault, Le maglie del potere, conferenza pronunciata all’Università di Bahia, 1976, ora in AF 3, p. 159). Non dobbiamo pensare al potere che esclude, emargina e separa come a una sorta di potere centrale che cala dall’alto, un’imposizione giuridica e disciplinare che dice “non devi”. Nelle trame dei discorsi si intersecano miriadi di poteri che tagliano, separano, escludono, isolano, anche e soprattutto nella smisurata marea dell’universo social.

In questo momento stiamo assistendo a un prepotente ritorno dei corpi. Dopo la chiusura, la digitalizzazione dell’esistenza, lo smart working e la DAD, i discorsi si stanno spostando sui corpi. In gioco, infatti, non ci sono nient’altro che corpi: vaccino sì, vaccino no, si discute soltanto sulla necessità o meno di inoculare una sostanza dentro i corpi e sulla possibile esclusione di alcuni di questi corpi a determinate pratiche sociali nonché sull’ammissione di altri. Il discorso socio-politico si sta reimpossessando di corpi che erano stati negati, allontanati, annullati, nell’impossibilità di potere incontrarsi e interagire fra di loro. Da ciò, all’interno di questo discorso, nasce un’altra polemica-spettacolo, quella sulla liceità o meno del cosiddetto green pass. Ora, io credo che tirare in ballo, riguardo al green pass la segregazione razziale e le persecuzioni naziste e fasciste nei confronti degli ebrei sia una pura follia e un errore storico clamoroso. Però, a questo punto, dovremmo anche rifiutarci di utilizzare il termine “negazionista” per indicare chi non ‘crede’ all’estrema pericolosità del virus perché, come si sa, la parola “negazionismo” appartiene a quello stesso campo semantico (gli orrori della Shoah) e non ritengo sia opportuno applicarlo a ambiti diversi da questo.

La polemica che si sta scatenando in questi giorni dimentica la complessità delle relazioni fra le maglie dei diversi poteri. Il dibattito dovrebbe essere inserito all’interno di un organismo discorsivo più ampio. Non si può essere d’accordo con l’una o con l’altra parte senza considerare il terreno socio-politico nelle sue complessità, un terreno devastato – non dobbiamo mai dimenticarlo – dalla modalità di produzione capitalistica. In gioco entrano una serie di fattori la cui complessità imporrebbe discussioni di ben altro livello e che riguarderebbero i tagli alla scuola e alla sanità pubblica, le speculazioni delle grandi lobby della farmaceutica, la devastazione dell’ecosistema, la commercializzazione di animali e capi di bestiame su larga scala e via di seguito. Il Capitale prosegue alla cieca, devastando tutto e rinforzandosi, un po’ come il mostro extraterrestre di Alien (1979) di Ridley Scott, un film che, tra l’altro, spiega come gli interessi di una corporation globale del futuro non siano davvero incentrati sulla salvaguardia degli esseri umani (la scelta è infatti di sacrificare l’equipaggio dell’astronave per condurre sulla Terra la creatura aliena). Invece di portare avanti un dibattito sterile, infarcito di odio a più riprese, invece di colpevolizzare ora chi è favorevole ora chi non è favorevole al vaccino ci si dovrebbe guardare intorno e considerare come tutti siamo schiavi di un sistema che, pur di produrre maggiore profitto, sarebbe disposto a uccidere milioni di vite umane. Ma questo, purtroppo, passa sempre in secondo (o terzo) piano oppure non viene nemmeno tenuto in considerazione.

Non c’è niente di nuovo sotto il sole; l’inedito assetto geo-politico scatenato dall’emergenza Covid nella nostra era digitale trae le sue origini in pratiche socio-politiche legate alla modernità. Come le forme di disciplinamento sociale messe in atto dal lockdown, dal coprifuoco, dalle autocertificazioni non hanno fatto altro che emergere da pratiche di controllo preesistenti, così la necessità del vaccino e le norme disciplinari che ne derivano (se non ti vaccini non puoi…), come il famigerato green pass, fanno parte di un sistema bio-politico preesistente, che vede le sue radici almeno nel XVIII secolo. Ecco perché avvicinare il green pass alle leggi razziali sarebbe un grave errore storico. Esso, semmai, appartiene interamente alla società di controllo di carattere moderno. Ancora una volta, è la lucidità di Foucault a trarci d’impaccio. A partire dal XVIII secolo – dice lo studioso – il volto del potere è cambiato: “Bisognava passare da un potere lacunoso e globale a un potere continuo, atomico e individualizzante: al posto dei controlli globali, di massa, bisognava poter controllare ogni individuo, nel suo corpo e nei suoi gesti” (ivi, p. 161). Si tratta di una tecnica e di una tecnologia di potere che investe gli individui anche nel corpo e nel comportamento, come una vera e propria anatomia politica:

