mercoledì 21 ottobre 2020

schwa, questa vocale sconosciuta

 Cos’è lo schwa, e come si pronuncia

Cioè "ə", il simbolo citato sempre più spesso nel dibattito per una lingua italiana più inclusiva

 

Nel dibattito in corso da alcuni anni su come rendere l’italiano una lingua più inclusiva e meno legata al predominio del genere maschile – di cui si è parlato anche sui giornali, di recente – una delle soluzioni più citate riguarda l’utilizzo del simbolo ə, chiamato schwa, al posto della desinenza maschile per definire un gruppo misto di persone, come attualmente si insegna a scuola.

Lo schwa non è un simbolo molto familiare per chi parla e scrive una lingua europea – non c’è un modo per digitarlo facilmente sulle tastiere di pc e smartphone, per esempio – ma viene utilizzato da decenni dai linguisti e si trova anche nell’alfabeto fonetico internazionale, cioè il sistema riconosciuto a livello internazionale per definire la corretta pronuncia delle migliaia di lingue scritte che esistono nel mondo.





(lo schema delle vocali nell’alfabeto fonetico internazionale, in un grafico tratto dal sito Italiano inclusivo)


Nel sistema fonetico lo schwa identifica una vocale intermedia, il cui suono cioè si pone esattamente a metà strada fra le vocali esistenti. Si pronuncia tenendo rilassate tutte le componenti della bocca, senza deformarla in alcun modo e aprendola leggermente: qui potete ascoltare il suono che avevano in mente i compilatori dell’alfabeto fonetico internazionale.

È un suono assai presente nell’inglese moderno in varie forme – dalla “a” di about, “a proposito”, fino alla “u” di survive, sopravvivere – ma anche in alcuni dialetti italiani: pensate per esempio alla vocale indistinta che i napoletani usano per l’imprecazione mamm’t, e che nell’italiano scritto non riusciamo a codificare in un simbolo preciso, oppure alla vocale finale nei dialetti del Centro Italia, in cui “sempre” diventa semprə, “bello” bellə, e così via.

Introdurre un nuovo suono nell’italiano parlato sembra comunque piuttosto complicato: sia per le abitudini molto radicate dei parlanti, sia perché l’italiano è una lingua piena di eccezioni e varianti. Sembra più praticabile introdurla nella lingua scritta, il contesto da dove proviene il concetto stesso di schwa.

Il termine schwa è attestato per la prima volta nell’ebraico medievale parlato da un gruppo di eruditi attorno al decimo secolo dopo Cristo. La sua etimologia non è chiara: alcuni ritengono che sia un lontano parente della parola ebraica shav, “niente”, altri che c’entri col significato di “pari”, “uguale”. Sappiamo però che a un certo punto la parola schwa fu utilizzata per definire i due puntini che nell’ebraico biblico, posti sotto una consonante, indicano una vocale brevissima o l’assenza di una vocale.

Secoli più tardi, nel 1821, il linguista tedesco Johann Andreas Schmeller stava compilando una grammatica del tedesco bavarese e aveva bisogno di un simbolo che indicasse una vocale molto breve, che evidentemente percepiva come vicino allo schwa ebraico. Così inventò un simbolo dell’alfabeto latino che potesse rappresentarlo, cioè ə. Alcuni anni più tardi l’esperto di fonetica Alexander John Ellis utilizzò lo stesso simbolo per definire una vocale indistinta presente nella lingua inglese, e da lì lo schwa arrivò fino all’alfabeto fonetico internazionale, compilato alla fine dell’Ottocento.

In passato lo schwa è stato già usato come convenzione grafica: alla fine dell’Ottocento il celebre linguista svizzero Ferdinand de Saussure teorizzò che l’indoeuropeo – cioè il ricettacolo di suoni associati a idee da cui deriva la maggior parte delle lingue parlate oggi in Europa, oltre all’indiano e al farsi – avesse un’unica vocale indistinta e pronunciata con la gola “strozzata” che identificò con lo schwa, da cui ogni lingua avrebbe sviluppato in maniera autonoma le vocali che conosciamo oggi.

Secondo Saussure la presenza della vocale indistinta era il motivo per cui, per esempio, da una radice *pəter derivano il latino pater (poi “padre” in italiano) e piter in sanscrito, l’antichissima lingua sacra parlata in India già nel primo millennio a.C. Nei decenni successivi l’intuizione di Saussure si è evoluta nella cosiddetta teoria delle laringali – dalla parte della gola che si pensa coinvolta nella produzione delle vocali primitive – di cui ancora oggi si discute fra gli storici dell’indoeuropeo.

