venerdì 9 ottobre 2020

Quanto pesa un foglio di giornale? - Ascanio Celestini


Alcuni articoli di giornale restano nella memoria. Certe volte si tratta di titoli importanti che muovono le masse come per la fine della guerra, la vittoria dei mondiali. Altre volte sono testi che ritroviamo sui libri di scuola o dobbiamo commentare come l’articolo su Gino Bartali all’esame di maturità pochi anni fa. Certe volte accendono polemiche a distanza di decenni come “Il Pci ai giovani” di Pier Paolo Pasolini sugli scontri di Valle Giulia.

Capita che certe parole colpiscano la nostra immaginazione, la nostra intelligenza, i nostri sentimenti, solo i nostri. Quei ritagli di giornale ci accompagnano ripiegati in un libro, tra i fogli sulla nostra scrivania. Ogni tanto li rileggiamo, certe volte con inquietudine, per guardarci intorno, per capire quale strada stiamo imboccando.

Un articolo del genere per me fu l’intervista a Francesco Cossiga nella quale dava istruzioni per alzare i toni dello scontro nelle piazze. E lo diceva rivendicando questa scelta come una che aveva già fatto lui da ministro ai tempi d’oro della strategia della tensione. Parlava degli studenti e sosteneva chiaramente che «…le forze dell’ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano». Diceva che «il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri».

Da metà luglio penso sempre più spesso a un articolo uscito sul Corriere della Sera e firmato Ernesto Galli della Loggia. “L’assassinio di Giulio Regeni chiama in causa tutti noi”, questo è il titolo. Può suonare come un’incitazione a cercare la verità e la giustizia sulla sua morte. E invece no. La verità è assodata e scrive chiaramente «che Giulio Regeni fosse stato trucidato dagli sgherri dei servizi segreti del governo egiziano è stato chiaro fin dall’inizio». D’altra parte, scrive, l’Egitto è «uno stato ferocemente dittatoriale». E allora? Chiediamo giustizia per il sequestro, la tortura e l’assassinio di Giulio? No. Perché «la partita con il Cairo» è «una partita disperata». Noi italiani «contiamo troppo poco perché il governo egiziano si senta spinto ad acconsentire alle nostre richieste di giustizia». «Abbiamo bisogno del ben volere di Al Sisi perché l’Eni» … possa continuare a fare affari con il suo paese. Dunque? Per il nostro giornalista l’unica possibilità è «intitolare a suo nome una via o una piazza in tutti i comuni della penisola». Punto. Nient’altro.

È una dichiarazione sconfortante. Penso a quelle parole mentre leggo dell’arresto di Basma Mostafa.

E mi passa velocemente per la testa la vicenda di Patrick Zaky, ma anche la strana morte di Mario Paciolla. Penso alla condanna che un giornalista può scrivere su un giornale importante promettendo in cambio di intitolargli una piazza o una strada. Siamo davvero diventati così disumani? Con quale faccia andremo a scoprire la lapide che attaccheremo con il loro nome inciso sopra? E con quella stessa faccia andremo a portargli fiori? Gli intitoleremo anche un’aula all’università? Una scuola in periferia?

“Quanto pesa una lacrima? – si chiedeva Gianni Rodari – La lacrima di un bambino capriccioso pesa meno del vento, quella di un bambino affamato pesa più di tutta la terra”. E io mi chiedo quanto pesi un foglio di giornale…

da qui


Nessun commento:

Posta un commento