In altri termini, il secolo XVIII ha scoperto una cosa capitale: che il potere non si esercita semplicemente sui soggetti, come presupponeva la tesi fondamentale della monarchia, secondo cui esistono il sovrano e i soggetti. Si scopre che il potere si esercita sulla popolazione. Che cosa vuol dire popolazione? Non significa soltanto un gruppo umano numeroso, ma esseri viventi attraversati, comandati e retti da leggi e processi biologici. Una popolazione ha un tasso di natalità, di mortalità, ha una curva e una piramide di età, una morbilità, uno stato di salute; una popolazione può estinguersi o, al contrario, svilupparsi (ivi, pp. 163-164).

Dal XVIII secolo, ancora oggi il potere sta affinando il suo controllo sugli individui: “Il potere deve esercitarsi sugli individui in quanto costituiscono una specie di entità biologica, che deve essere presa in considerazione se si vuole utilizzare la popolazione come macchina per produrre ricchezze, beni o altri individui” (ivi, p. 164). È quella che lo studioso francese definisce come “bio-politica” (ibid.). All’interno di questa società bio-politica, se così si può dire, “la medicina non ha più oggi un campo che le sia esterno” (M. Foucault, Crisi della medicina o crisi dell’antimedicina?, conferenza tenuta nel 1974 all’Istituto di medicina sociale dell’Università di Rio de Janeiro, ora in AF 2, p. 214). E, continua Foucault, “si potrebbe affermare a proposito della società moderna in cui ci troviamo, che noi viviamo in ‘Stati medici aperti’, in cui la medicalizzazione è senza limiti. Alcune resistenze popolari alla medicalizzazione si spiegano precisamente con questo predominio perpetuo e costante” (ibid.). Non dobbiamo, perciò, stupirci più di tanto se esiste chi si oppone al vaccino anti-Covid: tale opposizione, probabilmente, non deriva da un rifiuto della ‘salute pubblica’ e del ‘bene comune’ ma agisce – nello stesso identico modo in cui nella modernità gruppi politici o religiosi si sono opposti alla medicalizzazione – come una vera e propria reazione, appunto, alla pervasiva medicalizzazione della società.

Per concludere, si potrebbe affermare che il dibattito fra chi è favorevole al vaccino e chi non lo è andrebbe inserito in una dimensione di pensiero più ampia, che includesse la complessità delle maglie relazionali e discorsive di un’intera società, senza mai dimenticare che si tratta di una società devastata dal modo di produzione capitalistico. La sterilità che avvolge tutte le opinioni e i discorsi sciorinati sui media e sui social dai più diversi opinionisti dimostra soltanto una profonda incapacità di pensiero. Quando gli “intellettuali di sinistra” dicono che in piazza a protestare contro il vaccino ci vanno solo i fascisti non fanno altro che favorire il gioco di quegli stessi fascisti e complottisti di destra che più facilmente, allora, scenderanno in piazza. Ma se possediamo un corpo, oggi più che mai, all’interno della sua complessità, dobbiamo possedere anche una lucidità di pensiero (come scrive Gilles Deleuze, “il corpo non è mai al presente, contiene il prima, il dopo, la stanchezza e l’attesa”, C 2, p. 210): dobbiamo essere più che mai corpi pensanti contro le svariate maglie di poteri che, sempre di più, proprio sui nostri corpi vanno infierendo con ogni mezzo.


Riferimenti bibliografici:

AF 2 = M. Foucault, Il filosofo militante. Archivio Foucault 2. Interventi, colloqui, interviste. 1971-1977, Feltrinelli, Milano, 2017.

AF 3 = M. Foucault, Estetica dell’esistenza, etica, politica. Archivio Foucault 3. Interventi, colloqui, interviste. 1978-1985, Feltrinelli, Milano, 2020.

C 2 = G. Deleuze, L’immagine-tempo. Cinema 2, Ubulibri, Milano, 1989.

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