La ragione per cui chi promuove un utilizzo più inclusivo in italiano propone di utilizzare lo schwa prende spunto sia dall’uso che se ne fa oggi, nell’ambito dell’alfabeto fonetico internazionale, sia nel suo passato da convenzione grafica (oggi per definire le laringali gli studiosi preferiscono utilizzare il simbolo h). C’è un’altra ragione, più intuitiva: come ha scritto Luca Boschetto, un attivista fra i primi a suggerire l’utilizzo dello schwa nell’italiano scritto, lo schwa «graficamente assomiglia ad una forma intermedia tra una “a” e una “o”», cioè le due vocali con cui in italiano identifichiamo con maggiore frequenza il genere femminile e quello maschile.

La linguista Vera Gheno, che da tempo sostiene la necessità di trovare soluzioni alternative per evitare il predominio del maschile come ad esempio l’asterisco, di recente ha scritto di avere una «preferenza» per lo schwa perché «rappresenta la vocale media per eccellenza» e «il vantaggio è che, al contrario di altri simboli non alfabetici, ha un suono – e un suono davvero medio, non come la U che in alcuni dialetti denota un maschile».

Per utilizzare lo schwa nelle tastiere più comuni, qui ci sono le indicazioni da seguire: sui sistemi Windows è più facile, mentre su Mac se volete evitare passaggi troppo complicati potete accontentarvi del simbolo matematico ∂, che si scrive cliccando option + caps lock + d. Ma la cosa più semplice è comunque copiarlo e incollarlo, ad esempio da qui: ə.

da qui

 

 

Quindi come si pronuncia lo schwa? – Alice Orrù

Se a leggerlo sembra strano, o un errore di battitura, a voce è molto più semplice: lo schwa è il suono vocalico più diffuso in inglese, ma lo usiamo già anche in diversi dialetti italiani.

Il napoletano, il piemontese, il pavese, alcuni dialetti emiliani e del sud Italia fanno da secoli uso dello schwa.

Con questo video puoi imparare a pronunciarlo in meno di 5 minuti:



Come e perché usare lo schwa nell’italiano inclusivo

Ok, le premesse linguistiche ci sono ma, visto che lo schwa non esiste nel nostro alfabeto, perché e come usarlo in italiano?

Tempo fa ho trovato la risposta nella proposta di Italiano Inclusivo, ideata da Luca Boschetto. Questo sito e le risorse che si trovano al suo interno mi hanno aiutata ad approfondire i motivi per cui lo schwa potrebbe essere una buona soluzione per un italiano inclusivo.

L’insita discriminazione di una lingua flessiva

L’italiano è una lingua flessiva: declina per genere i pronomi, gli articoli, i sostantivi, gli aggettivi e i participi passati.
Questo significa che parlare in modo neutro rispetto al genere della persona oggetto del discorso è molto difficile.

E infatti, nel nostro italiano primeggia il ricorso al maschile sovraesteso, quello su cui ripieghiamo ogni volta che ci riferiamo a una moltitudine mista.

Un esempio banale della facilità con cui passiamo al maschile sovraesteso?
La mia classe di yoga.
La partecipazione è, nove volte su dieci, completamente al femminile e l’istruttrice coniuga le sue istruzioni di conseguenza: ci chiama ragazze, ci complimenta con un bravissime.
Una volta su dieci, però, partecipa alla lezione anche un uomo. Un solo uomo in una classe di 15 donne. In quelle occasioni, la nostra istruttrice coniuga la lezione completamente al maschile: ci chiama ragazzi e ci dice che siamo bravissimi.

Questo passaggio linguistico nasconde in un attimo un intero collettivo femminile per la sola presenza di un individuo di sesso maschile. Una cosa di poco conto, forse, in un contesto informale come una classe di yoga.

Qual è invece il suo impatto quando si parla a una collettività?
Penso alla scuola, ai gruppi di lavoro in azienda o ai discorsi alla cittadinanza.

La lingua che usiamo quotidianamente è il mezzo più potente e pervasivo per trasmettere la nostra visione del mondo. Nel nostro uso della lingua italiana, lo spazio dato al maschile è ancora troppo ampio e in qualche modo corrobora il principio della marginalità della donna nella nostra società.

Se ne parlava già negli anni ’80, quando la saggista e linguista Alma Sabatini scrisse Il Sessismo nella lingua italiana.
Era il 1986, e la Commissione Nazionale per la parità e le pari opportunità tra donna e uomo le affidò la cura delle linee guida rivolte alle scuole e all’editoria scolastica per proporre l’eliminazione degli stereotipi di genere dal linguaggio.
Alma Sabatini si concentra sull’uso del maschile sovraesteso ma anche sulle lacune dei termini istituzionali e di potere mai declinati al femminile.

