lunedì 5 ottobre 2020

Diritto all’istruzione e principio di non discriminazione dei disabili: l’Italia ha molto da imparare dall’Europa - Valeria Longobardi


Una recente sentenza della CEDU, la cui pubblicazione è di poco preceduta da due sentenze del Consiglio di Stato sullo stesso tema, interviene sul tema della integrazione scolastica degli studenti disabili. Le tre sentenze menzionate hanno in vario modo ribadito: che il principio che l’integrazione dei disabili è un dovere dello Stato suscettibile di imporsi anche sulle necessità di bilancio; che l’inclusione di alunni disabili è necessaria anche ai non disabili, essendo parte delle finalità della scuola l’esperienza della diversità sociale; che l’Italia non può tagliare risorse per i soli alunni disabili e che, se proprio è costretta a farlo, deve tagliare in maniera proporzionale per tutti; che l’educazione inclusiva è in linea di massima la migliore scelta, e che essa non si limita alla minore età; e che gli insegnanti di sostegno devono essere assistiti da coadiutori. Se ne dà notizia in questo articolo, richiamando l’attenzione su un tema che in tempi di COVID, se non adeguatamente considerato dal MIUR e dalle amministrazioni scolastiche, rischia di trasformarsi in una “emergenza nell’emergenza”.


In tutti i tribunali si dovrebbe riscrivere la massima: “La Legge è uguale e giusta per tutti”. Che non sia sempre uguale lo testimoniano i tanti procedimenti giudiziari in corso nel nostro Paese, portati avanti a suono di legittime interpretazioni, necessarie a dipanare il nostro elefantiaco corpus di leggi. Che poi la legge non sia giusta per tutti lo attestano tre recenti sentenze, due del Consiglio di Stato, rispettivamente del 24 luglio 2020 e del 15 luglio 2020 ed una della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 10 settembre 2020, che hanno censurato l’operato del MIUR e dello Stato italiano in materia di alunni disabili.

Questo articolo si rende necessario perché non si è dato risalto a tali sentenze né a mezzo stampa né nella comunità scolastica e perché solo la consapevolezza e la condivisione di una visione d’insieme sul tema che si sta per affrontare è in grado di rimuovere fenomeni distorsivi che ledono, in alcuni casi irrimediabilmente, i diritti fondamentali dei disabili, partendo dal riconoscere che l’architettura costituzionale integra indissolubilmente il diritto all’istruzione e quello all’integrazione scolastica.

Le tre sentenze menzionate hanno in vario modo ribadito: che il principio che l’integrazione dei disabili è un dovere dello Stato suscettibile di imporsi anche sulle necessità di bilancio; che l’inclusione di alunni disabili è necessaria anche ai non disabili, essendo parte delle finalità della scuola l’esperienza della diversità sociale; che l’Italia non può tagliare risorse per i soli alunni disabili e che, se proprio è costretta a farlo, deve tagliare in maniera proporzionale per tutti; che l’educazione inclusiva è in linea di massima la migliore scelta, e che essa non si limita alla minore età; e che gli insegnanti di sostegno devono essere assistiti da coadiutori.

La sentenza della CEDU muove dal caso di una bambina autistica di Eboli impossibilitata a beneficiare, durante i suoi primi due anni di scuola primaria, di tutoraggio specializzato da parte di un insegnante di sostegno; assistenza, tra l’altro, espressamente prevista, per quel che concerne il diritto domestico, dall’art. 13 della L. n. 104/1992. Sotto il profilo normativo, infatti, il diritto all’istruzione dei disabili è oggetto di specifica tutela da parte sia dell’ordinamento internazionale che di quello italiano. Per quanto attiene alla normativa internazionale, rileva la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006, entrata in vigore sul piano internazionale il 3 maggio 2008 e ratificata e resa esecutiva dall’Italia con legge 3 marzo 2009, n. 18, il cui art. 24 stabilisce che gli Stati Parti “riconoscono il diritto delle persone con disabilità all’istruzione”. Diritto, specifica la Convenzione, che deve essere garantito, anche attraverso la predisposizione di accomodamenti ragionevoli, al fine di “andare incontro alle esigenze individuali” del disabile (art. 24, par. 2, lett. c).

Quanto all’ordinamento italiano, in attuazione dell’art. 38, terzo comma, Cost., il diritto all’istruzione dei disabili e il loro diritto a essere pienamente integrati nella Scuola sono riconosciuti in particolare dalla legge 5 febbraio 1992, n. 104 in tema di assistenza ai disabili, loro integrazione sociale e tutela dei loro diritti. L’ordinamento giuridico italiano garantisce il diritto all’istruzione dei bambini con disabilità sotto forma di “educazione inclusiva” nelle scuole ordinarie. In Italia – osserva la Corte di Strasburgo nella sentenza in questione – i bambini con disabilità devono essere integrati nelle classi ordinarie della scuola pubblica per tutta la durata della scuola dell’obbligo. Lo Stato ha creato, quantomeno formalmente, servizi psico-pedagogici che devono assicurare la presenza in queste classi di un insegnante cosiddetto di “sostegno” che coordina l’azione degli assistenti e che collabora con il docente responsabile della classe. Nel caso in cui la situazione dello studente lo richieda, sono previste, sempre ex lege, altre figure professionali come gli assistenti all’autonomia e assistenti alla comunicazione la cui missione è “eliminare le barriere percettive e sensoriali” e gli assistenti educativi che accompagnano lo studente al fine di promuovere l’autonomia e la socializzazione (art. 13, L.n. 104/1992).

