sabato 3 ottobre 2020

Una poesia di Luigi di Ruscio

1.

 

per quaranta anni non ho fatto che guardare anche quando dormivo
in compenso ho preferito non essere guardato neppure da sveglio
e se li incontravo continuavo a camminare come se non esistessero o io non esistessi
quello che guardo non viene affatto cambiato dalla mia guardata
in compenso sono io a cambiare per cambiare un punto di vista
se fossi in parte simile a quello che guardo non sarebbe un guardare ma un riconoscere
infatti guardo anche i miei sogni senza riconoscermi
non potendo un altro mettere i piedi dove io li ho messi
posso considerarmi un punto di vista unico e mi scontro con altri punti di vista unici
quando la vidi nuda non mi riconobbi ma cercai di ingravidarla
ed è avvenuto che si lasciasse ingravidare e non ci riconoscemmo
in compenso ci siamo incontrati e poi lavati
prendere una parola non soggetta volta ad un altro sospesa fino a che rimarrà
un punto di nono possibile arrivo dove tendono ad arrivare
un tiro a segno che fa colpire tutto meno quel segno
per colpire il tasto giusto toccare la maggior parte dei tasti
mettere i versi in un ordine che mi è ancora ignoto
versi che devono aprirmi altri versi sino alla consumazione di tutta la carta
esce dalla vagina a testa in giù in un precipitare
ad immagine del primo precipitato e riscattato per mezzo della croce magnifica
la rivoluzione perché estremamente felici con la speranza in astratta fede
produrre instancabilmente oggetti non mi interessa affatto
sapere a che serviranno
il chiarore è sulle carte
entra da una finestra passa perfettamente ad oriente
mentre la macchina da scrivere è rivolta
al polo ai puri freddi
(e travolto mi alzo da questo zero
e da questo zero scrivo)

 
2.
 

Cane molto pericoloso perché aveva un padrone molto pericoloso canino
un cane che abbaia contro tutto il mondo perché aveva un padrone
che riusciva ad amare solo il mondo che riusciva a mangiarsi
il cane che odiava il mondo intero
e del mondo intero che odiava riusciva a vedere poca cosa ma ne sentiva la puzza
il cane doveva essere proprio un assassino una macchina disperata pensavo
decisi di arrampicarmi sul muro per vedere quella macchina disperata canina
dei padroni conosciamo alla perfezione tutti i loro cani
una forconata in gola ti meriti tu che vedi il mondo
attraverso gli occhi del tuo padrone stronzo canino
un cane pieno di peli perdeva i peli molti erano i peli del cane
il cane morì perché era fuggito di casa
era andato nel mondo che odiava così canino come era
è inutile fuggire nel mondo nemico costruito dai padroni
il mondo era una tristezza in quei giorni murati canini
vedeva il mondo con gli occhi dei padroni del mondo
e non è strano affatto che il mondo fosse così canino e disperato
e dei padroni conoscevamo alla perfezione solo i loro cani
dei padroni conosciamo alla perfezione solo i denti dei loro cani
dei peccati del mio cane io sono innocente disse il padrone
il cane potrebbe dire che è innocente dei peccati dei padroni
il colpevole sarà quello che si farà mordere dal cane
non sarà facile oer i morsi da tutti i cani
diventare innocenti

 
3.
 

(In tristitia hilaris, in hilaritate tristis)
essendo abituato a vedere il nascere e perire delle cose
insomma essendo abituato al poetare io spedisco
e volo verso le americhe latine da poco papalmente benedette
con la santità di tutti i principi agrari
dove hanno ben imparato ad assetare gli assetati
ad affamare sempre di più gli affamati
sotterrare i vivi e sfossare i morti
scatenare i fascisti ammazzare i giusti incoronare gli assassini
e se in queste cose dovesse cercarsi una razionalità
è che i giusti devono scendere nel più profondo inferno benedetto
perché i giusti per essere tali devono resistere al più profondo degli inferni
e sarà possibile credere anche alla bontà del santissimo piccolo-grande padre
basta che ci spieghi perché va in giro con vestiti così stronzi
e perché si mette cappelli così stronzi
faticosamente costruiti dai cappellai papali
è necessario capire le piccolissime cose
perché si chiarisca un piccolo lembo del mondo grande atroce
e quanto ti amerei (mi dice) se ti facessi la barba tutti i giorni
e se tu riuscissi a metterti la cravatta
(in questi dolcissimi misteri perdendomi)

 
4.
 

(Jordani Bruni Nolani)
Lo shock che si subisce venendo al mondo (diciotto secoli di rapine mi battezza),
l’aria freddissima rispetto al calore del ventre materno, la luce vivissima
ferisce i due occhi abituati ad una calda rosea oscurità, i rumori assordanti
l’udito abituato al silenzio roseo delle acque carnali, la poesia retrocede
verso la prima angoscia, forse è l’angoscia di rimanere schiusi in un ventre
per sempre e chi lo ama se lo tenga e ne goda. E tutti svegli e invece chi era
sveglio si addormenta e chi era addormentato si sveglia e tutto andrà bene se
riesci ad essere in quello che prima non era avvenuto ed è possibile che man-
chino le parole, oppure è possibile che è rimasta la parola mentre la cosa è
sparita. Sembra si assaggino e si spiino, devono dimostrarsi a vicenda di essere
in armonia con gli ordinamenti sociali, ogni uomo sonda l’altro e si spia. La
poesia dovrebbe sondare il blocco sociale, l’organismo sociale in cui viviamo,
bisognerà sapere in che mondo viviamo
mondo che ci è stato dato di vivere
e spiegavo ad un cieco dalla nascita
questo atroce mondo che vedevo
(mondo atroce ilare felice)
io riuscivo a vedere ancora meglio
un mondo atroce ilare felice
riuscivo a vedere ancora meglio
lunghi eterni triterni diciotto secoli di rapine
e sarà sbranato per i limiti della mia condizione corporale
il cieco continuava a rimanere cieco e trasformato in cervo sarà sbranato
e cadde anche l’angelo custode pesava come il piombo il suo velo caduto
non potevamo nascondere più niente era tutto accaduto altre colte
(ed entrando in questa camera per scrivere
riguarda attentamente tutte e quattro le pareti che mi chiudono
riguardo queste superfici che mi nascondono
ecco la mia identità penso e se mi spello stacco la pelle
scoprirò che dentro c’è una cosa tutta diversa da quella che immaginavo)
(qui non devo accomodarmici in ogni caso)
in tutte le cose c’è un grande silenzio che urla
questo grande silenzio ad un tratto si mette ad urlare
e dopo dieci anni di processi il «in tristitia hilaris,
in hilaritate tristis» fu sbranato dalle fiamme canine
dovendo sapere in quale degli infiniti mondi ci è capitato di vivere
(quelle fiamme canine ci aspettano
volendo sapere anche quelli che controllano le fiamme canine chi siamo
( i processi saranno lunghissimi mentre preparano le fiamme canine)

 

da qui

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