 

Non vi sono dubbi sull’importanza della lingua nella «costruzione sociale della realtà»: attraverso di essa si assimilano molte delle regole sociali indispensabili alla nostra sopravvivenza, attraverso i suoi simboli, i suoi filtri si apprende a vedere il mondo, gli altri, noi stesse/i e a valutarli.

Alma Sabatini, Il sessismo nella lingua italiana, Roma, 1986

 

C’è quindi bisogno di avanzare con un intervento più radicale per oltrepassare la natura flessiva della lingua italiana.

Finora sono state adottate diverse soluzioni per flessibilizzare l’italiano in modo che sia più inclusivo verso le moltitudini miste: asterischi *, chiocciole @, la duplicazione (care tutte e cari tutti), uso della u o della y, e tantissime altre.
Vera Gheno le ha censite qualche mese fa in questo prezioso post su Facebook.

Lo schwa rientra fra queste soluzioni e la sua introduzione nella grammatica italiana potrebbe porre meno ostacoli ad altri simboli non leggibili né flessibili, come asterischi e chiocchiole.

Uso pratico dello schwa in italiano

In questo contesto, lo schwa /ə/ diventa una vocale vera e propria che sostituisce le desinenze di nomi e aggettivi al singolare (-a/-o):

⎪Carə amicə miə, guarda che bello schwa!

Lo schwa lungo /3/, invece, è la vocale centrale semiaperta non arrotondata che può sostituire la desinenza al plurale.

⎪Spero che tutt3 quell3 che leggeranno questo post, mi vorranno poi dire cosa ne pensano!

Casi particolari

L’italiano è una lingua grammaticalmente complessa, e le sue irregolarità possono complicare l’introduzione dello schwa.

Luca Boschetti, nel sito italianoinclusivo.it, formula una proposta interessante per superare gli ostacoli dati dalle irregolarità nella formazione di sostantivi, aggettivi e articoli.

1. L’articolo determinativo

In italiano, l’attribuzione di genere ai sostantivi parte prima di tutto dall’articolo. Quello determinativo potrebbe rappresentare un bello scoglio da circumnavigare.
Come introdurre lo schwa nella declinazione il – lo – la – il – gli – le?

Boschetti ricorda che, nell’italiano arcaico, l’articolo maschile singolare era lo; l’attuale il è una sua derivazione posteriore.

Al singolare, quindi, l’introduzione dello schwa trasformerebbe l’articolo determinativo singolare nella formula unica inclusiva lə.

Seguendo la stessa logica, l’articolo determinativo plurale (i/gli/le) può diventare l3.

2. Parole ambigeneri che iniziano per vocale

Le parole ambigenere (chiamate anche epicene) sono quelle che non cambiano forma con la declinazione di genere: mi vengono in mente artistacantantedipendente.

Cosa succede con le parole ambigenere che iniziano per vocale, come artista?
Ora abbiamo un artista per il maschile e un’artista per il femminile.
Finora abbiamo usato l’apostrofo per indicare l’elisione della a nella forma femminile.

Per questi casi, Boschetti propone di sostituire l’apostrofo con l’asterisco: un*artista.
Nel parlato, non ci sarebbe nessuna differenza.

3. Sostantivi irregolari

Altro caso che mette in luce la complessità della nostra lingua è la forma irregolare per alcuni sostantivi.

Direttore e direttrice, professore e professoressa, pittore e pittrice, poeta e poetessa, lettore e lettrice.

In questi casi, potremmo mantenere la radice della parola e aggiungere la desinenza inclusiva: direttorə, professorə, pittorə, poetə, lettorə.

Ecco un riepilogo che schematizza tutti i casi, regolari e particolari.



Come usare lo schwa: un riepilogo (Fonte: italianoinclusivo.it)

Una lingua che accompagna una società in evoluzione

Amo lo schwa perché credo nel suo potere di far cadere la barriera linguistica di genere, rappresentando anche le persone che non si riconoscono in un genere binario (e sono tante, più di quante crediamo).

Una società che cambia e si evolve ha bisogno di una lingua che le vada dietro. Possiamo contribuire a farlo con una vocale in più.

Sono una gran fan dell’adagio “un passo alla volta”.
Postilla finale: Naturalmente non sarà uno schwa a salvare, da solo, l’inclusività del linguaggio. Sono tante altre le misure che ancora dobbiamo abbracciare per raffigurare le diversità della nostra società e migliorare la rappresentanza di genere.
Anche con i fatti, non solo con le parole.
Ma ecco, ricordiamo che rendere più inclusiva la nostra lingua non toglie alcuna energia alle altre importanti questioni che girano intorno alla parità di genere.

da qui


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