sabato 10 ottobre 2020

La sobrietà e la decrescita - don Achille Rossi

Un stile di vita al capolinea

Assurdistan. Con questa battuta feroce lvan lllich aveva bollato il mondo attuale, caratterizzato da un modo di vivere e di produrre davvero irragionevole. Non si può continuare a produrre sempre di più, sempre più velocemente, cose sempre più inutili. Il pianeta non ce la fa a reggere questo ritmo e lo sta dimostrando in maniera sempre più evidente. Il sistema dominante e arrivato al capolinea. come risulta dall’intrecciarsi della crisi ecologica. di quella energetica e di quella finanziaria. Nel 2007 l’lPCC, un istituto dell’Onu per lo studio dei cambiamenti climatici, ha prodotto un documento inquietante che sanciva un aumento di particelle di anidride carbonica in atmosfera da 280 a 380 per milione. La conseguenza di questo inquinamento è il riscaldamento globale del pianeta e la rottura di un equilibrio di cui nessuno riesce a valutare le conseguenze.

La crisi energetica può essere descritta con questo dato offerto dal presidente di un’industria petrolifera americana, la Chevron Corporation: c’erano nel mondo 3 trilioni di barili di petrolio. Il primo l’abbiamo consumato in 125 anni di civiltà industriale, nei prossimi trent’anni esauriremo il secondo, il terzo probabilmente non faremo in tempo a consumarlo.

Sulla crisi finanziaria non c’è bisogno di dilungarsi perché ne abbiamo un’esperienza quotidiana. Basta ricordare che le nostre società vivono sul debito e che per ogni dollaro reale in circolazione ce ne sono 40 fittizi [cioè stampati dagli USA senza controvalore], come un gioco del Monopoli ma con effetti reali, pagati naturalmente dagli strati meno abbienti della popolazione.

Insomma, questa ideologia dello sviluppo ad ogni costo ci conduce allo sfacelo. Il mondo è un sistema limitato e ci vorrebbero altri tre pianeti come la terra per universalizzare il nostro stile di vita. invitare alla crescita indiscriminata e all’aumento dei consumi su scala globale, come fa la Banca Mondiale [a tutti i popoli se vogliono avere dei prestiti], che auspica una crescita complessiva del 2% fino al 2030, è pura follia. Se non abbiamo perso del tutto la capacità di ragionare dobbiamo iniziare a programmare una decrescita conviviale.

 

Una nuova visione del mondo

Intendiamoci: la crescita non è [da sola] una nuova teoria economica, ma la constatazione che non possiamo continuare sulla scia che abbiamo imboccato. Dovremmo deciderci per un progetto politico che consiste nella costruzione, sia al Nord che al Sud. di società conviviali autonome ed ecologiche.

La prima condizione per mettere le gambe a un simile progetto è quella di immaginare il mondo in un altro modo. ll nostro immaginario è talmente colonizzato dalla società dei consumi che scambiamo per realtà il funzionamento del sistema. Il primo compito che si impone. perciò. A chiunque voglia progettare un cambiamento è quello di demitizzare la cultura dominante che privilegia l’interesse privato. Che identifica la libertà con la libertà di mercato. che fa dipendere il valore delle merci dal desiderio del compratore, che considera le leggi del mercato come naturali.

In questo lavoro critico è essenziale sostituire gli assiomi del pensiero dominante: che tutto si può vendere e comprare. che si lavora per arricchire, che si compete per vincere, che i più forti devono gestire la società, con principi derivanti da un’altra logica. Una simile decostruzione potrebbe mostrare che le realtà umane fondamentali. come la vita. l’amore. la fede. la conoscenza. Non hanno prezzo e non entrano nel mercato; che il compito più alto è umanizzare: che tutti hanno il diritto di esistere e non solo i più competitivi: che la gestione della polis è affare di tutti e non solo dei più potenti.

Perché le affermazioni che abbiamo appena espresso non rimangano circoscritte nel cielo dell’utopia occorre un’intuizione più profonda nel tessuto della realtà. Ne è cosciente anche Latouche, che, al termine del suo libro, invoca un cambiamento simile a “una conversione religiosa”. Il cambiamento richiesto dal programma di decrescita è così radicale che può essere sostenuto solo da una nuova visione del mondo, che potrebbe essere formulata con questa triplice espressione: occorre aprirsi al Divino, coltivare l’umano.

Coltivare la dimensione cosmica

Senza l’esperienza che l’uomo è l’essere della trascendenza rivolto a un orizzonte infinito è quasi impossibile divincolarsi dalle spire del sistema. Al1o stesso modo, senza un recupero forte delle relazioni non si può uscire da quell’individualismo distruttore, camuffato da senso della libertà, che fa precipitare la nostra civiltà nella vertigine del Solo. E’ all’interno delle relazioni che si duna la luce che sostiene l’umanità dell’uomo. In un tempo di distruzione selvaggia della natura, saccheggiata in ossequio alle leggi del mercato e manipolata da una razionalità strumentale, è fondamentale coltivare un rapporto mite con le cose e fare pace con la terra. Altrimenti, oggettivando tutto, finiamo per diventare noi stessi oggetto.

Questa specie di rivoluzione copernicana a livello di visione del mondo conduce, sul piano personale, a sviluppare un atteggiamento contemplativo che sa scorgere la profondità di ogni gesto c spinge a uno stile di vita che punti alla qualità più che alla quantità.

ln termini concreti. il programma di decrescita stimola a ripensare la produzione e il consumo. Si tratta di orientare la produzione verso le necessità collettive più che verso i bisogni individuali. ln realtà. la società dei consumi fa l’esatto contrario e soprattutto con una propaganda seducente e pervasiva crea bisogni fittizi che l’industria s’impegna poi a soddisfare. Occorre un riorientamento della produzione verso le attività sociali e di interesse pubblico. come l’edilizia ospedaliera e scolastica, la salvaguardia del territorio, i trasporti pubblici. le energie alternative. E’ incredibile che ad ogni cambiamento di stagione dobbiamo assistere a tragedie ambientali che potevano essere prevenute con una reale politica del territorio.

Infine, è urgente una rilocalizzazione dell’economia. che vada in senso opposto alla globalizzazione, che sostenga la produzione locale e i piccoli produttori, che riattivi le casse di risparmio locali per evitare che il credito vada a finire nelle mani dei grandi trust bancari. che sovente finanziano operazioni illecite. dato che sono le più lucrose.

Insomma, la narrazione capitalistica è arrivata al capolinea perché i disastri che ha provocato sono irreparabili all’interno della sua logica, ma non ha ancora preso corpo una narrazione alternativa, che si costruisce con nuove pratiche a livello locale, lottando contro il consumo di territorio, per una diversa viabilità, per una nuova politica dei rifiuti, dell’energia, dell’acqua, dell’educazione. La decrescita è un immenso cantiere dove ogni cittadino può offrire il suo contributo, a partire da se stesso, come ricorda il motto di Gandhi:

«Siate nella vostra vita quel cambiamento che vorreste veder realizzato nella società».

da qui

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