Nella vicenda esaminata dalla CEDU lo Stato italiano ha fondato la sua tesi difensiva sulla mancanza di risorse finanziarie da destinare al sostegno educativo e sulle restrizioni di bilancio previste dalla Legge Finanziaria 2011 (legge n. 220 del 13 dicembre 2010). La Corte ha, tuttavia, condannato l’Italia, ritenendo in fatto ed in diritto, che la bambina non fosse in grado di continuare a frequentare la scuola primaria in condizioni equivalenti a quelle di cui godevano gli alunni non disabili, e che questa differenza di trattamento, questa discriminazione, fosse dovuta alla sua disabilità.

Quando una restrizione dei diritti fondamentali, quale quello all’istruzione, ci ricorda la Corte europea, si applica a una categoria particolarmente vulnerabile che ha subito storicamente una discriminazione significativa, il margine di apprezzamento a disposizione dello Stato deve notevolmente restringersi. La bambina avrebbe dovuto ricevere un’assistenza specializzata volta a promuovere la sua autonomia e comunicazione personale e migliorare il suo apprendimento, la vita sociale e l’integrazione scolastica, per evitare il rischio di emarginazione. La Corte ha ritenuto che la discriminazione subita dalla ricorrente sia stata tanto più grave poiché si è verificata nel contesto dell’istruzione primaria che fornisce la base per l’istruzione e l’integrazione sociale e le prime esperienze di convivenza. Lo Stato italiano ha dunque violato l’art. 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (divieto di discriminazione) in combinato disposto con l’art.2 del Protocollo n. 1 (diritto all’istruzione) e pertanto è stato condannato a pagare, a favore della ricorrente, 2.520 euro per danni patrimoniali (i costi sostenuti dai genitori della bambina per consentire alla figlia di beneficiare di assistenza specializzata privata durante l’anno scolastico 2011/2012), 10.000 euro a titolo di danni non patrimoniali e 4.175 euro per costi e spese sostenuti dalla ricorrente nel contesto dei procedimenti nazionali, corrispondenti alle tasse pagate ai fini del procedimento dinanzi ai tribunali amministrativi che avevano respinto le sue rivendicazioni.

La sentenza del Consiglio di Stato del 15 luglio 2020 riguarda il caso di uno studente disabile pugliese che non era stato ammesso ad iscriversi alla scuola superiore perché ormai maggiorenne. Nonostante spesso lo studente disabile ritardi gli studi proprio per la disabilità, al ricorrente era stato indicato di iscriversi a una scuola serale. Sulla base delle medesime fonti internazionali richiamate dalla Corte di Strasburgo, i giudici amministrativi fanno proprio il principio per cui l’integrazione dei disabili è necessaria ai non disabili, essendo parte delle finalità della scuola l’esperienza della diversità sociale, annullando la circolare MIUR. n. 14017 del 21/12/2015 per contrasto con diritti fondamentali della persona come quello all’istruzione e quello alla integrazione scolastica. Insomma, il diritto all’istruzione dei disabili, di cui il diritto all’integrazione scolastica costituisce parte integrante, è connesso allo sviluppo della personalità per il legame sussistente tra il principio di solidarietà (articolo 2 Cost.) ed il diritto all’istruzione (articolo 34 Cost.). Tali diritti hanno avuto pieno riconoscimento nell’art. 26 della Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea, nell’art. 2 del Primo Protocollo della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, nell’art. 15 della Carta Sociale Europea, nella Convenzione di New York del 13 dicembre 2006 sui diritti delle persone disabili. Consegue l’illegittimità di un provvedimento di esclusione dalla I classe della scuola superiore di un disabile ultradiciottenne.

La seconda sentenza del Consiglio di Stato del 24 luglio 2020, nel ribadire “che il diritto all’istruzione del minore disabile è un diritto fondamentale da rispettare con rigore ed effettività e che la mancata fruizione della piena assegnazione delle ore di sostegno si traduce nell’impossibilità di godere del supporto necessario a garantire la soddisfazione piena dei di lui bisogni di sviluppo, istruzione e partecipazione alla vita collettiva, onde la lesione della correlativa situazione soggettiva di vantaggio, di rango costituzionale, dà luogo al diritto al risarcimento del danno esistenziale ex articolo 2059 c.c.”, condanna il MIUR a risarcire in via equitativa 3000 euro a un alunno disabile al quale era stato attribuito un numero di ore di sostegno giudicato insufficiente a coprire i propri bisogni di assistenza durante l’anno scolastico.

Se lo spirito della legge deve essere quello di tutelare i più deboli, allora stiamo procedendo nella giusta direzione grazie alla determinazione di genitori che lottano con coraggio per rivendicare diritti negati, spesso dallo stesso Stato, ai propri figli e grazie alle tante associazioni di volontariato che rappresentano, in tante realtà, gli unici riferimenti per le famiglie. Come evidenziato più volte dal Comitato ONU sui diritti delle persone con disabilità, la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità non risulta ancora pienamente attuata nel nostro Paese; per questo la decisione della CEDU assume un valore ancora più rilevante dal momento che, in tempi di pandemia, la condizione dei disabili diventa un’emergenza nell’emergenza.

da qui

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